a cura di Franco Forte
Legame di sangue
di Fabio Pasquale, Michela Pierpaoli
ISBN versione ePub: 9788867751433 © 2014 by Fabio Pasquale e Michela Pierpaoli Edizione ebook © 2014 by Delos Digital srl Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano Versione: 1.0 gennaio 2014
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Indice
Colophon
Fabio Pasquale, Michela Pierpaoli
Legame di sangue
Premessa
1. Prima che succedesse tutto…
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Epilogo
Tubepedia
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Fabio Pasquale, Michela Pierpaoli
Fabio Pasquale, classe 1973, è nato a Milano, dove vive e lavora. Laureato in Scienze dell’informazione, si occupa da più di un decennio di consulenza IT per il mondo della finanza. Apionato di fotografia e scrittura, ha esordito nel 2013 con il romanzo Il lavoro della polvere (Editrice Zona). Un suo racconto breve è presente nell’antologia 365 Racconti di Natale pubblicata da Delos Books e curata da Franco Forte. Michela Pierpaoli, marchigiana, classe 1973. Impiegata, ha da sempre un sogno: pubblicare un romanzo. Dopo aver frequentato un corso di scrittura tenuto da Franco Forte, ha pubblicato il suo primo racconto, Odio il Natale, sull’antologia 365 racconti di Natale di Delos Book.
Premessa
Nei primi capitoli di The Tube, intitolati Stazione 27, di Franco Forte, La fame e l’inferno di Ilaria Tuti e Carlo Vicenzi, Giorno Zero di Antonino Fazio e Alain Voudì, Ceneri di Ilaria Tuti e Progetto Bokor di Scilla Bonfiglioli, sono accaduti dei fatti indispensabili per comprendere quanto accade in questa quarta puntata. Eccone un breve riassunto:
THE TUBE 1: STAZIONE 27
Nella metropolitana di una città non precisata, Milo si trova a bordo di una carrozza, intento ad ammirare Marika, una biondina di cui è perdutamente innamorato. Quando finalmente si decide ad abbordarla, il treno si ferma e le porte si aprono sulla banchina della stazione 27. Quello che succede dopo pare un incubo, o una sequenza di fotogrammi sgranati da un film dell’orrore: creature barcollanti cercano di entrare nel vagone, scavalcando corpi insanguinati e massacrati. Milo si trova costretto ad affrontare delle creature terrificanti, degli zombie che cercano di aggredirli, dimostrando un coraggio che sorprende lui per primo. Ma deve combattere per sopravvivere, e per impedire che quei mostri facciano del male a Marika. Dopo aver combattuto con i morti viventi, Milo, insieme a un manipolo di eggeri, si rinchiude in un vagone del treno. Con loro c’è il conducente, che fa partire il convoglio. Ma cosa troveranno alle prossime fermate? E perché la metropolitana sembra non raggiungere mai la stazione successiva?
THE TUBE 2: LA FAME E L’INFERNO
Mentre Milo, Marika e gli altri lottano per sopravvivere nel vagone della
metropolitana che pare diretto verso il nulla, in superficie un nuovo personaggio si aggira fra i morti viventi: è Tea, una donna che custodisce un segreto terribile, che le logora l’anima. Lei è umana, ma quando la fame la tormenta, si trasforma in qualcosa che forse è ancora più letale degli stessi zombie. Tea incontra altri sconosciuti nei sotterranei della metro, e quando vedono arrivare un treno, non sanno chi, o che cosa, incontreranno…
THE TUBE 3: GIORNO ZERO
Mentre l'orda di non morti dilaga, lasciandosi dietro una scia di devastazione in cui i pochi sopravvissuti se la cavano come possono, una squadra dei reparti speciali inviata in missione di soccorso scopre che gli zombie non sono che l'avanguardia di un pericolo ancora più subdolo, perché altrettanto letale e molto meno visibile. Che sia davvero l'inizio della fine per l'umanità come la conosciamo?
THE TUBE 4: CENERI
Mentre Milo, Marika e gli altri sono nel vagone e cercano di stabilire un contatto con le creature, sopra, nella città devastata, qualcuno sta rischiando la vita per raggiungere la metropolitana e scendere a cercare Milo: è Milagros, sua madre, decisa a ritrovarlo. Dovrà però affrontare qualcosa persino peggiore degli stessi zombie. Qualcosa di più affamato. E più veloce.
THE TUBE 5: PROGETTO BOKOR
Il treno ferma alla stazione 28. Milo, Marika, Amina e Ivan incontrano i sopravvissuti della metropolitana. Amina e Tea si riconoscono l’un l’altra:
Amina, figlia del colonnello Rudolph Pittarelli, è stata sottoposta fin dall’adolescenza a esperimenti e terapie da parte del padre e delle dottoresse Tea e Laura, che l’hanno trasformata in un bokor, una persona in grado di comandare gli zombie. Approfittando dell’inizio dell’epidemia, fugge dal centro dopo avere ucciso l’odiato padre. Alla stazione 28, Tea la mette al corrente delle sue capacità potenziate dalla sperimentazione. Durante un attacco zombie alla fermata, Amina ha modo di mettersi alla prova contrapponendosi ai morti viventi, ma Zak viene ucciso e Nico viene morso.
THE TUBE 6: IL BACIO DELLA MORTE
Furio è fuggito di fronte all'orrore, ma nel Centro Ricerche i suoi compagni sono ancora alle prese con gli zombie e con la dottoressa Calandra. Il loro addestramento avrà ragione del Morbo, oppure sono destinati a soccombere? In un crescendo di paranoia e di terrore, ciascuno di essi risponderà a questa domanda alla sua maniera e sulla propria pelle...
The Tube, a cura di Franco Forte, è una serie narrativa alimentata dai lettori stessi, che possono contribuirvi partecipando al contest letterario sul forum della Writers Magazine Italia ( HYPERLINK "http://www.writersmagazine.it/forum"www.writersmagazine.it/forum). I migliori racconti, selezionati dallo stesso Franco Forte, saranno pubblicati nella serie come capitoli indipendenti di “The Tube”, e gli autori messi regolarmente sotto contratto, con pagamento a royalties sul numero di copie vendute. Seguite i personaggi della nuova puntata di The Tube. E date il vostro contributo scrivendo una storia che possa ampliare la saga più tosta del momento!
1. Prima che succedesse tutto…
Ancora un o… Julian posò il piede sopra la linea gialla della banchina della stazione 27. Un altro e l’incubo avrà fine. Niente più dottori in camice bianco e stetoscopio appeso al collo, né interminabili visite in minuscole stanzine deprimenti e male odoranti. Niente più dolore, né angoscia o stupida speranza. Ne ho riposta fin troppa nella scienza. Sperimentazione, dicevano gli stronzi di dottori con quel sorriso fasullo che gli riempiva il volto. Abbi fede. Sì, fede… Julian sputò a terra. La fede l’aveva persa da quando aveva scoperto il male. Dopo l’ennesimo estenuante ciclo di chemio che gli aveva portato via anche l’ultimo capello, lasciandolo calvo e pulito come il culo di un bimbo. Le guance scavate, gli zigomi sporgenti, le occhiaie così scure che pareva l’avessero pestato a sangue. Quando si era guardato allo specchio, quella mattina, nudo e tremante come un verme, si era sentito di nuovo male. Una fitta al petto. Aveva distolto in fretta lo sguardo e richiuso l’accappatoio. Un ammasso di ossa e pelle macchiata e raggrinzita. Era lo spettro di ciò che era stato appena quattro anni prima: il petto scolpito da anni di palestra, la pelle dorata dalle lampade abbronzanti, i capelli biondi spettinati sulla fronte, con un tocco di gel sulle punte. E poi denti perfetti, alito profumato di menta e liquirizia, pronto a cogliere l’attimo fuggente di un bacio. Ora puzzava di morte. L’odore rivoltante dei vecchi prossimi alla fine o dei malati terminali, come lui. L’alito, una fogna putrida che rigurgitava di continuo acidi e bile. Ancora un o, sì, uno solo. Appena i fari riempiranno il buio della galleria e vedrò la luce bruciare le pupille, salterò. “Un piccolo o per un uomo, un grande balzo per l’umanità.” Armstrong aveva ragione. Ma che si fotta, l’umanità! Peccato per il vestito…
Julian abbassò lo sguardo. L’aveva comprato per quell’occasione in una lussuosa boutique del centro, in cui non aveva mai avuto il coraggio di entrare. Un completo nero di Dolce e Gabbana, con i risvolti della giacca in velluto e i bottoni d’argento griffati. Sotto, una camicia bianca, fresca e soffice che gli carezzava la pelle. Ai piedi un bellissimo paio di scarpe scure, di vernice, che spiccavano sulla linea gialla. A breve l’avrebbe valicata per sempre. I soldi rimasti li aveva donati. I parenti non ne avevano voluto sapere di lui ed erano spariti. Gli amici più cari, dopo i primi mesi, si erano dileguati. Saputo del male persino Moana, la ragazza con cui aveva convissuto cinque anni, se n’era andata portando via il cane meticcio che avevano adottato insieme. Che merda di persona! Non si sarebbe certo comprato il paradiso regalando quei soldi, ma forse un posticino in purgatorio… Sì, peccato per il vestito.
2
L’Autista allentò la catena quel poco che bastava per tirare verso di sé il cancello di ferro battuto. Pochi centimetri furono sufficienti a garantirgli una buona visuale, eppure ciò che vide non lo entusiasmò. La strada un tempo a senso unico assomigliava a una discarica di veicoli saccheggiati e abbandonati ma, a differenza delle discariche che lui conosceva bene, in quel luogo erano presenti decine di corpi straziati: alcuni disposti in posizioni innaturali, altri con il viso rivolto verso il cielo, come a chiedere risposte a una domanda che pareva non avere senso. – Maledizione – esclamò ad alta voce. Il sole era già sorto da un pezzo e in quel quartiere c’era un silenzio innaturale, la quiete prima della tempesta. C’era anche del sangue, molto sangue, incanalato in pozze scure dalle pendenze dell’asfalto, o già rappreso a formare grumi ripugnanti. Era ovunque: litri e litri di vernice gettata a caso, senza nessun indizio che potesse far capire che diavolo era successo. Di quelle creature o zombie o cosa cazzo fossero nessuna traccia, ma l’Autista sapeva che erano là fuori, lontane dai lampioni ancora in funzione, pronte a uccidere, divorare, smembrare qualsiasi essere vivente capitasse a tiro. Lo aveva già visto con i suoi occhi qualche ore prima, dopo essere fuggito dal quartiere 15. Stava correndo a perdifiato, quando nello svoltare si era imbattuto in un branco diretto verso il cancello principale del parco comunale. Si era nascosto dietro l’angolo e, impietrito, aveva assistito a uno spettacolo raccapricciante, nel quale riuscire a fuggire equivaleva a sopravvivere, mentre cadere, inciampare o farsi prendere dal panico decretava la condanna a morte assicurata. Era stato un abominio, qualcosa che nessun Dio misericordioso avrebbe mai dovuto permettere.
3
Era bello vedere le persone dall’alto dell’undicesimo piano, una dolce sensazione di onnipotenza. Minuscoli puntini colorati che si muovevano come formiche, presi dal lavoro e dalle priorità di una vita che non dava scampo e non concedeva seconde opportunità. La stanza in cui si trovava Julian odorava di alcool e disinfettante. I monitor per le lastre appesi alle pareti la decoravano in modo spettrale. Il lettino era nel solito angolo, dietro il separé di stoffa bianca e la scrivania di legno massiccio accostata alle vetrate. Julian si guardò il braccio. Sentiva ancora la presenza dell’ultimo ago, che gli avevano infilato nella carne sfiorando i nervi. Quella sensazione non era mai davvero scomparsa, neppure al termine dell’ultimo ciclo di terapia. Durante la notte si svegliava ancora di soprassalto cercando di strapparlo via con rabbia, invano. Sospirò. L’eco dei i giunse dal fondo del corridoio, scandito dalle lancette dell’orologio. La maniglia s’inclinò appena e la porta si aprì, accompagnata da un sinistro cigolio. – Buongiorno, mi scusi per l’attesa – iniziò il primario del reparto di oncologia con una busta stretta in mano e occhialini sulla punta del naso. – Attendevo il responso degli ultimi esami che ho qui con me. Julian ne scrutò con attenzione lo sguardo. Cercava di decifrarne i deboli segnali. Un misero sorriso tirato, un battito di ciglia complice… ma quell’uomo rimase imibile. Si era seduto sulla poltrona di pelle, dietro la scrivania, e aveva incrociato le dita davanti a sé. – La prego, si sieda. Julian scrollò le spalle. – Non voglio più sedermi, dottore. Non ho fatto altro negli ultimi quattro anni. Mi dica se il tumore è regredito. Se quest’inferno che ho ato – sbottò, rivelando sotto il berretto la nuca glabra, – è servito a qualcosa. Me lo dica!
Alzò il tono di voce, conscio della rabbia che sentiva montare in corpo, ma non gli importava. C’era la sua vita, in gioco, perché preoccuparsi ancora degli altri? Il dottore si alzò, si schiarì la voce con un colpo di tosse. Sfilò dalla busta una lastra nera e la poggiò sul diafanoscopio. Lo accese. Non fu necessario che parlasse. Julian si lasciò cadere sulla seggiola, sfinito e inerme. La massa scura nei polmoni non era regredita, anzi… – La cura sperimentale… – La pianti – lo interruppe bruscamente. – Mi dica solo quanto mi resta da vivere. Anzi… quanto mi resta da vivere in modo umano. Perché immagino i miei ultimi giorni… un ammasso di carne putrida su un lettino d’ospedale, dilaniato e piagato dal dolore, incapace di intendere e di volere. – Non voglio girarci attorno… – Allora non lo faccia! – Julian lo interruppe di nuovo e tornò a posare lo sguardo oltre il vetro del palazzo. – Un mese. Due al massimo. Magnifica sentenza.
4
Erano ate poche ore, ma sembrava un’eternità. L’Autista si era svegliato su una barella arrugginita, all’interno di quel locale piccolo, sporco e senza finestre che il direttore del carcere aveva deciso di adibire a infermeria. All’inizio gli era parso tutto fuori posto, un sogno a trama libera dove la coerenza e la razionalità rappresentavano fastidiosi ostacolo da rimuovere grazie a determinati processi biochimici. Aveva faticato parecchio a ricordare le cause e le successive conseguenze; a ricordare i motivi, gli errori, le decisioni che la notte precedente avevano causato il suo arresto. Purtroppo quello non era stato un semplice incubo. Aveva rievocato delle grida d’intimazione, luci blu a intermittenza, un inseguimento, dolore alla gamba. Poi cosa cazzo era successo? La memoria pareva svanire, inghiottita da un senso di confusione misto a disgusto. Aveva provato una fitta alla testa e una alla gamba, la stessa che al risveglio gli si era presentata con una vistosa fasciatura all’altezza della coscia. Dopo un intervallo di tempo indefinibile aveva cercato di alzarsi, riuscendo a zoppicare fino all’unica porta chiusa della stanza. Aprendola, la sorpresa di non trovare l’agente di guardia era svanita subito, risucchiata dallo sconcerto di non vedere nessuno nei paraggi. L’Autista aveva sempre avuto il pregio della praticità: se in un modo o nell’altro era riuscito a sopravvivere, pur con risultati alterni, il merito era stato dell’innata capacità di adattarsi rapidamente alle situazioni, scegliendo di adeguarsi ai cambiamenti in modo da poterli sfruttare a proprio vantaggio,anziché perdere tempo in congetture e teorie inutili. Era tornato in infermeria, aveva recuperato uno zaino dall’armadietto sghembo collocato vicino al lavandino e lo aveva riempito con tutti i medicinali e gli oggetti ritenuti utili, poi, dopo un’iniezione di antidolorifico, si era diretto verso il corridoio con la ferma intenzione di evadere da quel posto il più velocemente possibile. Così era tornato a guardare fuori, nel corridoio silenzioso e deserto. Molto strano, aveva pensato scrutando a sinistra, poi a destra. Aveva atteso
immobile, con i muscoli in tensione e il cuore pronto a soddisfare ogni sforzo gli fosse richiesto. L’estremità orientale del corridoio finiva contro un muro di cemento grezzo. Lì, nell’angolo, qualcuno aveva abbandonato delle sedie pieghevoli e due dispenser d’acqua potabile ormai vuoti. Alcune porte erano chiuse, altre spalancate, ma per una decina di secondi non era accaduto nulla. L’Autista aveva fatto un lungo respiro e aveva deciso di provarci: in fondo, l’unica altra alternativa sarebbe stata aspettare di finire dietro le sbarre. Aveva svoltato a sinistra, zoppicando nella direzione dell’atrio principale. Una luce tenue filtrava dall’esterno, l’aria puzzava di chiuso e di sudore. Lottando contro la nausea, il suo cervello aveva elaborato veloce alcune informazioni: mancavano circa settanta metri, quella porta era chiusa, probabilmente a chiave, la situazione era anomala. Decisamente anomala. Aveva superato un paio di uffici, ma non aveva perso tempo prezioso a osservare dettagli inutili. Nemmeno si era chiesto dove fossero le celle, dove fossero gli altri detenuti. Non aveva badato a quel ronzio di sottofondo e ai rumori provenienti dal piano superiore, anzi si era sforzato di restare concentrato verso l’unico obiettivo importante. Doveva assolutamente raggiungere l’uscita, evadere da quel carcere prima che qualcuno alle sue spalle gli intimasse di fermarsi o, peggio, decidesse di sparargli di nuovo.
