© Edizioni SENSOINVERSO Collana AcquaFragile www.edizionisensoinverso.it
[email protected] Via Vulcano, 31 – 48124 – Ravenna (RA) ISBN 9788867931262 1° edizione – Settembre 2014 © 2014 - Copyright | Tutti i diritti riservati Sensoinverso - P.I. 02360700393 Creazione e impaginazione eBook | http://creoebook.blogspot.com
Stefano Andrini
TE REO
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.
I
Da una parte la testa mozzata di netto. Dall'altra il corpo in giacca e cravatta e un fiore all'occhiello avvizzito ben prima del rigor mortis. Nel mezzo la linea di confine che separa Rimini dall'antica terra della libertà. La superstrada, a quell'ora deserta, era illuminata solo dagli oblò di un SUV con targa sammarinese che casualmente si era fermato, inconsapevole della scena del crimine, a pochi centimetri dal morto. A bordo un lui e una lei intenti a celebrare uno dei tanti rapporti mordi e fuggi che da sempre si consumano tra la via Emilia e il West di tutte le strade del mondo, ma che nella riviera romagnola trovano il loro inviolabile sancta sanctorum. Pochi minuti, perché la poesia non fa parte delle regole di ingaggio di un corpo nudo che ne compra un altro. Neanche il tempo alla luna di spuntare dal monte che una sgommata lacera l'aria verso le periferie tristi come una salita. Per ritrovarsi, lui e lei, di nuovo soli. Con il desiderio apparentemente soddisfatto. Ma senza che la sete, che anche un puttaniere e una puttana hanno di serie, sia placata o spenta. Con loro il morto decollato non condivide che la solitudine. Quanto al suo desiderio si è come cristallizzato. Perché? Un punto interrogativo abbaiato alle stelle.
II
Mentre un'alba dai colori vintage si diverte a schiarire a colpi crescenti di bolero la nera coperta del cielo notturno, che scalda i vivi e ricopre pietosamente i morti, un'ombra rompe l'aria immobile. I primi frontalieri, con gli occhi ancora chiusi per il sonno, ano e non ci fanno caso. Un ciuffo di capelli biondi si avvicina. Prima alla testa. Poi a quel che resta del corpo. Indossa un vestitino rosso. Al massimo può avere sei o sette anni. La faccina è imperturbabile. Prima si inginocchia e poi si rialza. Guarda le impronte lasciate dai pneumatici del SUV. Infila la piccola mano nella tasca interna della giacca del morto e trova un porta documenti. Lo apre. E l'espressione del volto tutto a un tratto cambia. Ha le stesse pieghe della madre che nel celebre compianto di Niccolò dell'Arca tiene in braccio il figlio morto. Prende dal taschino il fiore, più morto del morto. All'improvviso il rombo dei cavalli di una Ferrari si avvicina. Si apre uno sportello e una mano strappa la bambina dal suo misterioso rito. Dal finestrino semiaperto i petali cadono a pioggia. Sembrano gli omini di Magritte: assurdi e senza senso.
III
La competenza tra magistrati, polizia e carabinieri in caso di omicidio è come la lotta per le reliquie dei santi tra le cattedrali medievali. Figuriamoci poi se al tavolo del poker si siede anche un giocatore di uno stato estero come la gendarmeria sammarinese. Alla fine il caso del morto decollato era approdato, non si sa neanche il perché, sulla scrivania del capitano dei carabinieri Sallustio Cicero. Un corpo senza nome. Un movente sconosciuto. L'arma svanita nel nulla. Tutto sembrava congiurare contro Cicero. Eppure il capitano, dalla sua finestra alla destra del porto, sciorinava un sorriso ineffabile. Senza neanche voltarsi ordinò al maresciallo Lucrezio Caro di chiamare il pm Caio Biga. "Ci sono novità?" chiese il magistrato. Mentre le barche in darsena proiettavano il loro profilo sul muro della caserma Cicero, come il pescatore di De Andrè, dischiuse gli occhi al giorno. E sussurrò: "Dottore, abbiamo un numero di targa". Il pm non si trattenne: "Quale? Me lo dica subito". Dall'altra parte del telefono un silenzio di tomba. Un puntino rosso sulla fronte del capitano aveva interrotto per sempre ogni comunicazione. Intanto la videocamera di sorveglianza registrava l'ombra di un cavallino rampante.
IV
Il maresciallo Caro non si dava pace. Per il suo capitano morto a un metro da lui. Per il segreto che si era portato nella tomba. Per quel cavallino rampante che suonava più enigmatico di un discorso tra Di Pietro e Vendola. Finito il turno, era quasi mezzanotte, prese la sua macchina e si diresse verso San Marino. Quella linea di confine era diventata la sua ossessione. Come Michelangelo con il suo Mosè, continuava a ripetersi ‘perché non parli?’, certo che qualcosa fosse sfuggito agli investigatori e al Ris. Giunto sul posto scese con molta cautela. Gironzolò per qualche minuto. Ma era come vedere un film al cinema parrocchiale. Tutto un déjà vu. All'improvviso su una panchina poco distante, all'interno di un piccolo giardino circondato da pini, scorse una macchia gialla. Un miraggio, pensò. Si avvicinò e tra le mani si ritrovò un post-it sporco di sangue con un nome abbozzato e le prime cifre di un cellulare. L'adrenalina era già a mille quando Caro sentì odore di bruciato. I pini si erano trasformati in un rogo. Cercò di usare la giacca per crearsi un varco. Ma era in trappola. Il fumo invase i polmoni. Perse i sensi. Consapevole che non li avrebbe recuperati. All'improvviso sentì un canto. "Te Reo". Segui la voce. E una mano di bimba ruppe il muro di fiamme. Il maresciallo la afferrò con la mano sinistra. Nell'altra stringeva il post-it. Prima di sprofondare nel buio senza tramonto sorrise. Era il suo salvacondotto.
V
"Sono morto" disse ad alta voce il maresciallo quando, riaprendo gli occhi, vide intorno a sé solo buio. Si consolò quasi subito: 47 o meno, un defunto di solito non parla. Ma il sollievo fu di breve durata: la sua mano non impugnava più il post-it insanguinato. Cominciò a cercarlo a tentoni. Con sgomento crescente si accorse di essere rinchiuso in una specie di cassapanca. ‘Sepolto vivo’ pensò con rassegnazione. Ma l'istinto di sopravvivenza ebbe il sopravvento. Caro cominciò a picchiare con le nocche. Inutilmente. Poi urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Una nota continua e dolente all'inizio. Per poi diventare quasi un lamento bestiale maciullato dalla sofferenza. Era ormai giunto al capolinea dell'ultimo rantolo quando il coperchio della cassapanca si aprì. Con gli occhi feriti dalla luce intravide il volto di una bambina. Col vestito rosso. "Chi sei? E dove siamo?" riuscì a chiedere con uno sforzo disumano. "Siamo prigionieri" rispose imperturbabile la ragazzina. "Di chi, di chi..." gridò quasi strozzandosi il maresciallo. La bambina lo prese con dolcezza per mano e lo accompagnò alla finestra. Oltre la grata, illuminato dalla luna, c'era un SUV. Affiancato da una Ferrari. Ovviamente rossa.
VI
In ogni obitorio del mondo i morti sembrano tutti uguali. Coperti da lenzuoli o in cella frigorifera sono discreti e silenziosi. Non strepitano come i deputati. Non sparano come gli ultras. Non cercano di arti davanti come succede nella fila delle poste. Per certi versi sono migliori dei vivi. E soprattutto aspettano. Anche Polifemo Moretti, custode dell'obitorio di Rimini, aspettava qualcosa. Che scoccasse la mezzanotte per finire il turno. Il morto decollato di cui tutti parlavano era accovacciato vicino a lui. Ma Polifemo era più interessato alla Gazzetta. Berlusconi stava spiegando al cronista che il Milan non era in vendita. Una brusca fitta alla schiena lo costrinse a interrompere la lettura. Uno spadone medievale lo traò da parte a parte finendo la sua corsa contro la faccia del cavaliere stampata sul giornale. Un'ombra misteriosa prese dalla cella la testa del morto di San Marino e impalpabile come un fantasma si lasciò inghiottire dalla notte.
