SOTTO SEQUESTRO Sean Black
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Traduzione di Alessia Nepi
“SOTTO SEQUESTRO” Autore Sean Black Copyright © 2014 Sean Black Tutti i diritti riservati Distribuito da Babelcube, Inc. www.babelcube.com Traduzione di Alessia Nepi Progetto di copertina © 2014 Joie Simmons “Babelcube Books” e “Babelcube” sono marchi registrati Babelcube Inc.
Sommario
Titolo Pagina Copyright Pagina Sotto sequestro | Un thriller con Ryan Lock | SEAN BLACK Prologo Uno Due Tre Quattro Cinque Sei Sette Otto Nove Dieci Undici Dodici Tredici Quattordici
Quindici Sedici Diciassette Diciotto Diciannove Venti Ventuno Ventidue Ventitré Ventiquattro Venticinque Ventisei Ventisette Ventotto Ventinove Trenta Trentuno Trentadue Trentatré Trentaquattro Trentacinque
Trentasei Trentasette Trentotto Trentanove Quaranta Quarantuno Quarantadue Quarantatré Quarantaquattro Quarantacinque Quarantasei Quarantasette Quarantotto Quarantanove Cinquanta Cinquantuno Cinquantadue Cinquantatré Cinquantaquattro Cinquantacinque Cinquantasei
Cinquantasette Cinquantotto Cinquantanove Sessanta Sessantuno Sessantadue Sessantatré Sessantaquattro Sessantacinque Sessantasei Sessantasette Sessantotto Sessantanove Settanta Settantuno Settantadue Settantatré Settantaquattro Settantacinque Settantasei Settantasette
Settantotto Settantanove Ottanta Ottantuno Ottantadue Ottantatré Ottantacinque Ottantasei Ottantasette Ottantotto Ottantanove Novanta Novantuno Novantadue Novantatré Epilogo La tua recensione e i tuoi consigli fanno la differenza | Le recensioni e i consigli sono fondamentali per il successo di qualunque autore. Se ti è piaciuto questo libro scrivi una breve recensione , bastano davvero poche righe, e parla ai tuoi amici di ciò che hai letto. Aiuterai l'autore a creare nuove storie e permetterai ad altri di divertirsi come hai fatto tu. Sei in cerca di un'altra bella lettura?
Sotto sequestro
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Un thriller con Ryan Lock
SEAN BLACK
Copyright © 2009 Sean Black Tutti i diritti riservati
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Sean Black afferma il suo diritto di essere identificato come l’autore di quest’opera secondo quanto previsto dal Copyright, Designs and Patents Act del 1988. Questo libro è un’opera di fantasia e, ad esclusione dei fatti storici, qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, è da ritenersi puramente casuale.
DEDICA
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Ai miei genitori, la cui fede non ha mai vacillato; e alla memoria di mio nonno, George Robertson, che ha sacrificato così tanto per il suo paese quando era solo un ragazzo.
Elogi per il thriller di debutto di Sean Black, Sotto sequestro: “Tenetevi forte – brucia come una miccia in procinto di esplodere” Gregg Hurwitz “Un eccellente primo romanzo...lo stile di Black è eccezionalmente brillante” The Daily Telegraph “Divertente, duro e dal ritmo incalzante, Sotto sequestro esce dalle pagine in un’esplosione” Jesse Kellerman “Con un finale mozzafiato che mi ha ricordato Die Hard, ecco uno scrittore, e un eroe, da tenere d’occhio” The Daily Mail “Sean Black scrive con il ritmo di Lee Child e il cuore di Harlan Coben” Joseph Finder Altri libri delle serie: Deadlock Gridlock The Devil’s Bounty www.seanblackbooks.com
Prologo
Nessuno sorveglia i morti. Non appena Cody se ne era reso conto, il piano era venuto su in men che non si dica. Guidare fino al cimitero, disseppellirla, infilare la bara nel retro del furgone e scomparire nella notte. Facile. A parte un piccolissimo intoppo. ‘Amico, questo terreno pare cemento.’ Cody lanciò un’occhiata al suo compare, mentre il chiarore lunare gli divideva il viso a metà. ‘Smettila di lamentarti.’ Di solito gli piaceva lavorare da solo. Ma spostare un corpo era un lavoro da fare in due. Non c’era modo di evitarlo. ‘Non mi sto lamentando. Sto facendo un’osservazione.’ ‘Beh, le osservazioni non ci faranno finire il lavoro.’ ‘Nemmeno scavare. Ci vorrà la dinamite per tirare fuori dalla terra questa vecchia strega.’ Don aveva ragione. Avevano scelto il periodo peggiore dell’anno. Novembre sulla Costa Est. Un inverno aspro, con il vento che proveniva dall’Atlantico grigio ardesia. Congelava i vivi quanto i morti. In primavera sarebbe stato molto meglio. Le notti sarebbero state ancora lunghe, ma il terreno sarebbe stato più cedevole. Il fatto era, però, che loro non avevano scelta. Non per Cody, almeno. Per come la vedeva lui, il tempo correva. Vite perdute ogni giorno. A centinaia, forse persino a migliaia. Nessuno lo sapeva per certo. E quelle non erano morti pacifiche. Non come quella che aveva affrontato la donna: andandosene poco a poco, le lame affilate del dolore attenuate dai medicinali, i suoi cari riuniti attorno a lei per renderle l’ultimo saluto. No, quelle morti erano strazianti e solitarie. Un ultimo sputo in piena faccia a
coronare un’esistenza miserabile. La rabbia che provava a pensarci gli ribollì dentro. Colpì con forza il bordo della pala con il tacco dallo stivale destro e, finalmente, ottenne qualche risultato. L’erba ghiacciata lasciò il posto allo strato superficiale gelato. Diede un altro colpo con lo stivale. La pala affondò di qualche centimetro. Il suo respiro formò una nuvoletta a contatto con la gelida aria notturna mentre lui risucchiava ossigeno e ripeteva il movimento. Un’ora buona dopo, Don fu il primo a colpire qualcosa di duro che non fosse terra. Entrambi gli uomini erano esausti, ma il clangore del metallo a contatto con il legno li spronò. Trenta minuti dopo stavano caricando i resti sul retro del furgone. Cody si spolverò ostentatamente i guanti mentre Don tirava giù il portello posteriore del furgonato che avevano rubato qualche ora prima da una tranquilla strada di Brooklyn. Don aprì la portiera della cabina e cominciò ad arrampicarsi. Arrivato a metà, si fermò, voltandosi verso Cody. ‘Bene, ce l’abbiamo fatta’, disse. Cody fece un sorrisetto. ‘Dici sul serio, fratello? Questa era la parte facile.’
Uno
Ryan Lock sbirciò attraverso le finestre a tutta altezza che si affacciavano sull'area della reception del palazzo della Meditech. All'esterno, una pioggia congelantesi stava cadendo a scrosci lungo la Sixth Avenue, spingendo la dozzina o quasi di dimostranti animalisti sul marciapiede opposto a stringersi gli uni agli altri. 'Chi diavolo organizza una manifestazione la vigilia di Natale?' chiese l'addetta alla reception. 'Vuoi dire a parte i tacchini?' rispose Lock, gettandosi la giacca attorno alle spalle. Spinse le porte girevoli e uscì nel gelo quasi Artico. Dopo tre mesi ati a capo della sicurezza per la più grande azienda farmaceutica e biotecnologica dell'America, a Lock era rimasta ben poca pazienza nei confronti degli animalisti, a prescindere da quanto fosse seria la loro causa. Una fredda raffica di vento investì in pieno il viso di Lock. Si tirò su il bavero della giacca ed esaminò i dimostranti. In prima linea al centro c’era Gray Stokes, il leader de facto dei manifestanti. Sulla cinquantina, con la corporatura emaciata tipica dei vegani, Stokes era in piedi con la solita espressione compiaciuta, il megafono in una mano, l’altra appoggiata sul manico di una sedia a rotelle. Sulla sedia sedeva la figlia di Stokes, Janice, una brunetta carina tra i venti e i trenta, con la gamba sinistra resa inservibile da una rara forma di sclerosi multipla progressiva. Sul cartello, che reggeva con entrambe le mani guantate di rosso, spiccavano quattro parole impresse a spesse lettere maiuscole: NON A NOME MIO. Lock osservò Stokes sollevare il megafono e cominciare ad arringare la mezza dozzina di poliziotti in uniforme, presenti per garantire l’ordine pubblico. Vicinissimo a Stokes, un poliziotto, un sergente corpulento che rispondeva al nome di Caffrey, mangiava ostentatamente un Big Mac, sottolineando ogni morso con eloquenti versi di apprezzamento.
Lock registrò con interesse la reazione di Stokes. ‘Ehi, maiale, ti sei mai chiesto cosa mettono in quella roba?’ urlò Stokes a Caffrey. ‘Magari il Fronte di Liberazione Animale ha lasciato qualche pezzetto della nonnina insieme al resto della carne giù al Mickey D’s.’ Chiunque avesse preso in mano una copia del New York Post o avesse dato uno sguardo a un canale di informazione nelle ultime sei settimane, avrebbe colto il nesso. Il gestore di un fast food a Times Square aveva trovato sul marciapiede fuori dal suo locale il corpo disseppellito della settantaduenne Eleanor Van Straten, matriarca della Meditech. Collegare la comparsa imprevista della signora Van Straten così a ridosso del suo funerale e il movimento per i diritti degli animali era stato un gioco da ragazzi. Il giorno successivo, Lock era stato invitato a dirigere la squadra di protezione ravvicinata dei Van Straten. Lock osservò Caffrey mentre rinfilava l’ultima parte del suo panino nel contenitore di polistirolo, e rivolse di nuovo la sua attenzione a Stokes. ‘Allora come mai, se Dio non voleva che mangiassimo le mucche, le ha fatte di carne?’ lo schernì Caffrey. La replica tagliente provocò qualche risolino da parte degli altri agenti, e portò Stokes a uscire da dietro la barricata e a scendere dal marciapiede. ‘Bravo, amico, fatti avanti’, gli gridò Caffrey. ‘Puoi raffreddare i tuoi bollenti spiriti a Rikers per qualche ora. Lì ci sono un bel po’ di animali con cui puoi divertirti.’ Lock osservò Stokes scrutare Caffrey mentre valutava la sua prossima mossa. I dimostranti consideravano l’arresto alla stregua di un riconoscimento all’onore. Lock lo considerava un ottimo modo per mettere la società sotto i riflettori per la ragione sbagliata. Affrettandosi verso la barricata, Lock appoggiò la mano destra sulla SIG 9mm che teneva infilata nella fondina. Il gesto non ò inosservato ai dimostranti. Docilmente, Stokes arretrò tornando dietro la barricata. Lock ricontrollò l’orario sul suo orologio. Le otto e cinquanta. Se si fosse attenuto al programma, Nicholas Van Straten, vedovo di Eleanor e nuovo amministratore delegato della società, sarebbe arrivato entro breve. Lock si portò
la mano al colletto e premette il pulsante di chiamata della radio. ‘A tutte le unità mobili, qui Lock.’ L’auricolare mandò una scarica statica, poi si schiarì. Un attimo dopo, la voce calma e controllata del secondo in comando di Lock, Ty Johnson, rispose. ‘Avanti, Ryan.’ ‘Puoi fornirmi un’ora stimata di arrivo?’ ‘Saremo da te tra un paio di minuti. Che accoglienza dobbiamo aspettarci?’ ‘I soliti fastidi sul marciapiede.’ ‘Il capo vuole arrivare all’ingresso principale.’ ‘Mi assicurerò che sia libero.’ Lock riattraversò la strada in direzione di Caffrey, che nel frattempo aveva battuto in ritirata diplomatica rientrando nell’auto di pattuglia. Bussò sul vetro e si prese un momento per godersi l’espressione irritata di Caffrey mentre apriva il finestrino di uno spiraglio e l’aria fredda penetrava nell’abitacolo. ‘Lo stiamo portando all’ingresso principale.’ Caffrey alzò gli occhi al cielo. ‘Non è abbastanza il fatto che ho mezza dozzina di agenti bloccati quaggiù ogni santa mattina?’ ‘Mezzo miliardo di bigliettoni e una linea diretta col sindaco, per non parlare della Costituzione degli Stati Uniti, dicono che può entrare dall’ingresso principale del suo ufficio, se desidera farlo’, rispose Lock, girando sui tacchi prima che Caffrey avesse la possibilità di replicare. Caffrey si strinse nelle spalle indirizzando un pazienza alla schiena di Lock e richiuse il finestrino mentre, a quattro isolati di distanza, tre GMC Yukon corazzati di livello B7, con i vetri oscurati e pneumatici autoportanti, si facevano minacciosamente largo in mezzo al traffico mattutino dell’ora di punta.
Due
All’interno del primo Yukon, Ty Johnson controllò la sua arma, poi la posizione degli altri due veicoli attraverso lo specchietto. Tutto bene. Ty fece segno al suo autista di spostarsi, superando la linea di mezzeria, e di occupare la corsia di senso opposto, che al momento era fermata dal semaforo. Bloccando l’incrocio, gli altri due SUV riuscirono ad avanzare all’interno senza intoppi, in modo che il mezzo di Ty si trovasse in coda e lui potesse quindi avere una visuale chiara nel momento in cui i eggeri fossero scesi. Ty cacciò la testa fuori dal finestrino e si guardò alle spalle. A mezzo isolato di distanza, che con quel traffico significava venti secondi buoni, si stava avvicinando un Hummer blindato rosso fiammante. All’interno dell’Hummer c’era l’unità CA, o unità di contrattacco, guidata da Vic Brand, un ex colonnello dei Marine. Ty sapeva che Lock si era opposto alla loro nomina. Di norma, un’unità CA costituiva la riserva delle forze armate in ambienti di combattimento ad alto rischio, e Lock l’aveva ritenuta un provvedimento eccessivo. Nonostante ciò, Stafford Van Straten, erede diretto dell’impero familiare e perenne spina nel fianco di Lock, aveva confuso il periodo trascorso nei Corpi di Addestramento per gli Ufficiali della Riserva a Darmouth con una reale esperienza in campo di sicurezza, e aveva insistito nel reclutarli, riuscendo in qualche modo a convincere suo padre che sarebbero stati un’utile aggiunta alla sua scorta. Lock non aveva tempo per Stafford; e nemmeno Ty. Ed entrambi avevano ancor meno tempo per Brand, un uomo che traeva un enorme piacere dall’intrattenere i membri più giovani dell’unità CA con i racconti delle sue imprese in Iraq, molte delle quali, così aveva detto Lock a Ty, erano inventate. Ty, avendo verificato con alcuni dei suoi ex compagni nei Marine, non ne era poi così sicuro. Tutto il mondo della protezione ravvicinata era pieno di uomini come Brand, visionari seriali che confondevano il dire con il fare. Per Ty, una buona guardia del corpo era come Lock, l’archetipo dell’uomo grigio che si confonde con lo sfondo ed emerge solo quando si manifesta una minaccia. Per come la vedeva
Ty, Brand aveva la stessa capacità di confondersi di Marylin Manson a un concerto dei Jonas Brothers. Lock osservò i dimostranti per strada che venivano spostati indietro di una quindicina di metri dai poliziotti. Se anche uno di loro si fosse messo a correre, Nicholas Van Straten sarebbe stato seduto nella sua sala riunioni con il solito latte macchiato decaffeinato e una copia del Wall Street Journal in mano, prima ancora che quello riuscisse ad arrivare alla porta principale. Inconsciamente, quando il primo Yukon si fermò all’ingresso, Lock lasciò scivolare la mano destra sul fianco a tastare l’impugnatura della sua SIG Sauer 226. Per prima, si aprì la portiera anteriore del veicolo di coda. Lock osservò Ty che faceva il giro per aprire la portiera davanti lato eggero dello Yukon al centro alla guardia del corpo incaricata. Man mano che il resto della squadra di scorta personale si schierava, sparpagliandosi in modo da avere una visuale piena a trecentosessanta gradi, il clamore proveniente dagli attivisti aumentò di volume. ‘Assassino!’ ‘Ehi, Van Straten, quanti animali hai in programma di uccidere oggi?’ La guardia del corpo, un uomo slanciato del Midwest sul metro e novanta di nome Croft, aprì la portiera di Nicholas Van Straten, e questi scese dall’auto. Per essere un uomo che riceveva minacce di morte come la maggior parte della gente riceveva e-mail spazzatura, aveva un aspetto notevolmente composto. La sua squadra di scorta personale, formata da quattro persone, si era già disposta a quadrato attorno a lui, pronta a scortarlo nell’edificio. Ma, evidentemente, Van Straten era di tutt’altro parere. Voltandosi verso destra e superando lo Yukon, si avviò in direzione della fonte delle oscenità che lo raggiungevano dall’altro lato della strada. Lock sentì l’adrenalina che saliva mentre Van Straten si lanciava in quella eggiata fuori programma. ‘Dove diavolo è Stafford?’ chiese Nicholas Van Straten a uno dei suoi assistenti, che apparentemente aveva qualche difficoltà a tenere il o con quello del suo capo mentre questi si avviava deciso verso i dimostranti. ‘Non ne ho idea, signore.’
‘Avrebbe dovuto essere qui’, disse Van Straten, con un’aria di disappunto che non lasciava spazio alla sorpresa. Evidentemente, era abituato a rimanere deluso da suo figlio. Lock osservò Van Straten fronteggiare Stokes davanti alla barricata. Ansiosamente, premette il tasto del microfono. ‘Dove diavolo sta andando?’ ò un secondo prima che arrivasse la risposta di Ty. ‘A incontrare il suo pubblico?’ I quattro uomini della squadra rimasero stretti attorno a Van Straten. Croft lanciò un’occhiata verso Lock come a chiedere ‘Che diavolo faccio adesso?’ In risposta, Lock non aveva nient’altro da offrire che una scrollata di spalle. Quella situazione non compariva da nessuna parte sul programma, e non gli piaceva per niente. ‘Signore, se non le dispiace...’ la voce di Croft si affievolì. ‘Se non mi dispiace che cosa?’ Van Straten sembrava godersi il panico manifestato dagli uomini che lo circondavano. Qualche metro dietro di loro, l’Hummer rosso era in avvicinamento. Lock vide uno degli uomini di Brand sul sedile anteriore che sollevava un fucile, un M-16, a mo’ di deterrente. Sospirando, Lock accese di nuovo la radio, aspettando un attimo per essere certo che l’inizio della trasmissione non venisse tagliato. ‘Brand, qui Lock. Dì all’idiota seduto di fronte a te di mettere via quel pezzo d’artiglieria. Nel caso in cui non l’abbia notato, siamo in centro, non a Mossul. Se lo vedo un’altra volta, se lo troverà infilato su per il culo.’ Quando vide scomparire l’M-16 dietro il cruscotto, Lock emise un sospiro di sollievo. ‘Che sta facendo il tuo capo? Portalo dentro quel dannato edificio prima di ritrovarci una rivolta per le mani.’ Caffrey aveva attraversato lentamente la strada e si stava rivolgendo a Lock.