5
Julian sollevò appena il polsino della giacca e guardò di nuovo le lancette dell’orologio. Un Rolex d’oro massiccio costato un anno di stipendio. 7:36. La banchina a quell’ora pullulava di gente. Uomini d’affari, pendolari e ragazzini con gli zaini sulle spalle. Per un momento gli dispiacque per loro. Avrebbero assistito impotenti all’esplosione del suo corpo: brandelli di ossa, carne e sangue, sarebbero schizzati via per imbrattarli con una doccia di liquami densi e appiccicosi. Tutto sommato, sarebbe stato divertente assistere a quella scena, non sono cose che accadono di frequente. Avrebbero avuto una storia da raccontare per un paio di giorni, poi tutto sarebbe tornato alla normalità. Julian si strinse nelle spalle. Che si fottano tutti quanti! Tornò a fissare la linea gialla poi l’antro oscuro della galleria. Dietro di sé udì un brusio. Da principio non ci fece caso. Finché non aumentò. Eccoli. L’ultimo branco di ragazzini ritardatari. Urlano peggio delle bestie. Non c’è più rispetto neppure per chi vuole morire in santa pace. Julian si voltò. Le grida giungevano nitide dal corridoio d’ingresso alla banchina. I presenti erano ammutoliti e volgevano lo sguardo preoccupato in quell’unica direzione. Il primo che sbucò, urlando e agitando le braccia in aria, aveva sul volto una maschera di terrore. Il secondo che lo seguì era imbrattato di sangue sul collo e sui vestiti. Il terzo aveva le bocca spalancata in modo innaturale, le braccia tese in avanti. Emetteva versi gutturali che facevano gelare il sangue nelle vene e accapponare la pelle. Quell’essere spaventoso si avventò sulla prima persona che incrociò e l’azzannò alla carotide, tranciandola di netto. Un getto violento schizzò sulla parete dipingendola di sangue. Fu il panico. Julian restò impietrito, i piedi piantati a terra. Gli occhi sgranati stavano osservando una scena irreale e inquietante. Sentì qualcuno gridare zombie e il pensiero corse veloce a un film che aveva visto di recente, in cui veniva annunciata un’apocalissi zombie.
Ovunque posasse gli occhi vedeva gente che correva, che rantolava a terra, impiastricciata di materia scura e viscosa. Coloro che erano stati ridotti a un ammasso di poltiglia sul pavimento presero a scuotere gli arti, come in preda agli spasmi violenti delle convulsioni. Un attimo dopo erano di nuovo in piedi, con le fauci spalancate in un grido disumano e le braccia tese. Non voglio morire, no, non cosi! Julian avvertì una fitta al cuore, il respiro in affanno, gli acidi in gola. Si portò d’istinto la mano al petto. L’odore putrido era lo stesso che sentiva ogni mattina al risveglio. Aveva voglia di vomitare, era abituato a farlo. Ma lo stomaco si rifiutò. Era solo, in mezzo alle grida che straziavano i timpani e alla gente che correva sconvolta in ogni direzione. Fu allora che lo vide, dopo un colpo di tosse che gli macchiò il palmo di sangue. Uno zombie l’aveva puntato e gli stava venendo incontro. Arrancava, trascinando un arto penzolante, una caviglia slogata, mentre le dita tese in avanti gocciolavano sangue fresco. Un misto di bava e materia organica gli fuoriusciva dalla bocca. Paralizzato dalla paura Julian riuscì solo a deglutire. Ne sentì il fiato puzzolente, di carne e sangue, in faccia, mentre nelle fauci spalancate distinse nitidi brandelli appena strappati e non ancora ingeriti. Gli occhi di quell’essere non avevano più nulla di umano. Erano velati da una spessa patina chiara, spugnosi e violacei. Atterrito distolse lo sguardo, il respiro troppo corto. I polmoni contratti erano incapaci di inglobare aria. La linea gialla era ancora sotto i suoi piedi. Lo zombie gocciolava sangue. Gli aveva imbrattato le scarpe lucide. Julian avvertì il sudore rigargli le tempie e l’adrenalina schizzare nelle vene asciutte. Attese immobile la fine, ma lo zombie fece qualcosa di inaspettato. Prese a strusciare la guancia contro la sua. Lo stava annusando, ne vedeva le narici dilatarsi. Il rumore del treno giunse nitido. I fari illuminarono la galleria. I freni presero a stridere sui binari. Volse appena lo sguardo incrociando quelli della creatura che restava immobile. L’orda infernale, alle sue spalle, faceva banchetto dei presenti. I portelloni si spalancarono in un soffio. Lo zombie che aveva di fronte emise di nuovo quel verso gutturale. Si avventò come un’ombra sul primo sventurato che mise piede sulla banchina. Riscuotendosi sotto la spinta dell’adrenalina, Julian balzò all’interno del treno e si acquattò in un angolo, facendosi largo fra gli ignari eggeri. Lo spettacolo
macabro si ripeté. Nuove grida e urla riempirono il vagone mentre altro sangue colorava i vetri e riempiva il pavimento di materia scivolosa e densa. Quando le porte si richio, gli ultimi corpi giacevano sotto il peso degli zombie che li stavano divorando. Julian chiuse gli occhi e cercò di tapparsi le orecchie con le mani. Fu tutto inutile. Lo scricchiolio delle mascelle al lavoro era devastante. Percepì i i farsi vicini e urtarlo appena. Aprì gli occhi. Il cuore lo trafisse con una lama nel petto e il respiro gli si bloccò sulle labbra. Un solo colore dominava l’interno del vagone, ed era rosso sangue. Quelle creature, ne contò una trentina, si muovevano con le braccia ciondolanti lungo i fianchi e le gambe trascinate sul pavimento vibrante del treno. Scostò lo sguardo attirato dal rumore che giungeva in cima al vagone. Vide due zombie colpire a spallate la porta che separava i vagoni e premere il volto contro di esso. Erano i soli che ancora si agitavano. Neppure loro mi vogliono, pensò con un sorriso di traverso. Persino l’inferno ha chiuso le porte e mi ha rigettato… Fu assalito da un turbine di emozioni contrastanti. Lacrime copiose presero a rigargli il volto. Non riusciva a smettere. Solo dopo un po’ il cuore tornò a calmarsi e le gambe smisero di tremare. Osservò le creature nel vagone, con il capo appena sollevato dalle ginocchia. Si asciugò le guance con il dorso della mano e d’un tratto cercò di trattenere l’euforia che sentiva esplodere nel petto. Da quando aveva scoperto il male si vedeva come un inutile e debole rifiuto umano. Un peso che la società avrebbe voluto estirpare in fretta, ma in quel preciso istante comprese che gli unici deboli erano tutti gli altri.
6
L’Autista fece scattare il lucchetto assicurandosi che il portone fosse ben chiuso, poi salì la rampa di scale che conduceva a quella che era diventata la sua nuova casa. Una bella casa per i fortunati che sapevano accontentarsi, e lui era senza dubbio allenato a farlo. Superò la porta d’ingresso spalancata, attraversò il piccolo soggiorno arredato in stile anni Ottanta e puntò dritto verso il bagno, dove aprì il rubinetto e bevve una generosa quantità di acqua potabile. Era ancora potabile? A un tratto fu colto dall’atroce dubbio che non lo fosse, che potesse essere inquinata, magari addirittura infetta. – Cazzo – bofonchiò. Fece un respiro profondo e si impose di calmarsi. Non aveva senso e, anche se lo avesse avuto, non avrebbe fatto alcuna differenza. Il mondo conosciuto era finito nel momento stesso in cui era evaso dalla prigione e aveva scoperto l’inimmaginabile. Di colpo era stato catapultato in una realtà da fiction televisiva, di quelle che ogni tanto gli era capitato di seguire con la distrazione tipica di chi ha altro per la testa. Qualunque fosse stata la causa, dopo avere assistito al primo banchetto ai danni di un anziano fatto cadere dalla bicicletta, ci aveva messo poco a capire che da lì in avanti la priorità sarebbe stata quella di sopravvivere. Correre veloce e sopravvivere, a qualsiasi costo. L’Autista alzò il viso e nello specchio vide riflessa l’immagine di un uomo sulla trentina dall’aria stanca. Aveva i capelli tra il castano chiaro e il biondo cenere, un filo di barba e gli occhi con l’iride di due colori differenti: una marrone, l’altra verde scuro. Eterocromia: così gli avevano detto tanti anni prima. Lui ne aveva preso atto, come aveva preso atto di tante altre cose in vita sua. Per esempio, di avere come padre uno sconosciuto fuggito chissà dove una volta scoperto che la donna con la quale andava a letto era rimasta incinta. Oppure di dover vivere ai limiti della legalità, e a volte ben oltre i limiti, per racimolare il necessario che gli permettesse di tirare a campare in un modo da definire decente con buona dose di ottimismo. Si sciacquò la faccia e il petto, consapevole che l’erogazione dell’acqua corrente e dell’elettricità avrebbe potuto interrompersi da un momento all’altro, poi tornò in soggiorno a torso nudo, dove si tolse i jeans sozzi di fango e sangue coagulato. Dispose tutti i medicinali e gli oggetti che aveva rubato in infermeria
su un tavolo rotondo di legno scadente, ormai sbiadito dal tempo e dall’usura. Prese delle garze sterili e un flacone d’acqua ossigenata, quindi si diresse in mutande verso la vasca di ghisa smaltata, pronto per una nuova iniezione di antidolorifico. Grazie al cielo, era una ferita superficiale già in fase di guarigione. L’agente che aveva sparato era proprio una chiavica. Provò a sorridere, ma ne uscì una smorfia incompiuta. Aveva avuto fortuna: gran colpo di culo trovare una sistemazione che si era dimostrata la sua salvezza; la differenza tra essere ancora vivo e morire di freddo o, peggio, sbranato da quelle cose che si aggiravano là fuori.
7
Julian si era quasi addormentato quando ebbe la sensazione che il treno rallentasse. Guardò di nuovo l’orologio: non erano ati che pochi minuti. Il pavimento vibrava appena. La stazione 28 doveva essere vicina. Batté le palpebre finché la vista tornò a mostrare la cruda realtà. No, non aveva sognato. Le creature continuavano a muoversi avanti e indietro, senza sosta, come animali in gabbia. Il sangue sul pavimento si era raggrumato lasciando scie scure e dense. L’odore era nauseabondo, un misto di vomito, urina e carne in decomposizione. Il treno, poco dopo, si arrestò. Julian strinse i palmi in un pugno, pronto a fiondarsi fuori appena i portelloni si fossero aperti. Voleva tornare a vivere. Non si era mai sentito cosi vivo da anni. Voleva bere, mangiare, divertirsi, andare al mare e tornare ad affondare i piedi nella sabbia calda mentre il sole gli baciava di nuovo la pelle. Quel pensiero durò un attimo, poi soffiò con stizza. Non aveva più un soldo. Aveva persino venduto l’appartamento, un bilocale in centro, e regalato il profitto ai disgraziati che aveva incontrato per strada lo stesso giorno. A che gli serviva un appartamento, se doveva morire? Soffocò la risata nel palmo della mano. Che idiota! Guardò fuori, oltre i corpi che gli camminavano davanti. Non erano fermi alla stazione 28. Non c’erano né luci, né insegne lampeggianti o banchine affollate di gente rumorosa. Il buio opprimente era tutto intorno. Le porte si aprirono. Julian sorrise e scattò in avanti come un felino. Anche le creature si mossero verso i portelloni. Julian se le ritrovò di fronte, le spintonò e saltò giù appena in tempo. Le porte si richio. Udì un grido giungere dalla carrozza poco più avanti. Forse aveva sognato o forse no? Possibile che qualcuno fosse ancora vivo, là dentro? Forse qualcuno come lui? Alzò le spalle indifferente. Mosse un o, strisciando lungo la parete, e osservò dall’esterno i segni lasciati con il sangue sulla lamiera. Non era solo. Si sentì di nuovo annusato da quelle creature orribili che erano
rovinate a terra e che ora gli stavano addosso come un’ombra, una seconda pelle. Deglutì ancora. Si mosse piano verso la coda del treno. Gli zombie fecero altrettanto. Si fermò in mezzo ai binari, senza sapere dove andare. Il tunnel era appena illuminato dai fari posteriori del treno, ma ogni o rappresentava un tuffo nell’ignoto. Gli zombie continuarono nella lenta avanzata. Era evidente che non avevano le sue stesse preoccupazioni. Come se non fosse la vista a guidarli, in quella soffocante oscurità, ma l’istinto. Non aspettò oltre. Afferrò la mano dell’essere più vicino. Lo stesso che l’aveva annusato sulla banchina. La scoprì umida e molliccia e lasciò che l’accompagnasse, ovunque volesse, in silenzio. Era un inferno senza fiamme, quello a cui era scampato, pieno solo di poveri diavoli… come lui. Ma non erano poi cosi diversi dalle persone con cui aveva condiviso i cicli della chemio e scambiato poche inutili parole negli ultimi anni. Puzzavano allo stesso modo e i volti, scarni ed emaciati, erano gli stessi. Si rese conto di non essere più solo e si sentì di nuovo a casa. Non più guardato con pietà e pena, anzi… era lui il più forte. Sono speciale.
8
All’alba di quella mattina, l’Autista aveva corso senza una meta, con un unico pensiero fisso in testa: non fermarsi mai, per nessun motivo. Dopo il tentativo fallito al quartiere 15, aveva percorso diversi chilometri in cerca di un rifugio qualsiasi, un posto abbastanza sicuro per tirare il fiato e dare un significato a tutta quella follia. Ammesso che fosse stato possibile, certo. La ferita alla gamba, malgrado l’antidolorifico, gli aveva procurato un dolore sordo e continuo, sadica tortura che si era accentuata a ogni scatto improvviso, a ogni repentino cambio di direzione necessario per fuggire ai mostri sbucati da dietro gli angoli, da edifici abbandonati, da vetrine di negozi devastati e razziati. C’erano roghi ovunque e centinaia di cani infetti che sarebbero stati l’orgoglio di Cerbero, pronti a sbranare chiunque capitasse a tiro. L’odore indefinibile di plastica bruciata, carne carbonizzata e cibo avariato ammorbava l’aria. Dopo circa quattro ore si era ritrovato in una via del quartiere 26, troppo stanco e demoralizzato per poter continuare a muoversi. E per andare dove, poi? Sembrava tutto uguale: ogni via, viale, vicolo o piazza si era ridotto a un campo di battaglia disseminato di cadaveri, feriti a un o dalla morte e morti che sfidavano le leggi della natura con malvagia strafottenza. Quella città era diventata la perfetta rappresentazione di ciò che avrebbe potuto definirsi l’apocalisse. Aveva percorso qualche metro con i nervi a pezzi e le gambe scosse da tremiti involontari, fino a giungere all’altezza del numero civico 5. Lì il portone di ferro battuto era spalancato. Nella penombra aveva intravisto una rampa di scale e si era gettato dentro, spinto dalla disperazione e consapevole del rischio che un tale gesto avrebbe comportato. Gli era andata bene, anzi gli era andata di lusso. Al termine delle scale aveva trovato una porta aperta. Era entrato e il cuore aveva accelerato come mai nei precedenti trent’anni. Aveva ispezionato ogni centimetro quadrato dell’appartamento, trovandolo disabitato e, soprattutto, sicuro. La piccola palazzina a due piani un poco fatiscente ospitava altri tre appartamenti, due per piano. L’Autista aveva percorso la seconda rampa di scale stringendo con la destra un coltello recuperato in cucina, ma anche lì non aveva
trovato nessuno. Le due porte erano chiuse a chiave, così come quella al primo piano. Qualunque cosa ci fosse là dentro, non sarebbe riuscita a uscire. E se ci fossero stati dei cadaveri, l’odore della loro decomposizione sarebbe stato il minore dei mali. Dopo quello che aveva visto, il fetore della morte non gli avrebbe procurato nessun fastidio. No, proprio nessuno. Si era accasciato a terra e aveva riso come un isterico, felice di aver trovato l’oasi tranquilla, il luogo protetto da considerare rifugio. In fondo, lui era abituato ad accontentarsi.
9
L’odore fresco e pulito dell’aria accarezzò la pelle di Julian prima della luce. Gli zombie non avevano avuto nessuna esitazione quando avevano sfondato il portone di ferro che bloccava l’usciva. Socchiuse le palpebre finché si abituò al chiarore del giorno. Lo zombie che teneva per mano era una femmina. Aveva la fede al dito medio e un piccolo pendaglio appeso al collo in cui spiccava nitido il segno del morso. Il sangue attorno alla ferita era scuro e putrido. Continuava a grugnire, ma lo faceva in modo sommesso. Un altro era poco più avanti, un omaccione scuro di pelle con una tuta da lavoro e un martello ancora infilato nel cinturone di cuoio. Trascinava le gambe e le braccia muscolose lungo i fianchi. Neppure il tempo per difendersi. Quella che le creature avevano scovato non era la classica uscita della metropolitana 28 con tornelli e porte scorrevoli, bensì una via di fuga per le emergenze. Il lungo condotto a cielo aperto portava a una scalinata e poi… cosa avrebbe trovato la fuori? Da dove erano venuti quegli esseri? Julian se lo chiese per un attimo, poi scrollò le spalle. Che importanza poteva avere? Era a casa. – Ti chiamerò Giorgia. Sì, mi sembra un bel nome. Giorgia – ripeté con il sorriso sulle labbra asciutte. – Ti piace? La femmina non lo guardò neppure. Era intenta a salire le scale attirata da chissà quale odore che sentiva aleggiare nell’aria e che annusava muovendo le narici come un segugio. – Bruno! – gridò rivolto all’altra creatura poco più avanti, l’omaccione con il martello. – Ti piace Bruno? Giorgia e Bruno. Sì, proprio belli, questi nomi. – Si compiacque facendo schioccare pollice e indice. – Dove si va, ragazzi? Voglio sfoggiare questo bell’abitino! L’ho pagato un botto.
