Story Tell 2te4c

Story Tell

A cura di Flavio Stroppini

Pubblicato da gabrielecapellieditore su Smashwords Copyright 2013 Gabriele Capelli Editore www.directions.ch

ISBN 978-88-97308-24-9 (EPUB)

Curatore Flavio Stroppini Coordinamento Mario Mucciarelli In collaborazione con Radiogwen

Con il sostegno di Nucleo Meccanico

Disegno in copertina Luca Pennella

Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale. Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone. Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, acquista una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, si prega di tornare su Smashwords acquistare la propria copia. Grazie per il rispetto al duro lavoro di questo autore.

Indice

Il progetto Prefazione a monologo

Prisca Agustoni Fabiano Alborghetti Patrizia Barbuiani Daniele Bernardi Andrea Bianchetti Lorenzo Buccella Niccolò Castelli Mario Fabio Andrea Fazioli Gilberto Isella Elena Jurissevich Claudio Lo Russo Sebastiano Marvin Oscar Matti Manuela Mazzi

Gerry Mottis Alberto Nessi sca Rigotti Sergio Roic Anna Ruchat Nando Snozzi Filippo Zanoli Markus Zohner

Il progetto

Indice

Guglielmo Tell scoccò, colpì la mela e divenne l’eroe nazionale Svizzero. A cosa pensò quando tutti i presenti trattennero il fiato? Trattenne il fiato anche lui? Al progetto partecipano autori della svizzera Italiana e tra loro, per scelta del curatore, anche una selezione di artisti di altri campi (cinema, teatro, pittura, musica, giornalismo). La particolare riflessione sul mito viene recitata da Marco Pezza in occasione della IV edizione del Festival Internazionale di Musica e Cultura Gwenstival (www.gwenstival.com). Ogni giorno, durante il mese del festival, un monologo.

Per la versione radiofonica dei testi visitate i podcasts di gwenstival.

Flavio Stroppini

Prefazione a monologo

Indice

Tell Si faccia! (si raccoglie e prende la mira)

Le prime tracce della storia di Guglielmo Tell si trovano nel “Libro Bianco di Sarnen” e poi... Ma non è questa la nostra storia. Ricordiamo che nel Tell di Lemierre, in quello di Rossini, nel racconto di Soave... Ma non è questa la nostra storia. Tell è esistito? Era un cittadino di Bürglen? Assomigliava alle vivaci rappresentazioni settecentesche di Füssli o a quella di Danioth? Ma queste sono tutte altre storie. La nostra storia non è ancora stata raccontata.

Perché nessuno lo ha fatto pensare, Guglielmo Tell. Ha sempre parlato ad alta voce, lui. Eh già... gli eroi non pensano! Agiscono! Eh già...

Ma lui, l’impavido eroe, il granitico eroe... mica era una statua. Non ancora almeno. No, pensava. Il mattino s’era svegliato e: aveva un fastidioso callo, un principio di cataratta, si malediva per non essere altrove, non era il padre di Gualtierino, era convinto che ci fosse un filo invisibile tra balestra e mela a cui agganciare il dardo, si pentiva per le scarpe scomode, sognava un palazzo e cento odalische danzanti, s’immaginava ancora a letto in preda a quell’incubo di Gessler e del cappello.

Eh sì. È questa la nostra storia. Il pensiero di Tell. Diamoglielo per una volta. Per una volta pensiamo al pensare. Non stiamo tutti ad urlare dal nostro gregge.

Tutti Viva Tell, il nostro aiuto e salvatore.

Biografia autore

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Prisca Agustoni

La mela di Betlemme

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Se goccia vi sarà, che sia bianca e candida, una rugiada della pace. Se per sventura sgorgherà quella rossa, vorrà dire che avrò sacrificato la mia stirpe e mi sarò giocato un bel pezzo di paradiso. Fredda, la freccia si conficcherà nella polpa succosa del bersaglio. Di qualsiasi bersaglio. Di quello dalle gocce bianche o di quello dalle gocce rosse. Salvazione o dannazione, chissà. Ma se sangue sarà, lo giuro, il rosso sporcherà anche il lignaggio di altre famiglie di questa contea, di certo non sarà solo il mio a spargersi invano. Queste montagne dovranno ingoiarsi in silenzio la vendetta. La mela, lei, brilla come la stella di Betlemme... che sia buon segno?, guidami luce, guida la mia mano, fa’ che io sia un uomo che merita lo sguardo di Dio. Tu lo sai, vero?, che non sono come il re Erode, non uccido mica i bambini. “È nato Gesù, alleluia! e tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo” – alleluia, alleluia, ma chi è questo capo, Dio mio, fa’ che sia io adesso a diventare guida non già del mio popolo, ma almeno della mia mano. Salva mio figlio e la storia che verrà! Questa mela issata come calamita del mio destino, o come bandiera in campo di battaglia. Forza mela, sii pura e lascia che io redima il tuo ato e protegga il mio futuro. La mano trema, misericordia!, è il demonio che mi tenta. Sudo e tremo, maledetta mela, mentre lei se ne sta lì ferma e brilla come a voler annunciare chissà quale miracolo.

Biografia autrice

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Fabiano Alborghetti

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Avrebbe dovuto comprare quella balestra al mercato di Altdorf, costosa, è vero, ma diversa da qualunque altra mai vista nei Waldstetten: una manesca in noce ma con l’arco in legno di tasso, assieme duro ed elastico. I dardi si conficcavano profondissimi. Gli occhi sgranati di Walter, le domande tornando a casa: emmm e frogg Vater… possono ammazzare anche un cinghiale? E un soldato con l’armatura? E l’orso? Per l’orso occorre fortuna, gli rispondeva, la fortuna di non trovarselo mai davanti. Ma voi lo ammazzate l’orso cattivo, vero padre? Aveva tenuto la sua di balestra ma ora vorrebbe l’altra. Walter è legato al palo. Tiene la testa ferma, rigidissima, per non fare cadere la mela. Non piange perché un uomo non deve piangere. Viene dato il segnale. Il parlare diventa un silenzio solido, schiacciato da un cielo così coperto di nubi che sembra pesare. Estrae dalla faretra il dardo. Li usa da sempre, sa come rispondono. Lo appoggia sulla balestra e si inginocchia, in posizione di tiro. Guarda Walter che non s’è mosso d’un capello, poi di sguincio la faretra dove ha nascosto un secondo dardo, poi il Gessler. Ma voi lo ammazzate l’orso cattivo, vero padre? Se adesso sbaglio, sì.