Una scarica statica crepitò nell’orecchio di Lock, poi un messaggio da parte di Ty: ‘Vuole parlare con loro.’ Lock lo riferì, e l’espressione di Caffrey ò dal malcontento alla rabbia cieca. Quando Van Straten ebbe raggiunto la barricata, Stokes non si trovava che a un paio di metri di distanza. Man mano che gli insulti e le minacce scemavano, scese il silenzio, i dimostranti confusi dalla vicinanza dell’incarnazione assoluta del loro odio. Un cameraman della CNN cercò di farsi strada sgomitando, piazzandosi di fronte a Lock. ‘Se vuole cortesemente farsi indietro, signore’, gli disse Lock, cercando di mantenere un tono di voce neutro. ‘Chi cavolo sei tu per dirmi quello che devo fare?’ Lock sollevò le mani, tenendo i palmi aperti in segno di conciliazione. ‘Signore, apprezzerei molto se potesse farsi indietro’, ripeté, mentre nel frattempo gli assestava un colpo allo stinco con la parte interna dello stivale destro. Mentre l’operatore arrancava in ritirata zoppicando e imprecando tra sé, Lock si voltò a guardare Van Straten che fronteggiava Stokes alla barricata. ‘Ho pensato che una delegazione del vostro gruppo potrebbe avere piacere ad incontrarsi con me stamattina’, stava dicendo Van Straten. Stokes sorrise. ‘Hai ricevuto il mio messaggio, eh?’ Nel frattempo, i media avevano già cominciato a raggrupparsi attorno a loro. Una reporter bionda, Carrie Delaney, fu la prima a farsi sentire sopra il fuoco di fila di domande. ‘Signor Van Straten, di che cosa ha intenzione di discutere all’interno?’ Lock incontrò i suoi occhi per una frazione di secondo. Lei si assicurò di distogliere lo sguardo. Un corrispondente con il tipico aspetto da studente, i lineamenti da fighetto di un appartenente a una confraternita e il fisico da giocatore di football, intervenne prima che Van Straten potesse rispondere alla domanda. ‘Si tratta di un segnale di resa agli estremisti da parte sua?’
Carrie fulminò il ragazzo con un’occhiata. Stronzo. Lock notò che il ragazzo rispondeva con un sorriso. Altrettanto a te, tesoro. Van Straten sollevò le mani. ‘Signore e signori, sarò felice di rispondere a tutte le vostre domande dopo il mio incontro con il signor Stokes.’ La ressa aumentò. Un uomo dietro di Lock fu spinto in avanti dalla pressione della folla in aumento. Lock lo ricacciò indietro. Si guardò attorno. Sembrava la tipica scena di un qualsiasi tentato omicidio, cinque secondi prima che avvenisse. Corpi accalcati in modo caotico, la sicurezza colta impreparata, poi, dal nulla, qualcuno che fa la sua mossa.
Tre
Quando Lock emerse dall’ascensore, Croft, la guardia del corpo di Van Straten, era piazzato accanto alla porta d’entrata della sala riunioni. ‘Chi c’è dentro?’ ‘Solo il vecchio e Stokes.’ ‘Li hai controllati?’ Croft scosse la testa. ‘Il vecchio non ha voluto essere disturbato. Non preoccuparti, mi sono assicurato che si sedesse a capotavola prima di uscire.’ Lock si rilassò leggermente. Esattamente in quel punto, sotto il tavolo, era installato un pulsante antipanico. Non che pensasse che persino uno come Stokes sarebbe stato così stupido da tentare qualcosa, lì dentro. ‘Qualche idea sul perché il capo abbia voluto un faccia a faccia?’ Croft si strinse nelle spalle. ‘Nada.’ ‘Non ha detto niente mentre era in macchina stamattina?’ ‘Nemmeno una parola. Si è solo seduto sul retro immerso nei suoi documenti, come al solito.’ A voler essere onesti nei confronti di Croft, Lock riteneva Van Straten un uomo difficile da decifrare. Non che fosse taciturno o scortese. Tutto l’opposto, in realtà. Al contrario di suo figlio, Nicholas Van Straten sembrava impegnarsi particolarmente ad essere fin troppo educato con quelli che lavoravano alle sue dipendenze, a volte in proporzione quasi inversa rispetto alla loro posizione nell’azienda. ‘Quindi nessuno sa di che si tratta?’ Croft scosse la testa. Lock si voltò per tornare verso l’ascensore, quando la porta della sala riunioni si aprì e ne uscì Van Straten.
‘Ah, Ryan, cercavo proprio lei’, disse Van Straten, rivolgendo la sua attenzione a Lock. ‘Signore?’ ‘Per cominciare, devo delle scuse a lei e al resto dei suoi uomini. Avrei dovuto informarvi dei miei piani.’ Lock trattenne la sua irritazione. ‘È tutto a posto, signore.’ ‘Avviare un colloquio diretto con il signor Stokes e il suo gruppo è stata una decisione presa su due piedi.’ ‘Sì, signore.’ ‘Ora, tra una decina di minuti o giù di lì, il signor Stokes ed io torneremo fuori per rilasciare una dichiarazione congiunta.’ ‘Signore, se posso permettermi di dare un suggerimento...’ ‘Certo. La prego.’ ‘Magari, se trovassimo un posto all’interno dell’edificio dove possiate...’ Van Straten lo interruppe. ‘Ci ho già pensato, ma Missy ritiene che l’impatto visivo sarebbe maggiore se fossimo fuori sugli scalini. Oh, e potrebbe fare in modo che ci portino del caffè? Niente latte. Il signor Stokes non assume latte. Qualcosa a che fare col turbamento emotivo che il procedimento di estrazione provoca alle mucche.’ ‘Subito, signore.’ Van Straten tornò dentro e chiuse la porta, lasciando Lock da solo con Croft. ‘Chi diavolo è Missy?’ chiese Lock. ‘Una ragazza all’ufficio delle pubbliche relazioni. Il vecchio l’ha chiamata due minuti prima che arrivassi tu.’ ‘Magnifico’, commentò Lock, mettendocela tutta per non lasciar trapelare l’esasperazione dal suo tono di voce. Ora la strategia sulla sicurezza veniva
stabilita da una che probabilmente riteneva un IED – ordigno esplosivo improvvisato - un metodo contraccettivo. ‘Amico, rilassati’, fece Croft. ‘Sembra che la guerra sia finita.’ Lock si avvicinò a Croft. ‘Amico, non usare mai più un linguaggio simile in mia presenza.’ Croft rimase perplesso. ‘Cosa? Non ti ho insultato.’ ‘Nella mia lingua, “rilassati” è peggio di qualsiasi insulto.’ All’esterno, la notizia dell’incontro tra Gray Stokes e Nicholas Van Straten si era diffusa, attirando un numero ancora maggiore di troupe giornalistiche sulla scena. Astanti e dimostranti riempivano lo spazio restante, come pesci pilota in attesa di azzannare qualsiasi boccone di informazione si trovasse a galleggiare nella loro direzione. Lock finì di ragguagliare la sua squadra, già disposta sulla scalinata, proprio quando Gray Stokes emerse dall’ingresso. Accanto a lui, Nicholas Van Straten teneva lo sguardo fisso a terra. Croft, pentito, si trovava a distanza ravvicinata dal suo principale. ‘Ce l’abbiamo fatta!’ gridò Stokes, la voce che si diffondeva, aspra, nell’aria gelida. ‘Abbiamo vinto!’ Due dimostranti gridarono mentre il gruppo dei reporter faceva pressione da dietro. Lock notò che Croft e Ty, al fianco di Van Straten, guardavano nervosamente i giornalisti che premevano contro di loro, manovrando l’uno con l’altro per mantenere la posizione. Lock si interpose tra Janice, sulla sedia a rotelle, e un reporter che si stava pressando accanto a lei, preoccupato che venisse schiacciata dall’ammasso di corpi. ‘Ehi gente, se poteste dare a tutti un po’ di respiro...’, gridò. Consapevoli di come Lock aveva reagito al cameraman, quelli che gli erano più vicini si sbrigarono a fargli un po’ di spazio. Van Straten si schiarì la voce. ‘Se posso, vorrei rilasciare una breve dichiarazione. A partire dalla mezzanotte di oggi, la Meditech e tutte le sue
sussidiarie, incluse le compagnie con cui lavoriamo in partenariato, non effettueranno più test sugli animali. Più tardi verrà rilasciato un comunicato più esaustivo a tutti i mezzi di informazione.’ Prima che Stokes avesse la possibilità di dire la sua, una raffica di domande investì Van Straten. Persino nel momento della vittoria Van Straten gli rubava la scena, e a Stokes la cosa sembrava non piacere affatto. Spostò il peso da un piede all’altro. ‘Ho anch’io un annuncio da fare!’ gridò. Ma i giornalisti lo ignorarono, continuando a rivolgere le loro domande a Van Straten. ‘Cosa si cela dietro al cambiamento di politica, signor Van Straten?’ ‘Sono gli estremisti che hanno profanato la memoria di sua madre ad aver vinto?’ Un’altra domanda, quest’ultima più pertinente rispetto a un’ampia fetta del pubblico a casa: ‘Come crede che tutto questo influirà sul prezzo delle azioni della società?’ Van Straten allargò le braccia. ‘Signore e signori, per favore. Penso che sarebbe scortese da parte vostra non ascoltare neppure ciò che ha da dire il signor Stokes in merito alla questione.’ Sforzandosi di mantenere la calma, Stokes fece un unico o verso destra. In quel momento si trovava esattamente davanti all’amministratore delegato della Meditech. In quel momento era la sua faccia a riempire gli schermi posizionati esattamente dietro di lui, come anche i milioni che erano sparsi in tutto il paese. Sollevò il pugno destro portandoselo davanti alla bocca, si schiarì la voce, e attese che calasse il silenzio. ‘Oggi è un giorno epocale per il movimento a favore dei diritti degli animali’, cominciò. Ma prima ancora che riuscisse a concludere la frase, il suo collo produsse uno scatto all’indietro. Un unico proiettile calibro .50 gli aveva fatto esplodere la testa.
Quattro
Lock si piazzò davanti a Croft ed estrasse la pistola, dando a Croft il tempo di far ruotare Van Straten e di spingerlo dietro di sé, in modo che si trovassero schiena contro schiena. Con la mano sinistra, Croft stringeva il colletto della camicia di Van Straten così da poter rispondere al fuoco con la destra, mentre nel frattempo batteva in ritirata il più velocemente possibile. Lock rimase fermo nel bel mezzo della mischia mentre Ty e Croft si sistemavano ai lati di Van Straten e lo sospingevano di nuovo all’interno dell’edificio. Lock si guardò attorno cercando Brand e il resto dell’unità CA, ma non si vedevano da nessuna parte. Camminando all’indietro, gridò a Ty, ‘Portatelo di sopra!’ Di fronte a lui, la gente andava sparpagliandosi in tutte le direzioni, la folla che si apriva a ventaglio proprio di fronte all’edificio, quando fu sparato un altro colpo che questa volta centrò al petto un dimostrante. Questi cadde, a faccia avanti, e rimase immobile. Lock trasse un sospiro di sollievo quando scorse con la coda dell’occhio la giornalista Carrie Delaney filarsela in direzione di un furgone dell’emittente parcheggiato all’angolo. Girandosi verso destra, Lock vide Janice Stokes seduta sulla sedia a rotelle mentre sua madre stava facendo il possibile per cercare di spostarla. Nello stesso momento, si accorse che c’era un'altra ragione a motivare il panico collettivo. Un Hummer rosso procedeva a tutta velocità, sbandando, in direzione dell’ingresso dell’edificio, e la sua traiettoria formava una diagonale perfetta verso l’unica persona che non era in grado di togliersi di mezzo. Se anche avesse frenato in quel preciso istante, lo slancio del veicolo l’avrebbe sospinto in avanti per almeno altri sessanta metri. E, decisamente, Janice si trovava entro quel raggio. Lock scattò in avanti, il piede sinistro che scivolava, mentre lui si impegnava al massimo a mantenere la presa sui gradini gelati. Partì un altro colpo, portandosi via quel che restava della vetrata all’ingresso. Disperato, Lock agguantò Janice sollevandola dalla sedia mentre lo slancio li spediva entrambi in scivolata sulla
pietra lucida. Dietro di loro, l’Hummer aveva cominciato a frenare quando le ruote si bloccarono e il suo peso imponente lo trascinò inesorabilmente verso l’entrata dell’edificio e su per gli scalini. La madre di Janice rimase ferma, immobile, mentre il veicolo ava sopra il corpo di Stokes e la colpiva in pieno. Fu sbalzata in aria, un groviglio rotante di membra, e atterrò con un colpo sordo tra le ruote anteriori dell’Hummer. Janice aprì la bocca per gridare mentre l’Hummer irrompeva nell’area della reception. ‘Mamma!’ urlò, mentre Lock la tirava sotto di sé facendole scudo col suo corpo. Lock ruotò la testa e vide una delle portiere dell’Hummer aprirsi e Brand uscirne. Reggeva un M-16 nella mano destra. Si guardò attorno, contemplando la devastazione causata dal veicolo e si diresse con calma verso Lock, il vetro che scricchiolava sotto gli anfibi, il fucile spianato. Lock si scostò da Janice rotolando, mentre un paramedico correva verso di loro e si inginocchiava accanto a lei. L’unità CA uscì dall’Hummer un membro dopo l’altro e prese posizione all’ingresso, pistole alla mano. Brand raggiunse Lock. ‘Da adesso in poi me ne occupo io, amico.’ Lock sentì la furia montargli dentro e accumularsi alla base della gola sotto forma di bile. Una giovane donna aveva appena visto la testa di suo padre esplodere e scomparire, e sua madre venire investita da Brand sotto i suoi occhi. ‘Rilassati Lock, era una solo una cavolo di abbraccia-alberi’, commentò Brand con un sorrisetto. Lock tirò indietro il braccio destro e fece un o in avanti. Prima che Brand avesse la possibilità di schivare il colpo, il gomito di Lock lo colpì esattamente all’angolo della bocca. La testa, scattando all’indietro, produsse uno scricchiolio soddisfacente mentre il sangue gli schizzava dall’angolo della bocca. ‘Era un essere umano’, disse Lock, affrettandosi a lasciarselo alle spalle.
Cinque
Prendendo coscienza all’improvviso del suo respiro affannoso, Lock raggiunse la copertura di una Crown Victoria parcheggiata a una quindicina di metri di distanza dall’ingresso dell’edificio, assicurandosi di rimanere a un metro e mezzo buono di distanza dalla carrozzeria, in modo da ridurre le possibilità di essere colpito da frammenti di proiettili vaganti. In gergo, avvicinarsi troppo si definiva abbracciare la copertura. Abbracciare la copertura significava farsi uccidere. Erano trascorsi solo novanta secondi da quando Stokes era stato colpito. In un attacco unilaterale di quel genere sembrava un’eternità. Cos’è che gli aveva detto suo padre quando lui era solo un ragazzino di dieci anni, per spiegargli com’era il lavoro della guardia del corpo? Ore di noia, attimi di terrore. Sollevò lo sguardo e vide il Sergente Caffrey che si accovacciava accanto a lui, tenendosi attaccato all’auto di pattuglia. Lock lo afferrò per una spalla e lo tirò indietro di qualche centimetro. ‘Che diavolo va facendo?’ ‘È troppo vicino.’ ‘Che significa?’ ‘Vuole una lezione sulle tecniche appropriate di copertura in questo preciso momento? Faccia quello che le dico e basta, e non si muova di lì.’ Caffrey fece una smorfia, il colorito pallido da un vento sferzante e dallo sforzo improvviso. ‘Accidenti, sarei andato a lavorare nel Bronx se avessi voluto avere a che fare con questa merda.’ ‘Credo che loro siano lassù’, disse Lock, annuendo in direzione di un edificio in mattoni rossi a tre piani con una rosticceria coreana a pianterreno che spiccava,
tozzo, tra i più eleganti complessi di uffici lì attorno. ‘Loro? Come hai capito che sono più di uno?’ chiese Caffrey, sporgendosi a guardare. Lock lo tirò di nuovo al coperto. ‘Un cecchino solitario è un ragazzo del college impazzito che non sa sparare per un cazzo, o il protagonista di un film. Un professionista lavora sempre con una spalla. E questi sono professionisti.’ ‘Li hai visti?’ chiese Caffrey. Lock scosse la testa. ‘Mi creda sulla parola. È l’unico posto in cui possono essere. L’angolazione del primo colpo gli avrebbe dato la giusta elevazione per colpire Stokes tra la folla.’ Lock accese la radio. ‘Ty?’ ‘Avanti.’ ‘Dov’è Van Straten?’ ‘Sistemato con latte e biscotti. Qual è il bilancio?’ ‘Tre caduti.’ Un uomo di mezza età in giacca e cravatta lasciò la copertura alla sinistra di Lock. Tenendo stretta la valigetta, uscì da dietro una macchina parcheggiata, compiendo solo pochi i prima di essere freddato dal cecchino. ‘Correzione. Quattro.’ Da dentro l’ingresso partirono delle scariche automatiche quando Brand e la sua squadra risposero al fuoco. ‘Ok, ascolta, Ty. Lascia Croft con Van Straten e torna di sotto. Assicurati che Brand e i suoi amici non facciano fuori altri bravi cittadini.’ ‘D’accordo.’ Lock si voltò verso Caffrey. ‘Qual è l’orario stimato di arrivo della squadra SWAT?’