Sorrise, poi abbassò lo sguardo e prese a lisciarsi la giacca con la mano mentre con l’altra stringeva il palmo di Giorgia che, indifferente, continuava nella lenta avanzata. La salita delle scale terminava in un ampio piazzale. Lo shock fu immediato e inaspettato. Sotto un cielo di cenere, la vita, come Julian la conosceva, era stata spazzata via con un soffio di vento. Le insegne dei negozi sfarfallavano mentre le vetrine erano imbrattate da sciabolate di sangue. Le auto ferme lungo la strada. Le portiere aperte, parabrezza distrutti e unti di sangue. Chiazze rossastre sui marciapiedi e ovunque il gracchiare dei corvi intenti a beccare brandelli di carne da carcasse umane con i crani spappolati sull’asfalto. Julian sollevò lo sguardo. Dalle facciate dei palazzi i vetri infranti mostravano il terrore di quell’attimo. Di nuovo il senso di vomito tornò a lambirgli la gola. Giorgia continuava a camminare. Nessuno dei nuovi amici aveva mutato espressione di fronte a quella scena cruda. Sfilando fra le macchine una frase del vangelo gli echeggiò nella mente: “gli ultimi saranno i primi, i primi gli ultimi.” Scoppiò a ridere. Poi riempì i polmoni, o ciò che ne era rimasto, di quell’aria fresca. Poco più avanti Bruno lanciò un grugnito. Giorgia fece altrettanto. Li vide accelerare il o e tendere le braccia in avanti. – Ragazzi, dove state andando? Avevano di certo fiutato qualcosa. Qualcosa che forse anche lui aveva scorto muoversi per un attimo fra le auto abbandonate. Scivolando fra le macchine notò, su uno dei cruscotti, un pacchetto di sigarette. Non seppe resistere. Lasciò la presa alla mano di Giorgia e lo raccolse. Sorrise. Scoprì anche un accendino, all’interno. Erano anni che non tirava una boccata di fumo. Dal quel maledetto giorno di merda. Sfilò una sigaretta, ne annusò l’aroma, poi se la ò fra le labbra che umettò appena di saliva.
Un grido. Stavolta umano. Si voltò. I due zombie avevano trovato qualcosa, qualcuno. Stavano prendendo a pugni un’auto con le portiere chiuse. Julian si portò tranquillo la sigaretta alle labbra e si avvicinò. Lo vide nitido: un uomo con un camice bianco si agitava all’interno del veicolo. Il volto in preda al terrore. Julian accese la sigaretta mentre l’uomo implorava aiuto con le lacrime agli occhi. Tirò la prima boccata. Lasciò che il fumo tornasse a riempirgli i polmoni marci, ne assaporò ogni secondo. Bruno sfondò il vetro. Schizzi di sangue gli imbrattarono le mani. Giorgia infilo le sue all’interno. I due afferrarono l’uomo e lo tirarono fuori. Il poveraccio non aveva smesso un attimo di urlare. Come cani attaccati all’osso Bruno e Giorgia affondarono i denti nella carne. Julian sentì i morsi della fame torturargli lo stomaco vuoto, mentre guardava. Soffiò tra le labbra il fumo bianco. Anche l’ultimo grido cessò. Aspirò l’ennesima boccata poi gettò il mozzicone a terra e lo spense con la suola della scarpa. Il pacchetto lo rispose nella tasca interna della giacca. Un’ultima sigaretta prima di tirare le cuoia. Quando i due zombie si rialzarono, grondavano sangue dalle fauci ma sembravano sazi. L’uomo privo di vita era riverso a terra in modo scomposto, con le vesti intrise del suo stesso sangue e le ossa spolpate in più punti. – Franky! – gridò Julian rivolto all’uomo a terra. Franky non ci mise molto a scuotersi e a rialzarsi in piedi. – Ehi, ragazzi, voi avete mangiato ma io ora che faccio? Prima ho visto un fast food. Che dite, ci facciamo un salto? Offro io. Sorrise. Si avvicinò a Giorgia. Le guardò con uno sbuffo le mani. – Ti sei sporcata tutta – sbottò. – Lascia che ti pulisca. Ragazzi, avete fatto un macello. Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e nonostante Giorgia fosse restia a lasciarsi pulire le strofinò il palmo con una delicatezza e una dolcezza che terminò nell’unico modo possibile: con un bacio sulla guancia scarna.
10
– Come ti chiami? – Non ha importanza. Tu puoi chiamarmi l’Autista. – L’Autista? E che nome del cazzo è? – Nel giro mi chiamano tutti così. L’uomo calvo alzò le spalle e il suo viso butterato si tramutò in un’espressione apatica. – Contento tu, contenti tutti – sentenziò con tono leggermente infastidito. – Infatti. – Quindi siamo d’accordo? Il mio amico ha garantito per te e questo in effetti è un bel punto a tuo favore. Ma se cerchi di fottermi, giuro che… – Non succederà. Avrai l’auto che hai ordinato al posto concordato. – Ottimo. Lo spero per il bene di tutti – replicò l’uomo fissandolo negli occhi un secondo di troppo. Lui non ci badò. Ci aveva fatto l’abitudine: grazie a quei due colori si era scopato un sacco di donne, inutile negarlo. – Il mio anticipo dov’è? – Nella borsa. Tremila, come da accordi. – Non ci siamo. L’anticipo è quattromila. Lo è sempre stato, senza eccezioni. – Ma che cazzo stai… Le urla provenienti dalla strada lo svegliarono di colpo, sovrapponendosi alla voce del pelato fino a farla diventare poco più di un sussurro. L’Autista aprì gli occhi in un letto che non riconobbe. – Che cazzo succede, ora? – chiese alla stanza, ma nessuno rispose. Capì di essersi appisolato, vinto dalla stanchezza, e
per un istante non riuscì a distinguere il sogno dalla realtà. A rigor di logica, la realtà era contrattare il prezzo di un pezzo da rubare e guidare fino al covo, mentre il sogno, o meglio l’incubo, era una città infestata da zombie, cadaveri e qualche sciacallo pronto a tutto per sopravvivere. Quel pensiero lo fece sorridere, perché anche lui poteva definirsi uno sciacallo determinato a non lasciarci le penne. In poche ore era evaso da una prigione, si era intrufolato abusivamente in quella casa, aveva rubato medicine e generi alimentari ovunque fosse stato possibile. Aveva fatto tutto ciò per sopravvivere, non c’erano dubbi in proposito. Le urla cessarono all’improvviso, ma pensare di tornare a dormire era semplicemente ridicolo. A giudicare dalla luce accecante che filtrava dalle finestre doveva essere mezzogiorno, o giù di lì. Si girò verso il comodino e allungò la mano per afferrare il cinturino d’acciaio del suo Daytona. Andava fiero di quell’orologio, era il suo maledettissimo portafortuna. Era stato il pagamento del primo lavoro: una splendida Mini cabrio portata al covo senza nemmeno un graffio, a parte ovviamente una serratura rotta e il blocchetto dell’accensione penzolante sotto il cruscotto. Quel tizio tarchiato gli aveva offerto il Rolex al posto dei contanti. A lui era bastato un secondo per capire che non avrebbe avuto la possibilità di scegliere un altro metodo di pagamento, e che l’unica altra opzione sensata sarebbe stata una manica di botte. Al momento gli era sembrata una vera fregatura, ora era convinto che quell’orologio fosse un potente talismano contro la sfiga. Aveva tenuto duro nei momenti più difficili, digiunato e sofferto ogni genere di privazione, pur di non separarsi dal suo portafortuna. Il Daytona gli confermò i sospetti: erano le dodici e trenta e il sole aveva deciso di sistemarsi al centro del cielo, come tutti gli altri giorni. L’Autista si chiese per quale motivo, considerato ciò che avrebbe dovuto illuminare e riscaldare. Si impose di non pensarci: doveva assolutamente evitare di cadere in depressione, di arrivare alla conclusione che stringersi una corda intorno al collo sarebbe stata la soluzione più veloce e indolore. Quella mattina ne aveva già visti parecchi, soprattutto vicino agli alberi del parco comunale. Gente che aveva perso la speranza o che non era riuscita ad accettare l’inaccettabile. Gente che aveva visto altra gente venire divorata da esseri non umani, famelici e spietati. Era difficile dare loro torto, considerate le alternative. Scese la rampa di scale fino al portone di ferro, senza curarsi di chiudere l’altra porta. Era solo, lì dentro, e il pensiero non smetteva di rincuorarlo. In più, per il
momento nessuno era ancora tornato a rivendicare il possesso di quelle case. Fece scattare il lucchetto e allentò ancora di più la catena, poi tirò verso di sé il portone quel tanto che bastava per avere una buona visuale della via a senso unico. Lo fece lentamente, cercando di evitare ogni rumore superfluo. L’unico difetto del suo rifugio era il fatto che le due finestre del soggiorno e della camera davano sul cortile interno: in pratica, erano del tutto inutili per osservare ciò che stava accadendo all’esterno. A prima vista tutto gli sembrò uguale, quadro surreale che dipingeva l’immobilità della morte in una variante sconosciuta ai più. Prima di quel giorno zero, in pochi avrebbe potuto assistere dal vivo a una scena del genere. L’Autista allungò il collo fuori dal portone e il suo sguardo abbracciò tutta la via, da est a ovest. Non vide nulla di particolare: forse c’era qualche cadavere in più, ma sarebbe stato difficile affermarlo con precisione. Decise che per quel giorno avrebbe potuto anche evitare di uscire. Poco prima di impossessarsi del suo rifugio, aveva fatto la spesa in un supermarket poco distante. Per quel giorno aveva viveri e medicinali a sufficienza. – Che cazzo di situazione – commentò a bassa voce.
11
– Dove stai andando? Che sono tutte quelle valigie nel corridoio? Julian aveva poggiato i pugni ai fianchi e aggrottato la fronte. – Cribbio, Julian, che diavolo ci fai qui a quest’ora? Non dovevi essere in terapia? Moana aveva la voce scocciata e una fretta evidente nell’infilare gli ultimi vestiti nel borsone a tracolla. – Te ne stai andando? – Julian s’infervorò. Sentiva le gote ardere e l’arsura seccargli la gola: – Mi volevi lasciare senza darmi neppure una spiegazione? – Io cosi non ce la faccio. Mi dispiace – sbottò Moana. – Mi dispiace di tutto ma rivoglio la mia vita. – La tua vita? La tua vita? – ripeté Julian incredulo. – E la mia cazzo di vita? Ho il cancro! Un fottuto cancro ai polmoni colpa di quelle merdose sigarette che ti fumi anche tu! Pensi che non rivoglia indietro la mia vita del cazzo? Infuriato, Julian colpì con un pugno lo specchio. I vetri frantumanti caddero a terra. – Bravo, sette anni di sfiga – soffiò Moana tirando la zip del borsone. Julian scoppiò a ridere. Una risata istErika e nervosa. – Mi fai paura, smettila – continuò lei mentre afferrava il guinzaglio e lo stringeva nel pugno. – Eh no – urlò Julian impedendole di uscire dalla camera da letto. – Dove credi di andare con quel cane? – Pelo viene con me.
Julian alzò il dito e glielo puntò diritto sul naso: – Che sei una donna di merda l’avevo già capito, ma che non avessi neppure un cuore è una novità recente. Moana scrollò il capo: – Pelo è mio. – Pelo è nostro! – esplose Julian l’istante prima di portare la mano al petto dolorante e piegare un ginocchio a terra. – Mi dispiace – ripeté Moana sgusciando di lato. Julian sbuffò poi prese a tossire. Una tosse nervosa che gli lasciò in mano tracce di sangue miste a saliva. Pelo apparve poco dopo, la lingua di fuori e tutto scodinzolante. Iniziò a leccargli il palmo della mano e le guance bagnate dalle lacrime. Julian strinse l’amico fedele a sé. L’odore di borotalco era forte, gli salì sulle narici. Non riusciva a smettere di accarezzarlo, sapeva che se l’avesse fatto non l’avrebbe più rivisto. Il pensiero lo lacerò di nuovo. Gli accarezzò il lungo muso e lo guardò diritto negli occhi. In silenzio restò a fissarlo. Voleva imprimersi nella mente quelle pupille scure che non avevano interesse per la malattia o le limitazioni che avrebbe comportato. Pelo lo leccò di nuovo sul volto. Julian sorrise. – Andiamo, Pelo, muoviti! Moana tirò il guinzaglio. Pelo abbaio più volte, poi scomparve dietro la porta sbattuta con indifferenza. Julian allungò le gambe e si distese sul pavimento. Infilò la mano nella tasca dei jeans e afferrò la scatolina blu. La sollevò sopra la testa e la rigirò fra le dita. Appena udì l’auto sgommare piegò il braccio e la gettò dalla finestra
12
La vide un attimo prima di ritrarre la testa all’indietro, al sicuro. Le sembrò una visione, miraggio ancora più irreale del contesto nel quale si trovava. Era il tassello fuori posto, la tessera del puzzle inserita a forza, ma chiaramente sbagliata. Era candore, innocenza, vita contrapposta a quella sensazione di morte che sembrava aver inghiottito ogni aspetto di un’esistenza ritenuta normale. Lei non lo notò. Se ne stava immobile su un lato della strada che correva perpendicolare a quella a senso unico, indecisa su come proseguire. Sembrava stesse aspettando il momento giusto per attraversare, accondiscendendo quella logica che, nel vecchio mondo, le avrebbe suggerito di farlo soltanto in assenza di veicoli in movimento. L’Autista sgranò gli occhi, stupefatto. Quella bambina bionda avrà avuto dieci anni. Era vestita in un modo sorprendentemente curato e pulito: la felpa rosa pareva immacolata, senza tracce di sporco o sangue rappreso. Nel vecchio mondo sarebbe stato del tutto normale, ma lì, in una strada affollata di cadaveri in decomposizione, non lo era affatto. Dopo qualche secondo lei si mosse e attraversò la strada, dandogli le spalle. L’Autista pensò di urlare per richiamare la sua attenzione, ma ciò che accadde gli strozzò la voce e gli tolse il respiro. Da un angolo sbucarono tre zombie: due uomini e una donna che sembrava procedere arrancando. Osservò meglio e si accorse con orrore che le mancava il piede sinistro: quella cosa trascinava a fatica il moncherino insanguinato, lasciando scie scarlatte sull’asfalto come fosse la lumaca di Satana, giunta direttamente dall’inferno. L’Autista imprecò in silenzio, poi rivolse una breve preghiera a chiunque fosse in grado di ascoltarlo, compresi alcuni santi dei quali ricordava vagamente il nome. I due uomini superarono l’incrocio e non si curarono della bambina alla loro destra, distante circa una ventina di metri. Qualcosa, o qualcuno, penzolava dalle loro mani luride e lui ne fu enormemente sollevato. Ricordò di avere già notato un comportamento simile: alcuni zombie parevano indifferenti all’ambiente circostante, probabilmente già sazi di carne umana. Fu il turno della donna, che attraversò l’incrocio lentamente e con andatura incerta. Anche lei girò la testa alla sua destra, ma poi, a differenza dei due uomini, rallentò fino a fermarsi.
– Porca puttana. No, porca puttana. No… – sibilò l’Autista immaginando quello che sarebbe successo da lì a poco. Non era poi così difficile prevederlo e quella consapevolezza gli fece muovere le dita in modo frenetico. Non poteva certo definirsi altruista, tutt’altro. Nella sua vita aveva sempre adottato il motto di farsi i cazzi propri e sperare di campare fino a cent’anni, ma non avrebbe mai permesso che una bambina innocente venisse divorata da bestie immonde. C’erano limiti che non potevano essere superati, in nessun caso. Quello era di sicuro l’esempio più lampante. Afferrò una spranga di ferro che aveva trovato nel sottoscala insieme alla catena e si precipitò fuori. Come previsto, la donna si fermò in mezzo all’incrocio e dopo pochi secondi imboccò la via alla sua destra, accelerando quel suo o strascicato. L’Autista ebbe due pensieri: primo, la donna stava procedendo contromano, e questa fu la considerazione più inutile che gli fosse mai venuta in mente; secondo, la bambina si era inspiegabilmente fermata, continuando a dare le spalle a entrambi. Osservava le finestre in alto, come se con lo sguardo stesse cercando un punto di riferimento. – Corri, Cristo santo. Corri! – urlò con tutto il fiato che aveva. Lei finalmente si girò e rimase impietrita, incapace di muovere un solo muscolo. La donna si portò a pochi metri dalla sua felpa rosa immacolata. – Per la miseria, scappa! – sbraitò di nuovo lui, ma la bimba non si mosse di un millimetro. A un tratto lo zombie si voltò, attratto dal rumore del ferro contro l’asfalto. Ciò fu sufficiente a guadagnare dei secondi che fecero la differenza. L’Autista arrivò a un metro dal mostro claudicante: senza fermare la sua corsa allargò il braccio verso l’esterno del corpo, poi spostò tutto il peso sul piede sinistro, facendo partire la spranga come fosse una molla ben caricata. L’effetto fu dirompente. La faccia scavata della donna, sostenuta da ossa ormai marce, andò in mille pezzi, esplodendo all’istante. L’Autista fu investito da un’onda di materiale cerebrale gelatinoso e appiccicaticcio che gli insozzò braccia, gambe e collo, mentre il corpo in pratica decapitato si afflosciò su se stesso come un burattino senza vita. L’Autista gettò a terra la spranga di ferro, quindi piegò in avanti il busto per riprendere fiato. Sentì la ferita pulsare sotto la fasciatura e dovette sforzarsi per trattenere i conati di vomito indotti dalla vista di tutti quei pezzetti di cervello attaccati al proprio corpo come fossero piccole calamite.
– Meglio tornare al riparo. Abbiamo fatto troppo casino, per oggi – fu l’unica cosa che riuscì a dire alla bambina, e tanto bastò a entrambi come presentazione ufficiale.