Biografia autore

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Patrizia Barbuiani

Iniziali: G.T.

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Un bacio randagio. Uno struscio sull’uscio. Scintille come stelle. Pulsioni da ustioni. Siamo tori e ci trasformiamo in geni-tori. Antenati, incatenati, concatenati, nati, morti e rinati da padre in figlio. Un foglio bianco su cui scrivere il proprio destino da inserire nel volume della famiglia Tell. Tell il padre Tell il figlio. Papà posso provare? Sei ancora piccolo Guglielmo, pesa la balestra. Solo un tiro. La-freccia-fece-breccia. Un caso, a naso, fortuna, la luna? Quel mio Guglielmo bambino percepì che una pagina intatta bianca virginea può mirare al centro della cosa. Osa. Abramo salì sul monte con Isacco nel sacco. E preparò l’olocausto. Io sto in piazza. Sua madre diventerà pazza. Tell il padre Tell il figlio.

G.T. Guglielmo, elmo della volontà. G.T. Gualtiero, colui che comanda la guerra. Ha la mia età di allora e possiede la mia età di adesso. La sua pagina è bianca, intatta, virginea. Posso mirare al centro della cosa. Osa. Cerco il cerchio del suo sguardo. Cerca il cerchio del mio sguardo. Cerco il vuoto della sua pagina intatta su cui scrivere questo pezzo di storia. Annulla la guerra. Issa bandiera bianca. Annullo l’elmo della mia volontà. Accendo l’intenzione. Azione.

Biografia autrice

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Daniele Bernardi

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La testa spiccata rotola sul prato bianco come una mela aperta dal morso (un bacio ha staccato la carne dalle ossa, e sotto la pelle si riconosce ora quello spazio oscuro in cui tutto pulsa e respira – odora di fiore questo strappo che tengo fra i denti come una penna o un coltello). Ma io sono ancora qui, adesso. Il figlio ha i tratti rotti come quelli dello specchio sopra il grande camino

(c'erano ai piedi del fuoco le armi della morte e i rami secchi che luccicavano come ombre di siringhe nel buio). Mi inginocchio e chiedo alla voce che aleggia oltre la testa uno spazio in cui raccogliere la sabbia che dalla mano scivola scorticando il palmo e ricadendo a terra – come a colmare l'impronta sul campo calpestato da mille piedi.

Biografia autore

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Andrea Bianchetti

Mickey Mouse Tell

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Da Schiller a Rossini e quell’ouverture: me la ricordo da bambino con Topolino direttore d’orchestra, Pippo e Clarabella ai fiati: Orazio percussionista al trombone un grosso maiale sudato, Paddy Pig. Adoravo quel cortometraggio animato (come Toscanini che l’aveva visto sei volte al cinema negli anni Trenta) perché nessuno smetteva mai di suonare, nemmeno roteante, perso nell’uragano: e mio padre, quante risate sotto

i tempestosi baffi neri.

“Scocca, scocca papà, non mi muoverò, te lo prometto”. E una risataccia alle spalle di Tell: un brigante che si era inghiottito una mezza mela marcia, quasi intera. Tell percepiva il boccone divincolarsi tra le pareti viscide della gola: un bozzolo di mela dal quale sarebbero nate farfalle a forma di croce.

Una piccola folla ammutolita. Un soldato a cavallo ridacchiava e si scambiava qualche moneta con un grassone che vendeva birra rancida: Tell lo conosceva bene. La freccia incoccata nella balestra, le gote umide del bimbetto che aveva gli occhi dei vermi: il dardo volò diritto, preciso

quasi meccanico dentro la nuca del figlioletto: la testa esplose: all’interno un grosso moscone azzurro, ancora inzuppato di cocci di cranio, si librò in aria indeciso e sparì lontano zizzagando verso nuove livide terre: niente eroi oggi, solo qualche martire un po’ indigesto.

Biografia autore

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Lorenzo Buccella

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(Guglielmo Tell. Pronto con la balestra in mano, parlando a se stesso) X... Y... R... L... M… piano, stai calmo, Guglielmo, ripeti... X... Y... R... L... M... è come all’ultima visita. Se ci credi, ci vedi! E ci vedi come prima… X... Y... R... L... M... era così la serie, vero? Un po’ di buona memoria e anche l’ottico, lo imbrogli. Ma qui? Come faccio? Devo auto-convincermi... io-ci-vedo, sì, io-civedo, io-ci-vedo... per dire, vedo anche la mela rossa che è là sulla testa, vedo anche il picciòlo, se mi impegno vedo anche il vermino che ci abita dentro. (Silenzio) Ma come mai però mio figlio ha quella faccia così sfuocata? Quante volte gli ho detto di non fare quella faccia sfuocata? Gualtierino... su, dai che qui c’è tutta Bürglen che ci guarda! Voglio dire cosa penseranno se la freccia della balestra non dovesse... oddio, non ci voglio nemmeno pensare! Forse è meglio se chiudo gli occhi. In fondo, cosa volete da me? Mi fate fare ‘sta stupidata qua, solo perché non mi sono inchinato al cappello imperiale, ma io giuro, il cappello di quel balordo d’un balivo non l’ho visto, sono miope che non vedo da qua a là... è un modo di dire, Gualtierino, non ti agitare... dai, lo sai, conosco a memoria il tiro che devo fare... come dall’ottico... devo solo riare... X Y R L M... piano Guglielmo, ripeti... X Y R L M... X Y R L M...