VII
Nella villa di Covignano, dove era tenuto prigioniero, il maresciallo Caro non aveva mai visto in faccia nessuno dei suoi sequestratori. Anche la bambina con il vestito rosso da diverse ore era misteriosamente scomparsa. L'unica traccia che nella casa ci fosse una presenza era rappresentata da un carrello portavivande che in automatico appariva e spariva grazie a un congegno che al maresciallo pareva sofisticato. All'improvviso la porta si spalancò e un cono di luce ferì gli occhi del carabiniere, da troppo tempo costretto a fare i conti con l'oscurità. Con grande fatica cercò di inquadrare la figura che aveva appena varcata la soglia. Anche perché gli sembrava vagamente familiare. Un' altra luce, più forte, dissipò l'incertezza. Caro si sentì sollevato. "Dottore, finalmente è arrivato". Era il pm Caio Biga. Il magistrato non rispose. Ma estrasse dalla tasca l'arma d'ordinanza che qualcuno aveva sottratto al maresciallo. E la puntò in mezzo alla fronte di Caro. "Tu devi morire" gridò con voce rauca. Al suo fianco, appoggiata al tavolino portavivande, la testa del morto di San Marino sembrava sogghignare.
VIII
Il carabiniere percepiva il freddo della canna così come erano gelide le gocce di sudore che ormai calavano senza ritegno. I suoi occhi, sbarrati, non guardavano più il magistrato killer. Erano fissati sul grilletto giunto a metà della sua corsa di morte che nessuno sembrava più in grado di fermare. Caro non era particolarmente religioso: alla messa per la patrona dell'Arma andava solo se comandato. Eppure in quel momento provò a frugare nei cassetti della memoria. E trovò pezzi, confusi come quelli di un puzzle, di una preghiera imparata da bambino. Angelo di Dio urlò in faccia al suo assassino. Consapevole dell'inutilità di questo grido, si preparò al colpo che lo avrebbe spappolato per l'eternità. arono alcuni minuti e non successe nulla. Caro pensò a un improvviso inceppamento della pistola. O a un sussulto di pietà del pm. Ridicolo, si sgridò con voce impercettibile. Il silenzio stava diventando insopportabile. E allora riaprì gli occhi. Caio Biga era sparito. La testa del morto anche. Vicino a lui la bambina col vestito rosso lo osservava sorridente. Caro non si trattenne. "Chi sei ?" biascicò. La bambina ridiventò seria e sembrò più grande degli anni che aveva. "Mi chiamo Angela God, e sono un’agente dell’FBI". Mentre correvano a perdifiato verso l'Adriatica, il carabiniere trovò la forza per fare un'altra domanda. "Chi è il nostro nemico?" ansimò. "La cupola criminale che governa Rimini". Solo qualche ora più tardi Caro si sarebbe chiesto cosa ci faceva nel parcheggio di una villa vuota una Jaguar nera con i vetri blindati.
IX
L'imprenditore Sepolcro Imbiancato, con gli immancabili compagni di merende Modello Unico, Noto Presentatore e Palla Di Neve, sorseggiava un aperitivo in un noto caffè di Marina Centro. "Perché hai ordinato a Caio di sospendere l'esecuzione del carabiniere e di scappare?" chiese Unico all'anziano boss. Come al solito Presentatore anticipò la risposta. "Biga non lo posso soffrire" disse con la consueta voce querula da mezzosoprano. Di Neve, più fatto del solito, rincarò la dose: "Ha sbagliato tutto. Deve pagare". Con un sogghigno Unico sibilò la domanda giusta. "Che fine gli hai fatto fare?". Imbiancato non rispose. Nella pupilla destra, tuttavia, si intravide l'ombra di un corpo, appeso alla erella della nuova darsena, che dondolava nel vuoto. Ai suoi piedi la testa del morto di San Marino sembrava guardarlo con crudele curiosità.
X
L'agente speciale Angela God aveva buttato alle ortiche il travestimento della bambina col vestito rosso che le era servito per arrivare in Italia. E ora il suo fisico asciutto, con i seni esplosivi che si intravedevano sotto la camicetta trasparente, dominava la piccola camera schermata allestita nei sotterranei della Procura. Sull'unico tavolo era appoggiata una misteriosa valigetta. Accanto ad Angela il procuratore generale, il capo della Dda e, ovviamente il maresciallo Caro. La tensione era palpabile. A un tratto il video si illuminò. E apparve il faccione preoccupato del presidente Obama. Che, saltando i convenevoli, cominciò a parlare. "La cupola che governa Rimini" tradusse velocemente la God "è un grave pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti. Nonostante i tentativi dell'agente God non siamo riusciti a distruggerla. Attraverso giornali, radio e tv, la cupola sta cercando di costruire un polo russo. Con la scusa del turismo e della salvezza dell'aeroporto. Ma l'obiettivo vero è un altro. Trasformare la Romagna nella santabarbara di Putin in riva all'Adriatico. Non possiamo più aspettare. Dobbiamo distruggere Rimini" concluse il presidente. La valigetta fu aperta. Al centro un pulsante collegato ai sensori che in pochi secondi avrebbero fatto saltare l'Arco d'Augusto, il ponte di Tiberio, il Tempio Malatestiano e naturalmente l'aeroporto". Go, fu l'ordine secco del presidente. Ma non successe nulla. Dall'altra parte dell'oceano Obama vide gli occupanti della stanzetta portarsi le mani al viso e accartocciarsi a terra come morti. La porta si spalancò e una mano misteriosa fece sparire la valigetta.
XI
Nella camera invasa dal gas, i corpi dei due magistrati erano ormai senza vita. Il maresciallo rantolava. Solo l'agente God stava provando a riscuotersi dal torpore mortale. Dopo molti tentativi riuscì ad alzarsi. Traballando si avvicinò alla porta che, quasi per miracolo, si aprì. Appoggiata alla parete una maschera antigas. La indossò, incurante della probabile contaminazione della scena del crimine, e si avvicinò al carabiniere. Trascinò il corpo fuori. E gli praticò la respirazione bocca a bocca. Si accorse che non era solo un esercizio tecnico per salvare un uomo. Ma somigliava a un bacio apionato di una donna innamorata. Caro si risvegliò. E insieme con il suo angelo risalì le scale. Un brusio li bloccò. Caro, a sorpresa, riconobbe una voce. Con molta cautela si avvicinarono all'ufficio del procuratore. Al centro della stanza tre persone. Il sindaco Rotondo Effimero stava dicendo: "Caro Imbiancato, ecco i soldi che lo zar Putin mi ha incaricato di farle avere per i suoi servizi". L'imprenditore prese la borsa quasi con distrazione e la ò al fido Modello Unico. Destinazione Albania. Intanto il sopracciglio di Caro si stava trasformando in un grande punto interrogativo. Angela lo intercettò. E la sua risposta gli fece raggelare il sangue. "È il capo della cupola" sussurrò. Sulla scrivania del procuratore la testa del morto di San Marino con un tagliacarte tra i denti.
XII
"You are the sunshine of my life". Mentre allo stadio di Rimini Stevie Wonder stava cantando il refrain di una delle sue canzoni più note, l'agente God ripensava alla notte di sesso e dolcezza, di ione e tenerezza, trascorsa poche ore prima assieme al carabiniere. Sarà davvero il sole della mia vita? si chiedeva. O lui, come tanti altri, sarebbe stato inghiottito dal buco nero della sua infedeltà cronica? Allo stadio era arrivata dopo una telefonata sul suo satellitare. Il capo le ordinava semplicemente di assistere al concerto. All'ingresso un giovanotto dello staff senza dirle nulla la pilotò verso il palco. Senza farla accomodare. Angela era a due i dalla grande star della musica soul. Poteva vedere le gocce di sudore sulla fronte del cantante e quelle che, maliziosamente, scivolavano sui seni prosperosi delle coriste. Con la coda dell'occhio, intanto era partita "I just called to say i love you", vide una persona accasciarsi. La calura, pensò. Osservando meglio si accorse che, come un castello di carte, l'intera platea stava crollando, chi a terra chi semplicemente accovacciato sulla poltroncina. Spaventatissima rilevò che da diversi punti dello stadio partivano freccette verso gli spettatori. Letali, evidentemente. Cercò di pensare a una reazione. Ma non le venne in mente nulla di sensato. Lo stesso giovanotto che l'aveva fatta entrare la invitò con gesto deciso a seguirla nel retropalco dove, ad aspettarla, c'era quello che sembrava a prima vista un frate. Che si girò e si tolse il cappuccio. L'agente rimase a bocca aperta. A due metri da lei c'era Obama. "Presidente" farfugliò "centinaia di morti. Chi è stato?". La risposta, parzialmente coperta dalle note di "We are the world" le fece gelare il sangue. "La marina militare degli Stati Uniti d'America".