‘Cinque minuti. Pensiamo solo a starcene seduti tranquilli fino ad allora.’ ‘Quando arrivano, si assicuri di informarli che sono dalla vostra parte.’ ‘Dove diavolo stai andando?’ ‘A dare a questi stronzi la bella notizia’, rispose Lock, dirigendosi verso il portone più vicino. Si addossò all’ingresso dell’edificio posto esattamente di fronte al quartier generale della Meditech. Trovandosi sullo stesso lato della strada di chi sparava, poteva avanzare lentamente, edificio dopo edificio, restringendo le possibili angolazioni. La sua unica paura era di venir fatto fuori dal fuoco amico sparato dai compari dal grilletto facile di Brand. Il cartello sulla porta della rosticceria era stato girato dal lato con la scritta ‘Chiuso per Turno’. Quel negozio non era rimasto chiuso nemmeno il giorno del Ringraziamento. A quel punto, Lock fu certo di essere nel posto giusto. Provò a girare la maniglia. Era bloccata. Con l’impugnatura della SIG sfondò la porta di vetro ed entrò. All’interno non c’erano segni di vita. La calma relativa che si respirava era inquietante, con le sirene che suonavano dall’altra parte della strada. Avanzò lentamente verso il bancone con le dita della mano destra serrate sull’impugnatura della SIG e la mano sinistra a coppa sotto il caricatore. Dietro il bancone, rannicchiata sotto la cassa, c’era una giovane con le mani immobilizzate da lacci di plastica e la bocca sigillata con del nastro telato. Lo spazio era esiguo: locali come quello tendevano ad utilizzare ogni centimetro quadrato per la merce. Inginocchiandosi, Lock le sfiorò la spalla con la mano facendola sobbalzare. ‘Tranquilla, andrà tutto bene’, sussurrò. Con l’unghia del pollice individuò il bordo del nastro. ‘Farà un po’ male ma, per favore, cerchi di non urlare, d’accordo?’ Lei annuì, con le pupille dilatate dal terrore. ‘Darò uno strappo netto, come se fosse un cerotto. Uno, due, tre...’
Tirò il nastro, sollevandolo verso destra mentre la donna soffocava un singulto. ‘Mio padre è laggiù’, disse lei, le parole che uscivano sotto forma di brevi rantoli. Fece un cenno con la testa in direzione del corridoio che si estendeva dall’ingresso al retro del locale. ‘Soffre di cuore.’ ‘Chi altro c’è?’ ‘Due uomini. Di sopra.’ ‘Sicura?’ ‘Sì. Non sono ancora scesi.’ ‘Dove sono le scale?’ Con un cenno della testa gli indicò una porta di legno marrone in fondo al corridoio. Lock impugnò il suo Gerber, aprendo il coltello a scatto con un unico movimento. La donna sussultò. ‘Voglio solo liberarle le mani.’ Sembrò capire, ma il suo corpo rimase teso e rigido mentre lui si sporgeva dietro di lei per tagliare le manette di plastica. Inizialmente aveva pensato che chiunque l’avesse legata, doveva aver improvvisato, usando delle fascette di plastica trovate in giro. In quel momento, però, si rese conto che si trattava di manette vere e proprie. Articoli militari di quelli usati in posti come l’Iraq, dove poteva esserci la necessità di trattenere in arresto un notevole numero di persone per un breve periodo. Comunque, la lama affilata del Gerber recise velocemente la spessa fascetta di plastica bianca. ‘Si occupi di suo padre. Se sentite degli spari, uscite, ma rimanete su questo lato della strada.’ Lock si alzò, avanzando verso la porta che conduceva alle scale. La aprì e la attraversò, poi guardò verso l’alto. Mentre saliva le scale, facendo attenzione a
distribuire il peso in modo uniforme ad ogni o, la polvere gli aderì alle pareti della gola. Si concentrò per rallentare la respirazione, e il suo campo visivo, che si era ristretto senza che se ne accorgesse, si schiarì di nuovo. Quando raggiunse il secondo piano, la sua frequenza cardiaca era diminuita di venti battiti al minuto. Sentì dei i muoversi sopra di lui. Chiunque fosse, andava di fretta. Si accovacciò, la schiena contro il muro e la 226 puntata contro un varco tra le sbarre metalliche della ringhiera del terzo piano. Percepì un movimento improvviso quando qualcuno uscì allo scoperto sopra di lui, la figura solo una massa indistinta. Prima ancora che Lock riuscisse a prendere la mira, era sparita. Lentamente, cominciò a salire l’ultima rampa di scale, tenendo la SIG tesa davanti a lui e l’indice poggiato sul grilletto. In cima ai gradini, a un paio di metri sulla sinistra, c’era una porta. Sulla destra, un’altra porta, però socchiusa. Si diresse prima a destra, in fondo al corridoio, spingendo la porta con la punta dello stivale per aprirla. La stanza odorava di stantio e di umidità. All’interno c’era una scrivania. Accanto, uno schedario solitario. La finestra era aperta. Dava sulla strada sul retro. Sulla cornice era piantato un chiodo da roccia di metallo a cui era attaccato un pezzo di corda blu da arrampicata che penzolava nel vuoto. Lock si avvicinò e si sporse fuori, intravedendo da dietro quelli che sospettò essere i tiratori in fuga. Premette il pulsante della radio. ‘Ty?’ sussurrò. ‘Ci sono.’ ‘La rosticceria coreana a mezzo isolato da lì. Secondo piano.’ ‘Ok, accidenti, lo riferisco.’ Se erano fortunati, la squadra SWAT poteva predisporre un perimetro di quattro isolati, e prenderli prima che riuscissero a scappare. New York poteva anche fornire a un pazzo l’ambiente urbano migliore per mimetizzarsi, ma anche qui un assassino paonazzo con in mano gli attrezzi del mestiere si sarebbe fatto notare.
Lock ripercorse il corridoio, fermandosi davanti alla porta chiusa che aveva già visto. Fece un o indietro e sollevò la gamba destra. La porta si spalancò sotto l’impatto del suo stivale. Ci fu un boato assordante quando un fucile, collegato alla maniglia della porta con un pezzo di filo da pesca, esplose un colpo. La forza dell’impatto scaraventò Lock oltre la ringhiera. Atterrò pesantemente sulla schiena, mentre la testa sbatteva con forza contro il muro creando un’ammaccatura nel cartongesso. Poi diventò tutto nero.
Sei
Alcune vetture con autista aspettavano, raggruppate, fuori dall’esclusivo complesso di appartamenti. A motore , emettevano scoppiettando una piccola nube di smog che si estendeva dalla FDR fino all’estremità dell’East River. Accanto all’ingresso a baldacchino verde, Natalya Verovsky si riparava sotto un ombrello da golf con il logo del Four Seasons. In disparte rispetto alle altre ragazze alla pari e alle tate in attesa di riprendere i propri protetti dalla festa della vigilia di Natale, lanciò un’occhiata all’orologio. Sarebbero usciti da un momento all’altro. Dopo quella che le parve un’eternità, uno sciame di bambini eccitati cominciò a riversarsi fuori, tenendo strette a sé borse piene di regalini. Per ultimo, come al solito, Josh, un agile ragazzino di sette anni con una zazzera di capelli castani. Sembrava essere impegnato in una conversazione comicamente seria con uno dei suoi amici a proposito dell’esistenza di Babbo Natale. Individuata Natalya, Josh interruppe la conversazione a metà con un rapido ‘Devo andare’ e si diresse di corsa verso di lei. Di norma, a quel segnale, Natalya stringeva Josh in un grosso abbraccio, sollevandolo da terra e accompagnando il tutto con un bacio appiccicoso che Josh fingeva di ritenere disgustoso, ma che lei sapeva piacergli, in segreto. Quel giorno, però, lo prese per mano senza dire una parola, anche se sapeva che darle la mano gli piaceva ancor meno di venir baciato. ‘Ehi, non sono un poppante’, protestò lui. Natalya non replicò, spingendo Josh a sollevare lo sguardo su di lei, mentre il suo radar individuava subito la minima variazione. ‘Che succede, Naty?’ La voce di Natalya si fece tagliente. ‘Niente. Adesso andiamo.’ Lo guidò rapida verso una vettura con un autista al volante parcheggiata dall’altra parte della
strada. Non appena la portiera posteriore si aprì, Josh fece un o indietro. ‘Perché non andiamo a piedi?’ ‘È troppo freddo per camminare.’ Una bugia. Era freddo. Da gelare, a dire il vero. Ma erano tornati a casa a piedi giorni in cui era anche più freddo. ‘Ma a me il freddo piace.’ La presa di Natalya si strinse attorno alla mano di Josh. ‘Sbrigati, veloce.’ ‘Possiamo avere una cioccolata calda quando arriviamo a casa?’ ‘Certo.’ Un’altra bugia. Josh sorrise, avendo apparentemente riportato una vittoria. Natalya sapeva che suo padre non ammetteva che mangiasse dolci prima di cena, e generalmente era d’accordo con lui, permettendo a Josh di mangiare di nascosto qualche dolciume solo il venerdì pomeriggio, come premio per aver finito tutti i compiti. Lui si arrampicò sui sedili posteriori dell’auto. ‘Con i marshmallow?’ ‘Sicuro’, confermò Natalya. All’interno dell’auto, l’autista, col viso oscurato dal vetro divisorio, suonò il clacson col palmo della mano prima di immettere la Mercedes nel traffico. In fondo all’isolato, svoltò subito a destra lungo l’Ottantaquattresima in direzione della First Avenue. Natalya mantenne lo sguardo fisso davanti a sé. Josh la guardò, sul viso la caricatura dell’espressione preoccupata di un adulto. ‘C’è qualcosa che non va, vero?’ Sentirono un lieve tonfo quando entrambe le loro portiere vennero bloccate. Natalya vide il panico che cominciava a salire negli occhi di Josh. ‘È solo per non farti cadere di fuori.’ La terza bugia.
‘Ma io non ho intenzione di cadere.’ Le luci davanti a loro diventarono verdi. Natalya si sporse ad allacciare la cintura di Josh mentre l’auto sbandava in avanti per battere sul tempo il semaforo successivo. Il parco ora si trovava alla loro destra, gli alberi secchi e spogliati delle foglie. Sorarono un corridore solitario, il viso determinato mentre si piegava sferzato dal vento pungente. Arrivati alla Novantasettesima, svoltarono dentro Central Park, tagliando in direzione dell’Upper West Side. In quel momento, qualunque finzione relativa al fatto che stessero tornando a casa era andata. Josh si sganciò la cintura e salì sul sedile per guardare dal lunotto posteriore. ‘Non è questa la strada’, protestò, la voce che si alzava per la preoccupazione. ‘Dove stiamo andando?’ Natalya fece del suo meglio per farlo stare zitto. ‘È solo per un po’.’ Quella parte, gliel’avevano promesso, era la verità. ‘Che vuol dire solo per un po’? Dove stiamo andando?’ Si interruppe e fece un respiro tremante. ‘Se non andiamo subito a casa lo dirò a papà, e lui ti licenzierà cacciandoti a calci nel sedere.’ Il vetro divisorio si abbassò mentre l’uomo alla guida si voltava. I capelli avevano un taglio militare ed erano spruzzati di grigio sulle tempie. L’abito nero in cui si era strizzato per avere l’aspetto di uno chauffeur sembrava sul punto di strapparsi da un momento all’altro all’altezza delle braccia. ‘Portaci a casa!’ gli gridò Josh. ‘Adesso!’ L’autista lo ignorò. ‘Fa’ sedere quel moccioso o lo farò io’, intimò a Natalya, scostando la giacca a mostrare una fondina ascellare in cui era infilata una Glock 9mm, l’impugnatura nera che risaltava contro il bianco della camicia. Josh tenne lo sguardo fisso su di lui, zittito dalla vista della pistola, mentre il panico si condensava in una furia silenziosa. Al di là dell’autista, attraverso il vetro chiaro del parabrezza, vide un’auto di pattuglia della polizia di New York dai caratteristici colori bianco e blu
procedere nella loro direzione. Ancora pochi secondi e si sarebbe trovata parallela rispetto a loro. Un secondo dopo sarebbe sparita. Sentendo che si trattava della sua unica occasione, Josh fece uno scatto improvviso verso il sedile anteriore. Il gomito destro dell’uomo al volante si sollevò verso l’alto colpendolo alla fronte con un colpo secco e facendolo ricadere a terra nello spazio tra i sedili. ‘Sta’ giù, dannazione’ disse, premendo un pulsante sul cruscotto, il vetro divisorio che scorreva tornando al suo posto. Natalya tirò di nuovo Josh sul sedile. Nel punto in cui l’autista l’aveva colpito, stava già cominciando a formarsi un bernoccolo. Un paio di centimetri più in basso e l’avrebbe colpito in pieno sul setto nasale. Combattere le lacrime era inutile. Il suo sguardo era infuocato quando incontrò quello di Natalya. ‘Perché stai facendo una cosa del genere?’ Quando cominciarono i singhiozzi di Josh, Natalya chiuse gli occhi, mentre il groviglio muto di paura che le era cresciuto nello stomaco nelle ultime settimane si solidificava. In quel momento comprese quello che aveva continuato a negare a sé stessa per tutto quel tempo. Aveva fatto un terribile errore. A qualche metro da loro, la pattuglia li superò velocemente. Senza che il poliziotto degnasse l’auto di una seconda occhiata.
Sette
Dieci minuti dopo che l’autista aveva colpito Josh, il divisorio si abbassò di nuovo e lui lanciò uno zaino in direzione di Natalya. Lei lo aprì con trepidazione, sebbene le avessero già detto ciò che avrebbe trovato all’interno. Per prima, tirò fuori una busta di plastica che riportava il logo blu e rosso di Duane Read. Scavando un po’ più a fondo, recuperò un completo di abiti da bambino, nuovi e della taglia di Josh: jeans blu, una maglietta bianca e una felpa blu marino. Nessun personaggio dei cartoni, nessuna marca riconoscibile, niente slogan né segni distintivi di alcun tipo. Vestiti semplici. Generici. Anonimi. Scelti proprio per queste caratteristiche. ‘Guarda, degli abiti nuovi’, disse Natalya, facendo del suo meglio per blandire Josh, rintanato nell’angolo opposto del sedile posteriore. Josh rivolse il viso verso Natalya con le lacrime ancora umide che gli luccicavano come glicerina sulle guance. ‘Fanno schifo.’ ‘Adesso ci cambiamo, d’accordo?’ ‘Perché? Per fare cosa?’ ‘Per favore, Josh.’ Josh lanciò uno sguardo verso il divisorio. ‘Scordatelo.’ Natalya si chinò, avvicinandosi a lui. ‘Non vogliamo farlo arrabbiare di nuovo, vero?’ ‘E comunque, chi è lui?’ chiese Josh. ‘Il tuo fidanzato?’ Natalya si morse il labbro. ‘È così, non è vero?’ ‘Non importa chi è.’
‘Perché mi stai facendo questo?’ Natalya abbassò la voce. ‘Ascolta. Ho sbagliato. Cercherò di tirarti fuori da questa situazione. Ma adesso ho bisogno che tu collabori.’ ‘Perché dovrei crederti?’ ‘Perché non hai altra scelta.’ Alla fine, dopo averla tirata per le lunghe ancora un po’, Josh si cambiò. Natalya infilò gli abiti che aveva indossato alla festa nello zaino, e con quello la parte semplice era andata. Subito dopo raccolse la borsa del drugstore, cercando di prendere coraggio, poi la rimise giù. A meno di inchiodare Josh a terra per fare ciò che doveva, rischiando di fargli male mentre lo faceva, avrebbe dovuto gestire la cosa con la dovuta cautela. ‘Stai bene vestito così’, cominciò Natalya. ‘No, proprio per niente.’ ‘I vestiti sono carini.’ Nulla di ciò che diceva stava sortendo alcun effetto, e Natalya si accorse che Josh stava ricominciando ad agitarsi. Cambiò posizione sul sedile posteriore. ‘Possiamo andare a casa? Per favore? Se vuoi dei soldi mio padre può darteli, ma io voglio andare a casa.’ ‘Non è così semplice.’ ‘Perché no?’ Natalya tirò fuori un paio di forbici da parrucchiere dalla busta di plastica. La mano di Josh corse a coprirsi i capelli. ‘No. I capelli no.’ L’auto rallentò e accostò al ciglio della strada mentre la macchina dietro suonava il clacson. Il divisorio si abbassò. Questa volta l’autista teneva la pistola in mano. La puntò dritta contro Josh. ‘Se mi costringi ad accostare un’altra volta, te ne pentirai.’
Tremando, Josh voltò la schiena a Natalya. Lei sedette a gambe incrociate dietro di lui e si mise al lavoro. Trascorsi appena cinque minuti, il sedile posteriore era tappezzato da lunghe ciocche di capelli castano scuro. Josh si portò la mano alla nuca e la lasciò scorrere tra le punte irregolari. Natalya gli prese la mano e la strinse. ‘Puoi sempre farli ricrescere. Adesso lascia che te li sistemi.’ Diede qualche altra piccola spuntatina, lavorando assorta per un po’. ‘Ecco qua. Adesso sai che cosa starebbe davvero bene con questo taglio?’ ‘Cosa?’ ‘Un altro colore.’ ‘Immagino di sì’, disse Josh, con voce totalmente sconfitta. Natalya tornò a rovistare nella borsa, sospirando quando trovò un flacone di plastica di tintura per capelli. Scorrendo velocemente le istruzioni sul retro della confezione, schioccò rumorosamente la lingua in segno di disapprovazione, poi si allungò in avanti e bussò sul divisorio. ‘Non posso usarla adesso.’ L’autista la fissò dallo specchietto retrovisore. ‘Perché no?’ ‘Ci vuole dell’acqua. Dovrà aspettare.’ ‘Sei sicura?’ ‘Credi che sia stupida?’ Spinse il flacone attraverso il divisorio, tenendo due dita a coprire la parte dell’etichetta che diceva ‘esclusiva applicazione a secco’. L’autista grugnì, si infilò il flacone in tasca e riavviò l’auto. ‘Non temere, non lascerò che ti accada nulla di male’, sussurrò Natalya circondando le spalle di Josh con un braccio. ‘Quello che sta succedendo è niente di male?’ chiese lui.