Biografia autore

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Niccolò Castelli

Non mela sento Un breve radiodramma elvetico

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Praticello del Grütli. Esterno. Giorno. Una leggera brezza che scende dal Gottardo unisce i timidi mormorii dei presenti, villani curiosi di sangue, cadaveri, lacrime e catene. A far da cinta un mazzo di guardie e dietro di loro il brufoloso Gessler, che con il suo digrignare costantemente i denti si fa notare benché nascosto dalle possenti spalle di un energumeno corazzato. Al centro, davanti al grande castagno, il giovane Gualtierino, che da due giorni non mangia e il suo stomaco lo fa notare ai presenti. E poi lui, Guglielmo Tell. Un filo di sudore lungo la guancia; la corda già tesa della sua balestra vibra all’aria.

A rompere il silenzio, la risatina del vecchio Urs, che non riesce a trattenersi ammirando un biondo mercenario intento a posizionare la mela sulla testa del ragazzo: provate voi a far stare in equilibrio una Goldau sulla boccia spigolosa di un quattordicenne… Guglielmo sta prendendo la mira, mette a fuoco. Colui che ai nostri occhi si profila già come l’eroe di una nazione sta per dar prova di coraggio e virtù. Pochi istanti e… Guglielmo abbassa l’arma.

GUGLIELMO TELL (fra sé e sé) Non mela sento. No, dico. Non tanto per lui, mio figlio. Lui è un ragazzino, ai miei tempi eri contento di arrivare alla metà dei suoi anni. Lui lo ricorderanno fin a sud delle Alpi con qualche filastrocca in dialetto. E di me? Pensate a me? Quasi trentacinque anni e già alla mercé di tutti

quei villani? Sbeffeggiato da sud a nord come il Re degli stolti? No, io non me la sento di diventare lo scemo del Paese.

Guglielmo porta la balestra agli occhi. Le pupille lo tradiscono, non guardano il bersaglio ma corrono agli sguardi del pubblico presente che – nell’immaginazione dell’uomo – si sta già sbellicando dalle risate, additandolo come lo zimbello di tutto il Cantone.

GUGLIELMO Dai Tell, prendi la mira, sii coraggioso. Merda, mi sto cacando addosso.

Guglielmo abbassa l’arma. Finge di armeggiare con il crocco.

GUGLIELMO Uhmf… E pensare che ero sceso solo per comprare il tabacco. Avevo promesso a Trudi che avrei smesso. «Il fumo ti ucciderà»... Trudi... nemmeno lei mi guarderà più in faccia. Ma mica l’ho visto quel cappello io. Vai a spiegarglielo... Scusa, uno non può distrarsi un attimo nell’ammirare un germano Reale che sguazza e bram, arrivano ‘sti bombati e ti mettono al gabbio. Stronzi.

Il tempo a, una guardia sull’attenti sposta il peso da una gamba all’altra. Il ferro della sua armatura si fa spazio nel silenzio e tradisce quello che doveva essere un movimento impercettibile. Gualtierino, immobile, cerca di non far cadere la mela a terra. Tell rialza l’arma richiamando l’attenzione di tutti. I curiosi non sanno se guardare all’uomo o a suo figlio: dove il maggior spettacolo? In un padre distrutto per la morte del suo pargolo, o nel cranio aperto in due di un giovanotto?

Una risata spezza la suspense. Guglielmo sta ridacchiando.

GUGLIELMO Cioè... ma quanto è scemo Gessler? Almeno i Romani si divertivano al Circo. Io? (imita Gessler, farsesco) “Dovrai centrare una mela sulla testa di tuo figlio!”. Non so, fammi gladiatore, torturami, crocifiggimi, frust...

Le guardie ripetono l’attenti per richiamare l’ordine.

GUGLIELMO Ehm... sì... Guglielmo, concentrati.

Tell si ricompone. Controlla l’arma, si pulisce il viso e si mette a posto la casacca. Diventa immobile: c’è qualcosa. Guglielmo si guarda in giro. Nessuno ha notato nulla. Tell ispeziona, nel suo mantello è nascosta un’altra freccia.

GUGLIELMO Ma... quel moccioso... ecco perché ci teneva tanto a portarmi il mantello... Gualtierino, buon sangue!

Tell ridacchia. Gessler emette un sibilo isterico. L’eroe cambia volto. Si guarda attorno. Sguardo alla Clint, per intenderci. Quindi, si rivolge al bersaglio, occhiolino al figlio, alza l’arma, prende la mira.

GUGLIELMO Da solo non ci va mio figlio all’inferno, e se proprio devo accompagnarlo, allora ci porto giù anche quel nano. Vedrai che visita guidata al diavolo della Reuss.

Guglielmo sfiora il piolo della sua balestra. Trattiene il respiro.

GUGLIELMO Lo trao come un polletto il Gessler, e poi sentiamo chi ride quando sarà lì, spennato, appeso in piazzetta ad Attinghausen...

Guglielmo all’ultimo istante chiude gli occhi, preme il grilletto, la corda vibra, la freccia scocca, sbam! Quando li riapre non è cambiato nulla: stesso silenzio, stessa immobilità, stesso digrignare di Gessler, stesso sguardo del ragazzino verso l’alto. Non fosse per quella mela, aperta in due, ai suoi piedi. Il resto è storia.