XIII
Morti, misteri, sangue come se piovesse. Ma cosa stava succedendo? La domanda tormentava da ore Manolo Little Best, uno dei più noti fotoreporter di Rimini. Muscoloso e dinoccolato, aveva provato ripetutamente a contattare l'amico maresciallo Lucrezio Caro. Ma il cellulare lo dava sempre irraggiungibile. La sera prima, al concerto, Manolo aveva scattato centinaia di foto tra i corpi di una platea trasformata in un cimitero monumentale. E ora le stava meticolosamente archiviando. A un tratto scorse, in uno degli ultimi scatti, un frate incappucciato che, insieme a una donna da urlo, si stava allontanando velocemente dal palco. Strano, pensò. E cliccò sullo zoom per ingrandire. L'occhio attento colse subito una certa familiarità con il padrone del mondo. Impossibile, si disse. Dando la colpa alle poche ore di sonno. Ma all'inquadratura successiva rimase impietrito. Un refolo di vento aveva spostato il cappuccio del frate mostrandone la fronte. Ma questo è... Manolo non fece tempo a completare la frase che sentì, all'altezza delle scapole, una canna puntata. "Seguimi" disse una voce con forte accento russo. Il fotoreporter tentò di reagire ma un violento colpo alla testa lo mise fuori uso. Mentre il pc continuava a mostrare il fermo immagine di un Obama teso e preoccupato, Manolo fu sollevato di peso e caricato in un elicottero militare. Quando si risvegliò, si ritrovò vicino al portellone aperto. In bilico. Alle sue spalle qualcuno lo stava spingendo nel vuoto. Provò a resistere ma inutilmente. Dopo pochi secondi braccia e gambe mulinavano nell'aria tersa. Sotto i suoi piedi rocce e solo rocce. "Farò la fine di Wile Coyote" pensò con crudele ironia. Sfrittellato forever.
XIV
Manolo Little Best era ormai rassegnato. La terra si stava avvicinando sempre di più. Quando all'improvviso un paracadute si aprì e il fotoreporter, invece dei campi elisi a cui sembrava destinato, si trovò a contemplare come un turista per caso la costa albanese. Non fece tempo a mettere i piedi per terra e a liberarsi dalle corde, che due brutti ceffi lo presero in consegna e lo portarono senza tanti convenevoli in un vicino casolare. Salirono le due rampe di scale ed entrarono in una grande sala con al centro un camino. Avvezzo a sorprese di ogni tipo, Manolo rimase a bocca aperta. Di fronte a lui c'erano vecchie conoscenze. Il sindaco di Rimini Rotondo Effimero, Palla di Neve, Modello Unico e Noto Presentatore. Ma soprattutto c'era lui. Sepolcro Imbiancato, che controllava tutti i giornali della città. Dietro di lui una sorta di bara trasparente dove il maresciallo Caro sembrava dormire. Fu Imbiancato l'unico a parlare. "Povero Manolo, ti sei cacciato in un vicolo cieco. Hai una sola possibilità per uscirne vivo: dovrai tornare a Rimini, cercare la bella Angela e torturarla. Vogliamo sapere cosa le ha detto il presidente Obama. Quando avrà confessato la dovrai uccidere". Il fotoreporter ebbe uno scatto di rabbia. "E se mi rifiutassi?". Con una smorfia indecifrabile Imbiancato si voltò verso la bara e spinse un bottone. Con uno scatto metallico apparvero dieci siringhe che si fermarono a pochi centimetri dal corpo. "Ciascuna siringa contiene un mix di droghe sintetiche che in caso di fallimento della missione sarà iniettato al maresciallo, provocandogli un’agonia di almeno due giorni. Se non eseguirai i nostri ordini sarai costretto ad assistere alla morte straziante del tuo amico. Per poi fare la stessa fine".
XV
Il biglietto di invito diceva semplicemente. "La S.V. è invitata a partecipare all'incontro con lo zar". In maniera inusuale il Palas di Rimini aprì le porte a un'ora più congeniale alla clausura che al turismo congressuale. In realtà la sala dell'anfiteatro si stava riempiendo di politici, imprenditori, giornalisti, esponenti delle categorie economiche che da tempo avevano ceduto alle avance interessate di Putin e avevano dato il loro placet per trasformare la Romagna in un satellite della Russia. In prima fila Sepolcro Imbiancato. Alle sette in punto, senza troppi preamboli, una figura infagottata e irriconoscibile si portò al centro del palco, illuminato semplicemente da un occhio di bue. La voce dello zar, che ben conoscevano, risuonò metallica. E spiegò lo scopo della riunione. "Gli Stati Uniti ci costringono a dichiarare la terza guerra mondiale. Rimini sarà un'altra Sarajevo. Per questo abbiamo bisogno di soldati, non solo di fiancheggiatori. Voi sarete il nostro esercito". Un applauso scoppiò fragoroso. "Ma" proseguì lo zar "abbiamo bisogno di volontari motivati e fedeli alla linea. Chi se la sente, si alzi in piedi". Su millecinquecento furono in trecento ad alzarsi. In men che non si dica ognuno di loro fu affiancato da un'ombra. A quel punto la figura infagottata si tolse la maschera. E a tutti apparve il volto infiammato di Obama. "Marines, procedete". E all'unisono le ombre spararono contro le persone che avevano affiancato. In una frazione di secondo la cupola era stato decapitata. Solo Imbiancato e la sua cricca erano riusciti a fuggire da un aggio segreto che unicamente loro conoscevano. Nel fuggi fuggi generale di cravatte, gessati e tailleur spinti dalla folla, l'agente God e Manolo si trovarono vicini. "Signorina" sussurrò il fotoreporter "non ci conosciamo, ma posso invitarla a cena?".
XVI
C'era una meravigliosa luna piena appiccicata nel cielo di Covignano. Seduti al tavolo appartato di un ristorante tipico a due i dal santuario delle Grazie, Manolo e Angela sembravano disdegnare le pur invitanti tagliatelle, specialità del locale. Il fotoreporter aveva trovato la chiave per aprire il cuore dell'agente americano. Era lui a parlare di più. A riempirle senza sosta il bicchiere con un Pagadebit da urlo. Dopo la terza bottiglia scivolò dalla sedia e cadde a terra. Little Best, apparentemente preoccupato, pagò il conto e accompagnò la God all'uscita. Per arrivare alla sua Panda dovette farsi largo tra una Ferrari rossa, un SUV e una Jaguar. Ma non ci fece troppa attenzione. Arrivato finalmente a casa, rovesciò il corpo sul divano. Lo spogliò. E lo legò mani e piedi al letto di ottone. Per svegliarla le rovesciò addosso un caraffa di acqua fresca. Lei aprì gli occhi e lo guardò con aria di sfida. Lui non disse nulla. Si avvicinò al camino , prese una molla da barbecue, la fece are più volte tra le fiamme e la avvicinò con fare minaccioso ai seni della ragazza. "Ora mi dirai" ansimò con voce alterata "qual è la tua missione. Altrimenti sentirai sulla tua pelle quanto può essere atroce il fuoco". "Illuso" replicò la ragazza. Ma Little Best, con uno scatto felino, le appoggiò la molla sui capezzoli. Un urlo disumano squarciò il silenzio della notte. Angela God, nonostante l'addestramento, crollò. "Il presidente mi ha incaricato di uccidere Putin" bisbigliò prima di svenire. A diverse centinaia di chilometri di distanza, sull'altra sponda dell'Adriatico, Sepolcro Imbiancato aveva assistito a tutta la scena. Comodamente seduto in poltrona.