13
Il fast food era aperto. Buona parte dei tavolini erano rovesciati a terra come le seggiole abbandonate in fretta. Sul pavimento c’erano pezzi di hamburger appena assaggiati e patatine impregnate di ketchup o sangue. I muri e il soffitto gocciolavano uno strano liquame scuro mentre le impronte delle mani, come quadri, tappezzavano le pareti. L’odore tuttavia era ancora invitante, seppure sembrasse di carne bruciata. Per Julian convincere gli amici a seguirlo fu abbastanza semplice. Una volta presi Giorgia e Bruno per mano, Franky li seguì buono e docile, come un agnellino. Si, un agnellino… – Aspettate qua, ragazzi, vado a vedere se c’è qualcosa da mangiare, là dietro. Ho una fame! Julian superò il bancone diretto in cucina. Sulle piastre bruciavano ancora forme di hamburger ridotti ormai a pezzi di carbone mentre patatine sfrigolavano nell’olio bollente sollevando fumo denso e scuro. – Che spreco – sbottò deluso mentre, tra i colpi di tosse, accendeva le ventole di aspirazione. Prese a guardarsi attorno finché vide ciò che stava cercando. La porta d’acciaio della dispensa rifletteva la luce dei neon. Julian sorrise di nuovo. Aveva una tale fame che avrebbe raccolto anche gli hamburger sul pavimento, se non ci fosse stato tutto quel sangue. Fece leva sulla maniglia ma la porta era bloccata. Imprecò, poi prese a colpirla con pugni e calci. Scosse il capo infastidito finché tornò a cercare fra i banconi della cucina. Forse era rimasto ancora qualcosa da mangiare. – Ehi… Di riflesso Julian si voltò.
– Sei normale, amico? – chiese un buffo ragazzetto da dietro la porta d’acciaio appena scostata. – Certo che lo sono – soffiò Julian amareggiato. – A me non sembra. Sei pallido e magro come quelli là fuori. E quelle occhiaie sotto gli occhi… Julian digrignò i denti, poi cercò di rilassare le mascelle. Solo un minuscolo moscerino lo separava da quella dispensa colma di cibo. – Hai del cibo, là dentro? Sto morendo di fame. Il ragazzino aprì la porta. Indossava una divisa celeste e il cappellino con l’insegna del locale in testa. Non era solo. Alle sue spalle scorse un altro uomo e una bambina con i boccoli e il grembiulino della scuola. – Amico, hai una brutta cera davvero! Sembri sgusciato fuori da una cassa da morto, con quell’abito che indossi. Il tipo che aveva parlato sembrava appena uscito da una bettola. Indossava una canotta macchiata di sudore sul petto gonfio e sotto le ascelle. La barba grigia, spruzzata di rosso, gli ricopriva buona parte del viso lasciando appena visibili gli occhi sfuggenti. Julian trattene l’ennesimo sfogo di rabbia: – Ho detto che sto bene. – Sei solo? – continuò lo sconosciuto lisciandosi la barba. – Certo – ringhiò Julian. – Fuori non c’è più nessuno. Ho solo fame. Ve lo chiedo per favore, datemi qualcosa. L’uomo storse le labbra e serrò le palpebre: – Dammi prima l’orologio. Julian abbasso lo sguardo, sfilò senza esitazione il Rolex e l’appoggiò sulla mensola di uno dei tavoli. Poi si scostò di alcuni i. Uno alla volta uscirono. La bambina, con gli occhi umidi, per ultima. Il ragazzino con il cappellino corse alla piastra: – Merda, quando sei entrato
abbiamo avuto paura che fossero di nuovo quei mostri e abbiamo lasciato tutto a cuocere. – Quell’idiota – iniziò l’uomo barbuto, – non riesce a ricordare dove ha appuntato quel dannato codice di sicurezza per bloccare le porte. Restiamo qua dentro solo per il cibo. Almeno finché ce n’è. Il ragazzino alzò le spalle: – Te l’ho già detto. Lavoro qui da tre giorni. L’uomo soffiò. Si avvicinò all’orologio, lo guardò con cura, poi lo allacciò al polso: – Molto bello. Julian annuì. Lo è davvero, pensò mentre gettava uno sguardo all’interno della dispensa. – Io mi chiamo Pedro, e tu? – chiese il ragazzino raschiando con una spatola sulla piastra. – Julian – rispose con un filo di voce. L’uomo barbuto afferrò la bambina e se la tirò sulle spalle. Forse per cercare di farla sorridere le mostro l’orologio che si era messo al polso. – Dove stai andando? – chiese Julian. L’uomo si fermò e si voltò: – Vuoi che ti chieda il permesso per andare a pisciare? Julian scosse il capo. L’uomo riprese a camminare e si affacciò nella sala. – Cazzo, non sei solo! Li udì appena gridare da dietro la porta d’acciaio che Julian si era tirato veloce alle spalle. – Apri, bastardo maledetto! Apri! Incurante delle grida sfilò fra gli scaffali che riempivano il magazzino. Analizzò con l’acquolina in bocca ogni bontà che il fast food poteva offrire. Aveva sempre desiderato vedere cosa si nascondesse in quei locali inaccessibili. Quando anche
l’ultimo lamento fu consumato uscì con una fetta di pane spalmata di maionese e una busta di hamburger pronti da cuocere. Erano anni che non mangiava carne. Non ne sopportava più la vista, né il sapore. Eppure in quel momento il pensiero della carne sotto i denti lo faceva impazzire di gioia. – Tobia, vecchio cane bastardo. Credo tu abbia qualcosa che mi appartiene. Julian lasciò il cibo sul tavolo e si avvicino all’uomo barbuto che aveva una guancia strappata da cui si intravedeva il muscolo della mascella e la fila dei denti ingialliti. Gli afferrò il braccio e lo liberò dall’orologio. – So che non farai più il prepotente e per questo ti perdono. Sorrise. – E tu – iniziò rivolto al ragazzino che grondava sangue da un occhio, senza più il cappellino in testa – d’ora in poi ti chiamerai Pedro la Pulce, e questa dolce bimba con il grembiulino sporco di sangue... A te, piccola mia – disse stringendola in un abbraccio che ne lasciò tracce di sangue e pelle sulla giacca nera, – ti chiamerò Lucy. Si avvicinò alla piastra bollente, sulla quale schizzi di sangue sfrigolavano dissolvendosi in fretta. Dispose due hamburger a cuocere. Li fece un poco al sangue con del formaggio sopra. Poi li mise tra le fette di pane e si recò dietro il bancone. Giorgia e altri amici ciondolavano di nuovo per la stanza. Era da tempo che non ricordava di avere cosi tanti amici. Prese un bicchiere vuoto dalla pila accanto al dispenser e lo riempì di Coca Cola. Posò il tutto su un vassoio che sistemò a uno dei tavolini. Raccolse una seggiola e si sedette mentre gli amici continuavano a girargli intorno. Julian era felice. Sentì di nuovo le lacrime scivolargli sulle guance mentre dava il primo morso. Fuori le strade erano deserte. Nessun alito di vento. Solo pace e quiete. A un tratto capì che poteva finalmente arrendersi alla stanchezza accumulata. Qualche minuto, pensò chiudendo gli occhi.
14
L’Autista diede un’occhiata al suo maledetto portafortuna, il Rolex Daytona. Erano da poco ate le 14 e lei era ancora chiusa nella stanza che un tempo, nel vecchio mondo, era stata una specie di studio. O forse locale hobby, per definirlo con un termine più moderno. Non sapeva nulla dei legittimi proprietari. Nell’appartamento non vi erano foto di famiglia o ritratti in bella vista, e lui non aveva avuto nessuna voglia di aprire cassetti alla ricerca di informazioni prive di qualsiasi importanza. Aveva curiosato soltanto nell’armadio della camera, scoprendo degli indumenti da uomo e alcuni vestiti da donna che sarebbero potuti andare bene a persone adulte di qualsiasi età, a patto che fossero abbastanza in carne. – Abbastanza in carne, cioè un pasto succulento – mormorò tra sé. Si pentì subito di quell’ultimo pensiero e di conseguenza decise di andare dalla bambina. Lo aveva seguito senza dire una parola, poi, una volta entrati in casa, si era infilata in quella camera chiudendo la porta alle sue spalle. Lui non era intervenuto: sapeva che in certi momenti era necessario restare soli e ne aveva approfittato per farsi una bella doccia, per lavare via tutta quella merda che gli si era appiccicata addosso. Il getto d’acqua calda aveva attenuato le fitte alla coscia e la sensazione di pulito donato nuova energia. Si era medicato con cura, poi aveva indossato nuova biancheria intima, una felpa blu con il cappuccio e un paio di jeans scoloriti, il tutto preso durante la spesa. Bussò alla porta. – Come stai? – chiese senza troppa convinzione. Non ottenne risposta, quindi stabilì che, dopo più di un’ora, era giunto il momento di entrare e affrontare di petto la questione. Trovò la bambina sdraiata a terra, con la schiena appoggiata a un armadio a muro alto fino al soffitto e lo sguardo perso nel vuoto. Il lato opposto della stanza era occupato da un divano rivestito di stoffa verde e, accanto, una piccola scrivania sulla quale qualcuno aveva collocato delle riviste patinate che
mostravano foto di giardini ben curati. Lei alzò la testa, lo vide e gli sorrise. – Ciao. Stai bene così – esordì. L’Autista ricambiò il sorriso, sorpreso di come fosse stato semplice rompere il ghiaccio. – Grazie. Anche tu stai bene. Aveva un’esperienza in fatto di bambini prossima allo zero. Figlio unico, per tutta la vita era stato concentrato in attività di sopravvivenza nelle quali lo spazio per i giochi e per le amicizie aveva avuto un ruolo del tutto marginale. La madre si era impegnata a fare del suo meglio, con doppi turni in fabbrica e i festivi quando capitava, ma in ogni caso la sua non era stata un’adolescenza tranquilla. Maria... Il pensiero di sua madre gli procurò un crampo allo stomaco. Appena arrivato al quartiere 15 aveva capito che i palazzi popolari dove lei abitava erano da considerarsi off–limits: semplicemente andati, infestati da decine di branchi di zombie in movimento. Gli era stato impossibile avvicinarsi a casa e non aveva la più pallida idea di dove lei potesse essere, soprattutto se fosse ancora viva. – Come ti chiami? La domanda fu uno schiaffo ben assestato che lo riportò al presente. Deglutì. – Tutti mi chiamano l’Autista – rispose nel tono più dolce che riuscì a pronunciare. – Ma tu, se vuoi, puoi chiamarmi Willy. – È il tuo vero nome? – chiese la bambina. – Sì. – Willy mi piace! – esclamò alzandosi in piedi. – Io invece mi chiamo Erika e ho già nove anni. Willy le porse la mano. Sapeva che c’erano delle questioni che sarebbe stato meglio chiarire subito, ma preferì proseguire la conversazione con la dovuta calma. – Allora tanto piacere, Erika di già nove anni. Lei rise compiaciuta. – Perché ti chiamano in quel modo buffo?
– Per il mio lavoro. – Sei un tassista? – Più o meno – mentì lui. – Però porto in giro solo le auto, senza persone dentro. – Figo! – stabilì Erika. – È come per i cani, allora sei un car sitter. Willy non riuscì a trattenere la risata. Non aveva mai pensato al suo lavoro in quella prospettiva. – Mettiamola così. – Ok. Sei simpatico. – Anche tu lo sei – ammise Willy. Fino a quel momento se la stava cavando discretamente, ma era giunto il momento di fare un o in avanti. – Dove sono i tuoi genitori? – domandò cauto. Erika abbassò lo sguardo, improvvisamente attratta dalle geometrie delle piastrelle di ceramica beige. – Fuori per lavoro – rispose dopo un attimo di esitazione. Poi, come a compensare, accelerò la parlata: – Mio padre è all’estero da inizio febbraio. Viaggia sempre. Viaggia tantissimo e l’ultima volta mi ha portato il nuovo iPad. – Che bello! Davvero? – Sì. La mamma invece non lo so – confidò dispiaciuta. – Doveva tornare in città stamattina per venirmi a prendere da Lara e portarmi dalla nonna. Però non è arrivata. – Chi è Lara? – domandò Willy. – La mia compagna di classe. Facciamo a turno per i compiti. Il martedì stiamo sempre nella sua cameretta e a volte dormo lì. – Ieri sei stata da lei? – Sì. – Erika alzò il mento, poi si ò la mano tra i capelli biondi e lisci. – Anche il papà di Lara viaggia tantissimo. Sai che a volte si sono incontrati sullo stesso aereo? Non è stranissimo?
– Molto stranissimo – riconobbe Willy. – Ma non si dice così – lo rimproverò lei. – È proprio sbagliato – aggiunse con un sorriso spontaneo, privo di due incisivi. In quella risata emersero tutte le contraddizioni della sua età. – Hai ragione – si scusò Willy. Attese un istante, ma capì che non doveva perdere la direzione del discorso. – Oggi la mamma di Lara è stata con voi? Erika lo fissò stupita, come se fosse una domanda decisamente sciocca. – Sì, certo. – Okay. – Per colazione ha cucinato le frittelle e dopo ci ha fatto fare il bagno – ci tenne a precisare. – Prima di andare mi ha anche regalato questa felpa, perché la mia si era sporcata di marmellata. – Dov’è ora la mamma di Lara? – chiese Willy soffocando una sensazione di angoscia crescente. Aveva un brutto presentimento, perché non era normale che una bambina fosse in strada da sola con quello che stava succedendo. Nulla era normale, a pensarci bene. La normalità era andata a farsi fottere chissà dove. – Dai suoi amici – replicò Erika con leggerezza. Lo guardò di nuovo e rimase zitta per un momento. – Tu perché hai gli occhi così? – proseguì tranquilla. Willy decise che non era il momento di parlare della sua eterocromia o come diavolo si chiamasse. Fece finta di nulla e ignorò la domanda. – Quali amici? – I suoi amici. Gli angeli. – Gli angeli? – ripeté Willy sempre più agitato. Quella storia non gli piaceva affatto e ne intuiva chiaramente il motivo. – Di quali angeli parli? – I suoi amici angeli – confermò Erika spazientita. Si voltò di scatto verso la parete alla sua sinistra, ma nella stanza non c’erano finestre. Willy ebbe paura di insistere. Pensò che un o falso avrebbe potuto bloccare la bambina, generare una reazione imprevedibile, farla piangere a dirotto. D’altronde le sue erano solo supposizioni, perché non sapeva un cazzo di
psicologia infantile. L’unica linea di condotta che conosceva era quella della strada, imparata per la necessità di non farsi fottere da qualche agente o da qualche ricettatore. Notò con sgomento che la conversazione stava perdendo ritmo e decise di rischiare: – Ti va di raccontarmi cosa avete fatto? – Certo, è facile – ribatté Erika con un sorriso. – Ci siamo svegliati prestissimo, per aspettare mia mamma. Poi io e Lara ci siamo vestite e abbiamo fatto colazione. Mentre aspettavamo, abbiamo guardato i cartoni in dvd e fatto anche il bagno. Verso mezzogiorno la mamma di Lara ci ha detto che andava a trovare gli amici angeli e di fare le brave in sua assenza. Il cuore di Willy accelerò e una morsa gli strinse la bocca dello stomaco. Quella bambina nelle ultime ore aveva vissuto una serie di traumi devastanti per chiunque, ma lui doveva sapere. Doveva avere delle conferme. Sentì un vampata di calore raggiungergli le orecchie e, prima di proseguire, si sedette sul divano. Fece un respiro profondo. – E poi cosa è successo? – le domandò cercando di celare la sua preoccupazione. Erika lo squadrò in un modo che lo fece rabbrividire. – La mamma di Lara ha aperto la finestra e si è gettata fuori. Però io non credo che sia volata dai suoi amici. – E tu? – balbettò Willy abbassando gli occhi, incapace di sostenere quello sguardo. – Tu allora sei uscita da sola? – Sì. – E Lara dov’è andata? – È rimasta a casa sua – rispose lei con indifferenza. – Vuoi sapere un segreto? Willy fissò quel visetto per lui indecifrabile. – Quale? – chiese. – A me Lara non è mai stata tanto simpatica – sentenziò Erika lapidaria.
15
Con un sonoro sbadiglio Julian si svegliò, le forti emozioni avevano preso il sopravvento. Fuori il sole aveva squarciato le nubi e i raggi filtravano con violenza dalle vetrate imbrattate. Sbatté le palpebre. Imprecò. Una delle porte era aperta. Si guardò attorno. Si scoprì di nuovo solo. – No, no, no… – continuò a urlare finché avvertì l’ennesima morsa al petto soffocargli il respiro. Scansò la seggiola con rabbia e si accasciò a terra in preda agli spasmi. Strinse i denti e si portò strisciando fino all’esterno. Le strade erano deserte, si udiva appena il rombo metallico di un motore lontano, segno che la vita non si era ancora arresa. – Giorgia! – gridò con gli occhi velati. – Giorgia… dove sei! All’ennesimo grido Julian scoppiò in una tosse convulsa e incoercibile che lasciò sull’asfalto altro sangue. – Giorgia – soffiò appena prima di perdere i sensi.
Quando rinvenne, la luce dei neon gli ferì gli occhi. Le voci che udiva erano simili a sussurri lontani. Portò una mano di taglio alla fronte. La luce si attenuò. Batté più volte le palpebre: non riusciva a credere che quelle che vedeva fossero aste di ferro. Si sollevò dalla misera branda in cui era stato adagiato e si precipitò alle sbarre della prigione. – Che cosa volete da me? – domandò ai due uomini armati di fucile che vide appoggiati alla parete. Indossavano tute mimetiche ed erano occupati a confabulare fra loro. – Non si è ancora trasformato, ma lo farà presto.