(EVENTUALE) - EPILOGO

2013. Una moneta da 5 franchi su di un rozzo tavolo. Raffigura un Tell fiero, inciso nella lega argentata. Una mano raccoglie la moneta. È un turista giapponese. Guarda la moneta, se la rigira fra le dita, si alza e si allontana. Musichetta folkloristica in sottofondo, siamo nel famoso ristorante di polletti al cestello di Attinghausen. La comitiva di turisti nipponici si allontana felice, rimane solo una sbiadita stampa anni ’70 di Guglielmo Tell sulla parete. Accanto, una piccola insegna al neon che raffigura un pollo allo spiedo fluorescente.

Biografia autore

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Mario Fabio

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Merda. Piccola mela di merda. Calma, stai calmo e ragiona adesso. La freccia. La mia. Dalla punta della mia freccia alla mela. Freccia. Mela. Mela, freccia. Calma Wilhelm. Meglio per te se rimanevi dov’eri. Se lui cade, tu muori con lui. La punta. La mela. Questa terra è la mia. E adesso basta pensare. Basta tutto. Fatti pietra, Wilhelm. Sei vento. Sei l’aria carica di pioggia di questo fottuto giorno da dimenticare. Dimenticare non sarebbe male. Fatti pietra e mordi quella fottuta mela. Non vedo l’ora. Trattieni il respiro. Fatti senza vita. Senza sangue. Fatti sottile sottile come la punta di uno spillo. La prossima è la tua, bastardo. All’inferno non ci vado solo. Non così. Non ancora. Non ora. Calma Wilhelm. Ora mi faccio freccia. Mi faccio libero di farmi. Di farmi libero. Silenzio adesso. Fatti uomo e immagina un filo grigio. Sottilissimo. Invisibile. Di seta. Perché Wilhelm non s’inchina. Si spezza forse, sicuro non si piega. Non ora. Dì addio alla tua spocchia, tu. Calma. Silenzio adesso. Vedo il filo. Attento alla testa, figliolo. Ora sono pronto. Si scateni la tempesta. Ma in silenzio. Melafreccia. Adesso.

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Andrea Fazioli

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L’imperatore è lontano. Sono sempre lontani, gli imperatori. Ma il fiato pesante del potere lo sentiamo anche qui, a migliaia e migliaia di anni luce. Non volevo inchinarmi davanti al suo casco, un relitto dei tempi della conquista spaziale. E allora l’unità amministrativa G-slr ha messo in moto il suo burocratico sadismo da robot. Infrazione del tipo X-1308. Pena prevista: umiliazione pubblica e morte di un congiunto. Le unità di sorveglianza mi hanno trascinato nell’hangar delle assemblee. Eccomi qui, dunque, solo in mezzo alla folla. Di fianco a me il luccichio metallico dell’unità G-slr e più lontano, piccola, quasi indistinguibile, la figura di mio figlio. Il laser a fotoni quantici mi pesa sulla spalla. Aggiusto il visore e metto a fuoco, sopra la testa del mio bambino, la sagoma di un MELA, un piccolo Modulo Elementare della Linea per l’Alimentazione. Non so che cosa fare. La precisione dell’arma, la fermezza del mio polso... posso fidarmi? Basta un’interferenza e mio figlio in una frazione di secondo diventerà un ammasso di polvere molecolare. Imposto la traiettoria e poi cerco di scacciare i dubbi. Noi siamo di carne, di sangue, siamo uomini e donne. Siamo liberi. Prima di puntare il laser verso il MELA, mi giro verso l’unità G-slr. Alzo un lembo della mia camicia. I visori di G-slr si abbassano di scatto e fissano il cacciavite che ho infilato nella cintura. Attento – dicono i miei occhi – attento, perché se succede qualcosa a mio figlio ti smonto fino all’ultimo bullone, brutto ammasso di ferraglia...

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Gilberto Isella

Non mi frega la mela

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No. Nessun aureo marengo, solo una piccola dannata mela! Lo sapevo: è dalle mele che cominciano i guai. Ne mangi una e ti sbattono fuori dall’Eden, come racconta la Bibbia. Ma me la mela non mi frega. La spacco in due e, sai che ti dico, carissima Eva? Che all’Eden poi ci ritorno. Anzi, ne voglio creare uno nuovo di zecca. Prima vi pianterò meli, per vendetta, e col tempo ogni sorta di alberi. Vedrai che pacchia per i miei discendenti: un frutto per tutti e tutti i frutti per uno. Intorno vi alzerò una muraglia insuperabile, e addio Gessler per sempre! La gente terrà in casa una balestra in memoria di me. E ce ne sarà una appesa ad ogni albero. Finalmente il simbolo con cui fare i conti, altro che quello stupido cappello da balivo. Sai la novità? Se vuoi onorare la balestra la comperi, e così ti porti via anche la pianta. Ma ora forza e coraggio, perché al mio Gualtierino viene lo sbadiglio. Un due tre... opplà!

Biografia autore

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Elena Jurissevich

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Sono qui. Ho le spalle orgogliose le gambe di chi non s’inchina. E Walter, là in piedi. Nuovo Isacco capro umano d’un padre. A cento piedi e un frutto. Ma trema? No, mira, ancora una volta consente. Drizza la testa. Sa da suo padre non verrà grazia. E raccoglie fiducia. In me, nuovo Abramo, forse costretto e non meno reo. E ora sotterro la resistenza. La lealtà smorzo per chi ho generato. Il tempo è greve e della balestra. E nessun Dio so dentro i rovi provvederà al montone. Nessuno smusserà l’arma. Nessuno svierà la mano. E io scoccherò. Sacrificherò, salverò. Ma la freccia

che freme mi salverà sotto la giubba? Mi salverà la morte che saprò dare? E la morte che non mi sono dato?

Tendi la mente. Fa’ i muscoli occhi. Lo strazio, mira e bersaglio. Wilhelm. Questa tua vita al di sopra di tutto. La libertà che ti fa traditore. Wilhelm. Punta il fiuto morto del cervo, punta la fame esatta e il cacciatore. Tu solo scocca il dardo e la condanna, muori e scocca, ché non hanno ritardo.