XVII
Strappata la confessione, Manolo Little Best si accinse a completare la missione che, sperava, gli avrebbe consentito di salvare l'amico Caro ancora prigioniero della cupola. Si avvicinò alla donna svenuta e le iniettò un liquido letale. Dopo pochi minuti controllò: il battito del cuore si era fermato per sempre. Col volto tirato prese in spalla il corpo, entrò in ascensore e scese in garage. Caricò Angela God nella Panda e si diresse verso Marina Centro. Guardando nello specchietto si accorse di essere seguito da una Ferrari rossa, un SUV e una Jaguar. Quasi fosse il triste corteo di un funerale. Giunto in spiaggia infilò la sua vittima in un sacco nero e lo abbandonò nella zona delle docce. Un'ultima verifica: il respiro era esalato. Per l'eternità. Risalì in macchina ma, prima ancora di mettere in moto, un SUV lo affiancò. L'autista scese, spalancò lo sportello del fotoreporter e lo colpì violentemente con un cric. Per Manolo fu come se uno stuolo di nubi avesse coperto all'improvviso la luna e le stelle. Buio pesto. Al tempo stesso un'ombra scivolò silenziosamente dalla Jaguar, si avvicinò al sacco, lo prese violentemente a calci e si dileguò. Qualche ora più tardi, alle prime luci dell'alba, un veterinario a so con il cane notò il sacco. Si fermò brontolando contro la solita inefficienza dell'amministrazione nella raccolta dei rifiuti. Ma a un tratto scorse che qualcosa, all'interno dell'involucro, si muoveva. Si bloccò non sapendo bene cosa fare. All’improvviso dal sacco, come Venere dalle acque, uscì una ragazza completamente nuda. Era una maschera di sangue e di sabbia. Fece pochi i e gli precipitò tra le braccia. Anche il cane, sconvolto, tacque senza abbaiare.
XVIII
Del morto di San Marino, tranne il nome e la nazionalità, si sapeva tutto. Sui vent'anni, fisico da palestrato, colpiva in particolare la sua carnagione color caffellatte. Causa del decesso, anche se l'arma non era stata ritrovata, la decapitazione. Tutte le principali agenzie investigative avevano indagato a 360°. Senza risultato. Nessuno aveva reclamato il corpo del morto che, nella cella frigorifera, aspettava senza sapere bene che cosa. In realtà c'era qualcuno, e neanche troppo lontano, che alla notizia dell'omicidio del giovane aveva pianto. A poco più di un centinaio di chilometri dall'obitorio di Rimini, nella bassa bolognese, una sfoglina nel suo negozio di pasta fresca stava completando la preparazione di tagliatelle e tortellini per un matrimonio che si sarebbe celebrato il giorno dopo in paese. Annamaria Clementi ricordava bene cosa era successo vent'anni prima. Un giovane e aitante americano di colore era entrato nel suo negozio per chiedere informazioni. Si erano guardati negli occhi e sembrò amore a prima vista. Seguì una notte di fuoco, ma il giorno dopo dell'uomo non c'era più traccia. Qualche settimana dopo la Clementi scoprì di essere incinta. Di un bell'uomo venuto dal mare, come ironicamente canticchiava. Nove mesi più tardi il parto. Quando si risvegliò dopo un'anestesia che, pur nell'incoscienza, le sembrò lunga come l'eternità, chiese del bambino. Tutti le dissero che non c'era nessun neonato. Che lei si era immaginata sia la gravidanza che il parto. Solo un'infermiera, impietosita, le confidò che il suo bambino era stato portato via da agenti segreti americani. Per motivi di sicurezza nazionale. Quando il telegiornale aveva mostrato l'identikit del morto di San Marino aveva provato un tuffo al cuore. Quello era suo figlio. Mentre stava chiudendo l'ultimo tortellino la stanza fu invasa dal buio. Un black out pensò. Ma intorno a lei c'erano dei rumori strani. Stava per lasciarsi prendere dall'angoscia quando la luce tornò. Lo spettacolo era devastante. Sul pavimento navigavano tuorli e albumi impiastricciati di farina. I tortellini calpestati da scarponi militari. Solo il frigorifero sembrava essere stato ignorato. Con un brutto presentimento lo aprì. Dentro c'era seminascosta da latte, burro e panna una testa che conosceva bene. "Maledetti" urlò prima di crollare a terra "ve la farò pagare".
XIX
Nello stadio di Rimini, surreale e silenzioso, erano allineate sul tappeto erboso oltre quattrocento bare. Tutte uguali e ciascuna con un fiore rosso. Su decisione della Prefettura il rito funebre era stato autorizzato a porte chiuse. Per motivi di sicurezza. Sul palco solo il vescovo Цеццо Iwundlu. Collegati con lo stadio migliaia di monitor e di iPad lo stavano ascoltando. "Non dobbiamo permettere" disse con voce rotta dall'emozione "che pezzi della città si mettano a mercanteggiare con la guerra dei mondi tra russi e americani. Non vogliamo che la nostra libertà si incateni ai venditori di morte. Rimini, ribellati e risollevati!". A poca distanza dallo stadio un giovane e massiccio libraio, Gabriel Salt Water, stava preparando con vari stracci una bambolina voodoo. Cucì una ciocca di capelli, infilò un anello e scrisse in un bigliettino il nome della vittima. Prese poi un ago da cucina e con molta meticolosità lo infilzò tra le pieghe degli stracci, all'interno del cerchio magico. La sua faccia si trasformò. Sempre più simile a quella di un demonio. Sul povero oggetto che ballonzolava tra le sue mani scaricò una valanga di bestemmie. Intanto, sul palco dello stadio, monsignor Iwundlu era caduto in ginocchio davanti alla piccola croce. Le mani a coprirsi il volto. Dopo alcuni minuti il segretario del vescovo, preoccupato, si avvicinò. Vide una piccola goccia di sangue a terra, quasi un fiorellino che faceva pendant con quelli delle bare. E un piccolo foro all'altezza del cuore. Nello stesso tempo, nella piccola libreria di Salt Water squillò la linea privata della Casa Bianca.
XX
Dopo il grande buio il fotoreporter Manolo Little Best riaprì gli occhi. Riconobbe subito la cella in cui si trovava. Quella del pozzetto, nella fortezza di San Leo, la stessa dove era stato rinchiuso Cagliostro. Appoggiata sul letto dell'eretico, una grezza panca di legno, c'era la bara trasparente che ospitava il corpo apparentemente senza vita del carabiniere Lucrezio Caro, ancora con le siringhe puntate. Manolo, con molta circospezione, si avvicinò. Aprì il coperchio della bara e spinse un bottone. Le siringhe rientrarono. Appoggiata a terra c'era una brocca di acqua. La rovesciò sulla faccia del carabiniere. Che lentamente si risvegliò dal sonno. Caro vide l'amico e gli buttò le braccia al collo. Travolti dalla commozione, quasi non si accorsero dell'arrivo di altre due persone. Angela God e Ser Giordan il veterinario che l'aveva soccorsa. L'emozione salì alle stelle. Poi venne il tempo delle spiegazioni. "Ho fatto finta di torturarla e di ucciderla" confidò Manolo. E lei, aggiunse indicando la ragazza, si è inventata di sana pianta una missione: quella di uccidere Putin. A queste parole, come se avesse ricevuto un ordine misterioso, l'agente americano scattò in piedi e si diresse verso la porta. La varcò e la chiuse a doppia mandata. "La mia missione è uccidere lo zar. Voi non mi servite più. Anzi, potreste essere d'ostacolo. Potrei uccidervi. Ma pochi giorni qui senza mangiare e senza bere raggiungeranno ugualmente l'obiettivo". Detto questo sparì. In un cortile della fortezza c'era ad attenderla un elicottero. Il pilota la salutò biblicamente: "Eravamo morti e invece siamo vivi". "La maledizione della bambolina è una bufala?" chiese con sarcasmo. "Difficile che funzioni" rispose lui. "Soprattutto quando al posto di quelli della vittima designata ci sono i capelli del morto di San Marino che del voodoo non può certo preoccuparsi". In pochi secondi le pale aumentarono di velocità. Angela God e il vescovo Цеццо Iwundlu si ritrovarono catapultati nel cielo blu. Destinazione Mosca.