Natalya lo attirò più vicino e lui alla fine cedette, raggomitolandosi contro di lei. Quindici minuti più tardi stava cominciando ad appisolarsi, con la testa appoggiata alla spalla di Natalya, quando l’auto si fermò e il conducente aprì la portiera, trascinandoli entrambi fuori al gelo. Mentre loro rimanevano in piedi nella pioggerellina gelida e nebulosa, l’autista tirò fuori un aspirapolvere senza fili per auto nuovo di zecca e lo utilizzò per ripulire il sedile posteriore dai capelli di Josh. Più tardi, qualcun altro sarebbe ato a ritirare l’auto. La zona era desolata e semi industriale, con una strada che si apriva a sinistra. Arrancarono, avanzando tra la glassa di neve farinosa in direzione di un enorme cancello metallico, piazzato proprio nel bel mezzo di una recinzione apparentemente infinita. In lontananza, si sentivano le auto scorrere veloci. A parte quello, erano soli. Un uomo armato di pistola, Natalya, e il bambino che era stata incaricata di sorvegliare e che aveva tradito in modo così meschino. Natalya si guardò attorno, cercando di trovare un punto di riferimento – un segnale stradale, magari, o un negozio – ma l’unica cosa che vedeva era la banchina. Da qualche parte, lì vicino, riusciva a sentire gli schiocchi delle onde contro un molo. Nel momento in cui Josh era stato colpito, per lei era cambiato tutto. A prescindere dai rischi che avrebbe corso, era determinata a riparare al suo errore. E ciò significava riportare Josh a casa da suo padre sano e salvo. Avrebbe dovuto scegliere il momento con cura, però. Non ci sarebbe stata una seconda possibilità di fuga. Non avevano attraversato gallerie né ponti, quindi era certa che fossero ancora a Manhattan, ma non ci voleva un genio per capire che quel quartiere era molto lontano dall’Upper East Side. L’autista spinse Natalya verso il cancello di metallo con il palmo della mano. ‘Muoviti’, grugnì. Alla porta, una telecamera di sicurezza solitaria sorvegliava la zona, azionata da un meccanismo di rotazione idraulico. Il cancello si aprì con un click e l’autista lo spinse scortando all’interno Natalya e Josh.
In fondo ad un molo era legato un motoscafo a motore singolo, nessuno a bordo. Dipinto di grigio scuro, galleggiava piuttosto basso sul livello dell’acqua. Si incamminarono in quella direzione. L’uomo salì per primo all’interno, rischiando di perdere l’appoggio quando un’onda improvvisa si gonfiò sotto lo scafo. Per meno di un secondo Natalya prese in considerazione la possibilità di mettersi a correre, ma con la banchina che si estendeva sull’acqua per una decina di metri, sapeva che non avrebbero mai fatto in tempo. Natalya aiutò Josh a salire a bordo. ‘Prendimi la cima’, le ordinò l’autista, spingendo Josh verso il basso in modo che fosse nascosto alla vista di chiunque si trovasse a are sul fiume. Natalya slegò la cima di poppa dall’ormeggio e gliela lanciò. Ora toccava a lei. Quando l’imbarcazione cominciò ad allontanarsi dalla banchina, l’uomo le fece segno di muoversi. ‘Sbrigati.’ Lei esitò, poi colse lo sguardo terrorizzato di Josh. Non c’era assolutamente verso che lo abbandonasse. Con un rapido balzo saltò dentro mentre l’autista le afferrava la mano e quasi la trascinava nella barca. L’uomo avviò il motore e si allontanarono producendo un’onda di spuma e di carburante diesel. Presto il molo scomparve dalla visuale, mentre il grigio veniva sostituito dal profilo nero della città. Natalya elencò uno dopo l’altro gli edifici che riconosceva. La torre del Chrysler building. L’Empire State Building. Le fauci spalancate del varco un tempo occupato dalle Torri Gemelle, ora rimpiazzate dalla punta abbozzata della Freedom Tower. L’autista rovistò nella borsa e tirò fuori il flacone di tintura per capelli. Strizzò gli occhi mentre leggeva le istruzioni sul retro come se fossero scritte in sanscrito. Alla fine, sollevò lo sguardo su Natalya. ‘Applicazione a secco. Stronzate.’ Gettò il flacone a Josh. ‘Fa’ in modo di farlo assorbire per bene.’
Otto
Lock si risvegliò disteso a letto in una stanzetta, collegato ad un monitor e sotto fleboclisi. Pregava che fosse morfina, ma sospettava si trattasse di soluzione salina. Se sentiva ancora tutto quel dolore doveva trattarsi di una morfina di merda. Agitò le dita dei piedi e delle mani, sollevato nel rendersi conto che sembravano rispondere. Per essere certo che non si trattasse di una qualche sensazione da arto fantasma, scostò le lenzuola, sorpreso di riuscire a muoversi con tanta facilità, e divertito dal trovarsi davanti un’erezione. Magari si trattava di una qualche risposta evolutiva ad un’esperienza di pre-morte. Quello, o la vescica piena. Aspettò che la sua eccitazione scemasse, concentrandosi sulle immagini meno erotiche che gli venivano in mente per accelerarne la scomparsa. Niente da fare. Nemmeno l’immagine di Madonna emaciata dallo yoga riuscì a smuoverla. Le tende non erano completamente tirate e dalla finestra riusciva a intravedere le luci della città che non dormiva, andando avanti benissimo anche senza di lui. Con esitazione, ruotò le gambe portandole oltre il bordo del letto e, reggendosi alla sponda con una mano, si alzò in piedi. Per un paio di secondi gli sembrò che la stanza cominciasse improvvisamente a girare, ma la sensazione diminuì in fretta e, camminando con cautela, riuscì a raggiungere il microscopico bagno. L’uomo che lo fissava dallo specchio con un’espressione vuota aveva la barba di tre giorni e la testa quasi completamente rasata. andosi le dita sulla sommità del cranio trovò dei punti. Non gli era del tutto chiaro se si trattasse di una ferita o del risultato di un’incisione. Ci premette i polpastrelli. Non facevano davvero male, ma erano proprio punti. Aveva il viso gonfio, specie attorno alle palpebre. Gli occhi erano di un blu deciso in contrasto con il pallore mortale del resto della pelle, le pupille sembravano spilli. Si prese un momento per rielaborare come era arrivato lì. Sollievo. C’era ancora tutto. I dimostranti, la eggiata imprevista di Van Straten, poi Lock in piedi
sui gradini all’esterno della Meditech e il proiettile. Correzione: i proiettili. Il suo sguardo rivolto a Carrie che correva per mettersi al riparo. Nel ricordare quel particolare, il sollievo crebbe. Poi, lui che affrontava la minaccia, la giovane coreana legata, lui che saliva le scale, un’esplosione, e tutto che diventava nero all’improvviso. Ricordava tutto. Nel rendersene conto, si concesse un sorriso. Riempì il lavabo e cominciò a spruzzarsi acqua fredda sul viso, rimanendo di ghiaccio a metà di uno spruzzo nel sentire la porta della stanza principale che si apriva. Schiacciando la schiena contro il muro, sbirciò dalla porta. Nella stanza, un uomo con indosso una giacca a vento blu si stava guardando attorno, come se il letto vuoto fosse il risultato di chissà quale trucco di magia. Per un secondo, Lock si aspettò quasi di vedere l’uomo accendere la torcia e guardare sotto le coperte. Uscì dal bagno, e l’espressione dell’uomo si rilassò, aprendosi in un sorriso. ‘Eccola qua.’ ‘Eccomi qui’, fu l’unica risposta che venne in mente a Lock. Sopraffatto da un’improvvisa ondata di sfinimento, Lock fece un o per tornare verso il letto, ma barcollò. L’uomo allungò una mano, sorreggendolo. ‘Faccia piano.’ Lock se lo scrollò di dosso, ansioso di mettere delle lenzuola tra sé e il visitatore. ‘Mi faccia indovinare, JTTF?’ L’ufficio distaccato della t Terrorism Task Force a Manhattan si trovava in centro presso il Federal Plaza. Composto da membri dell’FBI, dell’ATF e del Dipartimento di Polizia di New York, aveva il compito di occuparsi dei reati di terrorismo interno che avvenivano nei cinque distretti e oltre. La campagna contro la Meditech era rientrata sotto la sua giurisdizione quando gli attivisti in difesa dei diritti degli animali avevano inasprito la loro azione. Lock aveva collaborato con un gran numero di persone in giacca e cravatta di quell’ufficio, anche se l’uomo di fronte a lui non era uno di quelli, per quanto riusciva a ricordare. ‘John Frisk. Sono appena stato trasferito.’
‘Ryan Lock.’ ‘Almeno riesce a ricordare come si chiama, è un inizio.’ ‘Da dove l’hanno trasferita?’ ‘FBI.’ Lock sedette sul letto. Frisk avvicinò una sedia e si sedette accanto a lui. ‘È stato fortunato. Se fosse stato colpito appena qualche centimetro più là delle piastre sarebbe stato spacciato.’ Lock aveva addosso quattro piastre. Due davanti e due dietro, infilate nelle tasche ai lati del suo giubbotto antiproiettile perché gli fornissero un’ulteriore protezione. Sorrise. ‘Magari dovrei andare a Las Vegas, mentre sono ancora a cavallo di quest’ondata di fortuna.’ ‘Mi porti con sé. Avrei proprio bisogno di una vacanza.’ Lock appoggiò la testa ai cuscini e fissò lo sguardo su un punto sul soffitto. ‘Con che cosa mi hanno colpito?’ ‘Un fucile calibro dodici collegato alla porta’, rispose Frisk. ‘C’è di peggio, immagino. Avete già preso qualcuno?’ ‘Speravamo che per quello potesse aiutarci lei.’ Lock si morse l’interno della guancia. ‘Professionisti. Entrambi maschi. Entrambi alti più del metro e ottanta. Non ho avuto modo di vedere granché oltre i loro corpi di schiena. Cosa ha scoperto la Scientifica?’ ‘Non posso dirlo, in realtà.’ ‘Troppe piste da vagliare, eh?’ Toccò a Frisk reprimere un sorriso. ‘Credevo di essere io l’investigatore, e che lei fosse il testimone.’
‘Le vecchie abitudini sono dure a morire.’ Frisk esitò per un momento. ‘Ok, da quello che siamo riusciti a mettere insieme, come ha già detto lei, si è trattato di un lavoro da professionisti. Fucile di precisione di grosso calibro; stiamo ancora lavorando sul modello esatto, ma è un calibro cinquanta.’ ‘Cinquanta?’ ‘Già. Se avessero collegato quello alla porta, non staremmo qui a parlarne’, confermò Frisk con estrema disinvoltura. ‘Ci credo’, convenne Lock. Dopo aver visto quello che la pallottola calibro .50 aveva fatto alla testa di Stokes, Lock sapeva che nemmeno tutti i giubbotti antiproiettile del mondo avrebbero potuto salvarlo. ‘Avevano pianificato la via di fuga in anticipo, non è rimasto molto per la scientifica. Nessun bossolo in vista, non che ci avrebbe aiutato molto comunque. Inoltre, la stanza è stata ripulita prima che se ne andassero ando per la finestra.’ ‘E che mi dice del fucile?’ chiese Lock, sporgendosi per raggiungere un bicchiere d’acqua sistemato sull’armadietto al lato del letto. Frisk lo batté sul tempo e glielo ò. ‘Un tentativo di guadagnare qualche secondo, a mio parere.’ Lock grugnì in segno di accordo. ‘Siamo risaliti al proprietario di una casa a Long Island. Il posto è sfitto dall’estate scorsa, il tipo non si è neppure accorto di aver subito un furto.’ ‘La ragazza ce l’ha fatta?’ ‘La ragazza sulla sedia a rotelle?’ Lock annuì e bevve un sorso d’acqua. ‘È di sotto al quarto piano.’
‘Sta bene?’ ‘Piuttosto sotto shock. Ne sa più o meno quanto lei.’ ‘Ha degli ottimi testimoni, a quanto pare. Qual è stato il bilancio finale?’ ‘Cinque morti in totale.’ ‘Cinque?’ ‘Tre vittime della sparatoria, una investita, e un attacco di cuore.’ Bussarono alla porta. Una giovane dottoressa afroamericana sulla trentina con l’aspetto di una che era stata sveglia almeno quanto Lock era rimasto privo di conoscenza, infilò la testa nella stanza. ‘Credevo di essere stata chiara quando ho detto che non volevo che il mio paziente fosse disturbato finché non fosse stato pronto.’ ‘Colpa mia, dottoressa’, affermò Lock. ‘Ero io che interrogavo l’Agente Frisk, non il contrario.’ ‘Bene, se ha delle domande, può sempre rivolgersi a me.’ Lock ricambiò l’occhiata di Frisk. ‘Non sono ancora riuscito a chiedere all’Agente Frisk qual è la mia prognosi federale.’ ‘Dunque, l’arma era detenuta legalmente, per quanto mi sfugga come diavolo abbia fatto ad ottenere il porto d’arma occulto in questa città, di questi tempi.’ Lock alzò gli occhi al cielo incontrando il soffitto. ‘Amici nelle alte sfere.’ ‘E la sua fortuna non finisce qui’, proseguì Frisk. ‘Siccome non ha sparato neanche un colpo, non ci saranno accuse a suo carico. Ma la prossima volta lasci la carica di cavalleria alla cavalleria, d’accordo?’ Lock si innervosì. Era stato l’unico ad affrontare la minaccia, e ora Frisk era lì a trattarlo come una recluta. ‘Ne sarei felice, se riuscissero a farsi vedere prima del finale. A proposito, che ne è di Brand?’ ‘Il dipartimento di polizia non vede l’ora di perseguirlo per omicidio colposo da incidente stradale. Il Procuratore Distrettuale, però, sta ricevendo molte pressioni
dall’alto per optare per un’accusa minore, o per lasciarle cadere del tutto.’ ‘Se parla con qualcuno del loro ufficio, può dirgli che sarei felice di assumermi la responsabilità di portare avanti il procedimento per quel capo d’accusa.’ Frisk sollevò un sopracciglio. ‘Voi due non andate granché d’accordo, vero?’ ‘Approcci differenti, soltanto questo.’ ‘Ah davvero, e qual è la differenza?’ ‘Il mio è quello giusto’, rispose Lock bruscamente. ‘Il signor Lock ha davvero bisogno di riposo ora’, intervenne la dottoressa. ‘Sono certa che ci sarà un sacco di tempo domani perché possa parlare con lui.’ ‘Che giorno è, ad ogni modo?’ ‘Giovedì’, rispose Frisk. ‘Un momento. Mi sono perso il Natale?’ Il medico sollevò un sopracciglio. ‘Ha avuto il dono della vita.’ Frisk fece un sorrisetto. ‘Sono certo che Babbo Natale recupererà l’anno prossimo con lei.’ ‘D’accordo, ora deve davvero riposare’, insisté la dottoressa. Frisk colse l’invito e lasciò la stanza. ‘Non si muova di qui’, disse dalla porta. Quando se ne fu andato, la mano di Lock si sollevò a toccare la ferita alla testa. Ci ò le dita sopra, come un bambino che si tormenta una crosta sul ginocchio. ‘Lì le resterà proprio una bella cicatrice’, osservò la dottoressa, appollaiandosi sul letto accanto a lui. ‘Crede che mi renderà più attraente agli occhi femminili?’ ‘Non mi ero accorta che questo fosse un problema, per lei.’ ‘Approfitterò di tutto l’aiuto possibile.’
‘Le dispiace se do un’altra occhiata?’ ‘Si accomodi.’ Chinò la testa in modo da fornirle una visuale migliore. ‘L’ha scampata proprio bella.’ ‘Così continuano a dirmi tutti.’ ‘Ha avuto una leggera emorragia. Abbiamo dovuto perforarle il cranio per far uscire del liquido. C’è il rischio che possa avere ancora degli svenimenti. Ah, e ci sono stati casi in cui il trauma riportato in quest’area particolare del cervello ha causato un aumento del livello de...’ ‘Basta così, dottoressa. Credo di capire dove voglia arrivare. Allora, quando posso uscire di qui?’ La donna si alzò in piedi. ‘Il trauma cranico è una cosa seria. Sarebbe meglio che rimanesse qui almeno per i prossimi giorni.’ ‘Ci conti’, rispose, con la mente già rivolta a come fare per andarsene di lì.
Nove
‘Non ha una casa in cui tornare?’ La dottoressa era di nuovo ai piedi del letto di Lock, impegnata a controllare la sua cartella mentre lui guardava la tv appoggiato ai cuscini. Anche se la sua convalescenza non durava da molto, aveva già fatto una serie di scoperte interessanti, la più sorprendente delle quali era che con una dose di morfina sufficientemente alta, le soap opera che davano durante il giorno risultavano dannatamente avvincenti. ‘Non avrei mai detto che lei fosse un così accanito apionato di soap’, commentò lei quando Lock tolse il sonoro dalla tv, lasciando un aspirante Clooney con la fossetta sul mento che prendeva a schiaffi un’attrice, il viso anestetizzato dal botulino, che esprimeva l’intera gamma di emozioni umane ando da A a B e viceversa. ‘Stavo aspettando che cominciasse il notiziario.’ ‘Sì, come no.’ Il suo sorriso era disarmante. ‘Sta flirtando con me, dottoressa?’ Lei ignorò la domanda e scribacchiò un’altra indicazione sulla sua cartella. ‘Che sta scrivendo?’, chiese lui, facendo del suo meglio per sbirciare. Lei orientò la cartella in modo che non riuscisse a vedere. ‘Non rianimare.’ Lock rise. Faceva male. Lei si concesse un sorriso. ‘Mi scusi, è che ci provano spesso con me, e io non torno a casa da due giorni.’ ‘Chi ha detto che ci stavo provando?’ ‘Non lo stava facendo? Ok, adesso mi sono offesa. Ad ogni modo, che ne parliamo a fare? Lei ha una ragazza.’