Biografia autrice

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Claudio Lo Russo

Il cruccio di Guglielmo

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Ah, lo sapevo io! Diavoli di germani! O di qual inferno son stati abortiti. Lo sapevo che stamane non era da aprirsi il recinto. Che siam nel cuore di novembre. Toh, la luce già si perde dietro le cime. Così è a fidarsi del sole d’autunno, come non lo sapessi. E qua la faccenda andrà per lunghe, l’ho ben inteso io. Che appena scoprono la freccia, qua sotto, queste masse di lardo me la faranno scontare. Ma intanto è pronta. Che poi servirà lo stesso. L’ho ben inteso io, cosa si credono? L’ho inteso che al porco non andrà giù. Figurarsi! Uno che ti fa chinare davanti a un cappello. Che nemmanco l’ho visto il suo mucchio di pulci. Ho proprio tempo da spendere dietro le notizie di cappelli, io. No, non gli andrà giù. Ma gliela faccio scendere io, con quest’altra freccia. Poi andrà per le lunghe. Sì, per le lunghe. So bene come finiscono certe faccende, io. Cosa si credono, bestie malcreate. Fa niente. Purché Hedwige si accorga del recinto. E vada a cercare le capre prima che venga scuro.

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Sebastiano Marvin

E la freccia rimase lì...

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Guglielmo tese la corda e alzò la balestra. Allineò con cura l'occhio destro alla freccia: occhio—freccia—Gualtierino. Alzò leggermente la mira: occhio— freccia—mela. Lasciò partire la freccia. E la freccia rimase lì, sulla balestra.

Gualtierino non sapeva bene se lasciare che la paura gli chiudesse gli occhi, o se far sì che l'orgoglio di essere lì – al centro di tutta quell'attenzione – glieli tenesse bene aperti. Pensandoci, nessuna delle due gli sembrava una buona idea. La paura gli avrebbe fatto tremare le gambe, rendendo la situazione ingestibile per papà. L'orgoglio, ne era sicuro, gli avrebbe fatto gonfiare il petto proprio nel momento sbagliato, alzando la mela di qualche centimetro di troppo.

Ad un tratto vide l'occhio destro di papà sgranarsi all'improvviso, sgomento. Si immaginò di avere un mostro orribile alle spalle.

Nello stesso istante, Guglielmo, malediceva se stesso. E maledì tutti i momenti in cui aveva posticipato la manutenzione della balestra per fare altro. Guardò il figlio. Stava sperando fortissimo che la freccia traasse in un sol colpo la mela e il mostro che credeva alle sue spalle. Guglielmo deglutì. Poi la freccia, inspiegabilmente, partì da sola.

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Oscar Matti

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L’ultima settimana è stata un vero incubo: Hedwige con le sue paturnie sul tradimento: te la fai con la Bhüler!, aveva sentenziato. Ma come può pensare una cosa del genere? Quella è grossa come una mucca. Poi, Gualtierino con la gastroenterite: non bere l’acqua di quel pozzo!, erano state le mie parole. Infine, il balivo Gessler e il suo cappello da riverire.

Avevo spiegato che ero assorto nei miei pensieri, che non era mia intenzione mancare di rispetto a nessuno, tanto meno al cappello di Gessler. Ma niente. Eppure mi ero quasi umiliato vomitando in faccia alla guardia che la mia vita in quel periodo era uno schifo. La guardia mi denunciò.

Certo che il destino puzza come un caprone grigionese! Se devo dirla tutta non mi preoccupa la mela piantata sulla testa di mio figlio. Sono certo di colpirla. Comunque, la seconda freccia l’ho presa perché, nonostante sia uno preciso, potrei sbagliare. In quel caso gli ficco una freccia in mezzo alla fronte, così il balivo ci pensa due volte prima di far inchinare un uomo con i cazzi suoi.

Bene, ora carico la balestra. Mio figlio sembra preoccupato. Gli sorrido. Lancio un’occhiata al balivo e alla guardia. Che settimana del diavolo! La Bhüler, ma ti rendi conto? Devo scoccare! Come volevasi dimostrare...

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Manuela Mazzi

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L’udite anche voi gente? Si dice indulgente nell’affidare la mia sorte al valore del mio braccio. Ma preferirei morire, e lo farei scagliandomi contro la selva delle lance al servizio del balivo, se non temessi per il destino di mio figlio. Per la Patria!, non negherei mai il mio braccio in suo aiuto, ma per un vil berretto d’Austria... Cercate di comprendere il mio patema. Mi dicono maestro al remo come alla balestra, sono Guglielmo Tell, ma non c’è coraggio che accompagni un padre nell’orrore di mirare sul capo del proprio figliolo. Che Dio mi guardi e guidi le mie mani tremanti, e rinsaldi le ginocchia vacillanti, e disperda la nebbia che mi copre gli occhi, e mi liberi dalla paura di fallire, e calmi i rintocchi del mio cuore, perché l’ardire mi è venuto a mancare. Non temo di perdere la testa – Io no! – ma di toccar Gualtierino. Sapeste quanto fiero sono, però, del mio diletto che, sotto quel tiglio, non teme il dardo proveniente dalla mano di suo padre. Lo farò! Per non deludere il mio figliolo. Guardatemi, gente. Perché se sbaglierò, non dovrete farvi trovare impreparati. Centrerò il pomo, ma se così non fosse, la seconda freccia, che ho infilato nella cintola, traerà senza timor di fallire il cuore del balivo. Sono pronto: teso l’arco, incocco lo strale. Si faccia! Per Gualtierino, per la Patria, non per il balivo.