XXI
Nel suo negozio di pasta fresca della bassa bolognese Annamaria Clementi non aveva più sfoglie da tirare. Si era fatto tardi ma non aveva voglia di tornare a casa. Troppo forte la nostalgia per quel figlio che non aveva mai visto. Troppo grande la rabbia. Abbassò la serranda e apparecchiò il tavolo di lavoro. Si servì un invitante piatto di ostriche. E si spalmò generosamente una tartina col caviale. A questo punto stappò quasi con devozione il suo vino preferito. Un Franciacorta del 2005 che portava il suo stesso nome. E che, soprattutto, aveva il suo stesso carattere. Assoluto. Libero da ogni limite. Immune da ogni compromesso. Seduta con le gambe accavallate e il grembiule ancora infarinato rifletteva sul percorso del vino dal magnifico colore dorato che stava sorseggiando. Un lunghissimo affinamento in botti per almeno sette anni a contatto con i lieviti. Riemersa dal paradisiaco perlage, alzò gli occhi. Di fronte a lei c'era un uomo di circa settant'anni, segaligno, che stava osservandola. "Lei chi è?" chiese la donna senza nascondere un brivido di freddo. "Sono un uomo molto potente" rispose Sepolcro Imbiancato. "Ci accomuna lo stesso obiettivo. Distruggere l'America e uccidere il presidente". Il brivido di Annamaria non accennava a fermarsi. "Dobbiamo unire le nostre forze" continuò il capo della cupola. "Per raggiungere lo scopo sarai assunta alla Casa Bianca come cuoca. Lì seguirai le mie indicazioni". La Clementi provò a replicare: "Se rifiutassi?". Imbiancato le mostrò una foto. Un'espressione di terrore si fece largo nella faccia di Annamaria. Riproduceva il suo negozio completamente bruciato e le sue colleghe prigioniere come Hansel e Gretel. "Non vedo l'ora di cominciare" sussurrò la Clementi. Prima di versarsi un altro calice di vino.
XXII
Il carabiniere, il fotoreporter e il veterinario si trovavano ancora nella cella di Cagliostro. Erano ate ormai settantadue ore da quando la porta era stata chiusa dall'agente Angela God. Tutti i tentativi di trovare una via di fuga erano risultati inutili. La mancanza di cibo e di acqua stava cominciando a produrre effetti che sembravano irreversibili. In un angolo della cella Ser Giordan sudava freddo e tremava senza soluzione di continuità. Il maresciallo Lucrezio Caro, grande apionato di storia romana, frugava nei cassetti della memoria alla ricerca di un'idea che, purtroppo, non arrivava. Da parte sua Manolo Little Best aveva arrotolato i suoi quasi due metri di statura come il serpente che, per uscire, aspetta solo il flauto del suo incantatore. Un imprevisto li scosse dai loro pensieri e dalle loro bestemmie. Un' esplosione enorme squassò la fortezza, che pure imperturbabile aveva sfidato le ingiurie del tempo. Le mura si sbriciolarono e nella vallata circostante iniziarono a piovere pietre. I tre furono sospinti all'interno di un grande tubo e iniziarono una discesa vorticosa. Sballottati come in uno scivolo di Aquafan, pensò ironicamente il veterinario. Dopo un tempo che a tutti sembrò infinito, furono espulsi all'esterno. E si arrestarono su un fazzolettino di terra a strapiombo. Circa duecento metri, calcolò il carabiniere. Fu Manolo il primo ad accorgersi che non erano soli. Di fronte a loro, contro sole, si stagliava l'atletica figura dello zar Putin. "Sono io che vi ho fatto uscire. Mi aspetto da voi gratitudine. Voglio arruolarvi nella mia impresa che, lo sapete, è quella di colonizzare la Romagna". Dopo un ulteriore gemito, Giordan si tuffò nel precipizio. Con espressione sprezzante, lo zar si rivolse agli altri due. "Anche voi volete fare la stessa fine?". Quasi all'unisono Manolo e Caro gli sputarono addosso. Imperturbabile, Putin fece uscire da un cestino di vimini una decina di vipere. Manolo e il carabiniere inconsciamente fecero un o indietro. E si trovarono appesi a un ciuffo d'erba con il corpo che dondolava nel vuoto. Putin si avvicinò e schiacciò con gli scarponi militari le mani di entrambi. Sembrò a Manolo un volo senza ritorno.
XXIII
Il vescovo e l'agente God planarono a poche centinaia di metri dal confine con la Russia. Scesero dall'elicottero e furtivamente si infilarono in una catapecchia semi nascosta dalla boscaglia. Una volta entrati si spogliarono completamente e fecero l'amore sul pavimento senza troppa ione. Una rapida doccia e si rivestirono con intimo e abiti griffati. Dalla tasca di lui spuntarono due fedi nuziali. Erano diventati un’innocua coppia di turisti americani in viaggio di nozze. Presero la jeep che qualcuno aveva noleggiato per loro e si diressero verso la dacia di Putin sul Mar Nero. Stranamente non trovarono guardie. Angela sentiva la vittoria vicina. Lo zar era da solo. L'uomo più potente del mondo sembrava all'improvviso diventato più fragile di un bambino. Aprirono la porta e il vescovo con un laccio cercò di strangolarlo. Ma Angela lo fermò. "Deve morire con un colpo di pugnale al cuore" disse. Senza spiegare perché. La lama era già a pochi centimetri dal bersaglio quando gli occhi dell'agente si posarono per un attimo su quelli terrorizzati del vescovo. Angela si voltò verso la finestra e vide il vero Putin che stava scappando a bordo di un motoscafo. Incredula, la God cominciò a grattare con le unghie smaltate di rosso la faccia del sosia. Ben presto la maschera di lattice si raggrinzò fino a sollevarsi da un lato. Angela la strappò furiosamente. La lama, ancora puntata, cadde a terra con un tonfo sordo. Sotto di lei giaceva, congestionato ma vivo il presidente degli Stati Uniti.
XXIV
La sfoglina della bassa bolognese era al lavoro nelle cucine della Casa Bianca. Annamaria Clementi aveva ricevuto l'ordine dal lungo maggiordomo Marcus Beli, suo conterraneo, di preparare per il presidente un piatto di tortellini alla panna. Non era sola. E questo rendeva il suo piano maledettamente complicato. Vicino a lei c'era chi tagliava le verdure, chi era specializzato nella cottura del tacchino, ma anche il premio Nobel per il trattamento delle patate. Impossibile are inosservata. A un certo punto un brusio si alzò nella sala. Ed entrò il presidente. Obama si diresse direttamente verso la sfoglina. Le tese la mano e le augurò buon lavoro. Con un sospiro di sollievo rispose: "Thanks". Una delle poche parole americane che Marcus le aveva insegnato. Allontanatosi il presidente la Clementi si rese conto di non aver tempo da perdere. E nel ripieno dei tortellini sciolse una quantità di cianuro sufficiente ad ammazzare un cavallo. Un lampo d'odio le riverberò per un attimo nello sguardo imperturbabile. Aveva appena finito di impiattare, quando apparve il maggiordomo Beli per portare la specialità bolognese sulla tavola del padrone di casa. Marcus, imibile, le disse che il presidente voleva parlare a quattrocchi. Terrorizzata, la Clementi lo seguì. Si ritrovò in una piccola e luminosa stanza. La tavola era apparecchiata per due. Ma c'era solo Obama. "La prego, si accomodi" disse affabilmente. Annamaria si sedette. Davanti a lei c'era il piatto di tortellini che aveva preparato per il presidente. "Li assaggi"ordinò Obama. Un brivido di terrore corse lungo la schiena della Clementi. "La ringrazio ma io non mangio mai la pasta che preparo". Beli, dal nulla, scivolò dietro di lei e le punto una pistola contro la schiena. "Come vede" commentò il presidente "non ha molte alternative. Or eat the soup... or". La sfoglina si sentì perduta. Infilzò con la forchetta un tortellino e prima di lasciarselo scivolare in bocca urlò: "Sei un maledetto bastardo!". Poi chiuse gli occhi. Certa che non li avrebbe più riaperti.
XXV
La giornalista russa Lizzie Krasivyye Glaza aveva appena finito di condurre il telegiornale della più importante rete del Paese. Ripiegò i fogli e rapidamente rientrò nel suo ufficio. Prese al volo un caffè e controllò la posta. Diede un'occhiata distratta alla sua scrivania e notò una busta bianca e gialla che fino a pochi minuti prima non c'era. La aprì e rimase perplessa. Il messaggio, senza firma, ordinava: "Trovati domani alle 12 al Village Monsters di Bologna". A diverse centinaia di chilometri, nel suo ufficio parigino per l'immigrazione, il poliziotto Jean Portulans stava contando i minuti che lo separavano dalla fine del turno. Aveva promesso al figlio Antoine di portarlo allo zoo. E, almeno questa volta, aveva tutte le intenzioni di mantenere fede al proposito. L'ultimo immigrato in fila aveva un bizzarro cappuccio bianco e giallo. Stava già per dirgli, con aria annoiata, di compilare il modulo, quando da sotto il cappuccio percepì un bisbiglio che gli intimava di trovarsi all'indomani nello stesso luogo della giornalista russa. Alex Quagmires, scoppiatissimo dj di una seguitissima radio londinese, collocò vicino al mixer la pila di dischi che aveva scelto di trasmettere. Con sorpresa vide che sul piatto, alla sua destra, c'era già un vinile con l'etichetta bianca e gialla. Appoggiò la puntina al primo solco e fece partire il disco. Fu come ascoltare una canzone all'incontrario. Ma invece dell'esaltazione satanica subliminale di molti gruppi rock, una voce metallica gli trapanò la cuffia. Anche per lui la meta era Bologna. Senza sapere nulla l'uno dell'altro, i tre si trovarono puntuali all'appuntamento. Entrarono in una specie di corte formata da diverse palazzine. Suonarono un camlo e la porta si aprì automaticamente. Non c'era nessuno. Non fecero in tempo a presentarsi. Un'altra porta si aprì e spuntò un signore tutto vestito di bianco. "Fratelli e sorelle, buonasera" disse salutandoli.