‘Ce l’ho?’ ‘Beh, certo è che c’è stata una donna che ha chiamato in continuazione da quando è stato ricoverato. Il nome Carrie Delaney non le dice niente?’ ‘Mi dice molto, ma sfortunatamente siamo solo buoni amici.’ ‘Sfortunatamente per lei o per la ragazza?’ ‘Probabilmente per entrambi.’ ‘Capisco.’ Lock si tirò su, mettendosi a sedere. ‘Sa, non ci avevo pensato fino ad ora, ma i nostri lavori hanno diverse cose in comune.’ ‘Per il fatto che salviamo la vita alla gente?’ ‘Pensavo piuttosto agli orari assurdi e al fatto che si accorgono di noi solo quando combiniamo dei casini.’ ‘Lei che casino ha combinato?’ gli chiese. ‘Janice Stokes non sarebbe qui se lei non avesse fatto quello che ha fatto.’ ‘Nemmeno io sarei qui.’ Si voltò a fissarlo. ‘Allora perché l’ha fatto?’ ‘Sembrerà la battuta di un pessimo film.’ ‘Anche di quelle ne sento spesso.’ ‘L’ho fatto perché è quello che sono stato addestrato a fare.’ ‘Quindi è abituato a salvare damigelle in pericolo?’ Lock scosse la testa. ‘No, solo ad aprire porte che non dovrei. Ascolti, non ho nemmeno capito il suo nome.’ ‘Dottoressa Robbins.’
‘Intendevo il suo nome di battesimo.’ ‘Avevo capito.’ Alle sue spalle, Lock colse l’immagine di Carrie che presentava il servizio di apertura in tv. Vederla faceva più male che farsi sparare. Stava in piedi fuori da un palazzo residenziale con l’ingresso a baldacchino verde mentre un portiere in guanti bianchi continuava ad entrare e uscire dall’inquadratura, apparentemente indeciso tra la discrezione e mandare in onda la sua faccia. ‘È quella la sua ragazza?’ chiese la dottoressa Robbins, seguendo lo sguardo di Lock diretto alla tv e leggendo il nome in basso sullo schermo. ‘Lo è stata. Per un po’, comunque.’ ‘Sembra troppo di classe per uno come lei.’ ‘Me lo dicono tutti. Le dispiace se...?’ ‘Faccia pure’, rispose la dottoressa Robbins, spostandosi dallo schermo. Lock rialzò il volume, cogliendo la frase di Carrie a metà. ‘...l’FBI tiene la bocca cucita in merito all’ultimo colpo di scena nella vicenda del massacro della Meditech che continua a tenere l’America con il fiato sospeso. Fino ad oggi, però, solo una cosa è chiara: a tre giorni dalla sua sparizione, Josh Hulme, di sette anni, continua a rimanere scomparso.’ La ripresa tagliò su un’immagine di un ragazzino bianco con folti capelli castani e occhi azzurri che sorrideva con aria timida da una foto di famiglia. Lock si allontanò dalla dottoressa Robbins quando questa cercò di dargli un’altra occhiata alla testa. ‘Cosa ha a che fare questo con la Meditech?’ ‘Suo padre lavora per loro, o una cosa del genere.’ Lock sentì una scarica di adrenalina. Si preparò a scendere dal letto, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero da parte della dottoressa Robbins. ‘Devo fare una telefonata.’
‘Va bene, ma faccia un favore a tutti noi.’ ‘Di che si tratta, dottoressa?’ ‘Si metta una vestaglia addosso. Ha il sedere di fuori.’
Dieci
Vestito, e con un cappello in testa a coprire quello che aveva cominciato a considerare il suo look da paziente lobotomizzato, Lock uscì nell’ingresso. Si sentiva ancora un po’ incerto sulle gambe, e aveva deciso di non radersi. Guardandosi nello specchio mentre si lavava la faccia, aveva pensato che una leggera alterazione del suo aspetto poteva non essere una cosa negativa, in quelle circostanze. Chiaramente il ‘Massacro a Midtown’, come l’aveva definito la stampa scovando con gioia un bell’esempio di allitterazione tra i morti, era solo l’inizio. Trovare il modo di chiamare Ty si rivelò complicato. Disgraziatamente, il cellulare di Lock era rimasto nell’ultimo cassetto della sua scrivania alla Meditech e i telefoni pubblici sembravano scarseggiare. La dottoressa Robbins gli aveva spiegato che, pagando una piccola cifra, avrebbe potuto fare in modo che gli portassero un telefono in camera, ma lui non voleva aspettare. Finalmente ne trovò uno al piano terra, vicino al negozio di articoli da regalo. Ty rispose al primo squillo. ‘Dov’è il mio cesto di frutta?’ ‘Senti un po’ chi è tornato dal regno dei morti. Mi stavo chiedendo quando ti saresti rifatto vivo.’ ‘Il sonno dei giusti, amico.’ ‘Lo so. È bello averti di nuovo tra noi.’ Lock fu grato di sentire il sollievo nella voce di Ty. Era confortante sapere che a qualcuno nell’azienda importasse qualcosa della sua morte. ‘Vuoi aggiornarmi?’ ‘Siamo sotto stretta sorveglianza. Non ci sono stati ulteriori incidenti. Sembra che vada tutto bene.’
Bene? ‘E io che pensavo di essere quello che aveva preso il colpo in testa. Come fanno le cose ad andare bene quando il figlio di uno dei nostri impiegati è scomparso?’ ‘L’hai saputo?’ Lock allontanò il telefono dalla bocca e contò fino a tre. Lentamente. Ty sembrò interpretare il suo silenzio. ‘Ascolta, Ryan’, cominciò, ‘le cose sono un po’ più complicate di quanto tu possa pensare. È coinvolto l’FBI, la cosa ora è in mano loro.’ ‘Allora perché diavolo continuiamo a pagare un’assicurazione per i casi di rapimento e riscatto se poi lasciamo semplicemente tutto in mano ai Federali?’ ‘Richard Hulme, il padre del bambino scomparso, si è dimesso dal suo incarico in azienda due settimane fa. Il che significa che né lui né suo figlio sono più un problema nostro. Mi dispiace Ryan, ho reagito come te quando l’ho saputo, ma l’ordine viene dall’alto. Dobbiamo restarne fuori.’ ‘Ma l’FBI non pagherà alcun riscatto.’ ‘Loro hanno la loro politica, noi la nostra.’ ‘E nove volte su dieci fare a modo nostro significa che le vittime tornano a casa sane e salve, e che l’unico danno è una piccola flessione del bilancio finale di qualche compagnia assicurativa e un leggero aggiustamento attuariale nel premio dell’anno successivo.’ ‘Lo so, amico, lo so.’ In quel preciso istante, una bambina sulla sedia a rotelle veniva spinta nella sua direzione, il gesso che le copriva la gamba decorato con i pennarelli. Gli sorrise. ‘Ascolta Ty, ho intenzione di andarmene da qui, ma prima devo controllare una cosa.’ ‘D’accordo, amico. Ehi...’
‘Cosa?’ ‘Sta’ attento.’ Lock riattaccò e si diresse difilato verso il negozio di articoli da regalo. Afferrò un mazzo di fiori con la garanzia ‘sempre freschi’ per sette giorni (Lock poteva testimoniarlo) e una confezione di caramelle. Mentre pagava alla cassa, diede un’occhiata ai quotidiani sull’espositore. Il volto di Josh lo fissava da tutte le prime pagine, a parte quella del New York Times, che riportava le più serie questioni del Medio Oriente: si sospettava un attacco biologico contro le truppe della coalizione sul confine tra Afghanistan e Pakistan. Prese una copia del Post e lo sfogliò mentre riattraversava l’atrio. All’interno c’era una foto a doppia pagina di lui che spingeva Janice lontano della traiettoria dell’Hummer. Non gli piacque: un buon agente specializzato in protezione ravvicinata restava lontano dai riflettori. E una doppia pagina su un tabloid non significava esattamente rimanere lontano dei riflettori. In ascensore, Lock venne schiacciato contro la parete da una coppia di inservienti che spingevano un uomo anziano su una lettiga. Uno di loro gli lanciò uno sguardo cauto. Improvvisamente, si pentì di non essersi ato il rasoio in faccia quando ne aveva avuto l’occasione. Lock porse all’inserviente il Post, aperto sulla pagina con la sua foto. ‘Si rilassi, sono uno dei buoni.’ L’anziano sulla barella allungò la mano verso il giornale. ‘Dia qua, mi faccia vedere.’ Gli occhi arono ripetutamente da Lock alla foto. ‘È proprio lui.’ Una volta soddisfatta la curiosità di tutti, Lock scese al quarto piano, grato che non gli avessero chiesto di firmare autografi o di posare per una foto. La stanza di Janice fu abbastanza facile da individuare. Era quella dove c’era un’agente sulla porta che beveva da una tazza di polistirolo. Una volta che Lock ebbe affrontato di nuovo la tiritera del giornale, e dopo che l’agente ebbe parlato con qualcuno del suo distretto, che poi aveva dovuto parlare con qualcun altro a Federal Plaza, gli fu permesso di varcare la soglia. Le tende erano tirate ma Janice era sveglia, il viso rivolto alla parete opposta alla
porta. La camera era piena di fiori e biglietti d’auguri. Alcuni biglietti di condoglianze erano sparsi in mezzo a quelli che le auguravano una pronta guarigione. Gli addetti alle ricerche di mercato della Hallmark, evidentemente, non avevano ancora individuato la nicchia di mercato rappresentata dai biglietti d’auguri con la scritta ‘Sono felice che tu sia ancora viva, e in bocca al lupo con la tua malattia terminale’. Lock sistemò i fiori ai piedi del letto e accostò una sedia. Rimasero seduti in silenzio per qualche momento. ‘Come ti senti?’ le chiese Lock alla fine. ‘Malissimo. Lei?’ La domanda arrivò accompagnata da un accenno di sorriso. ‘Mi sento...’ Imbarazzato, Lock non terminò la frase. ‘Sto bene.’ Lei allungò la mano a toccare la sua. ‘Grazie.’ La semplice umanità di quel gesto lo lasciò un po’ confuso. Lavorando per Nicholas Van Straten, per mesi Janice e suo padre erano stati il nemico. ‘Sono contento che tu ce l’abbia fatta’, disse con voce gentile. Lei abbassò lo sguardo. ‘Per ora.’ ‘Non lo sai. Potrebbe esserci una scoperta innovativa, qualche nuovo medicinale o una cura per la tua malattia.’ Non appena quelle parole gli uscirono dalla bocca, se ne pentì. Se anche fosse andata così, c’erano più possibilità che un testimone di Geova acconsentisse a una trasfusione di sangue, piuttosto che Janice assumesse qualsiasi cosa che, con ogni probabilità, era stata testata sugli animali. A suo favore, va detto che lei lasciò correre. Si concentrò invece sul viso di Lock così a lungo da farlo agitare a disagio sulla sedia, prima di chiedergli, ‘È mai stato in un mattatoio?’ Per un secondo, lui prese in considerazione l’idea di raccontarle dei sei mesi ati in Sierra Leone, dove Charles Taylor e il Fronte Rivoluzionario Unito avevano avviato una campagna sistematica di amputazione degli arti alla popolazione civile, compresi i neonati. Perlomeno, pensò in quel momento,
uccidere degli animali per mangiarli serviva ad uno scopo. Buona parte di quanto Lock aveva osservato nel corso degli anni, al contrario, era frutto dei peggiori istinti dell’uomo. Sospirò e si strofinò la testa, trovando i punti. ‘Ho incontrato spesso la morte.’ ‘La morte è inevitabile, però, non trova?’ chiese Janice, con il tono che saliva di intensità. ‘Io parlo di uccidere. Gli animali sentono che stanno per essere uccisi. Lo si vede riflesso nei loro occhi, lo si percepisce nei versi che emettono.’ Lock si sporse a toccarle il braccio. ‘Janice, ho bisogno di farti qualche domanda. Non devi rispondere per forza, ma ho ugualmente bisogno di fartele.’ ‘Gandhi ha detto che si può giudicare la moralità di una nazione da come tratta i suoi animali’, continuò Janice, imperterrita. Stava divagando, la mente ava a ripetizione lo stesso disco, o così parve a Lock. Si aggrappò alle sponde del letto e si tirò su a sedere. Lui cercò di aiutarla ma lei lo respinse. ‘Janice, si tratta di una cosa importante. Non credo che chi ha ucciso tuo padre l’abbia fatto per errore. Voglio dire che più ci penso e più non riesco a togliermi dalla testa che non si è trattato di qualcuno che voleva uccidere Nicholas Van Straten e che ha fallito. Si è trattato di qualcuno che voleva uccidere tuo padre e che ci è riuscito.’ ‘Crede che non lo sappia?’ chiese Janice, improvvisamente concentrata. ‘Avevamo già ricevuto minacce da parte vostra.’ ‘Che vuoi dire?’ ‘Telefonate e lettere che dicevano che se non la smettevamo di manifestare saremmo stati uccisi.’ ‘L’avete detto a qualcuno?’ ‘E a chi avremmo dovuto dirlo? All’FBI? Probabilmente erano loro a farle.’
‘Dai.’ ‘Mia madre e mio padre salvavano animali vent’anni prima che un gruppetto di oche anoressiche si spogliasse davanti agli obiettivi perché andava di moda farlo. Io sono cresciuta sapendo che il nostro telefono era sotto controllo e che le nostre mail venivano aperte. Non c’è stato un Natale in cui non sapessi quello che mi aveva preso la nonna perché quegli stronzi aprivano ogni cosa. Cos’è cambiato? A parte il fatto che di questi tempi ci sono molti più soldi in ballo. Per quanto ne so io, potrebbe essere stato lei a fare quelle telefonate.’ ‘D’accordo, mi hai beccato. Dev’essere stato il senso di colpa represso che mi ha spinto a rischiare il culo per tirarti fuori di lì’, rispose brusco Lock, infuriandosi. I regali della nonna, ma per piacere. Puzzava di lavaggio del cervello. Mamma e papà Stokes avevano fatto un così bel lavoro, che la loro unica figlia era disposta a morire immolata per la causa, piuttosto che a scendere a compromessi con i propri principi e vivere, mentre loro se ne stavano contenti a guardare. E per cosa, poi? Per provare la propria superiorità morale rispetto al resto di noi. ‘Grazie per i fiori, ma forse sarebbe meglio che se ne andasse ora’, disse Janice, voltandosi dall’altra parte. Lock si alzò in piedi. Fece un paio di respiri. ‘D’accordo, me ne vado. Ma c’è ancora una cosa che devo chiederti.’ ‘Va bene, ma faccia in fretta, sono stanca.’ ‘Tuo padre ha detto qualcosa a Van Straten mentre erano fuori. Qualcosa sul fatto che avesse recepito il suo messaggio.’ Janice sembrava svuotata. ‘Gliel’ho già detto, noi non abbiamo minacciato nessuno.’ ‘Non sto dicendo che fosse una minaccia. Ma se c’è stata qualche comunicazione non ufficiale tra loro...’ ‘Con la Meditech? Assolutamente no.’ ‘Allora qual era il messaggio?’
La voce di Janice tremò, carica di emozione. ‘Non lo so. E ora non lo saprò mai. I miei genitori sono morti, ricorda?’ Lock si alzò in piedi mentre l’irritazione veniva rimpiazzata dal rimorso. ‘Mi dispiace, non avrei dovuto...’ Ma lei aveva già chiuso gli occhi e, tempo di raggiungere la porta, si era già addormentata. L’agente in uniforme controllò che stesse bene prima di permettere a Lock di lasciare la stanza. Mentre lo sottoponeva ad una rapida perquisizione lo guardò negli occhi, anche se restava un mistero cosa avrebbe potuto portarsi via dalla stanza d’ospedale di Janice. ‘Deve essere una bella sensazione’, disse la donna. ‘Che cosa?’ La recluta gli sorrise. ‘Salvare la vita di qualcuno, come ha fatto lei.’ Lock si strinse nelle spalle. Lui non aveva salvato la vita a Janice, aveva solo rimandato la sua morte. Voltò la schiena all’agente e tornò verso l’ascensore.
Undici
La Brennan’s Tavern era irlandese più o meno quanto una scodella di Lucky Charm, i cereali per la colazione con un Leprecauno stampato sulla confezione. Ma era scura, cosa che a Lock andava più che bene. Nonostante gli analgesici presi alla farmacia dell’ospedale avessero smorzato il suo mal di testa, la luce forte lo faceva ancora sussultare. Lasciare l’ospedale si era rivelata una procedura quasi più lenta di quella necessaria per lasciare l’esercito, richiedendo quasi lo stesso numero di ore ate a riempire moduli. La dottoressa Robbins lo aveva avvertito che nelle sue condizioni era un pericolo non solo per sé stesso, ma anche per gli altri. Lui aveva evitato di riferirle che il suo ufficiale in comando aveva detto la stessa cosa. Lasciando che gli occhi si abituassero gradualmente alla penombra, fece un sorso di birra. Il foglietto illustrativo degli analgesici conteneva, senza dubbio, delle avvertenze in merito a non assumerli in concomitanza con l’alcol, ma lui aveva la vista ancora un po’ sfocata e, comunque, chi sarebbe riuscito a leggere una scritta così piccola con quella luce? La porta si spalancò ed entrò Carrie. Vedendola, Lock si sentì improvvisamente di ottimo umore. E la confusione che aveva in testa aumentò. Senza fermarsi a guardarsi intorno, lei avanzò dritta verso di lui lasciando cadere la giacca e la borsa sul tavolo, come aveva sempre fatto, come se non avessero mai rotto. ‘Giornata pesante?’ le chiese Lock. ‘Non più del solito.’ ‘Come hai fatto a trovarmi così in fretta?’ ‘Tavolo d’angolo con le spalle al muro, porta in vista e facile accesso all’uscita sul retro. Non ci vuole un genio.’ ‘Vedi, uscire con me ti è servito a qualcosa, in fin dei conti.’ Si alzò in piedi e le
scostò la sedia. Lei mimò un inchino e si sedette. ‘Hai sempre avuto delle ottime maniere.’ Si guardarono da un capo all’altro del tavolo, e Lock, d’un tratto, desiderò che la luce fosse migliore. ‘Sono contento che tu sia ancora tutta intera.’ ‘Già. Per un momento c’è stato da avere paura.’ ‘È vero’, convenne Lock. Le uniche persone che dichiaravano di non essere spaventate in una situazione violenta erano i bugiardi e gli psicopatici. La paura era una questione innata. ‘Allora, come sta il mio eroe?’ ‘Sono il tuo eroe?’ ‘Ryan, evitiamo di...’ Lui sollevò una mano a chiedere scusa. ‘Hai ragione. Allora, vediamo, come sto?’ Bevve un sorso, riflettendo. ‘Mi fa male tutto. Se l’avessi previsto...’ ‘Non ti avrebbe fatto male?’ Lock non era certo di avere l’energia per spiegarsi. Da tempo ormai aveva elaborato la teoria secondo la quale se sai che verrai colpito, se te lo aspetti, il cervello riesce ad inviare un segnale di preallerta al corpo in modo che quando il dolore arriva, l’impeto è minore. Da allora, ogni volta che si trovava ad affrontare una situazione, la prima cosa che diceva a sé stesso era farà male. Molto. E, in qualche modo, quando faceva così e arrivava il dolore, lui era in grado di gestirlo e avere la meglio. La fucilata era stata come un calcio tra le palle. Ma d’altronde, di questi tempi, il mondo era un susseguirsi di calci tra le palle. ‘Ryan? Ti senti bene?’ ‘Scusa.’ Si ò le mani sulla testa. ‘Avevo il cervello da un’altra parte.’