Julian si guardò attorno in cerca di chi avesse parlato. – Io sto bene! Sto bene! – Sei solo un morto che parla – gli rispose uno dei due uomini raddrizzando la schiena. – Ho un cancro ai polmoni – spiegò Julian, non troppo certo di avere fatto la cosa giusta. Uno degli uomini fece un cenno all’altro e si avvicinò. Teneva un sigaro in mano e quando fu prossimo alle sbarre tirò una generosa bocca di fumo e glielo soffiò in faccia. – Ti piace? Julian prese a tossire. – Devi solo ringraziare che non ti abbiamo ammazzato dove ti abbiamo trovato – replicò l’uomo avvicinando di nuovo il sigaro alle labbra. – Io ti avrei crivellato di colpi come a quegli altri. – Quali altri? – chiese Julian con un filo di voce mentre sentiva le ginocchia farsi molli. – Quel branco di bestie che stavano impalate nei pressi del fast food dove ti abbiamo trovato. Erano come in attesa. – Certo, capo! – intervenne l’altro uomo da lontano. – In attesa dei nostri proiettili! Julian si lasciò andare a terra. Le lacrime gli velano la vista. Solo l’udito era riempito dalle risate fragorose dei due uomini. Ingoiò rabbia. – Non mi sono accorto di nulla. – Vorrei vedere – sibilò velenoso l’uomo con il sigaro. – Ci hai preso per stupidi? Abbiamo usato il silenziatore. Il rumore attira quei bastardi come la
merda le mosche. – C’era anche una donna in quel gruppo? – Le labbra di Julian vibravano. – E una bambina con i boccoli? – Sì – confermò l’uomo. – Una baldracca e il suo pulcino! Perché, li conoscevi? – No – rispose. Ma avrei voluto… – Allora perché l’hai chiesto? – ribatté l’altro seccato. Julian non rispose. Si ò la manica della giacca sugli occhi e si alzò, cercando di mantenersi saldo sulle gambe. – Sto bene. Non ho nessun morso. Guardate pure, se volete. Tirò su le maniche della giacca e mostrò le braccia. Scarne ossa ricoperte di pelle livida e tatuaggi orientali quasi irriconoscibili. L’orologio non c’era. Se ne era già reso conto, ma non disse nulla. Era certo che l’avesse preso uno di loro. – È disgustoso – sbottò l’uomo soffiando un’altra boccata di fumo. – Forza, Trev, fallo uscire e mandalo a crepare dove vuole. Meglio non sprecare cibo per chi non ha neppure la forza di impugnare un’arma. Trev si avvicinò, facendo roteare il mazzo di chiavi attorno al dito, e aprì la porta della prigione. – Ragazzi, presto, da questa parte! Da dietro la parete che non riusciva a vedere sbucò un altro ceffo con il viso butterato: – Sono là fuori!
16
– Hai ancora fame? Erika fece segno di no con la mano e l’Autista ne fu sollevato. Quando era andato a fare la spesa non aveva tenuto in considerazione il fatto di dover sfamare anche una bambina di già nove anni. E perché mai avrebbe dovuto pensarci? Sapeva che sopravvivere a quell’inferno da solo era molto difficile, ma con lei sarebbe stato praticamente impossibile. Non conosceva un cazzo del mondo dei bambini e, in ogni caso, le strade infestate da quelle cose rappresentavano per Erika una condanna a morte certa. Come avrebbe potuto farcela? Probabilmente era rimasta sola al mondo, ma lui aveva già una montagna di merda da spalare per cercare di salvare la pelle. Non poteva, anzi proprio non voleva farsi carico di una simile responsabilità. A breve sarebbero finiti i viveri da saccheggiare, l’acqua per lavarsi, l’elettricità per illuminare. Era così ovunque? Non ne aveva la più pallida idea. Da quando si era svegliato in infermeria su quella barella lurida, non aveva avuto modo di ottenere informazioni aggiornate. Tutti i canali TV erano ridotti a rumore di sottofondo, Internet era collassata, la rete cellulare e quella fissa ridotte al silenzio. Magari esistevano luoghi sicuri, luoghi dove le persone sane si erano radunate per darsi una mano a vicenda. Luoghi dove lei avrebbe potuto avere una minima chance. Già, ma come avrebbe potuto scoprirlo? Da quando era evaso dalla prigione, le uniche persone ancora umane intraviste di sfuggita erano disperati come lui. Vagabondi e tossici in lotta per la vita, pronti a tutto pur di non soccombere. Erika sarebbe stata una preda facile sia per gli zombie, sia per quella gente senza futuro. – Cosa pensi? – chiese lei a un tratto, ingarbugliando il filo logico dei suoi pensieri. – Niente di particolare – mentì Willy.
– Non è vero. – Non ha importanza, credimi. Erika perse interesse e non indagò oltre. Aveva finito di pranzare: prosciutto cotto seguito da tonno in scatola, il tutto mangiato in silenzio. Dopo quella confessione in merito all’amica antipatica era uscita di corsa dal locale hobby. Willy l’aveva seguita e, sempre più disorientato, le aveva chiesto se avesse fame. Lei allora si era girata, rispondendo con un semplice: – Sì, grazie. – Ti va di andare alla mia scuola? – domandò Erika a bruciapelo, con un tono di pura normalità che era del tutto fuori luogo. – Magari incontriamo qualche maestra. – La tua scuola? – domandò Willy inghiottendo a vuoto. Sembrava che lei non ricordasse nulla del sangue, della donna zombie e di tutti quei cadaveri ammassati ai margini delle strade. Possibile che avesse semplicemente resettato la sua memoria? Un fiume in piena di rabbia gli inondò il cervello. Non esistevano punizioni adatte per chiunque fosse stato il colpevole di quell’inferno. – Sì – annuì Erika. – Non ci vuole molto, da qui. È vicina alla stazione 26 della metropolitana. Willy si diresse verso il lavabo della cucina, dove ingoiò un analgesico e bevve un sorso d’acqua che sapeva di ferro.– Sei sicura? – Certo – fece lei offesa da una tale mancanza di fiducia. – Lo so perché mia sorella prende la metro proprio lì. Tutte le mattine, dopo avermi accompagnato a scuola. Ieri mi ha anche lasciato il suo iPod rosa perché dalla nonna è una noia pazzesca! Willy la fissò. – Tu hai una sorella? Erika gli diede un’altra occhiataccia, quasi fosse offesa per una domanda tanto idiota. – Certo. Non lo sapevi? Willy si trattenne dal rispondere che ovviamente non lo sapeva. Come cazzo avrebbe potuto saperlo? – No, mi spiace – si limitò ad aggiungere. – Be’, ora lo sai. – Erika alzò le spalle, rassegnata alla sua evidente stupidità.
Willy all’improvviso si sentì stanco e desiderò solo chiudere gli occhi per un istante. Forse per più di un istante. – Dovresti conoscerla – propose Erika con evidente orgoglio. – Si chiama Marika. E, credimi, è un vero schianto!
17
– Fatti da parte, morto che parla. E considerati fortunato. Oggi ti proteggiamo il culo! Julian li guardò lasciare la stanza in tutta fretta con i fucili spianati e le mascelle contratte. Fortunato… sì, lo sono… Udì una serie infinita di raffiche giungere dall’esterno, poi un’esplosione. Le pareti della stanza vibrarono e dal soffitto caddero pezzi di intonaco misti a polvere. Julian si coprì il capo con le mani, si guardò attorno. La porta della stanza era aperta. Lungo uno dei corridoi, appena illuminati da neon sfarfallanti, incrociò i volti atterriti dei disperati che avevano trovato riparo. Erano rannicchiati sul pavimento, stretti gli uni agli altri. Gli occhi arrossati, le guance rigate dalle lacrime. Donne, uomini e bambini, persino un cane accucciato a terra, con il muso coperto da una zampa. Sporco e denutrito. Ognuno di loro mostrava evidenti i segni degli scontri. Tagli ed escoriazioni e vesti lacerate. Julian si avvicinò con il sorriso a filo delle labbra. Li vide inorridire e distogliere lo sguardo, ma fece finta di nulla. Solo il cane si era alzato e aveva preso a leccargli una mano. Julian sorrise: – Ti chiamerò Teddy, sì, ti chiamerò così e mi prenderò cura di te. Poi si voltò: – Quali sono i vostri nomi? Nessuno rispose. Non importa, pensò. Presto ne avrete uno… Una nuova deflagrazione, più violenta della precedente, fece tremare pavimento e soffitto. I neon presero a ondeggiare e la luce fluttuò in una sinistra intermittenza sulle pareti.
Teddy iniziò a ringhiare mettendo in mostra i denti aguzzi mentre un filo di bava chiara gli pendeva dall’angolo della bocca. Le unghie lasciavano solchi sul pavimento di linoleum e il muso era teso verso il corridoio. Julian gli ò la mano sulla nuca e lo accarezzò con affetto. – Buono, bello. I nostri amici sono venuti a prenderci. Dal fondo del corridoio un’ombra scura si allungò sul pavimento ricoperto di calcinacci mentre un sottile strato di polvere galleggiava nell’aria. Quelli rannicchiati a terra si erano sollevati con le spalle contro la parete e lo sguardo fisso verso l’ombra che avanzava. Appena Julian vide sbucare il volto familiare di Trev, sorrise. Fu il solo. Teddy abbaiò più volte mentre le grida degli altri sovrastarono il verso gutturale dello zombie che spalancava le fauci e mostrava le braccia, devastate, tese in avanti. Julian si voltò. – Aspettate! Dove state andando? Vi prego, aspettate! Teddy iniziò a guaire e si accovacciò a terra, tra i piedi di Julian, con il muso tra le zampe anteriori e gli occhi pietosi che guardavano in alto. Trev si avvicinò barcollando, le pupille velate. La maglietta militare a brandelli mostrava monconi di costole. Julian sorrise di nuovo ma Trev non si fermò, abbassò lo sguardo e si avventò sull’animale. Julian cercò di fermarlo, si piegò in avanti cercando di proteggere il cane con la violenza di un abbraccio. Il dolore che avvertì al collo fu lancinante. Così intenso che il grido gli restò soffocato in gola. Teddy corse via con la coda fra le zampe, e scomparve nella stessa direzione che avevano preso gli altri. Julian avvertì la vista offuscarsi. Il cuore accelerò i battiti e un ronzio gli riempì i timpani. Barcollando si appoggiò alla parete, il fiato corto. Sentiva il calore del sangue colare sul collo e la ferita pulsare al ritmo dei battiti. Ecco, pensò, mi ha morso. Sto arrivando, amici miei. Ancora pochi istanti... Si afflosciò a terra, in attesa della mutazione. L’aspettò come una benedizione. Trev cadde supino poco più avanti. Un rumore liquido. Julian ne vide la sagoma contorcersi di nuovo negli stessi spasimi che l’avevano riportato in vita e che presto avrebbe sentito anche lui. Eppure stavolta non accadde. Trev restò a terra, immobile. Julian batté le palpebre più volte. La vista si schiarì, il cuore tornò a pulsare in modo regolare e il respirò si calmò.
– No – sibilò Julian con un filo di voce. – Non può essere. Deglutì e si sollevò da terra. Si avvicinò esitante al corpo di Trev che aveva la bocca aperta e macchiata di sangue. Il suo sangue, che dopo anni di chemio era diventato cosi scuro e denso che pareva catrame. Sangue infettato che ora era veleno, per quegli esseri. Julian avvertì una lacrima rigargli il viso. Si asciugò in fretta, liberò i polsi. L’orologio non c’era. Sbuffò. Si rialzò e, lungo il corridoio, trascinò se stesso nell’abisso di pensieri sempre più cupi e confusi. Anche l’ultima porta antipanico era aperta. Non si udivano né spari né deflagrazioni. Tutto taceva. Un silenzio di tomba.
18
Alla fine aveva ceduto: Erika all’improvviso aveva avuto un momento di lucidità e, invece di andare alla sua scuola, lo aveva convinto a mettersi alla ricerca di Marika, la sorella più grande. Non che avessero qualche probabilità di ritrovarla viva, questo Willy lo sapeva bene, ma in fondo aveva bisogno di muoversi, di fare qualcosa di più concreto che nascondersi dalle creature che avevano distrutto il mondo. E la ricerca di una sorella fantasma era meglio di niente, se non altro perché in questo modo Erika sembrava più tranquilla. – D’accordo, andiamo a cercarla – aveva acconsentito stremato, dopo che lei gli aveva tenuto il muso, aveva strillato e aveva cercato di rinchiudersi in bagno. – Non ti credo – era stata la risposta piena di diffidenza della bambina, e lui aveva dovuto fare quella cosa del dito sul cuore che disegna una croce e pronuncia le parole magiche. – Giurin giuretta e che mi caschi la lingua se dico bugie. Alla fine Erika era uscita dal bagno felice come una Pasqua e lo aveva abbracciato stretto. – Vero che la troveremo? – aveva chiesto. E lui aveva risposto, cercando di nascondere la smorfia che gli tirava le labbra: – Ma certo. Guarda che io sono un mago a ritrovare le persone. Quando aprirono il portone e scesero in strada il sole aveva già iniziato a muoversi verso ovest. La luce del pomeriggio illuminava quello scempio con gelida indifferenza, mettendo in risalto particolari che sarebbe stato meglio nascondere per sempre. Willy calcolò che gli restavano circa tre ore per tentare un’impresa disperata: prima del tramonto, volente o nolente, l’avrebbe portata a casa, al sicuro. – Hai detto che tua sorella prende la metro in questo quartiere, giusto? E dove scende? – le domandò nervoso. Scrutò in giro con attenzione, allarmato dalla
possibile presenza di cadaveri ambulanti o, peggio, di cani trasformati. Per il momento, sembrava tutto tranquillo. Troppo tranquillo. – Alla fermata 28 – rispose Erika senza scomporsi. – Non è lontana. Una volta siamo andate a piedi fino alla 30 – aggiunse prendendogli la mano. – Vieni. Se iamo dal parco, facciamo prima. Willy le diede un’occhiata e si chiese per quanto potesse ancora resistere. Sembrava tornata in trance, pareva che il suo cervello avesse deciso di sovrapporre il ricordo della vecchia realtà alle immagini trasmesse dagli occhi. Il sangue ovunque, i corpi smembrati, gli zombie per lei semplicemente non esistevano. Forse in quella situazione poteva considerarsi un vantaggio, ma il risveglio sarebbe stato terribile. – Okay, andiamo alla 28 – acconsentì rassegnato. Fece un respiro profondo e valutò il peso della sbarra ben salda nell’altra mano. – Ma vediamo di muoverci – aggiunse secco. Attraversare il parco comunale fu relativamente semplice. In quello spazio aperto era più facile notare movimenti strani e gli zombie parevano non avere una gran vista. Bastava are a distanza di sicurezza, abbastanza lontani da non stuzzicare il loro appetito con il proprio odore. Uscirono dal cancello principale, vicino al luogo dove Willy aveva assistito alla prima mattanza, poi imboccarono la via a doppia corsia che correva per tutto il quartiere 27, tagliandolo in due parti grosso modo simmetriche. Nell’altra vita, cioè poche ore prima, era stato uno dei viali più eleganti della città. Erika si mise a cantare una filastrocca odiosa, mentre Willy cercava di concentrarsi su quanto sarebbe potuto accadere da un momento all’altro. Mosse la sbarra verso l’alto e pensò che alla fine si era beccato anche la responsabilità per l’incolumità della bambina. A quel punto, doveva essere pronto a tutto. – Guarda un mannager! – esclamò all’improvviso Erika, stendendo il braccio a indicare un punto alla loro sinistra, distante circa trenta metri. Willy fu strappato di colpo dai suoi pensieri e si girò di scatto in quella direzione, più preoccupato che sorpreso. – Che dia… – non finì la frase. Dall’altro lato della strada vide un tizio con indosso un elegante completo nero. Era calvo e si reggeva in piedi a fatica. Stupito, lo osservò alzare entrambe le mani, come a volersi proteggere il viso. Willy pensò che era diverso dagli altri mostri, eppure non doveva abbassare la guardia, per nessun motivo.
– Stammi vicina e non gridare – ordinò perentorio. – E perché dovrei? – rispose Erika. Prima di tornare alla sua cantilena, si concesse un bel sorriso. – Anche mio papà si veste sempre così, lo sai? Lui è un mannager. – Coraggio, andiamo – replicò Willy accelerando il o. arono abbastanza lontano da non farsi vedere dal tizio calvo, fino a quando finalmente raggiunsero un punto da cui era possibile scorgere l’ingresso della metropolitana. Stazione 28. – Ecco, è lì! – gridò Erika, e Willy riuscì appena in tempo a tapparle la bocca. Si guardò attorno, ma non vide strani movimenti di zombie. Già, pensò, sono proprio in gamba. E adesso? Era questo il problema: adesso cosa avrebbe fatto? Scrutò l’imbocco della metropolitana, e si immaginò le scale che conducevano nell’antro oscuro dei sotterranei, dove chissà quali mostruosità li attendevano. Se quella Marika era davvero là sotto, dubito che sia ancora viva, si disse. E sarebbe una follia scendere… All’improvviso si sentì strattonare la mano. – Che aspetti? – gli chiese Erika. – Non andiamo? – No – si decise l’Autista, afferrando la bambina e mettendosi a correre mentre le tappava la bocca con una mano. – Non è una buona idea, credimi. Ci inventeremo qualcos’altro. Già, ma… cosa? pensò mentre sentiva la bambina dibattersi rabbiosa nella sua stretta. Forse avrebbe dovuto lasciarla andare. Sarebbe stata la cosa più semplice, per lui: se ne sarebbe sbarazzato e avrebbe corso molti meno rischi di quelli che si stava prendendo adesso. Ma nel momento stesso in cui lo pensava si rese conto che non avrebbe potuto farlo. E che in fondo voleva davvero trovare Marika, abbeverandosi alla
speranza che fosse ancora viva. Perché a un uomo resta poco, nella vita, se non ha almeno una speranza. E la piccola Erika, per quanto senza nemmeno saperlo, era importante per lui proprio per questo motivo: lei gli aveva dato qualcosa in cui credere, per cui combattere. E lui non intendeva rinunciare a un dono così grande. Ma non adesso, pensò mentre si guardava attorno alla ricerca di un rifugio. Perché laggiù, da qualche parte, li aveva visti muoversi. Decine di zombie, barcollanti ma decisi. Diretti verso di loro…
19
All’esterno la luce del pomeriggio era ancora accecante, filtrava fra gli alti palazzi come lame infuocate su una realtà devastata. Julian avvertì un strana sensazione sulla pelle, come se bruciasse, forse a causa del morso, e un’urgenza impellente di carne, carne umana. Scrollò il capo. No, non era suo, quel bisogno. Si concentrò, e ne avvertì a migliaia farsi strada nel cervello. Ora li sentiva. Li sentiva davvero. Confuso e barcollante si portò all’ombra sotto la tenda di uno dei tanti negozi che si affacciavano lungo la strada. La sensazione di bruciore svanì. Vide se stesso riflesso nella vetrina incrinata fra i manichini che dall’altra parte del vetro sorridevano in modo beffardo, abbigliati in buffi costumi di carnevale. Fece una smorfia con le labbra ed entrò. Lo scenario era lo stesso che si era presentato al fast food, tranne per il cibo sul pavimento. Gran parte degli oggetti sugli scaffali era rovinato a terra fra schizzi di sangue denso e appiccicoso. Dietro il bancone una fila di parrucche colorate si faceva beffe della sua calvizie e a lato una serie di abiti e costumi incellofanati appesi agli attaccapanni. I manichini tutt’attorno parevano parlargli, tutti tranne uno. Lo stava guardando con occhi bianchi incavati, e una tale tristezza che Julian si sentì sopraffare dalla malinconia. Gli si avvicinò e restò a fissarlo a lungo prima di spogliarlo e liberarsi del completo nero. Lo ripiegò con cura su una seggiola. Quel giorno di certo non sarebbe morto. Sotto l’ampia tunica bianca con i drappi sui polsini, il manichino indossava un paio di jeans e un maglioncino scuro. Indossò anche quelli sotto la tunica. Per ultimo sfilò i guanti e inguainò le dita scarne e macchiate di sangue. Insieme alla gorgiera ora mancava solo un ultimo tocco: il volto pallido. Era cosi che si sentiva, svuotato di tutto. Si avvicinò a una delle postazione del trucco. Si guardò riflesso nello specchio. Lo squarcio sul collo era nitido, i segni dei denti ben visibili, ma il sangue si era arrestato e la carne non sembrava infetta. Prese a frugare fra matite, ombretti, rossetti colorati e pennelli finché lo trovò.