XXVI
Era ato qualche minuto da quando Annamaria Clementi aveva ingoiato il tortellino al cianuro. Non era successo nulla. Riaprì gli occhi con la ragionevole certezza di non essere morta e la convinzione che quel tortellino dal sapore di hamburger non potesse essere lo stesso uscito dal suo matterello. Di fronte a lei due persone sconosciute. Una bella ragazza e un vescovo aitante. "Chi siete?!" urlò. "Dov'è il maledetto bastardo che ha ucciso mio figlio?". La ragazza, senza scomporsi, rispose: "Il presidente mi incarica di salutarla. E si scusa per averla sottoposta al test brutale del tortellino. Ovviamente quello che ha mangiato era innocuo, sostituito all'ultimo momento. Mi chiamo Angela e insieme al vescovo sono responsabile dell'operazione Libera nos a Putin. È lui, tra l'altro, l'autore del rapimento del suo bambino. Figlio in realtà del gemello di Obama, Un sequestro a scopo di ricatto nei confronti degli Stati Uniti. È stato sempre Putin a decidere di liberarlo dalle segrete del Cremlino dove era segregato, per poi decapitarlo tra Rimini e San Marino". L'incredula Clementi vide piovere sul tavolo alcune foto: il gemello di Obama e la scena del crimine. Putin, a bordo di una Ferrari rossa, sogghignava senza pietà mentre il collo del ragazzo rotolava verso l'antica terra della libertà. "Mi voglio vendicare" ansimò la Clementi. "Anche il presidente" aggiunse il vescovo. "Per questo" proseguì Angela "sei arruolata nell'operazione. Salirai con noi sull'Air force one e ti porteremo a Rimini. Obiezioni?". "Nessuna" rispose la Clementi. Dopo qualche ora l'aereo più sicuro del mondo stava sorvolando Bologna. Una tremenda esplosione lo ridusse in pezzi poco più grandi di coriandoli. La sfoglina precipitò a terra come un sacco di patate. E atterrò rovinosamente nel giardino di Village Monster. Sanguinante e con qualche osso rotto, si vide puntare contro un’alabarda. E dalla guardia svizzera Max Badpieces fu accompagnata al cospetto di sua santità.
XXVII
Il grande soggiorno del Village Monster era affollato. Ma non si sentiva volare una mosca a parte i lamenti della sfoglina sorvegliata a vista dalla guardia svizzera Badpieces. Seduti vicino al caminetto, attoniti, c'erano la giornalista Krasivyye Glaza, il dj Quagmires e il poliziotto Portulans. Accanto all'uomo vestito di bianco, il cardinale neozelandese Memme Patereareha. E finalmente il papa parlò. "Le tenebre stanno scendendo. La distruzione della civiltà è vicina. I padroni del mondo, Obama e Putin, sono in realtà semplici pedine della cupola che governa Rimini. Una lobby di potere capeggiata da un dittatore eccentrico e crudele che risponde al nome di Sepolcro Imbiancato. È lui il grande nemico dell'umanità". La giornalista russa approfittò di una pausa per intervenire. "Santità, ci sta forse dicendo che dobbiamo uccidere Imbiancato?". Il cardinale Patereareha la fulminò ma postò ugualmente la domanda nel sito del suo gruppo segreto. Il Papa si limitò a sorridere. E poi riprese: "Ci sono già stati troppi morti. Per questo vorrei cercare di fare qualcosa. Sono un grande lettore di Tolkien e vorrei chiedere a voi di aderire a una sorta di compagnia dell'anello. Quello papale. Un'antica profezia dice che se sarà immerso nelle acque di Rimini nel momento in cui le fogne vengono scaricate a mare, il potere del tiranno perderà la sua forza e sarà costretto a trovare rifugio in un altro mondo. Questo è il vostro compito, ma sappiate che non sarà facile". Tutti si dichiararono disponibili. "E lei?" chiese con un certo disprezzo Quagmires rivolgendosi ad Annamaria Clementi. Il papa si avvicinò alla ragazza. E con grande meraviglia di tutti la accarezzò. "Carissima, faremo in modo di curarti. Sarai tu il capo della compagnia dell'anello papale. Una compagnia che da ora in avanti chiameremo in codice Ka koa Revelers, i Beati festaioli". Il papa stava sfilandosi l'anello per consegnarlo alla Clementi quando dalla finestra aperta entrò un drone. Che contro il papa puntò un minaccioso raggio laser.
XXVIII
In pochi secondi il papa era stato fatto prigioniero dal raggio laser scagliato contro di lui dal drone teleguidato a distanza. Anche l'anello non era riuscito a uscire dalla gabbia luminosa. All'improvviso la giornalista Krasivyye Glaza lanciò un urlo raggelante. Fu il cardinale Patereareha il primo ad affacciarsi alla finestra. Il giardino era illuminato a giorno. Era maggio e il primo pensiero del prelato corse alle lucciole. Ma subito si accorse che il pergolato di Village Monster era invaso in realtà da un esercito di droni in silente attesa di un ordine di attacco. Tutti gli occupanti della grande sala da pranzo si precipitarono in giardino pronti a tentare una fuga impossibile. All'improvviso, apparve con il suo kimono bianco e la sua cintura da 4° dan il grande maestro di karate Beppe Wok. Puntò direttamente contro i droni e sciorinò alcune tecniche di percossa in cui era quasi invincibile: uno dopo l'altro i droni ebbero la peggio. Colpiti da Wok con i gomiti, le ginocchia, il dorso del pugno, i palmi delle mani, i droni disorientati furono risucchiati da una specie di buco nero. In casa, vicino al papa prigioniero, Annamaria Clementi continuava a lamentarsi. Ammutolì solo quando dal varco della porta fece il suo ingresso lo zar. Putin si diresse verso il papa. "Santità, non accetterò la sua ingerenza nel mio progetto di conquista del mondo. Grazie a Sepolcro Imbiancato emo la Romagna come testa di ponte. Nessuno ci potrà fermare. Anche il suo anello è imprigionato. E quindi inutile". Intanto Portulans era riuscito a trovare la spada usata in tanti tornei medievali. E la infilzò nel corpo di Putin. La gioia animalesca per il colpo andato a segno si tramutò ben presto in disperazione. Quello che la lama aveva affondato era solo un ologramma. Intanto Beppe Wok rientrando sfidò a duello il drone che teneva prigioniero il papa. Una battaglia senza esclusione di colpi. Ma alla fine Wok si ritrovò immobilizzato, compagno di cella del papa. Nella lotta, tuttavia, una smagliatura si era aperta nell'intrico di raggi. E l'anello era scivolato a pochi centimetri dalla sfoglina. Che lo raccolse e se lo infilò al dito anulare. Ka koa Revelers era finalmente pronta a partire.