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Gerry Mottis

La seconda freccia

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La folla ammutolisce, come se un segreto comando imponesse il silenzio. Solennemente la corda della balestra s'inarca e carica lo sforzo, nell'immenso istante in cui la freccia attende il bersaglio, lo scruta da lontano: una mela sul capo di un figlio della giovane patria. È un'istantanea che si paralizza nel tempo, che si fa storia di padre e figlio, storia di una regione, di uno Stato appena nato dal clamore di battaglie e sassaiole. Scorre tutt'attorno come fiume il tempo, mentre il balestriere – calmo, sereno, uno scintillio lucido negli occhi, la mela nella traiettoria fatale – pensa a suo padre, a quando lui ragazzino giocava scalzo di fronte le stalle: “Se un giorno dovrai combattere, prepara sempre una seconda freccia per il tuo nemico, figliolo”, gli ricordava spesso. “La bestia del male non si ammazza neanche con un tiro preciso. Ucciso il corpo, ne va annientata anche l'anima affinché non ritorni!” Il balestriere – inarcata nel massimo spasimo la balestra, gli occhi fissi sulla mela – compie un gesto inatteso, folle: che fa? Dubita? Teme? Si ribella? La folla ora rumoreggia, tuona sottovoce; una mano abbandona la presa dell'arma, sfiora il petto, sembra misurare col tatto qualcosa di oblungo, nascosto. Forse una seconda freccia, pensano in molti. “Siamo salvi!”, grida una donna, innescando lo scatto, la freccia che s'invola a sbriciolare la mela, nel nuovo silenzio che anticipa la morte della bestia del male.

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Alberto Nessi

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Sü, cara ul me fiöö cun la poma süla crapa, sera i öcc e streng i ciapp! Mövat mia, par l’amùr di Diu, fa mia na piega e stremisat mia quand ta sentat cifulà la frecia dala balestra! Sera i öcc, che pasum ala storia! Al mund, sem nüm muntagnee i püsee bravi a tirà: in pee, in ginöcc, bütaa giò... E, chi in val, sum mi ul grande arciere: tütt la sann, da luntàn cati anca na viscarda che vola! E pö ta ga le dii anca ti, a quel là a cavall, quel brütt preputentasc, che sum bun a ’nfilzà na poma a trenta metri da distanza. A sum mia un petaball: ga fu vedé mi, al balivo! Chi è che ’l cred da ves? Mi gu pagüra da nissün. Ghe mia imperaduu che tegna, mi al salüdi mia ul capell dal Gessler in scima al pal, gh’è nagòt da fa! Sum fai inscì, fim mia girà i ball, perché gu chi na frecia scundüda sota la camisa... Sü fiöö, Gualtierino, par l’amùr di Diu, guardum mia in facia, mövat mia, sera i öcc e streng i ciapp! Stremisat mia quand ta sentat l’aria che cifola: a l’è l fiaa dal Padreterno che guarda giò.

Biografia autore

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sca Rigotti

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«Una mela. Perché devo mirare a una mela? Perché una mela sulla testa di mio figlio e non una zucca o un cocomero, che con la mia miopia precoce li vedrei molto meglio? Temo che cocomeri e zucche non siano degni di entrare nella leggenda. Le mele sì invece, la storia è piena di mele... La mela non porta bene però. Per una mela Eva e Adamo si sono giocati il Paradiso Terrestre. Forse con una zucca o un cocomero, che hanno la buccia dura, non sarebbe successo, e saremmo ancora lì, nudi e felici a giocare con le bestie feroci come se fossero peluches. Ma che sto pensando?! Ricordati, Guglielmo, che devi infilare la mela con una freccia. E comunque meglio una mela che San Sebastiano, poveretto. E la mela di Biancaneve? Anche quella non portò gran bene alla principessa. “Hei-ho, hei-ho, a casa a riposar!”, cantavano i Sette Nani, e che cosa trovano? Biancaneve a terra che pareva morta, col boccone di mela avvelenata ancora tra le labbra. Che brutta storia. Meglio pensare al futuro. Alla mela di Newton, quella sì che non è male. La mela cade a terra, plof, e il buon vecchio Isacco capisce tutto: che c'è una forza di attrazione che fa sì che i gravi, sulla terra, vengano attratti verso il centro. Allora Guglielmo, ragiona: se tu interpreti la legge di gravitazione universale come un'equazione vettoriale, e applichi la forza alla freccia per scagliarla contro il bersaglio colpirai la mela... evvìa!»

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Sergio Roic

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Tell si concentra prima di scoccare la freccia. È abilissimo con la balestra e sicuro del fatto suo, la concentrazione a cui anela è di un altro genere: gli capita, già da qualche tempo, di prevedere il futuro. Vede con chiarezza che colpirà la mela, ucciderà Gessler, contribuirà a fondare la Svizzera, se scocca la freccia. Ma che Paese sarà questa Svizzera? ragiona Guglielmo Tell. Sarà un Paese libero in cui nessuno sarà oppresso? Sì, nel futuro prossimo sarà così. Lo straniero usurpatore e invasore, il balivo ricco proprietario di castelli e terre, ritornerà? No, non ritornerà per molto molto tempo. E tuttavia Tell vede che in un futuro lontanissimo – il suo sguardo è acutissimo, la sua preveggenza incredibile – molta gente molto diversa abiterà nel suo Paese. E chi saranno questi lontani svizzeri, si chiede Tell prima di scoccare, gente ricca e prevaricatrice come Gessler o gente alla buona, come i vallerani suoi compagni? Tell, che ha tutto chiaro in mente, non si decide e alla fine non scocca la freccia fatale: nell’inimmaginabile 2013, un anno al di là della sua comprensione, la gente alla buona che allora sarà chiamata “rifugiati” e “asilanti” sarà espulsa per volere dei ricchi usurpatori colmi di terre e denari. Perché fondare la Svizzera, allora? dice Tell e rimette la freccia nella faretra.

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Anna Ruchat

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Dai Gualtierino, stai tranquillo, non agitarti, ho la mano salda, adesso gliela facciamo vedere noi al balivo Gessler che ci ha fatto svegliare presto questa mattina.