Un barattolo di cerone. L’aprì e iniziò a spalmarselo sul volto. Poi una matita. Un tocco di classe. Una lacrima nera, come il sangue velenoso che gli scorreva nelle vene capace di uccidere i nuovi amici. Si allacciò la gorgiera al collo e si specchiò di nuovo. Ecco, finalmente. Uno spettro, un fantasma triste e di nuovo solo. Chiuse le palpebre e annusò l’aria. Un impulso improvviso lo fece correre in strada. La sensazione di bruciore che aveva avvertito sulla pelle era scomparsa. Tornò a fissare il cielo al richiamo di mille corvi che l’oscuravano. Lo stormo volava compatto, come un’unica mente collettiva, un unico corpo, capace di mutare direzione all’unisono. Fu allora che comprese. Scosso da un grido Julian si voltò. Vide un ragazzino in monociclo che portava uno zaino sulle spalle. Urlava a squarciagola di avere visto un fantasma. Gli corse dietro a fatica, arrancando sull’asfalto. – Aspetta! Aspetta, ti prego! – gridò Julian. Quando l’orda riempì la strada il ragazzino si fermò. Lasciò cadere il monociclo e scoppiò in lacrime. Julian ne incrociò lo sguardo per un istante prima di vederlo inghiottire dagli zombie che l’avevano circondato. Avvertì una lacrima rigargli la guancia, sopra quella finta che aveva appena disegnato. Del piccolo non restò nulla. Solo la carcassa spolpata che si muoveva in modo scomposto sull’asfalto impiastricciato. L’orda parve attenderlo ciondolando attorno ai resti del pasto consumato. Julian si avvicinò, afferrò il monociclo e si avviò nella direzione opposta. Non seppe spiegarsi il perché ma c’era qualcosa che lo spingeva altrove. Un richiamo che udiva aleggiare nella mente confusa e ancora scossa, una melodia. Quando una donna gli comparve all’improvviso davanti pensò di avere le allucinazioni. E non cercò nemmeno di fermarsi.
Epilogo
L’uomo muoveva le mani al ritmo di una melodia che sentiva solo lui, mentre guidava il monociclo lungo la strada piena di cadaveri. Disegnava degli otto immaginari attorno ai corpi martoriati, vi girava attorno, per poi proseguire e subito dopo tornare indietro. È una danza di morte, pensò Milagros con profonda tristezza. Un ultimo spettacolo per i defunti. Lei e Doran uscirono in strada. L’uomo ò loro davanti un paio di volte senza guardarli, come se nemmeno li vedesse. Un lembo di stoffa accarezzò il viso di Milagros e le parve di sentire profumo di rose. Le sembrò bello, in mezzo a tutto quell’orrore. – Ci farà ammazzare – disse Doran imbracciando il fucile. Milagros trasalì. – Che cosa intendi fare? – domandò preoccupata. – Eliminare il problema. – Tu sei pazzo! – esclamò lei, abbassando la canna dell’arma. – Io ti sembro pazzo? Non rimase ad ascoltarlo. Controllò la via: era libera. Corse acquattata da una macchina all’altra e quando vide l’uomo curvare, gli si parò davanti. – Ehi! – gli disse, ma lui non frenò, non cercò nemmeno di evitarla. Le andò dritto addosso, proprio come se non la vedesse.
FINE
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LE PUNTATE
The Tube 1: Stazione 27 Nella metropolitana di una città non precisata, Milo si trova a bordo di una carrozza, intento ad ammirare Marika, una biondina di cui è perdutamente innamorato. Quando finalmente si decide ad abbordarla, il treno si ferma e le porte si aprono sulla banchina della stazione 27. Quello che succede dopo pare un incubo, o una sequenza di fotogrammi sgranati da un film dell’orrore: creature barcollanti cercano di entrare nel vagone, scavalcando corpi insanguinati e massacrati. Milo si trova costretto ad affrontare delle creature terrificanti, degli zombie che cercano di aggredirli, dimostrando un coraggio che sorprende lui per primo. Ma deve combattere per sopravvivere, e per impedire che quei mostri facciano del male a Marika. Dopo aver combattuto con i morti viventi, Milo, insieme a un manipolo di eggeri, si rinchiude in un vagone del treno. Con loro c’è il conducente, che fa partire il convoglio. Ma cosa troveranno alle prossime fermate? E perché la metropolitana sembra non raggiungere mai la stazione successiva?
The Tube 2: La fame e l’inferno Mentre Milo, Marika e gli altri lottano per sopravvivere nel vagone della metropolitana che pare diretto verso il nulla, in superficie un nuovo personaggio si aggira fra i morti viventi: è Tea, una donna che custodisce un segreto terribile, che le logora l’anima. Lei è umana, ma quando la fame la tormenta, si trasforma in qualcosa che forse è ancora più letale degli stessi zombie. Tea incontra altri sconosciuti nei sotterranei della metro, e quando vedono arrivare un treno, non sanno chi, o che cosa, incontreranno…
The Tube 3: Giorno Zero Mentre l'orda di non morti dilaga, lasciandosi dietro una scia di devastazione in cui i pochi sopravvissuti se la cavano come possono, una squadra dei reparti speciali inviata in missione di soccorso scopre che gli zombie non sono che l'avanguardia di un pericolo ancora più subdolo, perché altrettanto letale e molto meno visibile. Che sia davvero l'inizio della fine per l'umanità come la conosciamo?
The Tube 4: Ceneri Mentre Milo, Marika e gli altri sono nel vagone e cercano di stabilire un contatto con le creature, sopra, nella città devastata, qualcuno sta rischiando la vita per raggiungere la metropolitana e scendere a cercare Milo: è Milagros, sua madre, decisa a ritrovarlo. Dovrà però affrontare qualcosa persino peggiore degli stessi zombie. Qualcosa di più affamato. E più veloce.
The Tube 5: Progetto Bokor Il treno ferma alla stazione 28. Milo, Marika, Amina e Ivan incontrano i sopravvissuti della metropolitana. Amina e Tea si riconoscono l’un l’altra: Amina, figlia del colonnello Rudolph Pittarelli, è stata sottoposta fin dall’adolescenza a sperimenti e terapie da parte del padre e delle dottoresse Tea e Laura, che l’hanno trasformata in un bokor, una persona in grado di comandare gli zombie. Approfittando dell’inizio dell’epidemia, fugge dal centro dopo avere ucciso l’odiato padre. Alla stazione 28, Tea la mette al corrente delle sue capacità potenziate dalla sperimentazione. Durante un attacco zombie alla fermata, Amina ha modo di mettersi alla prova contrapponendosi ai morti viventi, ma Zak viene ucciso e Nico viene morso.
The Tube 6: Il bacio della morte
Furio è fuggito di fronte all'orrore, ma nel Centro Ricerche i suoi compagni sono ancora alle prese con gli zombie e con la dottoressa Calandra. Il loro addestramento avrà ragione del Morbo, oppure sono destinati a soccombere? In un crescendo di paranoia e di terrore, ciascuno di essi risponderà a questa domanda alla sua maniera e sulla propria pelle...
The Tube 7: Legame di sangue Mentre il malato terminale Julian scopre che il suo sangue tossico può renderlo speciale e immune agli zombie, un detenuto per furto di auto evade di prigione, determinato più che mai a sopravvivere. Superato lo shock iniziale, entrambi incontreranno dei superstiti e saranno costretti a compiere delle scelte. Le conseguenze non si faranno attendere…
I PERSONAGGI
Amina Di origini caraibiche da parte di madre, di corporatura minuta. Ha trent’anni e soffre di sonnambulismo. Volenterosa, intelligente e di carattere dolce, trascorre la sua infanzia ad Haiti, insieme alla nonna che attraverso le fiabe e le leggende del paese le racconta dei bokor, gli stregoni in grado di controllare gli zombie, e dei loro modi di operare. Quando suo padre, Rudolph Pittarelli, scopre che il sonnambulismo della figlia è una caratteristica fondamentale per le ricerche che sta portando avanti, fa venire lei e la nonna nella città in cui vive e lavora, costringendo Amina a sottoporsi a esperimenti che la rendono in grado di agire consapevolmente sulla mente rudimentale dei morti viventi, rendendola quindi, a tutti gli effetti, un vero e proprio bokor in grado di comandare gli zombie. Con l’inizio dell’epidemia, Amina fugge dal centro medico del padre uccidendolo e incontra Milo, Marika e Ivan (vedi) sulla metropolitana.
Laura Calandra - Dottoressa Responsabile scientifica del centro militare di ricerche mediche e diretta superiore di Tea (vedi), della quale condivide la patologia. Sta cercando un rimedio per la Fame, che inganna sgranocchiando zombie arrosto. Bruna, sui quarant'anni, occhi verdi e sguardo gelido. Di bell'aspetto, con un fisico asciutto ed elegante, è arrogante, saccente, poco empatica e del tutto indifferente alla sorte altrui. Insensibile e presuntuosa, nel corso di un blackout uccide e sbrana Pennisi sotto lo sguardo atterrito di Furio, unico testimone. Poco dopo, a sangue freddo, uccide anche il tenente Ricci (vedi) e offre all’ultimo superstite della squadra, il biologo Vernier (vedi), di unirsi a lei e assisterla nella sperimentazione sui bokor. Come ricompensa, contagia anche lui coi prioni master, rendendolo immune agli zombie. Curiosità: quando si riferisce a Tea, la chiama "la mia piccola Tea". Potrebbe essere gay; di certo disprezza gli uomini, e in particolare i militari.
Doran Commilitone di Furio, esperto di esplosivi. Trentadue anni. Biondo, atletico, di corporatura massiccia (lo chiamano "il gigante"). Reagisce al pericolo in velocità, senza riflettere troppo. Aggressivo, irascibile, è abituato a risolvere tutto con le maniere forti. È impressionabile e tende a farsi prendere dal panico; negli ultimi momenti della missione al Centro, abbandona i suoi compagni e fugge attraverso una finestra. Dopo aver vagato per la città, incontra Milagros (vedi). Ha un senso dell'umorismo volgare e grossolano. Ha una cicatrice profonda sul dorso di una mano. Fumatore. È armato di granate, fucile automatico, mitraglietta d’assalto e coltello.
Elena
Di mezz'età, porta una lunga coda di cavallo e ha la voce roca, da forte fumatrice. Fa parte del gruppo della stazione 28.
Erika Sorella di Marika, nove anni. Ha i capelli lisci e biondi. Sembra soffrire degli effetti di uno shock post-traumatico: spesso non si rende conto della nuova realtà che la circonda, comportandosi come se nulla fosse. A volte capricciosa, convince Willy (vedi) a cercare Marika
Flor Nonna materna di Milo e Noah, ispanica. Ha vissuto un terzo della sua vita sotto una dittatura, provando sulla sua pelle la povertà. È barricata nel suo appartamento al settimo piano di un condominio, con provviste sufficienti per un mese.
Franco Trentasei anni, marito di Milagros, padre di Milo e Noah, figlio di Nico. Al momento dell’arrivo degli zombie si trova fuori città con il figlio Noah, per un torneo di softair, e non sente la famiglia dalla sera prima. Milo gli assomiglia.
Tea Giuliani - Dottoressa Capo ricercatrice presso il centro militare di ricerche mediche; è stata tra i primi a essere infettata dai prioni A (una settimana prima dell'invasione), ma è sopravvissuta grazie alle sperimentazioni che ha condotto su se stessa, simili a quelle che ha portato avanti su Amina. Il morbo non l'ha uccisa, ma le ha trasmesso comunque la Fame, da cui viene sopraffatta ogni tanto durante quelli che chiama i suoi "blackout".
È contagiosa, almeno durante i blackout, e involontaria responsabile dell'invasione, provocata dagli zombie che lei ha senza volere liberato durante la sua fuga dal centro dov'era ricoverata in isolamento. Intelligente e sensibile, è giovane per il suo ruolo, ma di grandi capacità professionali. Di capelli castani, è anche molto bella fisicamente, e il morbo la rende molto forte e resistente alla fatica. Dorme pochissimo, e sembra poter comunicare con gli zombie, che non la aggrediscono.
Ivan (detto "Spongie") Sedici anni, ossuto, faccia brufolosa. Indossa un giubbino in cui tiene un piccolo coltello a serramanico, che nell'episodio due consegna ai profughi (ha comunque quello del macchinista). All'inizio istiga Milo a uccidere un presunto zombie, ma poi viene preso da una crisi di nervi quando è costretto a farlo di persona. È un tantino immaturo, anche rispetto alla sua età.
Julian Sui quarantacinque anni, malato di cancro. A causa della chemioterapia, il sangue rigetta il contagio ed è letale se ingerito dagli zombie. Alto, magro fino a essere scheletrico, ha gli occhi grigi, calvo e ha le braccia ricoperte da tatuaggi di ispirazione orientale. L’espediente del cerone sul volto gli protegge la pelle divenuta sensibile dopo il morso, a causa del quale dice di riuscire a sentire la mente collettiva degli zombie. Contrariamente a quanto pensato da Milagros (vedi) durante il loro primo incontro, non stava inscenando uno spettacolo di mimo nel parco ma seguendo un richiamo verso i sotterranei della metropolitana. Cambiato il vestito nero con cui intendeva togliersi la vita prima dell’arrivo degli zombie, ora indossa jeans stinti, un maglioncino troppo largo e guanti bianchi.
Lara Amichetta di scuola di Erika (vedi). Sua mamma, in preda alla disperazione per quanto stava accadendo, si è gettata dal balcone. Lei e Erika hanno assistito alla tragedia.
Lisa Collega di Nico (vedi); sessantuno anni, ha una figlia di nome Cristina e una nipotina di sette anni. Vedova (Enri), ricambia l'affetto di Nico, forse da più tempo di lui. Precisa e ordinata, è fin troppo attenta ai dettagli ma indulgente con le piccole mattane di Nico. È affetta da una grave periartrite all'anca, che le rende doloroso anche il solo stare in piedi, e penoso il camminare (zoppica vistosamente). Sembra conoscere a memoria l'enciclopedia medica, e si muove tra malattie e medicine come un medico vero.
Maria Mamma di Willy (vedi). Abita nei palazzi popolari del quartiere 15. Il figlio non sa se è ancora viva, perché il quartiere è infestato dagli zombie
Marika Tra i diciassette e i diciotto anni. Molto carina, bionda, capelli lunghi. Usa un lucidalabbra rosa, indossa quasi sempre minigonne e ama circondarsi di coetanee. Sale ogni giorno sulla prima carrozza del treno alla stazione 26, e ne scende alla 28. Sempre allegra e sorridente, si rosicchia le unghie e ha un piccolo tatuaggio a
forma di rosa tra le scapole. Sensibile di carattere, ma è molto più forte di quanto il suo aspetto non suggerisca. È attratta da Milo, specie quando lui non si abbandona all'autocommiserazione.
Milagros Mamma di Milo e Noah, moglie di Franco. Trentaquattro anni, ispanica. Di corporatura minuta e atletica, ha gli occhi grandi come Milo e i capelli scuri, lunghi. Veste sportivo (jeans, felpa, parka, cappellino da baseball e scarpe da ginnastica). Ha una cicatrice sul ventre, ricordo della nascita di Milo. Di carattere fiero e indipendente, è combattiva ma allo stesso tempo empatica. Di poche parole, schietta e coraggiosa. Lei e Nico non si parlano da diciotto anni dopo un litigio (Nico non accettava la sua gravidanza prematura).
Militare con il sigaro Insieme a Trev (che si trasformerà in zombie) rinchiude Julian in prigione credendolo prossimo alla trasformazione. Julian ritiene che gli abbia sottratto il prezioso Rolex d’oro costato un anno di stipendio.
Milo Diciotto anni, occhi color smeraldo e cresta verde in testa. Non gli piacciono piercing e tatuaggi. Ha un fratello di undici anni, Noah; suo padre, cui somiglia, si chiama Franco (vedi), sua madre Milagros (vedi) e il suo nonno paterno Nico (vedi) è impiegato nell'azienda dei trasporti. Abita vicino alla stazione 24, frequenta da un paio d'anni una palestra e fin da bambino studia karate, anche se non gli piace. Porta al polso un orologio, ascolta musica sull'iPod e ha una cotta per Marika (vedi).