‘Era evidente. Bel taglio di capelli, comunque.’ Le sorrise. Una delle tante caratteristiche di Carrie che amava, era la sua capacità di distrarlo da quelli che lei definiva i suoi attimi ‘da anima tormentata’. ‘Ti piace?’ le chiese. ‘“Piace” mi sembra una parola grossa. Di certo è...diverso. Lascia che ti offra qualcosa da bere.’ ‘Offro io.’ Fece un cenno al barista e ordinò una Stoli con ghiaccio e succo di lime per Carrie. ‘Bello che ti sei ricordato.’ Il modo in cui incontrò il suo sguardo mentre lo diceva, trasmetteva più di una promessa, per il dopo. Nel suo stato attuale, Lock non riusciva a decidere se fosse un bene o un male. Da un lato, non poteva pensare a niente di meglio che are la notte con Carrie, ma dall’altro dubitava che Carrie sarebbe rimasta granché colpita se le fosse svenuto addosso. E poi, la situazione era complicata. All’inizio della loro relazione avevano giurato entrambi che si trattava solo di divertirsi un po’, per poi rendersi conto – dopo che lui aveva ato ogni notte a casa di lei per due settimane consecutive, che forse la cosa stava diventando qualcosa di più. Alla fine erano giunti alla stessa conclusione: persona giusta, momento sbagliato. Nessun litigio. Nessuna recriminazione. Col are del tempo, si erano solo resi conto che non avrebbe funzionato. Lock ci era stato male, e si era gettato nel lavoro con dedizione ancora maggiore. Il barista portò un’altra birra a Lock e la vodka con ghiaccio e succo di lime a Carrie. Carrie percorse con il dito il bordo rotondo del bicchiere. Lock avrebbe giurato che aveva qualcosa in mente. ‘Ho un paio di filmati piuttosto buoni di te che salvi quella ragazza sulla sedia a rotelle.’ ‘No.’
‘Non ti ho ancora chiesto niente.’ ‘So quello che vuoi chiedermi, e la mia risposta rimane no.’ Carrie si appoggiò all’indietro sulla sedia. ‘Mi concederesti un’intervista?’ ‘Sai cosa penso delle stronzate della stampa. Esclusi i presenti. E sai cosa penso di chi fa questo lavoro e se ne vanta.’ ‘Ma le hai salvato la vita.’ ‘È quello che sono addestrato a fare. Non si è trattato di coraggio, è stato un riflesso. Ascolta, il mio lavoro consiste nell’essere...’ ‘L’uomo nell’ombra. Lo so.’ Carrie aveva fatto l’errore di accoccolarsi sul divano insieme a Lock una sera per guardare gli Academy Awards. Si era sorbita un torrente di invettive sulle manchevolezze delle varie ‘guardie del corpo’ che accompagnavano la crema di Hollywood lungo il red carpet. Era stata anche la prima volta in cui Carrie aveva sentito l’espressione, probabilmente un retaggio dei suoi ex colleghi britannici, ‘idioti col collo grosso’. ‘Allora conosci già la mia risposta.’ ‘Non puoi prendertela con me per averci provato, no?’ Vuotò la sua vodka. ‘Perché non ce ne andiamo da qualche altra parte?’ Lock chiuse gli occhi, assaporando quel momento. ‘Stai bene?’ ‘Più che bene. Hai in mente un posto?’ ‘Forse.’ Dietro le spalle di Carrie, Lock vide un uomo sulla quarantina entrare nel bar. Indossava un lungo impermeabile abbottonato fino al collo, ma i capelli incollati alla testa mostravano che non era stato abbastanza lungimirante da portare un ombrello. ò rapidamente in rassegna il bar, chiaramente cercando qualcuno,
ma aveva l’atteggiamento sbagliato, dando mostra di un’eccessiva insicurezza. L’uomo si fermò al bar, sporgendosi a parlare con il barista che annuì in direzione di Lock. Quando l’uomo si diresse verso di loro, Lock spinse indietro la sedia di qualche centimetro, garantendosi lo spazio per alzarsi in piedi rapidamente qualora ce ne fosse bisogno. ‘Che c’è che non va?’ chiese Carrie, gettandosi un’occhiata alle spalle. L’uomo arrivò a un paio di metri da loro e si fermò. Lock rimase concentrato sulle mani dell’uomo, aspettando che si muovessero all’interno delle tasche. Ma non lo fecero, e quando alla fine cominciò a parlare, lasciò trapelare un leggero accento da tipico bianco americano, usando parole decise e sincopate. ‘Il signor Lock?’ Un altro giornalista, senza dubbio. Lock lanciò all’uomo un’occhiata truce da sopra il suo bicchiere di birra. ‘Mi spiace, ma ho già concluso un accordo con la NBC.’ ‘Ti piacerebbe’, borbottò Carrie. Lock aprì la bocca per dire all’uomo che se ne stavano andando, ma si fermò quando vide il suo viso più da vicino. Aveva rugose borse nere sotto gli occhi e sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. Lo sguardo dell’uomo sfiorò Carrie, poi tornò su Lock. ‘Signor Lock’, disse, con la voce che si spezzava, ‘non sono un giornalista. Mi chiamo Richard Hulme. Sono il padre di Josh Hulme.’
Dodici
‘Come mi ha trovato?’ chiese Lock a Richard Hulme. ‘Uno dei suoi amici alla Meditech, Tyrone. Mi ha dato una lista dei posti in cui avrei potuto trovarla. Credo che si senta a disagio per il fatto che la Meditech non è disposta ad intervenire.’ Erano seduti da soli in un separé all’angolo dato che Carrie aveva accettato di raggiungere Lock più tardi. ‘Vuole raccontarmi cosa è successo?’ Richard si perse nel racconto, la voce piatta e controllata. Quello che molti avrebbero giudicato una mancanza di emozione, fu identificato da Lock come l’estremo tentativo di un padre di non cadere in pezzi; non per un esagerato orgoglio da macho, ma piuttosto perché il suo stoicismo avrebbe potuto contribuire a riportare suo figlio a casa tutto intero. Lock ci era già ato, e come chiunque altro avesse avuto a che fare con il rapimento di un bambino, non l’aveva mai dimenticato. Ad ogni modo, quando Richard cominciò a tracciare la sequenza degli eventi, metodicamente come ci si aspetterebbe da uno scienziato, Lock cominciò a sentirsi a disagio. Quello non assomigliava a nessuno degli altri casi di rapimento in cui Lock era stato coinvolto, né di cui avesse sentito parlare. ‘Non mi sono neppure accorto che era sparito fino alla mattina dopo. Mi spiego meglio. Ero ad una conferenza fuori città. Avevo telefonato dall’hotel, ma avevo pensato che poiché Josh era a letto...’ ‘Sua moglie avesse spento il telefono?’ Richard deglutì a fatica. ‘La madre di Josh è deceduta tre anni fa. Cancro.’ Lock non disse nulla. Quello era il momento di analizzare la situazione, non di tirare fuori luoghi comuni. Il fatto che la madre di Josh fosse morta eliminava la
prima ipotesi. Qualcosa come il novantacinque per cento dei rapimenti di minori erano il risultato di giochi di potere mal gestiti da parte di cosiddetti adulti. ‘La sua ragazza alla pari, Natalya, è dell’Est Europa?’ ‘Russa, per essere precisi. Di San Pietroburgo, penso.’ ‘Da quanto tempo è con voi?’ ‘Da quattro mesi o giù di lì. Non penserà che...?’ ‘È possibile. Mi creda, nella parte del mondo da cui proviene Natalya, il rapimento è considerato alla pari dell’alcolismo e degli abusi domestici quando si tratta di trovare un modo per trascorrere le lunghe notti invernali, quindi io non lo escluderei. La bella notizia, è che la Mafia Russa non crede nell’uccidere le proprie vittime. La cosa tende a rendere problematico il ripetersi dell’affare.’ ‘Escludo la possibilità che Natalya sia coinvolta.’ ‘È sempre così. Finché non succede.’ ‘Josh la adorava, ed era una cosa reciproca.’ ‘La mia domanda non le piacerà, ma...’ Dal modo in cui Richard sobbalzò, Lock avrebbe scommesso che sapeva dove voleva andare a parare. ‘Non avevo una relazione con Natalya. È questo che voleva chiedermi, vero?’ ‘Ascolti, nessuno la giudicherà se anche l’avesse avuta. Specialmente considerando che sua moglie è morta.’ ‘L’FBI mi ha chiesto la stessa cosa.’ A quelle parole, Lock sollevò la mano con il palmo rivolto verso Richard. ‘Se è coinvolto l’FBI perché è così ansioso di parlare con me? Perché non lascia risolvere la faccenda a loro?’ Era la domanda che aveva assillato Lock da quando aveva incontrato Richard. ‘Non arriveranno a nulla in tempi brevi. Sono disposto a trattare con chiunque.’
Si interruppe. ‘Se c’è qualcosa che sente di dovermi dire, lo tiri fuori.’ ‘Dopo che Meg se n’è andata, Josh è tutto quello che mi rimane. Ho bisogno di qualcuno che faccia qualunque cosa sia necessaria.’ ‘E ha pensato che quel qualcuno sarei io?’ ‘Sì.’ Lock si alzò. ‘Dove sta andando?’ chiese Richard, alzandosi anche lui. ‘L’FBI sa come ci si comporta in casi come questi’, disse Lock, odiandosi per propinargli una banalità così palese. ‘Lasci che facciano il loro lavoro.’ Richard si aggrappò al bavero della giacca di Lock. Lock fissò la mano di Richard finché questi non si ritrasse. ‘Mi dispiace per la sua perdita. Dico sul serio.’ ‘Sta parlando come se fosse già morto.’ Lock rimase in silenzio. ‘È così, allora? La società non mi aiuterà e lei nemmeno.’ ‘Cosa le hanno detto quando ci ha parlato?’ ‘Che non ero più un problema loro. E nemmeno Josh. Non proprio in questi termini, ma giurerei che è quello che intendevano.’ ‘Vuole che parli con loro a nome suo?’ Lock vide che Richard si conficcava le unghie nei palmi delle mani. ‘Quello che voglio è trovare mio figlio. Non mi importa come.’ ‘Posso fare qualche telefonata per lei. Ma non posso andare oltre. Mi dispiace.’ L’espressione di Richard crollò. ‘Qualche telefonata? Tutto qua? Io vengo a
chiedere il suo aiuto e lei fa qualche telefonata?’ ‘Mi ascolti, Dottor Hulme, io lavoro per la Meditech...ha presente? Quelli che non vogliono aiutarla. Cosa le fa pensare che questo sia compito mio?’ Richard si ò le mani sulla faccia. ‘Non lo so. Forse perché ho pensato che nemmeno rischiare la vita per salvare quella dimostrante in sedia a rotelle fosse compito suo...’ ‘Come ho già detto, mi dispiace.’ La mano di Richard tremava quando puntò il dito contro il viso di Lock. ‘Lei sa come finirà tutto questo, e lo so anch’io’, gridò, attirando gli sguardi della folla di avventori da un capo all’altro del locale. Lock lo tirò verso la porta. ‘Mio figlio finirà in pasto a quei pazzi fanatici e tutto quello che lei e la Meditech riuscite a fare è rifilarmi delle stronzate aziendali.’ Lock abbassò la voce fino a ridurla ad un sussurro, augurandosi che quello che stava per dire avrebbe calmato Richard a sufficienza, tanto da ridurre la portata dei suoi commenti sulla Meditech ad un raggio di quattro isolati, piuttosto che a tutti e cinque i distretti. ‘Se pensassi di essere la persona più adatta ad aiutarla, dottor Hulme, mi creda, lo farei. Ma il fatto è che non lo sono.’ Richard inspirò profondamente. ‘Lei ha trovato Greer Price.’ Lock sgonfiò le guance ed espirò lentamente, il fiato che formava una nuvoletta a contatto con il freddo. Richard Hulme, evidentemente, aveva scavato un po’ per conto suo. ‘È da tanto che non sento quel nome.’ Greer Price era una bambina di quattro anni che si era persa in un supermercato accanto alla base militare di Osnabruck, in Germania. Nonostante fossero presenti almeno due dozzine di clienti e i dipendenti del negozio in quel momento, e la mamma di Greer le avesse voltato la schiena per appena una manciata di secondi, non c’erano stati testimoni della scomparsa della piccola. Lock era una recluta della Royal Military Police e la pista era ormai fredda oltre un anno prima che il caso fosse affidato a lui. Richard aveva ragione, Lock aveva risolto il caso, ma non l’aveva mai considerato uno dei momenti più alti della sua carriera. ‘Greer era morta quando l’ho trovata.’
‘Ma, comunque, l’ha trovata.’ ‘Per quel che è servito.’ ‘Ha consegnato qualcuno alla giustizia.’ ‘Ho consegnato qualcuno al tribunale, dove è stato condannato e ha ricevuto una pena da scontare. La giustizia non c’entra.’ Per un secondo, Lock si ritrovò catapultato nell’attico di una casetta insignificante, appartenuta ad un vecchietto dall’apparenza ancor più insignificante. Un ex commercialista, portato a mettere in ordine ogni cosa, oltre ogni immaginazione. Lock aveva ato due giorni in quell’attico, ispezionando una scatola dopo l’altra piena di sacchetti di plastica per la conservazione dei cibi. Ognuno conteneva un cimelio di un bambino abusato, e era contrassegnato con la data dell’abuso scritta in nero. Greer era stata trovata alcuni giorni dopo, sepolta nel giardino sul retro. Represse un brivido al pensiero di un luogo in cui non sarebbe voluto tornare mai più, nemmeno con gli occhi della mente, mentre Richard Hulme rimaneva in piedi davanti a lui in attesa di una risposta. ‘D’accordo’, disse Lock alla fine. ‘Finisca la storia. Magari colgo qualcosa che l’FBI si è fatto sfuggire. Ma se questo non succede, mi lascerà in pace?’ Richard annuì. Lasciarono il bar e si diressero verso l’auto di Richard, una Volvo station wagon vecchio modello. I finestrini si appannarono mentre il riscaldamento faceva gli straordinari per evitare che congelassero. ‘Quindi è arrivato a casa, e non c’era nessuno.’ ‘Già. Ho cercato di mettermi in contatto con Natalya sul cellulare, ma doveva essere spento.’ Lock prese un appunto mentale. L’unico modo per non rintracciare un cellulare, era che questo fosse completamente spento, altrimenti le autorità avrebbero potuto triangolare la sua posizione dai ripetitori della zona.
‘Vada avanti.’ ‘Ho pensato che, forse, Natalya aveva dimenticato il telefono. Non volevo violare la sua privacy, ma viste le circostanze...quindi ho guardato nella sua stanza, diciamo che è ata un’altra ora, poi ho chiamato la polizia. Loro hanno avvertito l’FBI.’ Lock sapeva che quella era la procedura standard in casi del genere, quando scompariva qualcuno di un’età che l’FBI definiva eufemisticamente ‘tenera’, ad intendere un minore di dodici anni o meno. Sopra i dodici bisognava che ci fosse qualche riferimento al fatto che la persona avesse oltreato il confine dello stato prima che intervenissero. ‘L’ultima volta che li hanno visti?’ ‘Alcune delle altre ragazze alla pari presenti alla festa hanno riferito di aver visto Natalya andare a prenderlo. Sono saliti su un’auto, e questo è tutto.’ ‘Che tipo di auto?’ ‘Una Lincoln grigia.’ ‘Era con quella che Josh e Natalya si muovevano di solito?’ ‘Natalya ha il numero di una società di auto di servizio con cui ho un conto aperto nel caso in cui il tempo volga al peggio durante il tragitto di ritorno da scuola.’ Richard sospirò e si ò le dita davanti agli occhi. ‘Ma lì non è registrata alcuna richiesta di auto da parte di Natalya la scorsa settimana.’ ‘L’FBI ha sentito i loro autisti?’ ‘In modo esauriente. Hanno sentito tutti quando Josh è scomparso.’ ‘Ma è sicuro che sia stato visto salire sull’auto con Natalya?’ ‘Esatto.’ ‘C’erano segni di lotta? Della possibilità che sia stato costretto a salire in macchina?’
Richard scosse la testa. ‘E lei è certo che Natalya non sia coinvolta?’ ‘So quello che sembra. Forse credeva di aver richiesto un’auto e di essersene dimenticata.’ Lock aveva la sensazione che Richard si stesse arrampicando sugli specchi, rifiutando di accettare l’inevitabile: che una donna che lui aveva assunto fosse la responsabile del rapimento del suo unico figlio. ‘È entrata nel paese con un visto o era già qui?’ Richard sussultò leggermente. ‘Sono ricorso ad un’agenzia. Non volevo assumere qualcuno illegalmente.’ ‘Quindi avranno fatto delle ricerche sul suo ato.’ ‘Mi hanno assicurato di aver fatto ricerche approfondite su di lei.’ ‘Ha mai ricevuto minacce in ato?’ ‘Certamente. Tutti alla Meditech ne ricevono.’ ‘No, intendo qualcosa che le sia arrivato direttamente a casa. Lettere? Telefonate?’ ‘Una o due telefonate strane, appena prima che rassegnassi le dimissioni. E alcune e-mail.’ ‘È per questo che ha deciso di lasciare la Meditech?’ ‘Uno dei fattori, sì.’ ‘Gli altri fattori?’ ‘È tutto nella mia lettera di dimissioni.’ Lock stava cominciando ad irritarsi. ‘Farsi aiutare è una strada a doppio senso, Richard.’