XXIX
Nella sua caverna alle pendici di San Leo, il mago Flemma stava preparando un pentolone di birra artigianale. Che poi avrebbe rivenduto l'indomani alla fiera del paese. Mentre stava dando gli ultimi ritocchi sentì bussare con veemenza alla porta. Non si affrettò, ovviamente. Ma il rumore non cessava. Flemma, a bassa voce, chiamò Annie Rokes, la maga che da diversi anni conviveva con lui. "Tesoro, ci pensi tu?". Annie, sbuffando, andò ad aprire la porta. Si trovò di fronte dei brutti ceffi. Non c'era bisogno di presentazioni. Da brava maga sapeva chi erano: il capo della cupola Sepolcro Imbiancato con la sua corte dei miracoli. Il quartetto entrò senza salutare. "Mago" esordì Imbiancato "devi prepararmi un elisir devastante. La compagnia Ka koa Revelers lo deve bere al più presto. E tutti i miei nemici devono cadere in preda ad allucinazioni per poi autodistruggersi". Il mago sorrise e disse: "In cambio di che cosa? ". "Della tua vita" fu la risposta del commercialista Modello Unico. Il sorriso di Flemma scomparve. Con un sospiro preoccupato versò nel pentolone della birra un quantitativo massiccio di polvere bianca fornito da Palla Di Neve. "Chi mi assicura che funzionerà?" chiese scettico Noto Presentatore. Flemma si limitò a dire: "Stanno arrivando i clienti". E a un tratto apparvero il maresciallo Caro e il reporter Manolo Little Best che, diversamente dal veterinario Giordan, erano sopravvissuti al crollo della Rocca di San Leo. Sporchi e sanguinanti chiesero da bere. Subito si ritrovarono un boccale tra le mani. Che ingurgitarono avidamente. Dopo pochi minuti la mistura fece effetto. Caro e Manolo cominciarono a picchiarsi selvaggiamente. Il carabiniere prese un sasso e colpì alla fronte il reporter, che cadde a terra in un lago di sangue. Trionfante, il maresciallo spostò la sua attenzione su Annie Rokes, pronto a trasformare anche la maga in una vittima. Ma all'improvviso il maresciallo barcollò. E si appoggiò immobile a un muro. Mentre dalla bocca usciva una strana bava bianca. Flemma e la sua giovane fidanzata, rassegnati, riempirono con il letale elisir una piccola damigiana. All'esterno, sotto un salice piangente, il pastore giapponese Jan'ni Vu~arāno, da una sedia a dondolo osservava la scena. Imperturbabile.
XXX
I Beati festaioli, ovvero la compagnia dell'anello ribattezzata dal papa col nome di Ka koa Revelers, raggiunsero Rimini dopo due giorni di cammino lungo gli Stradelli Guelfi. Solo Annamaria Clementi, ancora dolorante, scelse di viaggiare nell'anonima carrozza di un regionale veloce. Fu il dj Quagmires ad avere l'idea. "A quest'ora della notte daremmo nell'occhio se andassimo in albergo". E propose di andare in una celebre discoteca con vista mozzafiato sui colli. Una volta arrivati fecero sapere al loro capo, la sfoglina bolognese, dove poteva raggiungerli. Il poliziotto Portulans si accomodò nella lussuosa pool lounge. Quagmires e la giornalista si scatenarono in pista, apparentemente instancabili. Al culmine di uno dei suoi brani preferiti, Lady Marmalade, la giornalista Krasivyye Glaza si accorse che di fronte a lei non c'era più il dj, ma una persona che conosceva bene. Il suo premier, il suo zar. Putin, insomma. "Continua a ballare" ordinò lui con voce suadente. E Lizzie si sentì osservata, violata quasi, come mai le era capitato in precedenza. "Gitchi gitchi ya ya da da da Gitchi gitchi ya ya here Mocca chocolata ya ya Creole Lady Marmalade". E il brano si interruppe di colpo. Lo sguardo magnetico dello zar aveva ipnotizzato la giornalista. E come un tapis roulant la stava guidando verso la piscina. Ormai plagiata, la giornalista non fece caso ai due bracci meccanici dai quali pendevano i corpi degli altri due Beati festaioli. Né si accorse del colore dell'acqua, un ambrato da birra artigianale. A un cenno di Putin i due corpi furono fatti cadere nella piscina e costretti a bere lo strano liquido mescolato a cocaina purissima. Rivolgendosi a Lizzie, lo zar le intimò di buttarsi. E lei obbedì. Le luci si spensero. La piscina divenne spettrale come un cimitero di campagna. A pelo d'acqua tre fuochi fatui sembravano danzare al ritmo di un'indecente "Voulez-vous coucher avec moi, ce soir?"
XXXI
In tutte le stazioni attraversate dal regionale veloce, Annamaria Clementi, ancora ignara di essere l'unica sopravvissuta della compagnia Ka koa Revelers, aveva visto grandi murales che inneggiavano a Putin. A Cesena una gigantografia con la foto di Sepolcro Imbiancato invocava addirittura l'annessione della Romagna alla Russia. Si sentì opprimere da un crescente senso di angoscia. Solo parzialmente temperato dall'anello papale che di tanto in tanto stringeva nella tasca. Giunta a Rimini, si avviò all'uscita per scendere. Ma la porta del treno non si aprì. Cambiò scompartimento. Ma non ci fu nulla da fare. Era bloccata. Terrorizzata, si guardò attorno in cerca di aiuto. Su una sedia a dondolo notò uno strano individuo bizzarramente spettinato. "Chi sei?" chiese la sfoglina bolognese con voce resa ancora più roca dalla paura. "Sono l'inviato del papa" rispose il pastore giapponese Jan'ni Vu~arāno . "Domani sera a Rimini pioverà e le fogne si scaricheranno in mare. Butterai l'anello in acqua e la maledizione della cupola terminerà per sempre". Poi le impose le mani e le ordinò di recitare una giaculatoria. Lei obbedì anche se la voce non era più la sua ma quella del papa. Nel lussuoso hotel dove alloggiava, Obama si presentò a cena con lo smoking. Salutò gli ospiti con il suo sorriso a 32 denti. Ma all'improvviso il volto si ricoprì di pustole disgustose e cominciò a tossire. Poco lontano, in un noto caffè di Marina Centro, Putin stava consumando una cena leggera insieme a Sepolcro Imbiancato e alla sua cricca. Putin aveva appena finito di brindare alla colonizzazione russa della Romagna, quando a un tratto si piegò per vomitare. La faccia dello zar diventò cianotica. L'antico flagello della peste era tornato. E, a sorpresa, aveva fatto visita ai padroni del mondo.
XXXII
Un temporale di proporzioni bibliche si rovesciò su Rimini. Incurante dell'acqua e degli scarichi a mare, Annamaria Clementi slegò dagli ormeggi un moscone e cominciò a remare controvento con tutta la forza che aveva. Una fatica aggravata dalla sacca che portava sulle spalle. Gli spruzzi delle onde le segnarono la faccia. I chicchi di grandine sembrarono alla sua testa un assolo di batteria alla Phil Collins. Anche le fratture, mirabilmente curate dal noto ortopedico Luhuca Attack, si fecero sentire. Ma la sfoglina non ci fece caso. La missione che doveva portare a termine era troppo importante. A poche miglia dalla costa, un fulmine si scaricò sul piccolo natante. Che prese fuoco. In pochi secondi il legno le bruciò sotto i piedi. La decisione della Clementi fu repentina. Si tolse i vestiti. E si buttò in acqua. In una mano aveva l'anello papale. Nell'altra un matterello. La sua copertina di Linus, come era solita chiamarlo. Stava per gettare l'anello e pronunciare, come le era stato ordinato, una sorta di maledizione contro la cupola, quando di fronte a sé vide uno squalo bianco che le roteava intorno. Con un guizzo l'animale la addentò a un braccio e con la bocca le strappò l'anello prima che cadesse. Impazzita per il dolore, la donna iniziò a far mulinare a mo' di spada il matterello. Colpì più volte lo squalo il quale reagì con altri violenti morsi che le provocarono squarci in tutto il corpo. Poi all'improvviso il silenzio. In acqua rimasero solo una macchia rossa e un corpo galleggiante, come quelli dei bagnanti che d'estate si divertono a fare il morto. Qualche ora più tardi il mago Flemma e Annie Rokes, mentre si stavano apionatamente baciando sulla battigia, inciamparono sulla Clementi. Raggomitolata come un bimbo nel grembo della mamma. Accanto a lei, il matterello. Con incastonato l'anello del papa.