Malgrado voglia mostrarsi maturo, è ancora molto insicuro di sé, e di conseguenza molto arrabbiato col mondo. La sua insicurezza si manifesta specialmente quando riesce a fermarsi a pensare; se invece agisce d'istinto, di solito fa la cosa giusta senza difficoltà.
Moana Ha convissuto 5 anni con Julian (vedi) ma da quando ha scoperto il male di lui è diventata insofferente. Quando decide di lasciarlo porta via Pelo, il cane meticcio che avevano adottato insieme.
Nico Nonno paterno di Milo e Noah. Sessantaquattro anni, lavora in attesa della pensione presso l'amministrazione dell'azienda di trasporti metropolitani; il suo ufficio è (era) nella stazione 27. Collega di Lisa (vedi), quasi coetanea, per cui nutre un sincero affetto, e di Clara, vittima degli zombie durante il primo attacco. Brontolone, reazionario e molto orgoglioso, ma di buon carattere e con uno strano senso dell'umorismo. Negato per ogni forma di tecnologia, a partire dal Pod che gli ha regalato il figlio. Ha un ginocchio distrutto dall'artrite, non riesce a leggere senza occhiali ed è affetto da un sacco di altri disturbi dovuti all'età (diabete, ipertensione) per i quali i dottori lo ingozzano di medicine che lui odia. Dorme poco, e ha appena litigato col nipote per via della cresta. Vedovo (Ida); molto attaccato al figlio Franco e del tutto indifferente alla nuora, Milagros, con la quale non parla da diciotto anni dopo un litigio. Alla stazione 28, durante un attacco di zombie, viene morso.
Noah Fratello di Milo, undici anni. Al momento dell’arrivo degli zombie è fuori città con il padre Franco per un torneo di softair. Soffre di fobie e insicurezze che Franco cerca di fargli superare attraverso il softair.
Pennisi Commilitone di Furio. Magro e nervoso. Finisce vittima della dottoressa Calandra (vedi).
Rudolph Pittarelli - Colonnello medico Comandante e direttore del centro militare di ricerche mediche. È il padre di Amina (vedi) che sottopone a ricerche e sperimentazioni al fine di ottenere un bokor, master di zombie. È proprio Amina a ucciderlo, per vendicare gli abusi subiti.
Furio Quartullo Militare del reparto NBC. Ventisette anni, faccia da bravo ragazzo. Nervoso e impressionabile, ma capace di controllarsi. Assiste prima alla morte di un commilitone aggredito da uno zombie, poi di un secondo a causa dell'attacco delle dottoressa Calandra (vedi). Preso dal panico, diserta; quando si rende conto di ciò che ha fatto, nel timore di essere fucilato, getta al vento la divisa e si fa are per civile. Conosce di vista la dottoressa Tea Giuliani (vedi), e sa delle sue condizioni, ma lei non sa niente di lui. Armato solo di una Beretta militare, scorta e protegge Nico e Lisa (vedi) quando lasciano la stazione 27. Quando Amina e Tea vengono attaccate dagli zombie alla stazione 28, lui non interviene. Probabilmente sta ancora decidendo che cosa fare.
Raoul Orfano, circa tredici anni, magro, capelli neri e ricci e pelle olivastra. Vittima di Tea (vedi).
Ricci – Tenente dell’NBC Giovane ufficiale comandante del reparto NBC. Non molto esperto come ufficiale, deve gran parte della sua autorità sugli uomini alla protezione del sergente Sanjust (vedi). Di corporatura tozza ma agile, non è solito lasciarsi sfuggire reazioni emotive, nemmeno sotto stress. Viene ucciso a sangue freddo dalla dottoressa Calandra durante il tentativo di fuga dal Centro.
Sanjust - Sergente dell’NBC Trentotto anni. Roccioso responsabile della squadra NBC di cui fanno parte Quartullo, Pennisi, Valera, Doran e Vernier (vedi). Ha un atteggiamento protettivo nei confronti del suo comandante, il giovane tenente Ricci (vedi). Muore suicida, dopo essere stato contagiato durante il tentativo di fuga dal Centro di ricerche.
Spillo Occhi blu zaffiro, snello e allampanato. Malgrado la giovane età, sembra essere il leader del gruppo della stazione 28.
Valera – Caporale dell’NBC Caposquadra di Furio. Dal cranio rasato, è un militare esperto. È la prima vittima della squadra durante la missione di soccorso del terzo episodio.
Vernier Commilitone di Furio. Ventinove anni. Lapidario, sarcastico, intelligente, si è laureato in biologia dopo essersi arruolato. Dopo essere rimasto l’unico sopravvissuto della squadra, viene convinto dalla dottoressa Calandra (vedi) a unirsi a lei per la sperimentazione sui bokor. Per ricompensa, viene immunizzato dagli zombie.
Vlad Straniero, parla solo una lingua slava che nessuno capisce (non è russo, né romeno). Stempiato, robusto e volenteroso, si occupa della manutenzione della barricata nella stazione 28.
Willy Ladro d’auto. Sulla trentina, capelli tra il castano chiaro e il biondo cenere. Ha gli occhi di due colori differenti. Soprannominato l’Autista per via della sua attività illegale, viene arrestato la notte prima dell’inizio del contagio. Fuggito dalla prigione, salva Erika (vedi) da morte certa e si fa da lei convincere a mettersi alla ricerca della sorella Marika (vedi).
Zak Ragazzino ispanico dai capelli crespi, facilmente impressionabile e vagamente egoista. Fa parte del gruppo della stazione 28. Muore durante l’attacco di zombie alla stazione.
IL MORBO
Storia Il Morbo nasce in ambito militare, nel corso di una ricerca volta a mettere a punto una sostanza in grado di tenere in vita i soldati gravemente feriti sul campo di battaglia. La sua origine non è né virale né batterica, e usa come mezzo trasmissivo semplici proteine, dette "prioni", simili a quelle responsabili di altre malattie neurodegenerative (es. Malattia di Creutzfeldt-Jakob, Malattia di Kuru). La ricerca originaria intendeva infatti utilizzare queste proteine per prevenire danni cerebrali nei soggetti vittime di arresto cardiaco, e di ostacolarne il degrado cellulare. Purtroppo, la sperimentazione ha avuto un esito un po' diverso dalle aspettative, e le proteine sviluppate dai ricercatori si sono spontaneamente evolute in una direzione del tutto inattesa. Parallelamente viene portata avanti una seconda ricerca dal colonnello Rudolph Pittarelli coadiuvato dalla dottoressa Tea Giuliani, sulle onde cerebrali e su una mutazione genetica del DNA a cui sono soggette le persone sofferenti di sonnambulismo. Caratteristiche che si sono dimostrate fondamentali nella ricerca primaria dei prioni e, non meno importante, capaci di produrre menti modificate in grado di esercitare una sorta di controllo sugli affetti dal Morbo (bokor).
Agenti attivi I prioni responsabili del Morbo sono stati finora individuati in due varietà: – La varietà A (detta "master") sembra concentrarsi quasi esclusivamente nelle ghiandole salivari, ed è responsabile del contagio da individuo a individuo, in caso di contatto del sangue con la saliva infetta. Replicandosi, questa varietà può produrre sia altri prioni A sia prioni di tipo B; – La varietà B si diffonde esplosivamente in tutto l'organismo ospite, ma resta a
esso specifica, e quindi non pare capace di contagio eterologo. Secondo le ipotesi dei ricercatori, le varietà B sono talmente specifiche dell'organismo ospite da non poter essere assimilabili da alcun altro, e questa potrebbe essere la ragione per cui gli individui affetti dal Morbo (c.d. "zombie") sembrano non aggredire mai gli altri infetti.
Sintomatologia ed eziopatogenesi Gli effetti del Morbo, a livello microscopico, si concentrano ai danni della struttura delle membrane cellulari, soprattutto nel tessuto connettivo e nel sistema nervoso (sia centrale sia periferico); a livello macroscopico, si traducono in estesa necrosi dell'epidermide, spasmi mioclonici, perdita di equilibrio, disartria, atassia, demenza grave, e in ultimo la morte. Da notare tuttavia che, a causa delle caratteristiche puramente chimiche dell'agente responsabile del contagio (che essendo di natura proteica non richiede processi biologici per la sua diffusione) questo può proseguire anche dopo la morte della vittima, a condizione che il suo sangue si fosse infettato prima del decesso. L'alta velocità di diffusione del Morbo all'interno dell'organismo fa sì che il sistema nervoso centrale e gran parte dei tessuti e degli organi interni possano continuare a funzionare, seppure in forma ridotta, per lungo tempo dopo il decesso dell'ospite.
Terapie note A causa della rapida insorgenza del Morbo e della sua elevata capacità di contagio, non sono stati possibili studi estesi sulle proprietà dei due prioni, che potrebbero non essere gli unici coinvolti. Non esiste cura nota, e l'esito è sempre fatale in caso di contagio per contatto del sangue con saliva infetta.
Controllo
D’altra parte, a seguito dello studio del sistema nervoso e della corteccia cerebrale è stato scoperto che gli individui sofferenti di sonnambulismo (disturbo che modifica il 20° cromosoma del DNA) sottoposti a una sperimentazione controllata di prioni, non contraggono il Morbo – probabilmente ne diventano immuni anche se morsi – e sono in grado di comandare con la propria mente quella degli affetti dal Morbo stesso. Al momento, l’unico individuo su cui la sperimentazione è andata a buon fine, è Amina. Questi individui sono detti bokor, ispirandosi al nome degli stregoni delle leggende di Thaiti in grado di controllare gli zombie.
Trasmissione non emocorrelata Quando l'infezione da parte dei prioni A non avviene tramite contatto diretto col sangue, come nei casi della dottoressa Giuliani, della dottoressa Calandra e di Vernier, il soggetto acquisisce un’immunità al Morbo, che lo rende inoltre inutilizzabile come vettore, evitandogli pertanto le aggressioni da parte degli infetti. In questa variante, però, l'infetto subisce ugualmente una parziale trasformazione biochimica nota come "Fame", che lo rende soggetto a temporanee perdite di coscienza ("blackout") durante le quali prova l'impulso compulsivo a nutrirsi di proteine umane. L'assunzione di proteine fresche sembra far regredire il "blackout", e talora anche permettere all’organismo ospite di ricostruire parte dei tessuti danneggiati dal Morbo. In ogni caso, le vittime di questa forma di Morbo sono da considerarsi infette e contagiose come tutte le altre, perfino se durante i periodi di lucidità non mostrano alcun altro sintomo apparente. Il contagio da prioni A, con conseguente immunità, è trasmissibile anche con un semplice bacio profondo, come nel caso di Vernier. Non è invece dimostrata la possibilità, sebbene non escludibile a livello teorico, di diffusione per via aerea.
NOTA: in un primo momento, la dottoressa Calandra aveva affermato che il
disturbo di Tea fosse conseguenza di un trattamento con misteriosi “sali d'argento” (che pure, in condizioni normali, sono estremamente tossici e corrosivi per i tessuti viventi). In seguito la dottoressa ha però ammesso di essersi inventata tutto per trarre in inganno i militari e coprire la reale natura delle ricerche del Centro.
Trattamenti Secondo uno studio (in corso) della dottoressa Calandra, la carne infetta, una volta arrostita, può essere usata per contrastare gli effetti della Fame e ritardare l'insorgenza dei blackout. Incidentalmente, lo stesso trattamento termico potrebbe anche produrre alimenti destinati agli individui già completamente trasformati (c.d. "zombie").
Delos Digital e il DRM
Delos Digital ha scelto di non imporre ai propri ebook protezioni dalla copia che costituiscano una limitazione all'uso da parte dell'acquirente. Siamo convinti che i sistemi di protezione basati sulla criptazione danneggino solo chi acquista il libro onestamente. Il lettore che ha speso i propri soldi per acquistare questo ebook deve esserne il proprietario: questo libro non diventerà illeggibile cambiando computer, o spostando il file su un lettore di ebook o su uno smartphone. Per usarlo non è necessario un software che si colleghi a un server di autenticazione. Fermo restando che la legge e l'onestà dell'individuo vietano di ridistribuire il volume acquistato - e in definitiva il buon senso lo sconsiglia, perché autori ed editori hanno bisogno di guadagnare per portare avanti il proprio lavoro - il lettore può sentirsi libero di leggere il file con il dispositivo o computer che vuole e deve sapere di poterlo conservare e convertire in eventuali formati futuri per salvaguardare il suo acquisto. Quando possibile, Delos Digital utilizza il social DRM, ovvero scrive all'interno del libro il nome dell'acquirente; una sorta di "ex libris" elettronico. La criptazione del file viene usata solo nei casi in cui è obbligatoriamente richiesto dal contratto con l'autore. Nel caso di questo libro non è stato necessario. È comunque possibile che al libro venga applicata un'encriptazione drm dal negozio da cui lo si è acquistato. Delos Digital vuole combattere la pirateria nel modo che riteniamo migliore: rendere i nostri ebook acquistabili in modo facile e rapido, e metterli in vendita al prezzo migliore possibile.