Il sonno, accidenti, il sonno è la nostra massima aspirazione, qui, da queste parti, e odieremo sempre chi ci vorrà svegliare.

Non muoverti, Gualtierino, non muovere la testa. Non sono mica Abramo io e tu Isacco e Dio il balivo che arriva, ci mette alla prova e poi mi ferma la mano.

No no, qui bisogna imbroccare la mira e tirare alla mela e poi magari tirare anche al balivo.

Basta dormire, Gualtierino, per un po’ dobbiamo cambiare strategia, dimenticare il sonno! Bisogna che tutto cambi se vogliamo che tutto rimanga com’è.

Mi sono spiegato Gualtierino?

Non si tratta di migliorare, noi siamo già perfetti. Dobbiamo solo dimostrare di

volere il cambiamento.

Noi siamo già perfetti Gualtierino ma loro non lo sanno: la nostra vanità è più forte della nostra miseria, ogni intromissione ci risulta intollerabile, ogni novità dalle terre straniere intacca la nostra compiutezza.

C’è nell’aria un pericolo per la nazione... Attento, Gualtierino, ora lascio la presa.

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Nando Snozzi

Guglielmo, l'uovo ed il Cervino

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I Signori dell’Arte, nell’ambito dell’anniversario della nascita della nazione, dovevano trovare un simbolo che portasse l’immagine del paese ai quattro punti cardinali. Si trovarono in riunioni pantagrueliche perché riuscivano sempre ad abbinare lavoro e scambi culinari. Dopo svariate proposte scelsero di usare come manifesto la foto della formidabile massa del Cervino, perché corrispondeva ad una forma che svelava emozioni, potenza e libertà e Toblerone! Per i Signori dell’Arte, questo corno di 4478 metri svettante nel cielo, era sinonimo di successo garantito. Ad un certo punto però, il solito guastafeste di tutte le commissioni culturali si alzò in piedi e disse: «Egregi confratelli, mi spiace rompere il vostro entusiasmo, ma ci sarebbe un problema da risolvere prima di adottare la montagna per i nostri pacifici scopi. Mio cugino, che è direttore dell’ente turistico della regione, mi ha riferito che il Gallo che faceva le Uova d’Oro dalla vetta del Cervino – un giorno dalla parte Italiana, un giorno dalla parte Svizzera – da un po’ di tempo ha smesso la sua produzione aurea.» Subito ci fu un trambusto e tutti assieme decisero che bisognava risolvere il caso. Convocarono Guglielmo e Gualtiero, che erano considerati i migliori segugi del paese, e li incaricarono (dietro lauta ricompensa) di scoprire la causa del cambiamento delle abitudini del Gallo e di convincerlo a ricominciare a generare le uova preziose, uno di qua e uno di là uno di qua e uno di là... regolarmente

(come certifica un contratto di secoli e secoli addietro, stilato dai potenti dell’epoca), onde evitare un incidente internazionale. Guglielmo e Gualtiero partirono, vestiti con gli ultimi ritrovati della tecnica per alta montagna. Avevano un aspetto imponente, florido e ricco. Arrivati a Zermatt scesero all’albergo della Posta. Per cena mangiarono una copiosa fondue al formaggio. Guglielmo, che forse non si rendeva conto di avere ato i vent’anni, bevve un po’ troppo e volle uscire a fare una eggiata nonostante la ritrosia di Gualtiero. A causa del freddo gli venne una congestione che lo tenne a letto anche il giorno dopo con dei terribili mal di pancia. Gualtiero, che non aveva voglia di stare in camera, sebbene potesse usufruire di tutte le comodità che l’albergo offriva (fitness, piscine, saune varie e massaggi), preferì fare un giro in paese ed in un tea-room incontrò l’Orsa Bruna che mangiava pasticcini. Si innamorarono istantaneamente con un “flash” paragonabile ad un fulmine. Fuggirono in monopattino e si rifugiarono nella Fossa Nazionale degli Orsi. Gualtiero inviò un telegramma a Guglielmo dicendogli: Fuggo per amore stop sentimenti irrevocabili stop ritorno nel regno animale stop addio. Guglielmo spese qualche lacrima per l’aiutante perso ma sentiva di poter bastare a se stesso, quindi decise di risolvere il caso da solo. Partì dalla stazione turistica e si inerpicò su per i sentieri che portavano sulla cima del Cervino, evitando la parete Nord. Disseminati lungo la strada a circa duecento metri una dall’altra, quasi come cappelle della Via Crucis, c’erano delle piccole costruzioni (progettate da architetti di grido) contenenti dei Bancomat. Le due più belle erano dedicate a personaggi che hanno reso famosa la montagna in tutto il mondo, come meta prestigiosa per la competizione alpinistica. Una era in memoria a Edward Whymper che nel 1865 fu il primo a conquistare la vetta, l’altra a Walter Bonatti che aprì una nuova via nella tremenda parete Nord. Erano previsti degli ampliamenti con aggiunte di “cyberspace” dove i turisti potevano emulare virtualmente nelle loro imprese i grandi eroi della montagna.