XXXIII
Il telefono dell'ufficio suonò con insistenza. Dopo una serie infinita di squilli, il sindaco di Rimini Rotondo Effimero si alzò sbuffando dal divano di pelle e, di malavoglia, andò a rispondere. "Cercavo il sindaco" disse una voce con marcato accento sudamericano. "Sono io" rispose brusco Effimero. "Chi è lei? Dica velocemente, perché ho molto da fare". "Sono il papa" spiegò la voce dall'altra parte dell'apparecchio. Effimero, in piedi vicino alla sua scrivania, si irrigidì. "La ascolto" disse. "Vorrei celebrare domani sera una grande messa all'aperto per ringraziare della mancata annessione della Romagna alla Russia. Presenzieranno anche i presidenti Putin e Obama". Il sindaco trattenne a stento un sospiro di sollievo. "Impossibile, Santità. I presidenti sono stati colpiti dalla peste e io non posso correre il rischio di epidemie". La voce cambiò repentinamente tono e divenne quasi militaresca. "Sindaco, non le ho chiesto un parere. Le ho comunicato una decisione. Lei non ha alternative" affermò il papa. E riattaccò. Pensieri cupi attraversarono la mente di Effimero. Che si precipitò a chiamare Sepolcro Imbiancato. Gli spiegò la situazione. Dopo qualche attimo di esitazione il capo della cupola gli disse: "Ci penso io". Nel corridoio della casa di cura riminese dove erano ricoverati in isolamento Putin e Obama, Palla Di Neve e Noto Presentatore, travestiti da infermieri, entrarono nella stanza del presidente americano e staccarono tutti i macchinari. L'elettroencefalogramma di Obama era piatto. Nella stanza attigua Modello Unico, il braccio destro di Imbiancato, versò delle gocce nel bicchiere del paziente. Gliele fece bere e poi uscì. I tre killer della cricca si ritrovarono insieme e con il pollice alzato commentarono il buon esito della missione. A un certo punto un urlo disumano spezzò il silenzio della clinica. Si trovarono di fronte una bizzarra figura di donna. Con ferite e cicatrici che la deturpavano orrendamente. Roteando il matterello con incastonato l'anello del papa, la sfoglina lanciò l'anatema. "Siete polvere e polvere ritornerete". Dopo qualche secondo il posto dei tre uomini fu preso da altrettanti mucchietti di cenere.
XXXIV
Per la prima volta Sepolcro Imbiancato si sentiva all'angolo. La messa dell'indomani poteva rappresentare il colpo del ko per il suo progetto di potere. E la pace tra Obama e Putin il canto del cigno della sua amata cupola. Come l'innominato di Manzoni, trascorse la notte ando in rassegna i fatti salienti della sua vita. Spesa, amava spiegare, per il bene comune. Gli inizi da semplice muratore. Poi, con piccoli ricatti di ogni genere, l'ingresso trionfale nell'empireo dell'imprenditoria. Gli acquisti di aziende. Il condizionamento della politica con la minaccia di divulgare attraverso giornali e tv vizi e vizietti della città, gli omicidi commissionati lo avevano trasformato in un uomo potentissimo. Di cui tutti avevano paura. Infine, l'amicizia con Putin. Insieme al quale aveva progettato l'annessione della Romagna alla Russia. Che per Imbiancato era diventata una vera e propria ossessione. "Ma io non sono l'Innominato" disse ad alta voce. "Rifiuto l'offerta del pentimento e vado avanti". Sorridendo beffardamente per il piano che aveva ideato. Poche ore più tardi, nel porto di Rimini iniziò la messa. Nelle prime file Obama e Putin, salvati da un provvidenziale cambio di stanza, dalle rispettive carrozzine si erano già stretti la mano. Il papa, stranamente incappucciato, si avvicinò al microfono per l'omelia. "Fratelli e sorelle, Dio lo vuole" esordì con un singolare accento riminese. "Senza la Russia la Romagna è destinata al declino. Noi dobbiamo diventare una colonia dello zar". Il presidente americano bisbigliò all'orecchio del suo vicino di carrozzina: "Ma il papa è impazzito?". Un sacerdote si avvicinò alla figura vestita di bianco che, interdetta, si fermò. "Tutto è compiuto" gli disse il cardinale Memme Patereareha. "Nel tuo microfono c'è una bomba che esploderà tra pochi secondi". Imbiancato si vide perduto. Senza togliersi la veste scese dal palco, salì a bordo della sua Ferrari e iniziò una folle corsa sul lungomare. Sotto gli occhi stupiti delle prostitute. Incerte se presentare anche a quello che sembrava il papa il loro tariffario.
XXXV
Obama e Putin avevano fatto ritorno a casa. Li aspettava un lungo periodo di convalescenza. Il sindaco di Rimini Rotondo Effimero aveva dato le dimissioni ed era agli arresti domiciliari. Sepolcro Imbiancato si era dato alla macchia. In attesa di nuove elezioni il pastore giapponese Jan'ni Vu~arāno era stato nominato commissario. Seduto sulla inseparabile sedia a dondolo pensò che il suo compito non era facile. Una città ferita, tanti morti, una regione oltraggiata. E una guerra mondiale evitata per un soffio. Ricostruire non sarebbe stato facile. Qualcuno bussò. Entrò una segretaria e gli consegnò una busta. Vu~arāno la aprì. E il contenuto lo lasciò perplesso. "In una ciotola versate la carne macinata, il prosciutto e la mortadella crudi, il parmigiano, l’uovo" era scritto in carattere gotico sulla pergamena. "Aggiustate di sale e spolverizzate con pochissima noce moscata grattugiata e un pizzico di pepe, mescolate bene l’impasto e mettetelo in frigorifero". Era la ricetta, riconobbe Vu~arāno, per il ripieno dei tortellini. Ma la cosa più inquietante, scritta con l'inchiostro simpatico, era riportata in calce. Parlava senza mezze misure della persona che aveva ricevuto l'anello dal papa. "È una pericolosa criminale" ammoniva l'anonimo scritto. Vu~arāno sbiancò in volto. Lesse e rilesse le poche righe per essere sicuro di non aver preso un abbaglio. Poi alzò la cornetta del telefono. "Arrestate Annamaria Clementi" disse con tono brusco. Ma l'ordine era partito troppo tardi. La sfoglina era sparita nel nulla.
XXXVI
La folle corsa di Imbiancato si infranse contro il muro di persone che a Rimini partecipavano alla Notte rosa. Nello specchietto retrovisore il capo della cupola vide le pattuglie dei carabinieri e della polizia che lo stavano chiudendo a semicerchio. Con la coda dell'occhio notò che sui tetti degli alberghi erano appostati diversi cecchini. Affannato, stanco e disperato, si fece un'ultima sniffata. E poi scese dalla Ferrari. Con una corsa a zig zag tra gli ombrelloni e i lettini raggiunse la ruota panoramica che da qualche tempo aveva cambiato la skyline della città. Con uno sforzo estremo riuscì a saltare all'interno di una cabina e in pochi secondi si ritrovò nel punto più alto. Nell'attico di un vicino albergo il mago Flemma osservava la scena con un binocolo di precisione. All'improvviso una voce femminile, rauca e gracchiante, proveniente dalla ruota, sovrastò il brusio della gente spalmata nell'area del porto. "È l'ora della verità" scandì la sfoglina Annamaria Clementi attraverso un impianto dolby surround. "Imbiancato è un mio servo, l’ho pagato con chili di coca. Sono io il vero capo della cupola". Il mago Flemma distrasse per un attimo l'attenzione e rivolse un sorriso rassicurante alla donna che gli stava vicino. "In questa ruota è collocata una potentissima bomba atomica. Se non mi accontenterete la farò esplodere e tutta la Romagna diventerà un grande lago di morte". Nella cabina vicina, Imbiancato – in crisi di astinenza – tremava come una foglia. "Annamaria ti supplico. Dammi un po' di roba e continuerò a servirti". Dall'attico, il mago Flemma vide prima il pollice verso della sfoglina. E subito dopo un corpo lanciarsi nel vuoto. Il mago ne seguì la traiettoria. Che si concluse con un sordo tonfo. "Volete evitare la catastrofe? Datemi il controllo di tutta la Romagna. Perché io vivo di potere, mi drogo di potere". Su tutta la rete dei maxi schermi apparve in primo piano il dito della Clementi pronta a schiacciare il bottone. Il mago Flemma compose un numero sul suo satellitare e disse semplicemente "Ok". Dopo pochi secondi un boato squassò il cielo. La ruota si staccò dal terreno. E alla base comparvero i razzi, gli stessi usati per portare in orbita le stazioni spaziali. Dopo qualche minuto la ruota divenne un puntino lontano. Prima di trasformarsi in una grande palla di fuoco. Nel cielo, buio e senza stelle, comparve una scritta color rosso sangue. Te Reo. Col punto esclamativo a forma di matterello.
Nell'attico, il mago Flemma estrasse dalla tasca l'anello del papa e lo infilò nell'anulare di Annie Rokes. "Alla nuova padrona del mondo!" esclamò. E insieme brindarono con una bottiglia di Annamaria Clementi. Annata 2000.
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