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Franco Forte, Stazione 27 Siamo nella metropolitana di una città non precisata. Il mondo finisce mentre Milo si trova a bordo di un treno. Riesce a fuggire inseieme a un gruppo di sopravvissuti, ma... cosa troveranno alle prossime fermate? E perché, una volta giunti al capolinea, la metropolitana sembra non finire mai? ISBN: 9788867750429 Ilaria Tuti, Carlo Vicenzi, La fame e l'inferno Mentre Milo, Marika e Ivan lottano per sopravvivere nel vagone della metropolitana che pare diretto verso il nulla, in superficie un nuovo personaggio si aggira fra i morti viventi: è Tea, una donna che custodisce un segreto terribile ISBN: 9788867750863 Antonino Fazio, Alain Voudì, Giorno Zero Mentre l'orda di non morti dilaga, lasciandosi dietro una scia di devastazione, una squadra dei reparti speciali inviata in missione di soccorso scopre che gli zombie non sono che l'avanguardia di un pericolo ancora più letale... ISBN: 9788867751020 Ilaria Tuti, Ceneri Mentre Milo, Marika e gli altri sono nel vagone e cercano di stabilire un contatto con le creature, sopra, nella città devastata, qualcuno sta rischiando la vita per raggiungere la metropolitana... ISBN: 9788867751082 Scilla Bonfiglioli, Progetto Bokor Il treno ferma alla stazione 28, dove Milo, Marika, Amina e Ivan incontrano i sopravvissuti della metropolitana. Ma qualcosa va storto... ISBN: 9788867751198 Antonino Fazio, Alain Voudì, Il bacio della morte Erano addestrati per le situazioni più pericolose, ma l'orrore del Centro Ricerche della dottoressa Calandra forse era troppo anche per loro ISBN: 9788867751327 Fabio Pasquale, Michela Pierpaoli, Legame di sangue Se stai facendo la chemio, gli zombie non ti mordono. E se sei un ladro d'auto, perché dovresti interessarti a una bambina che vaga per la città infestata dai morti viventi? ISBN: 9788867751433
Gli ebook rapidi ed emozionanti
Erotismo
Claudette Marceau, Io, Elisabeth Lo scoppio della Rivoluzione se sorprende Elisabeth, costretta a un percorso di emancipazione attraverso il sesso e l'amore, che non sempre convivono Senza sfumature ISBN: 9788867750443 Letizia Draghi, La sala delle punizioni È possibile progettare i luoghi delle fantasie erotiche altrui? E' questo il dilemma di Alessia Delfino, alle prese con il progetto della Sala delle Punizioni richiestole da un affascinante imprenditore Senza sfumature ISBN: 9788867750450 Ledra, Il ladro Una storia d’amore e di sesso tra due amici, che si scoprono innamorati loro malgrado Senza sfumature ISBN: 9788867750528 Macrina Mirti, Il dolce sapore della vendetta Una donna giovane, bella e in carriera torna in Italia e riscopre emozioni e sentimenti che aveva cercato di dimenticare. Ma anche un ato che credeva morto per sempre. Senza sfumature ISBN: 9788867750849 Emiliana De Vico, Incontri protetti Come può, Vivienne, fidarsi di Alex, un uomo forte e affascinante ma imbrigliato in una storia di responsabilità con un’altra donna? Senza sfumature ISBN: 9788867750542 s Shepard, Il suo gioco Lilian ha ceduto alla ione e sposato l’uomo che le ha fatto perdere la ragione: il principe Leonardo Alberto De Biagi. Ma lui custodisce un segreto nel suo ato, qualcosa che è finalmente pronto a condividere con lei Senza sfumature ISBN: 9788867750559 Emiliana De Vico, Zona d'ombra Vivienne incontra il tenebroso Oliver Di Nardi, perso in brutti ricordi, e gli offre il suo corpo, la sua conoscenza, la sua forza per riportarlo al qui e ora, tra le sue braccia, tra le sue gambe... Senza sfumature ISBN: 9788867750535 Letizia Draghi, La guardia del corpo Alessia conosce una giovane guardia del corpo russa: sarà vero amore o solo una piccante storiella estiva, in cui il sesso conta più tutto? Senza sfumature ISBN: 9788867750856
Fantascienza
Franco Forte, Chew-9 Il Chew-9 è la sostanza più preziosa della galassia. Un potente allucinogeno capace di fare interagire l’immaginazione con la realtà, manipolando la materia per ottenere effetti sconvolgenti. Una droga che solo i ricchi e i potenti possono permettersi. A costo di annientare intere civiltà... Chew-9 ISBN: 9788867751228 Franco Forte, La guerra coi Rems Perché gli umani sono in guerra con la razza aliena dei Rems? Che cosa nasconde, in realtà, di così prezioso il loro pianeta natale? Chew-9 ISBN: 9788867751303 Franco Forte, Sole giaguaro Ma quando Roxie viene ingaggiato per comandare una spedizione di soccorso, non può immaginare quello a cui si troverà di fronte: un buco nero sta per inghiottire la sua astronave… Chew-9 ISBN: 9788867751471 Franco Forte, Sentenza Capitale Riuscirà il detenuto Cash La Rocca a sopravvivere all’atmosfera letale di Mephistopheles, un gigante ghiacciato ricoperto da oceani di metano e ammoniaca da cui nessuno è mai tornato vivo? Chew-9 ISBN: 9788867751501 Franco Forte, Morte dell'Agglomerato Questa è la sua storia. La storia di come uccise l’Agglomerato... Chew-9 (in preparazione) ISBN: 9788867751518 Dario Tonani, Mechardionica Il primo capitolo delle nuove storie di Mondo9 Mechardionica ISBN: 9788867750436 Dario Tonani, Abradabad Qualcosa di nuovo lacera l'immobilismo di Mondo9: volare salverà gli uomini dalla schiavitù delle navi? Mechardionica ISBN: 9788867750610 Dario Tonani, Coriolano Dai deserti alla giungla pluviale, sono sempre la ruggine e il metallo in cima alla catena alimentare… Mechardionica ISBN: 9788867751006 Paul Di Filippo, Il demolitore di astronavi Una grande astronave ormai in disarmo nasconde segreti impensabili. Ma ciò che si troverà Klom sarà il tesoro più inaspettato. E imprevedibile. Robotica ISBN: 9788867750504 Robert J. Sawyer, Mikeys Come l'astronauta dell’Apollo 11 Michael Collins il loro destino era quello di restare indietro, mentre i loro compagni conquistavano lo spazio. Robotica ISBN: 9788867750511 Barbara Baraldi, Paziente 99 L'umanità è ormai condannata a vivere nelle viscere della Terra. Ma le cose non sono come sembrano, e il piccolo mondo sotterraneo nasconde segreti sconvolgenti. Robotica ISBN: 9788867750627 Robert J. Sawyer, Sherlock Holmes e l'enigma definitivo Nel lontano futuro, un mistero eccezionale richiederà un investigatore eccezionale: Sherlock Holmes Robotica ISBN: 9788867750931 Nancy Kress, I fiori della prigione di Aulit Su Mondo chi commette un delitto è condannato all’esclusione dalla Realtà. E Uli vuole
tornarvi a ogni costo. Premio Nebula 1996 Robotica ISBN: 9788867750948 Paul Di Filippo, Bleb L’amore al tempo degli elettrodomestici intelligenti. Lui. Lei. E i bleb. Robotica ISBN: 9788867750955 Valentino Peyrano, Il castello e il viandante In un mondo sconvolto dall'apocalisse gli uomini sono costretti a vivere chiusi in castelli isolati. Solo i Viandanti, depositari dell'antica scienza, mantengono i contatti tra gli ultimi baluardi dell'umanità. Tecnomante ISBN: 9788867750467 Valentino Peyrano, Bema Esteban il Viandante era stato accolto con tutti gli onori in quello strano castello, ma qualcuno tramava alle sue spalle. Tecnomante ISBN: 9788867750597 Valentino Peyrano, La strada verso nord C'è una speranza per l'umanità? Forse sì, se riusciranno a non affidarsi completamente ai Viandanti e a ritrovare la sete della conoscenza Tecnomante ISBN: 9788867750917 Valentino Peyrano, Il resoconto di Karl Per Esteban la minaccia della vendetta dei Viandanti è sempre più vicina. Tecnomante ISBN: 9788867750924 Valentino Peyrano, Korman Esteban il Viandante sta per trovare il suo destino, e svelare finalmente le origini del mondo distrutto e popolato da mostri nel quale agonizza ciò che resta dell'umanità Tecnomante ISBN: 9788867751280 Valentino Peyrano, Il monaco apocrifo Le prove a cui deve sottoporsi Esteban sono quasi insostenibili, ma ciò che lo attende al termine del percorso è qualcosa che nessun uomo sperimentava da secoli. Tecnomante ISBN: 9788867751495
Fantasy
Carlo Vicenzi, La fortezza Le leggende sulla fortezza dei Cento Blasoni sono davvero affascinanti. E tante sono le avventure che il padre gli ha raccontato. Fantasy Tales I Cento Blasoni ISBN: 9788867750818 Carlo Vicenzi, Il prezzo del mercenario Le leggende sulla fortezza dei Cento Blasoni sono davvero affascinanti. E tante sono le avventure che il padre gli ha raccontato. Fantasy Tales I Cento Blasoni ISBN: 9788867751334 Simonetta Fornasiero, Il figlio dell'unicorno Quando la magia e il coraggio si incontrano, le anime degli uomini si forgiano per combattere il male Fantasy Tales Il Necromante ISBN: 9788867750979 Simonetta Fornasiero, L'abisso di Khantara Chi è Kanthara? E perché da un paese lontano hanno chiamato proprio Selidor il Necromante, per
trovare una soluzione a una minaccia così temibile? Fantasy Tales Il Necromante ISBN: 9788867751402 Scilla Bonfiglioli, Specchi d'acqua C'è un mondo nuovo e affascinante, dietro i riflessi dell'acqua. Ma attenti a ciò che si nasconde oltre la soglia... Fantasy Tales L'ultima soglia ISBN: 9788867750986 Liudmila Gospodinoff, Nessuno è più ombra di me Nella Città delle Ombre, maghi, spie, ladri, nobili e guerrieri tessono i loro oscuri intrighi… Fantasy Tales La città delle ombre ISBN: 9788867751204 Luca Di Gialleonardo, La daga di bronzo Konor è un "rinato" e il suo destino è essere reclutato nella Fratellanza della Daga. Che lo voglia o meno. Fantasy Tales La Fratellanza della Daga ISBN: 9788867750801
Giallo
Maurice Leblanc, L'arresto di Arsenio Lupin Il ladro gentiluomo alla sua primissima avventura: una sfida forse troppo audace anche per un genio del travestimento come Arsenio Lupin Arsenio Lupin ISBN: 9788867751075 Maurice Leblanc, Arsenio Lupin in prigione Lupin è chiuso in prigione e sorvegliato a vista. Ma allora chi è che ha mandato una lettera al barone Cahorn preannunciandogli il furto delle sue preziose opere d'arte? Arsenio Lupin ISBN: 9788867751457 Luca Martinelli, Sherlock Holmes e il tesoro di Sir Francis Drake Le intuizioni di Watson e le deduzioni di Sherlock Holmes alla ricerca della mente geniale del crimine che ha lanciato la sfida. Sherlockiana ISBN: 9788867750368 Samuele Nava, Sherlock Holmes e la sfida dell'astrologo Un sedicente operatore dell’occulto, un astuto ingannatore, una sfida irrinunciabile per Sherlock Holmes. Sherlockiana ISBN: 9788867750382 Luca Sartori, Sherlock Holmes e l'ultimo preraffaellita In questo romanzo breve, un’acuta indagine di Sherlock Holmes tra i segreti della vita, dell’arte e della morte! Sherlockiana ISBN: 9788867750399 Enrico Solito, Sherlock Holmes e l'avventura del Carro di Tespi Sherlock Holmes e William Shakespeare: un'abbinata affascinante Sherlockiana ISBN: 9788867750405 Luca Martinelli, Sherlock Holmes e l'avventura della corsa Londra-Brighton Lanciato a folle velocità nella corsa automobilistica Londra-Brighton, Sherlock Holmes deve risolvere il mistero del furto ai Lloyd’s. Sherlockiana ISBN: 9788867750412
Enrico Solito, Sherlock Holmes e il mistero delle Dodici tavole Pergamene e misteri nella biblioteca di Padre Jorge Sherlockiana ISBN: 9788867750900 Gianfranco Sherwood, Sherlock Holmes e l'avventura dell'enigma da Krakatoa Sherlock Holmes tra le pieghe di un'indagine al limite del sovrannaturale... Quale terribile segreto cela l’oggetto rinvenuto a Krakatoa? Sherlockiana ISBN: 9788867750894 Samuele Nava, Il trovatello di Baker Street Un bimbo misterioso tra le braccia, e sotto la lente, di Sherlock Holmes! Sherlockiana ISBN: 9788867750887 Enrico Solito, Sherlock Holmes Christmas Carol Natale a Baker Street: indagini sotto l'albero... Sherlockiana ISBN: 9788867751211 Patrizia Trinchero, Il gioco è cominciato, Holmes! Tutta Londra è a caccia di Sherlock Holmes. Sarà stato lui a commettere il tremendo delitto di cui è accusato? Sherlockiana ISBN: 9788867751266 Enrico Solito, Sherlock Holmes e il caso del giocatore di scacchi Una morte violenta, una torbida vicenda risolta dal grande investigatore. Sherlockiana ISBN: 9788867751358 Luca Martinelli, Sherlock Holmes e il caso dei fidanzatini sfortunati Quando le apparenze indicano una soluzione, la logica di Sherlock Holmes dimostra che esiste un’altra verità. Sherlockiana ISBN: 9788867751389 Enrico Solito, Sherlock Holmes e l'avventura della tredicesima porta Un'avventura mozzafiato tra le fogne di Londra e un piccolo grande uomo Sherlockiana ISBN: 9788867751396
Horror
Kealan Patrick Burke, Sepolto vivo Al risveglio non si trovò nel suo letto, come si era aspettato, ma chiuso in una bara di pino... Halloween Nights ISBN: 9788867750962 Ronald Malfi, La casa in Cottage Lane La vecchia casa si levava davanti a noi, più cupa di una caverna sotto la luce della luna, accasciata verso il terreno quasi soffrisse di uno sfinimento letale. Halloween Nights ISBN: 9788867751068 Lisa Morton, La leggenda di Halloween Jack L’Inferno aveva cercato Jack per la prima volta mentre lui giaceva disteso in un vicolo vicino a un bar malfamato di Baton Rouge. Halloween Nights ISBN: 9788867751273 Simon Clark, Gerassimos Flamotas: un giorno di ordinaria follia + Alta tensione Un'offerta tanto allettante quanto incredibile, ma con risvolti a dir poco sconvolgenti Halloween Nights ISBN: 9788867751549
Romance
Mariangela Camocardi, Un angelo per me Bella, affascinante, un tempo cover girl di successo, Lisa Angeli è da sempre innamorata di Damiano, e sogna di sposarlo... finché nella sua vita entra Andrea Ruffini... ioni Romantiche ISBN: 9788867751259 Paola Picasso, Questione di pelle Stefano ancora non sa bene cosa abbia spinto sua moglie a lasciarlo. Sa solo che l'ama ancora e che farà di tutto per riconquistarla... ioni Romantiche ISBN: 9788867751242 Roberta Ciuffi, L'amore fa così La prima volta che lo vede lui indossa dei jeans al ginocchio, è sporco di calce e ha l'aria decisamente troppo virile ed energica, per una come Veronica, che non vuole più avere niente a che fare con gli uomini... ioni Romantiche ISBN: 9788867751464 Ledra, L'abete perfetto Vanessa ha il cuore infranto. Ma la ricerca di un albero di Natale la farà ricredere sul fatto che l’amore esiste… basta tenere aperta la porta del cuore. ioni Romantiche ISBN: 9788867751488
Spionaggio
Stefano Di Marino, Peccati mortali Rock, il pornodivo del momento, è un agente sotto copertura. Il suo mondo è fatto di sesso e malavita, rischio e lusso sfrenato... Sex Force ISBN: 9788867750481 Stefano Di Marino, Affari proibiti Seduzione e azione sono le specialità di Rock, agente segreto e pronodivo, ma in questo caso dovrà sbrogliare un intrigo in cui il sesso è un’arma a doppio taglio Sex Force ISBN: 9788867750498 Stefano Di Marino, L'isola delle mantidi Rock segue la pista dei soldi e sfida sul loro stesso terreno una banda composta solo da donne, in un paradiso del sesso tropicale, caldo, umido e avvolgente... Sex Force ISBN: 9788867750580 Stefano Di Marino, Femmine carnivore Sesso e avventura per uomini d’azione. Ce la faranno Rock e Casey, splendida escort
australiana, a vincere la lotta contro il tempo e a superare le insidie inaspettate dei tropici? Sex Force ISBN: 9788867750603 sco Perizzolo, Hamburg Connection Una missione mortale tra le pornostar della fiera dell'eros di Amburgo per Kiko Dias, agente della Hot Dreams... Sex Force ISBN: 9788867750870 Romano De Marco, Chris Lupo: sesso e fuoco Entra in scena Chris Lupo, capitano dei marines sempre affamato di azione, sesso e avventura! Sex Force ISBN: 9788867751181 Stefano Di Marino, La preda Per Rock ei suoi amici dell'agenzia Hot Dreams un tour de force di sesso, sparatorie e coltellate Sex Force ISBN: 9788867751310 Stefano Di Marino, Mercanti di schiave L'avventura più pericolosa di Rock, aiutato da Raissa e Oxana, due escort dalle abilità variate, a letto e sui campi di battaglia Sex Force ISBN: 9788867751525
Steampunk
Roberto Guarnieri, Il Circolo dell'Arca Chi avesse posseduto l’Alborg non avrebbe mai conosciuto la sconfitta. Ed era compito di John Fox fare in modo che nessuno vi riuscisse. Il circolo dell'Arca ISBN: 9788867751037 Roberto Guarnieri, La macchina delle vite perdute Una nuova avventura per John Fox e i suoi colleghi del Circolo dell'Arca, alle prese con una cospirazione che minaccia di riempire Londra di zombie assassini Il circolo dell'Arca ISBN: 9788867751341
Tecnologia
Carlo Mazzucchelli, Tablet: trasformazioni cognitive e socio-culturali Una disamina socio-culturale sull'avvento del Tablet e sull'evoluzione della tecnologia TechnoVisions ISBN: 9788867750993 Carlo Mazzucchelli, Internet e nuove tecnologie: non tutto è quello che sembra Il mondo digitale sta cambiando
e nel farlo cambia anche noi. Stiamo rischiando di essere imprigionati all’interno di una bolla piena di filtri idee della realtà lontane dai fatti reali e dai bisogni. Per evitare di esservi richiusi per sempre è necessario riflettere su temi quali la privacy, la cittadinanza, la relazione sociale, la democrazia, la ricerca di benessere e felicità personali, ecc. TechnoVisions ISBN: 9788867751440
Thriller
Andrea Franco, Lo sguardo del diavolo: Jeffrey Dahmer Entra nella mente di Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwaukee... Serial Killer ISBN: 9788867750474 Fabio Oceano, La quarta vittima Il serial killer che rapisce e sevizia i bambini di New York: Albert Fish, detto il cannibale... Serial Killer ISBN: 9788867750573 Umberto Maggesi, Io, il mostro Andrei Chikatilo detto il mostro di Rostov, è forse uno dei più sanguinari serial killer della storia dell’umanità, certamente quello che ha potuto agire impunito per più tempo... Serial Killer ISBN: 9788867750566
Zombie
Franco Forte, Stazione 27 Siamo nella metropolitana di una città non precisata. Il mondo finisce mentre Milo si trova a bordo di un treno. Riesce a fuggire inseieme a un gruppo di sopravvissuti, ma... cosa troveranno alle prossime fermate? E perché, una volta giunti al capolinea, la metropolitana sembra non finire mai? The Tube ISBN: 9788867750429 Ilaria Tuti, Carlo Vicenzi, La fame e l'inferno Mentre Milo, Marika e Ivan lottano per sopravvivere nel vagone della metropolitana che pare diretto verso il nulla, in superficie un nuovo personaggio si aggira fra i morti viventi: è Tea, una donna che custodisce un segreto terribile The Tube ISBN: 9788867750863 Antonino Fazio, Alain Voudì, Giorno Zero
Mentre l'orda di non morti dilaga, lasciandosi dietro una scia di devastazione, una squadra dei reparti speciali inviata in missione di soccorso scopre che gli zombie non sono che l'avanguardia di un pericolo ancora più letale... The Tube ISBN: 9788867751020 Ilaria Tuti, Ceneri Mentre Milo, Marika e gli altri sono nel vagone e cercano di stabilire un contatto con le creature, sopra, nella città devastata, qualcuno sta rischiando la vita per raggiungere la metropolitana... The Tube ISBN: 9788867751082 Scilla Bonfiglioli, Progetto Bokor Il treno ferma alla stazione 28, dove Milo, Marika, Amina e Ivan incontrano i sopravvissuti della metropolitana. Ma qualcosa va storto... The Tube ISBN: 9788867751198 Antonino Fazio, Alain Voudì, Il bacio della morte Erano addestrati per le situazioni più pericolose, ma l'orrore del Centro Ricerche della dottoressa Calandra forse era troppo anche per loro The Tube ISBN: 9788867751327 Fabio Pasquale, Michela Pierpaoli, Legame di sangue Se stai facendo la chemio, gli zombie non ti mordono. E se sei un ladro d'auto, perché dovresti interessarti a una bambina che vaga per la città infestata dai morti viventi? The Tube ISBN: 9788867751433 Luigi Brasili, Il lupo Il lupo si aggira nei meandri della metropolitana, invisibile come un fantasma. Ma quando il mondo di sopra incontra da vicino quello di sotto, possono scatenarsi eventi che nessuno dei due mondi avrebbe voluto conoscere... The Tube Exposed ISBN: 9788867751051 Roberto Zago, L'antro di Jona Quando l'orda di zombie travolge il mondo, solo un uomo ha la forza per risalire in superficie. Ma cosa troverà ad attenderlo? The Tube Exposed ISBN: 9788867751105 Diego Lama, Il cacciatore Mentre l'orda di non morti dilaga nella città, all’interno della stazione della metropolitana solo pochi esseri umani riescono a sopravvivere... Attenti al cacciatore... The Tube Exposed ISBN: 9788867751235 Camilo Cienfuegos, I ripulitori In un mondo dove il morbo sembra prendere il sopravvento, ci si deve inventare qualunque cosa per sopravvivere. Magari improvvisarsi ripulitori di zombie... The Tube Exposed ISBN: 9788867751419 Diego Matteucci, Il tempio della notte Un’antica costruzione celata all’interno di un parco nel cuore stesso della città assediata dagli zombie nasconde un mistero terribile The Tube Exposed (in preparazione) ISBN: 9788867751426