Richard si agitò a disagio sul sedile. ‘Non ero d’accordo con i test sugli animali, ma più per motivi scientifici che per una questione etica.’ ‘Ma lei era coinvolto?’ ‘Per la maggior parte della mia carriera, sì.’ ‘La pressione stava cominciando ad essere troppa per lei?’ ‘È stata una decisione a cui sono giunto dopo un’accurata riflessione. Non avrei dato le dimissioni se non avessi pensato che si trattava di un modo sbagliato di fare scienza.’ Nei mesi ati, Lock aveva sentito abbastanza sul dibattito che ruotava attorno ai test sugli animali, e di certo non voleva un’altra lezione come quella che gli aveva propinato Janice. ò oltre. ‘E in seguito a ciò ci sono state altre minacce?’ ‘Non che io mi sia dimesso pubblicamente, comunque no.’ ‘E da quando Josh è scomparso, che contatti ci sono stati?’ Lo sguardo di Richard si abbassò a terra. ‘È tutto qui. Non è successo.’ Lock era incredulo. ‘Nessuna richiesta di riscatto? Nessuna richiesta di alcun tipo?’ ‘Niente.’ La seconda ipotesi poteva essere depennata dalla lista. Oltre ai casi in cui un genitore o un genitore acquisito rapiva un bambino, il tre percento dei rapimenti ricadeva nella categoria dei sequestri per riscatto. A causa delle pene proibitive comminate dalla magistratura dai tempi del rapimento Lindbergh, solo gli sciocchi o i criminali irriducibili consideravano il rapimento un’opportunità di guadagno di qualsiasi genere negli Stati Uniti. Altrove, comunque, rappresentava uno dei settori dell’industria criminale in maggiore espansione, insieme alla contraffazione, alle frodi telematiche e al traffico di droga. Nei casi in cui il movente era rappresentato dal profitto, la richiesta di riscatto veniva fatta subito dopo il sequestro, di solito accompagnata da pesanti avvertimenti che ingiungevano alla famiglia della vittima di non mettersi mai, in nessun caso, in
contatto con le autorità. Lock si morse il labbro inferiore. Non si poteva nemmeno pensare a quello che li attendeva in agguato dietro la porta dell’ipotesi numero tre. Gli attivisti a favore dei diritti degli animali erano persone che non si facevano scrupoli a disseppellire un’anziana signora e ad abbandonarne i resti al centro di Times Square, tanto per dirne una. Richard guardò Lock con occhi colmi di paura. ‘È una brutta cosa, vero?’ Lock si prese un momento per rispondere. ‘Già, non è affatto un bene.’
Tredici
Doveva essere di guardia metà del Diciannovesimo Distretto, pensò Lock, mentre lui e Richard uscivano dall’ascensore e si dirigevano verso la porta d’ingresso di Richard. Quando li vide, la reazione dell’agente di pattuglia fu un misto di preoccupazione e sollievo. ‘Non è autorizzato ad allontanarsi senza informarci’, disse a Richard. Richard sbiancò, come un bambino colto a ignorare il coprifuoco. ‘Mi dispiace, spero di non avervi causato dei problemi.’ Mentre Richard scortava Lock nel suo appartamento, il poliziotto aveva già afferrato la radio per informare i suoi superiori che Richard era tornato – e che aveva un ospite. Come la maggior parte dell’edificio, l’appartamento era immerso quasi completamente nell’oscurità. Era quasi mezzanotte, e in quella parte della città le strade erano tranquille. Lock immaginò che il denaro che bisognava guadagnare per potersi permettere un alloggio in quel quartiere obbligasse la maggior parte dei suoi occupanti a preferire una tranquilla serata sotto le coperte, piuttosto che di arla in giro saltando da un bar all’altro. Richard fece scattare un interruttore ad illuminare un corridoio stretto, sul quale si aprivano tre camere e un bagno. In fondo, si allargava su un grande soggiorno aperto. ‘Da quanto tempo vive qui?’ chiese Lock. ‘Da prima che mi sposassi. Ci viveva Meg da quando studiava per la specializzazione.’ ‘È una zona della città piuttosto elegante, per una studentessa.’ ‘Affitto a canone controllato. Morì una delle sue zie’, spiegò Richard mentre si
spostava per accendere la luce principale. ‘Forse è il caso di chiudere le tende, prima.’ ‘A volte mi dimentico. E poi, ora che Josh è scomparso, non sono certo che mi importi più.’ Come ogni altro impiegato della Meditech a partire da un certo livello, Richard aveva partecipato a un programma in materia di consapevolezza del rischio con relativa verifica finale. Lock sapeva che gli avevano consigliato di variare, per quanto possibile, la sua routine quotidiana, e di stare attento alle assenze insolite, come un portiere che non è presente all’ingresso di un edificio. Stesso dicasi per le presenze insolite, vale a dire un portiere che all’improvviso compare davanti ad un edificio che non ne aveva uno. Tutti i consigli si riducevano a mantenere l’attenzione e ad usare il semplice buon senso. Lock vagò per la stanza raggiungendo un piccolo angolo cottura all’estremità opposta. Due divani. Niente TV. Scaffalature integrate stipate di libri e documenti che correvano lungo una parete. Una foto di famiglia. Richard, John e una bionda decisamente attraente che non avrebbe immaginato accanto a Richard nemmeno in un milione di anni. ‘Meg’, spiegò Richard, risparmiando a Lock una domanda imbarazzante sulla moglie defunta. ‘Non c’è stata nessun’altra da quando l’abbiamo persa. Non sentivo che sarebbe stato giusto nei confronti di Josh. Ecco, in realtà, non è del tutto vero.’ Lock non disse nulla. Lo lasciò continuare. ‘C’è stato il mio lavoro. Forse è stato il mio modo per evitare di affrontare le cose’, aggiunse Richard, prima di tornare a strofinarsi gli occhi. Lock cominciava ad avere la sensazione che Richard ne uscisse un po’ troppo pulito. ‘Le dispiace se do un’occhiata in giro per l’appartamento?’ Richard si strinse nelle spalle in segno di accordo. Lock attraversò di nuovo il corridoio, le pareti spoglie su entrambi i lati.
Non riuscì a scacciare la sensazione che quel posto assomigliasse più ad un dormitorio universitario che alla casa di una famiglia. La prima camera da letto conservava lo stesso aspetto funzionale, per quanto la mancanza di tocchi personali lì fosse più comprensibile. Natalya chiaramente non aveva portato molte cose con sé quando si era trasferita. Un lettore CD portatile giaceva sul letto, già un reperto storico. Sul comodino c’era una foto di un uomo e di una donna in là con gli anni, probabilmente i suoi genitori. Quello che Lock immaginò essere suo fratello era in piedi, in primo piano, accanto a suo padre e lo superava di una buona trentina di centimetri in altezza, anche se nella foto non poteva avere più di quindici anni. Natalya era in piedi accanto alla madre, i lunghi capelli scuri raccolti in una coda e gli occhi e il sorriso luminosi e pieni di fiducia. Non c’erano foto di un fidanzato, né di chiunque altro, ad ogni modo. Una bella ragazza russa e, secondo gli standard di lei, un ricco vedovo non ancora troppo in là con l’età. Lock si chiese quanto fosse stato sincero Richard nell’affermare che non ci fosse nulla tra lui e Natalya. Considerando l’aspetto della madre di Josh, Richard era in grado di attrarre donne di bella presenza. Forse non aveva voluto complicare le cose per il bene di suo figlio. O era così, o stava mentendo. Per quanto l’FBI avesse sicuramente ato al setaccio tutta la stanza, Lock fece comunque una piccola ricerca per conto suo, senza però trovare nulla che sembrasse importante. Tornò in corridoio e aprì la porta della camera di Josh. Al contrario dell’aspetto ordinato, quasi asettico, del resto dell’appartamento, la stanza di Josh era un caos di giocattoli, attrezzatura sportiva e libri di fumetti. Contro una delle pareti c’era un letto singolo a barca. Sul piumino era appoggiato un orsacchiotto della FAO Schwartz, l’unica concessione alla sua giovane età. Sulla testa gli era stato messo un guantone da baseball sulle ventitré. La mente di Lock tornò ad Osnabruck. Non era mai riuscito a liberarsi della sensazione di fallimento che aveva provato dopo il caso di Greer Price. Anche se quando gli era stato affidato il caso sapeva che con ogni probabilità Greer era morta da un pezzo, quella sensazione lo tormentava ancora. Quello che lo aveva toccato più di ogni altra cosa era stata la solitudine della sua morte. All’idea della sensazione di abbandono che doveva aver provato negli
ultimi istanti della sua vita, si era sentito svuotato. In fin dei conti, non c’era atto di vendetta che potesse nemmeno lontanamente compensare l’omicidio di un bambino; se ci fosse stato, avrebbe piantato lui stesso un proiettile nella testa dell’assassino di Greer. Raddrizzò le spalle, inspirò profondamente, e uscì dalla stanza di Josh. In un angolo della camera di Richard, un frammento arrotolato di DNA rimbalzava sullo schermo da venti pollici del computer appoggiato sulla scrivania. Lock mosse il mouse e quello scomparve, aprendosi su una schermata di accesso. ‘L’FBI ha già analizzato tutto ciò che c’è dentro’, disse Richard, incorniciato dal vano della porta. ‘Ma se pensa che possano aver tralasciato qualcosa...’ ‘Intende, nel caso in cui lei sia coinvolto?’ L’idea sembrava assurda ma Lock sapeva di non poterla escludere a priori. Non sarebbe stata la prima volta che un colpevole veniva scoperto proprio perché aveva cercato di assumere un investigatore privato per gettare fumo negli occhi a o della sua immagine di innocente. Richard sembrò scioccato. ‘No, non sia ridicolo. Voglio dire, magari c’è un’email, qualcosa che possa fornirci un indizio.’ Dare un’occhiata non avrebbe fatto male a nessuno. Richard lanciò Firefox. ‘Ho masterizzato tutte le mie e-mail di lavoro su un disco prima di uscire.’ ‘Ne ha una copia?’ ‘Ecco’, disse Richard, tirando fuori un DVD da un porta cd elettronico piazzato accanto al computer. ‘Nessun altro indirizzo di posta?’ ‘Hotmail, ma non lo uso quasi mai.’ ‘L’FBI ha controllato il suo Hotmail?’
‘Perché avrebbero dovuto? Non ho ricevuto minacce su quello.’ ‘Le dispiace se lo faccio io?’ ‘Faccia pure.’ Richard aprì Firefox, che aveva Hotmail come pagina predefinita. Inserì name e , ò a Lock il disco con le e-mail di lavoro e lo lasciò ad occuparsene. Lock dubitava che le minacce via mail avrebbero portato a qualcosa. Né le lettere, se era per quello. Chiunque si prendesse il disturbo di inviare una minaccia di morte, generalmente non firmava usando il proprio nome, né direttamente, né leccando la busta e lasciandovi il proprio DNA. E le e-mail sarebbero state inviate da un internet cafè o da diversi server proxy. Una delle cose che aveva imparato sugli animalisti che avevano preso di mira la Meditech, era che erano tanto furbi quanto motivati. Molti di loro erano laureati e ne sapevano di scienza quanto chiunque altro alla Meditech. Mezzora dopo, Lock non aveva fatto i in avanti. Non c’erano minacce specifiche dirette a nessun altro nome che non fosse quello di Richard. La famiglia era menzionata a casaccio; non c’erano riferimenti a un figlio, né ad una moglie, viva o meno. Quando ò alle lettere velenose, erano tutte piuttosto insipide. Tornò al motore di ricerca online. Svogliatamente, cliccò sulla cartella della posta eliminata e scorse gli spam che offrivano un miglioramento della prestazione sessuale del destinatario o chiedevano di utilizzare il suo conto bancario per depositare milioni di dollari. Poi la individuò. Non era stata aperta, come la maggior parte del resto degli spam. Nessun oggetto. Un indirizzo Gmail. Era arrivata il giorno della sparatoria, forse un’ora prima che Josh fosse visto l’ultima volta con Natalya. La aprì con un click. Ora proverai lo stesso dolore che hai inflitto agli altri. Lupo Solitario. Quando tornò in soggiorno, Richard era in piedi davanti alla finestra, a luce
spenta. Lock prese in considerazione la possibilità di chiedergli della mail. Ma Richard era stato piuttosto ostinato nel ripetere che le minacce erano cessate una volta che aveva smesso di lavorare per la società, quindi decise di lasciar perdere. Non c’erano riferimenti a Josh o al rapimento e, molto importante, era segnata come non letta. Un’auto accostò direttamente di fronte al complesso di appartamenti e Lock vide scendere un uomo. Mentre si affrettava ad attraversare ando sotto un lampione, l’ipotesi istintiva di Lock trovò conferma. Si trattava di Frisk. Lock aspettò l’agente dell’FBI sulla porta. ‘Porti il culo fuori da qui, Lock’, grugnì Frisk, ‘possiamo occuparcene noi.’ Lock era ancora infastidito dal loro incontro in ospedale. Quando Frisk gli aveva propinato quelle stronzate sul fatto che non sarebbero state presentate delle accuse, come se stesse facendo a Lock un qualche favore personale. ‘Sembra che stia facendo un ottimo lavoro finora, Agente Frisk’, osservò Lock. ‘Siamo ancora agli inizi.’ Lock tirò la porta dietro di sé, chiudendola in modo che Richard non sentisse il resto della loro conversazione. Il braccio di ferro tra loro implicava che sarebbero potuti venir fuori alcuni aspetti sgradevoli della dura realtà, e Lock non era certo che Richard fosse pronto ad affrontarli. ‘È all’inizio che ci si gioca tutto. Lo sa lei, come lo so io. Ma giacché ci siamo, è Hulme che è venuto a cercare me, non il contrario.’ ‘Quindici minuti di celebrità non le bastano, eh?’ chiese Frisk con tono aggressivo. ‘D’accordo, possiamo starcene qua fuori e fare a chi ce l’ha più lungo, o possiamo provare ad aiutarci a vicenda’, disse Lock, abbassando la voce. ‘E che aiuto potrebbe avere da offrire, lei?’ ‘Beh, tanto per cominciare, magari vorrà dare un’altra occhiata al suo computer.’
‘Uno dei nostri tecnici ha già scaricato una copia dei dati del disco fisso.’ ‘Che non vi servirà a niente con un di posta online. Controlli la cartella degli spam. Deve cercare un’e-mail proveniente da qualcuno che si fa chiamare Lupo Solitario. È arrivata il giorno in cui è successo il finimondo giù alla Meditech.’ Il viso imibile di Frisk diventò rosso. Un tecnico si sarebbe beccato una bella inchiappettata quando Frisk fosse tornato a Federal Plaza, Lock ci avrebbe giurato. ‘Nient’altro?’ Lock si strinse nelle spalle. ‘È tutto...per ora.’ ‘Allora, che ne pensa di tutta questa storia? Andiamo, se ha qualche altra illuminazione, non vedo l’ora di sentirla.’ ‘Trovate la ragazza alla pari e troverete il bambino.’ ‘Si aggiorni, Lock. L’abbiamo già fatto. L’unità portuale l’ha tirata fuori dall’East River mezzora fa.’
Quattordici
Una visita all’obitorio era una brutta faccenda nella migliore delle situazioni, e quella, decisamente, era tutt’altro che la migliore delle situazioni. Tuttavia il fatto che non ci fosse ancora segno di Josh, vivo o morto, in quelle circostanze era da ritenersi positivo, per quanto era possibile che il fiume fosse in attesa di restituire a rate il suo carico di dolore. La cattiva notizia era che il compito di identificare Natalya era ricaduto su Richard Hulme. Come se quel poveraccio non avesse già abbastanza questioni da affrontare, pensò Lock, mentre ascoltava Frisk che avanzava quella richiesta. Richard aveva reagito stoicamente, acconsentendo senza discutere. Anche se non si era ancora offerto di dare una mano, Lock immaginò che il minimo che potesse fare fosse stargli accanto, offrendogli una spalla su cui piangere. Quello, e poi poteva esserci qualcosa di utile da tirare fuori dal ritrovamento di Natalya. Qualcosa che avrebbe potuto contribuire al ritrovamento di Josh. Se era ancora vivo. Nel corridoio fuori dal locale dove si svolgevano le identificazioni, faceva caldo. La testa di Lock pulsava ancora. Trovò una sedia solitaria, si sedette, e commise l’errore di chiudere gli occhi. Rinvenne quando Richard fu condotto dentro, gli occhi cerchiati di rosso, le mani che tremavano, schiacciato dal peso della consapevolezza che le cose peggiori possono capitare anche alle brave persone. Il genere di cose da cui una persona potrebbe non riprendersi mai completamente. Lock aveva già visto quello sguardo prima, quando si era trovato di fronte la famiglia di Greer Price mentre il feretro veniva calato nel terreno. Aveva sperato di non dover più vedere quell’espressione, invece eccolo di nuovo lì, ad offrire una preghiera silenziosa perché la storia non tornasse a ripetersi. Da quel poco che aveva saputo da Frisk in merito alle indagini dell’FBI, Lock aveva capito che avevano raccolto la stessa quantità di informazioni che era riuscito a mettere insieme lui in poche ore di conversazione con Richard. Quasi niente. Quindi, Lock fece una cosa che era in contraddizione con ogni fibra del suo essere un professionista: fece una telefonata a un membro della stampa. Una
telefonata che, lo sapeva, con ogni probabilità avrebbe portato al suo licenziamento, e che poteva persino togliergli ogni opportunità futura di lavorare nell’ambito della sicurezza privata. Detto ciò, non si tirò indietro. Il suo approccio quando si trovava spalle al muro era sempre lo stesso: un’azione rapida, aggressiva e determinata. Cosa che non necessariamente implicava l’uso di pugni. ‘Ho bisogno di un favore.’ Dall’altro capo della linea Carrie sembrò confusa. ‘Ryan?’ ‘Ti ho già detto come la penso a proposito di rilasciarti un’intervista...’ Riusciva quasi a vederla mentre si metteva seduta, allungandosi a prendere il blocco e la penna che stazionavano sul comodino alla sua sinistra. ‘Lo farai?’ ‘No.’ ‘Mi hai svegliato per dirmi questo?’ ‘No, ho chiamato per farti un’offerta persino migliore.’ La voce di Frisk echeggiò così alta contro i muri piastrellati dell’obitorio, che uno degli inservienti dovette chiedergli di abbassarla. Lock non era certo di quale fosse il livello di decibel da raggiungere per svegliare i morti, ma tra l’esplosione di Frisk e le accecanti luci al neon, il mal di testa che lo accompagnava da quando era stato dimesso stava raggiungendo una portata nucleare. ‘È uscito di senno? I pazzi come questo amano quel genere di attenzione’, gridò Frisk, piantando un dito in faccia a Lock. Lock non reagì. ‘È già una notizia di dominio pubblico.’ ‘Quindi vuole mandarlo sulle reti nazionali?’ ‘Internazionali. Sono certo che le altre nazioni lo ritrasmetteranno.’