Guglielmo conobbe il guardiano di queste Banche-Bonsai, si chiamava HansRuedi ed era una ex guardia del Papa. Fu declassato a fare la ronda dei Bancomat perché erano note le sue simpatie islamiche. Festeggiarono l’incontro con un brindisi a base di grappa del Ticino in un tipico posto-ristoro di alta montagna. Guglielmo stava per rimettersi in cammino quando entrò Salvatore, che era l’addetto alla manutenzione dei sentieri. Parlava lo Schweizerdeutsch per integrarsi nel paese che lo ospitava, ma aveva mantenuto un magnifico accento del sud che lo rendeva simpatico dalla prima parola. Ribrindarono per la nuova conoscenza, poi ribrindarono per altri motivi che trovarono valesse la pena brindare. L’ultimo brindisi lo dedicarono al Cervino (Matterhorn), montagna che univa i popoli (questa dedica la concepirono durante l’esaltazione alcolica). Guglielmo arrivò sulla vetta che era notte fonda. Il Gallo dalle Uova d’Oro era sparito e sulla cima trovò il suo collega italiano Giuseppe G. che era lì per lo stesso motivo. Anche la nazione mediterranea si chiedeva perché non cadevano più le Uova d’Oro sul suo territorio. Sul piedistallo dove il Gallo aveva eretto la sua dimora, trovarono un messaggio inciso nella pietra che diceva: ...non ne vale più la pena, cerco altri pollai per riposarmi... Guglielmo e Giuseppe G. levarono le borracce dai loro sacchi e si scambiarono le bevande. arono il resto della notte raccontandosi le loro angosce, le loro gioie, le loro eroiche imprese di guerra e d’amore. Scoprirono di avere delle affinità di carattere e di idee. Stimarono giusta la decisione del Re dei Pollai. Decisero di ritirarsi insieme in una grotta di loro conoscenza nelle intime profondità della montagna. Nella caverna, che aveva uno sbocco in una valle incantata, installarono la loro dimora. Progettarono e fissarono i punti per scrivere un romanzo filosofico sulla vita oltre i 4000 metri dal titolo: “I valori dell’aria rarefatta mutano l’oro in nulla; ossia la rapsodia del silenzio” (libro che diventò un best-seller). I Signori dell’Arte ricevettero un fax: Il Gallo dalle Uova d’Oro ha deciso di pensare per sé, noi anche. Presto la

montagna ci seguirà. Vi consigliamo di cercare altre immagini per i vostri scopi lucrosi. Ossequi. G.G.G. I Signori dell’Arte diedero ascolto a Guglielmo e a Giuseppe G. e si orientarono verso il kitsch. Le multinazionali dei souvenir sfidando l’ira del Cervino si misero nell’affare... procrastinando la fine ed i principi...

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Filippo Zanoli

Io non lo so a che pensava Guglielmo, forse a cose triviali

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Io ci ho pensato a ciò che avrebbe potuto girare per la mente a Tell prima di sparare; ma la verità è che non mi è venuto in mente niente.

Il motivo principale è che Guglielmo, oltre che svizzero-tedesco (persone con le quali fatico fortemente ad empatizzare), era pure un uomo medievale e quindi con un modo di ragionare che per noi, post-illuministi, è proprio agli antipodi.

Questo perché il medioevo era un periodo storico infausto, dato che si tendeva a crepare con una facilità disarmante. Noi che sguazziamo nella penicillina non ce ne rendiamo conto, ma per far fuori un cristiano non ci vuole proprio tantissimo.

Sei nel campo a zappare e ti spezzi un alluce all'altezza delle falangi prossimali? Infezione, cancrena, morte. Sei nel bosco e salta fuori una vipera? Avvelenamento, morte. Prendi un po' di freddo? Per strada trovi dei malintenzionati? Potrà cambiare un po' la forma ma la sostanza è poi sempre quella: morte.

In effetti si schiattava proprio come mosche.

Quindi non deve stupire se la gente era così devota, ne aveva ben donde. Se portavi a casa la pelle la sera ringraziavi il Signore ché non ti aveva fatto scherzi quando armeggiavi con la roncola e ti portavi avanti pregando affinché, il giorno seguente, la falciatura non riservasse sorprese.

Tell almeno aveva la fortuna di potersela giocare con la sua abilità e non doveva sperare nel fato. Doveva solo mirare bene. Quindi probabilmente non pensava a niente, o a cose triviali tipo la minestra di cipolle che aveva mangiato a pranzo.

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Markus Zohner

You tell me!

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Ottanta i. Impossibile, amore mio. Il tuo coraggio è più grande del mio. Sai che non posso mancare. Un gioco da ragazzi per me, mi hai visto scoccare dei colpi molto più difficili. Ma.. Questa tua faccia dolce… Hai gli occhi di tua mamma e hai il mio stesso sguardo. Coraggioso sei, dio mio. Più di me. Amo te, più della mia vita. Come mi guardi diritto negli occhi. Sai tutto. Dio che fiducia che vive in questi occhi, che chiarezza! Le lacrime... Come faccio a sparare? Non vedo... Impossibile. Tutti e due sappiamo che scoccherò. Tu lo sai più di me. Sai tutto. Cerchi di darmi coraggio, madonna quanto sei grande! Sei enorme, dio mio. E io talmente piccolo... Non guardarmi così... Quella mela... È un gran coglione, Gessler. Persone come lui costruiscono il proprio potere sui punti deboli dei forti. Mirano diritto là dove fa male. Alle palle. Ha preso in mano le mie e le stringe, adagio, adagio, e aspetta solo il momento che io urli. Le palle, esattamente... Lui non ce le ha nemmeno. No... Aspetta... le ha grandi, in verità, se no non sarebbe qui, quel coglione, le ha più grandi delle mie, ce le ha enormi, le ha nutrite di potere, le ha tumefatte, gonfiate come quella mela... esatto... come quella mela... un po’ rosse, di fianco, dal cavalcare, con quel peduncolo rinsecchito nel mezzo. Uso la tua tattica, Gessler... Fra un momento ti scoppieranno, si schianteranno, esploderanno, e sarai femminuccia, per sempre, Gessler. Un pirla castrato. Urlerai come un eunuco quando scoppieranno, persa la virilità, per sempre, un morto vivente sarai, fottuto... Voglio vedere quell’esplosione, sono mature, à point, sarà un fuoco d’artificio, ...

Tutti: «Il bambino è vivo! L’ha centrata, la mela, ha scoccato, guardate, l’ha forata nel centro...» ecc. ecc.

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