‘E che facciamo, se questo spinge i rapitori oltre il limite?’ ‘Se avessero avuto intenzione di ucciderlo, se fosse quello il piano, a quest’ora l’avranno già fatto.’ ‘E se non l’hanno fatto?’ ‘Qualcuno deve aver visto qualcosa. Qualcuno deve sapere dov’è. Come minimo, attireremo la loro attenzione.’ ‘Ne parla come se fosse una cosa positiva.’ ‘Allora qual è l’alternativa? Starcene seduti ad aspettare?’ ‘Sta interferendo in un’indagine federale.’ ‘Allora mi arresti.’ ‘Non sia così sicuro che non lo farò’, rispose Frisk, tornando dentro a controllare Richard Hulme. Quando lo sportello del box frigorifero si richiuse sul corpo, Richard tremò involontariamente. ‘Non saprei.’ Nonostante il lavoro fatto per rimettere insieme quanto restava del volto di Natalya, il proiettile a punta cava e il fiume avevano compiuto la loro opera. Avrebbe potuto trattarsi di Natalya. Probabilmente era lei. Ma non poteva esserne sicuro. Frisk gli appoggiò una mano sulla spalla. Era abituato a questo tipo di incertezze da parte dei testimoni, un po’ meno all’obitorio. ‘Non si preoccupi Dottor Hulme, possiamo fare un confronto con il DNA che abbiamo raccolto a casa sua. Ci vorrà un po’ più tempo, ma non è un problema.’ Fuori, Lock percorreva il corridoio avanti e indietro. Se fosse stato un fumatore, in quel momento si sarebbe trovato ad aprire il terzo pacchetto della giornata. Pensava al corpo disteso a pochi metri da lui, e tentava di conciliare quell’immagine con quella della fotografia in camera di Natalya. Aveva pensato anche ai genitori della ragazza, e alla telefonata che avrebbero ricevuto. Vostra figlia, la bambina cui avete soffiato il naso e asciugato le lacrime, quella che è
diventata una bellissima giovane donna, quella che ha avuto l’opportunità di farsi una nuova vita in America...è stata uccisa. Lock inspirò a fondo. Sapeva di dover mettere quei pensieri da parte. In quel momento non poteva permetterseli. Ci sarebbe stato moltissimo tempo per quelli, dopo. Troppo tempo. In quel momento doveva concentrarsi sui vivi. Rimaneva certo del fatto che Natalya, anche da morta, fosse la chiave di tutto. Forse ancora di più, da morta. Se lei non era importante, allora perché prendersi il disturbo di ucciderla? Natalya era l’ultima persona vista con Josh. Natalya l’aveva condotto nell’auto. Complice attiva o inconsapevole, la storia di Natalya era la storia di quel sequestro. Lui ne era certo. La porta in fondo al corridoio si aprì con un clic e Richard ne emerse, da solo. Vide Lock e scosse la testa. ‘Non sono riuscito a dirlo. Le hanno...’ Le ginocchia gli si piegarono, e lui si accasciò al suolo. Lock avrebbe voluto che alcuni di quegli attivisti a favore degli animali lo vedessero in quel momento, visto quanto erano stati pronti, in ato, a dipingere uomini come Hulme nelle vesti di vivisezionisti senza scrupoli, che traevano godimento dall’infliggere sofferenza ad animali inermi. Richard sollevò lo sguardo su Lock, il colore della sua pelle che virava al grigio acqua sporca. ‘Le hanno sparato in faccia.’ Lock lo aiutò a rimettersi in piedi. ‘Mi ascolti, deve credere che Josh sia ancora vivo. Se qualcuno l’avesse voluto morto, non si sarebbero presi tutto questo disturbo.’ ‘E se qualcosa fosse andato storto? Come se avessero cercato di scappare, e questo fosse il risultato? Josh può essere parecchio ostinato, a volte.’ ‘In situazioni del genere, essere ostinati non è necessariamente una cosa negativa. L’ostinazione potrebbe servire a tenerlo in vita.’ ‘Davvero?’ ‘Assolutamente sì’, mentì Lock.
Quindici
La stanza era bianca e odorava di vernice fresca. La porta era grigia e così pesante che l’autista aveva faticato ad aprirla quando erano arrivati. Josh l’aveva sentito grugnire per lo sforzo, per quanto non avesse potuto vederlo. Gli aveva calcato un cappello sulla testa e gliel’aveva tirato giù a coprirgli gli occhi per l’ultima parte del tragitto. Anche il pavimento era grigio. Lo sentiva sempre freddo sotto i piedi quando ci camminava sopra. C’era un letto. Era più lungo di quello che aveva a casa, ma non molto più largo. Non c’erano finestre, ma c’era una luce. Si trattava di una plafoniera di plastica trasparente montata sul soffitto della stanza, all’angolo opposto rispetto alla porta. Non si spegneva mai. Lì accanto c’era una telecamera, come quelle che a volte aveva visto nei negozi. C’era un televisore, che era collegato ad un lettore DVD e una selezione di DVD. Tutta roba da bambini. Roba che forse avrebbe guardato a sei anni. C’erano un gabinetto e un lavandino. Entrambi di metallo lucido. Il gabinetto si trovava esattamente sotto la telecamera, quindi non credeva che qualcuno potesse osservarlo fare pipì. Quello, almeno, era qualcosa. Tutto lì. L’intero contenuto della sua stanza. A parte lui, ovviamente. E i suoi abiti. E l’album delle foto. Ma non gli piaceva pensare all’album. Non gli piaceva nemmeno toccarlo. Quando era arrivato, era già lì. Accanto ai DVD. Non assomigliava a niente, era solo un album con una copertina grigia e la costola rossa. Niente titolo davanti, né un qualsiasi riferimento a chi l’avesse scritto. Lui aveva fatto l’errore di aprirlo. Da allora, ogni volta che era andato a dormire, aveva avuto degli incubi sulle immagini che conteneva. Immagini orribili di cose orribili. E ora aveva paura ad addormentarsi. Sulla porta, in basso, c’era un’apertura basculante. Si apriva, e il cibo veniva spinto dentro. Perlopiù cereali, sandwich, o patatine fritte, con del succo. Se si inginocchiava, riusciva a vedere la mano di un uomo spingerli dentro. Aveva pensato che potesse trattarsi della mano dell’autista, ma non poteva esserne
certo, perché la persona non parlava mai. La parte peggiore in tutta quella situazione era la solitudine. Si chiedeva se lo stessero cercando. Suo padre sicuramente sì. Cercava di immaginare la porta che si apriva e lui che entrava. Chiudeva gli occhi e immaginava lui che lo stringeva tra le braccia e lo coccolava. Come faceva sempre Natalya. A quel punto la sua mente veniva investita dal ricordo di ciò che era accaduto a Natalya sulla barca. O, peggio ancora, da una delle immagini dell’album. Allora doveva riaprire gli occhi. E quando apriva gli occhi, suo padre scompariva, ma l’album era ancora lì. A quel punto, ricominciava a piangere.
Sedici
Erano quasi le quattro del mattino quando Lock rientrò nel suo appartamento, un monolocale a Morningside Heights, a un tiro di sputo dalla Columbia University. Ad ogni modo, non c’era molto che potesse fare in quel momento. In laboratorio erano occupati a confrontare i campioni con il corpo che ritenevano essere di Natalya. Da quanto aveva affermato Frisk, un riscontro positivo era quasi certo. La NBC stava già filmando l’esclusiva di Carrie con Richard Hulme, che sarebbe andata in onda più tardi quello stesso giorno. E chiunque altro avesse un lavoro da svolgere il mattino dopo, stava dormendo. Lock decise di unirsi a loro, collassando sul letto completamente vestito. Meno di quattro ore dopo, fu destato da una lama di pallido sole invernale che si era insinuata nella stanza. Non gettarsi un cuscino sulla testa tornando a dormire richiese più o meno la stessa forza di volontà che gli ci era voluta per andare all’assalto della postazione del cecchino dall’altra parte del palazzo della Meditech. Nel bagno, si rese conto che avere un tempo limitato implicava dover scegliere tra radersi e fare una doccia. Non avrebbe avuto tempo per entrambe le cose. Dando priorità all’odore del corpo rispetto alla levigatezza della pelle, si svestì rapidamente e si fiondò sotto il getto d’acqua bollente. In piedi con un asciugamano attorno alla vita, diede una scorsa al suo guardaroba. Non gli mancavano abiti di colore scuro, ma supponeva che abbigliamento tattico scuro e una maschera da sci non sarebbero stati considerati appropriati per un funerale. Alla fine trovò un compromesso scegliendo pantaloni neri, una camicia bianca a cui lasciò il colletto slacciato e un giaccone nero abbastanza largo da coprire un’infinità di difetti, oltre alla sua pistola – restituitagli la sera precedente dopo un’altra accanita discussione con Frisk. Mentre si stava vestendo, aprì il frigo per trovarsi davanti solo un insieme di cibi ammuffiti e in via di putrefazione che gli sarebbero valsi un cazzotto in faccia da parte di Gordon Ramsey. Afferrando un sacco della spazzatura nero, gettò via la maggior parte del contenuto. La colazione avrebbe dovuto attendere. Suonò il camlo. Lock premette il pulsante del citofono. ‘Di che si tratta?’
‘Sono Ty.’ Lock aprì la porta e si spostò in camera da letto. Quando ne uscì, Ty era in piedi in cucina e stava rovistando negli armadietti. Ty era quasi costantemente affamato, ma a prescindere dalla quantità di cibo che Lock lo vedeva ingurgitare, la cosa non sembrava influire sulla sua figura allampanata da giocatore di basket oltre il metro e novanta. ‘Non tieni neanche i cereali in questo buco di appartamento?’ gli chiese Ty. ‘Non sono mai in casa.’ Ty si voltò, fermandosi a guardarlo. ‘Wow, amico. Solo...wow.’ ‘Sto così di merda?’ ‘No, assomigli più a...’ Ty si interruppe, cercando la parola giusta. ‘Alla carcassa di un animale investito.’ Lock si grattò la barba corta. ‘Ho fatto tardi ieri sera.’ ‘Amico, ho visto gente che si faceva di crack da dieci anni con un aspetto migliore del tuo. Ad ogni modo, non dovresti riposare?’ ‘Dovrei.’ ‘Allora perché non lo stai facendo?’ ‘Hanno trovato la ragazza alla pari che si occupava di Josh Hulme.’ ‘Bene. Che ha da dire in sua difesa?’ ‘Non molto. Le hanno sparato in faccia e l’hanno gettata nell’East River.’ ‘Brutta storia’, commentò Ty, senza mutare espressione. Studiò la tenuta di Lock. ‘È per questo che ti sei conciato come Walker, Texas Ranger?’ ‘Stai dicendo che assomiglio a Chuck Norris?’ ‘Chuck in una delle sue giornate peggiori. Ascolta, Ryan, ti ricordi senz’altro quello che ti ho detto sul fatto noi non ci saremmo fatti coinvolgere.’ ‘Noi no. Io sì.’
‘Ryan, tu sei un dipendente della Meditech, proprio come me.’ ‘E mentre sono in convalescenza, ho pensato di fare un po’ di attività pro bono.’ Lock afferrò un asciugamano, entrò nel bagno e chiuse la porta. Quando Lock scomparve nel bagno, Ty sollevò della biancheria sporca da una sedia e si sedette. Sorrise tra sé. Doveva ammetterlo, era tipico di Lock. Non c’era causa persa che non lo apionasse. Lock era così da quando si erano incontrati in Iraq per la prima volta, Ty nei Marines e Lock, curiosamente, nell’Unità di Protezione Ravvicinata della British Royal Military Police. Lock aveva subito attratto l’interesse di Ty. Sebbene camminasse, parlasse, persino masticasse la gomma da americano, eccolo lì a lavorare coi bevitori di tè, essendo volato in Inghilterra per arruolarsi subito dopo il college. La decisione, gli spiegò Lock in seguito, era dovuta ad un padre emigrato scozzese che aveva servito nella stessa unità, ma si era innamorato e aveva poi sposato una ragazza californiana – prima che i Beach Boys mettessero tutto il mondo a parte del segreto. Dopo l’Iraq, e dopo che si erano finalmente liberati entrambi dalle uniformi, Ty aveva coinvolto Lock nel lavoretto della Meditech. Non era nemmeno rimasto turbato scoprendo che avrebbe lavorato come secondo sotto il comando di Lock. Mettendo da parte il proprio ego, sapeva che quando si trattava dell’attività di protezione ravvicinata, l’Unità di Protezione Ravvicinata della Royal Military Police era il meglio in circolazione. Nessuna bravata. Nessun eroismo da forze speciali. Eseguivano semplicemente il lavoro riducendo al minimo le complicazioni. Lock emerse dal bagno. Ty si decise a fare un altro tentativo. ‘Non è una buona idea, fratello. Brand vuole fregarti il posto.’ ‘Dimmi qualcosa che non so.’ Sia Lock che Ty sapevano che Brand mirava ad occupare la poltrona di Lock da quando questi aveva ricevuto l’incarico. ‘E non fa altro che mettere pulci nell’orecchio di Stafford Van Straten. Dicendo quanto ti sei messo in mostra quando è successo il finimondo giù al quartier
generale’, continuò Ty. ‘Il bue che dice cornuto all’asino.’ ‘Forse, ma Stafford è andato dal suo vecchio per affondarti con tutte le scarpe. Senti, sei sul loro libro paga, e loro non vogliono finire coinvolti in questo sequestro.’ ‘Richard Hulme ha lavorato con loro per tanto tempo. Almeno questo glielo devono.’ ‘Non per come la vedono loro. Dimmi di farmi gli affari miei se vuoi, ma lascia perdere questa storia.’ ‘Ti hanno mandato loro?’ ‘Diavolo, no. Loro non ne sanno niente.’ ‘Allora occhio non vede, cuore non duole.’ L’espressione di Ty si aprì in un sorriso che lasciava intravedere i denti. Se era così che la vedeva Lock, allora diamine, magari ci avrebbe fatto un pensierino anche lui.
Diciassette
Carrie puntò lo sguardo nell’obiettivo della camera due. ‘È l’incubo di ogni genitore. Un crimine capace di coinvolgere il pubblico come nessun altro. Vostro figlio o vostra figlia rapiti, da uno o più sconosciuti. Chi riuscirebbe ad immaginare il tormento che attanaglia un padre amorevole’ – sostituirono l’immagine di Carrie con quella di un Richard Hulme, impacciato mentre si raddrizzava la cravatta per l’ennesima volta – ‘per il quale tale incubo è divenuto realtà? Tra qualche istante parleremo con il dottor Richard Hulme. Suo figlio Josh, di sette anni, è scomparso dopo aver lasciato una festa nell’Upper East Side la Vigilia di Natale. Ieri è stato rinvenuto un corpo che si ritiene appartenere alla ragazza alla pari che si occupava di Josh, Natalya Verovsky, di origine russa. Ad ora, tuttavia, non c’è traccia del piccolo Josh. Stanotte, suo padre parlerà della scomparsa di suo figlio, e del ruolo che il suo lavoro in qualità di ricercatore capo per la controversa società Meditech potrebbe aver giocato in questo rapimento. Tutto questo tra poco, subito dopo la pubblicità.’ L’anteprima terminò, e tagliarono sulla pubblicità. Carrie si voltò verso Richard, seduto accanto a lei con il volto cinereo. ‘Non ho mai acconsentito a parlare della Meditech.’ ‘Allora, semplicemente, non risponda a quelle domande’, replicò lei, con un accenno di freddezza nella voce. ‘Ma allora sembrerà che io abbia qualcosa da nascondere.’ ‘Bene, ce l’ha?’ lo sfidò lei. Richard distolse lo sguardo. Carrie si piegò verso di lui. ‘Sono qui per aiutarla a trovare suo figlio. Ma ho anche intenzione di arrivare in fondo a questa storia. Con lei o senza di lei.’ Tornati dalla pausa pubblicitaria, Carrie cominciò ad esporre la sequenza temporale del sequestro di Josh, consapevole del fatto che mentre lo faceva, Richard stava facendo del suo meglio per non crollare, mentre il suo volto veniva catturato da uno zoom in lento avvicinamento. ‘Ogni mattina mi sveglio
ed è come essere sott’acqua’, disse con la voce che gli si spezzava. Carrie annuì, empatica. Dopo la pausa successiva, aveva in programma di fare la sua mossa, scalando la marcia e spostando la conversazione sulla Meditech e sugli animalisti. Lock le aveva fornito un paio di domande che voleva fossero poste, come ad esempio perché la Meditech aveva lasciato Richard a sé stesso? Sapevano entrambi che Richard non avrebbe avuto le risposte, ma rendendo le domande di dominio pubblico potevano contare sul resto della stampa per avere un’ottica più ampia. Quando Carrie ò con grazia alla pausa successiva, sentì nella cuffia la voce della sua produttrice, Gail Reindl: ‘Devo parlarti prima che torniamo in diretta. Sto scendendo.’ Carrie si assicurò che un assistente di produzione rabboccasse il bicchiere d’acqua di Richard mentre lei si dirigeva sul retro dello studio per incontrare Gail. Gail tirò Carrie in un angolo. ‘Lascia perdere le domande sulla Meditech.’ ‘Perché?’ ‘Non chiederlo.’ ‘Questa è una cazzata colossale’, disse Carrie scuotendosela di dosso. ‘Lo so, non dirmelo: uno dei loro addetti alla pubblicità si è messo ad urlare al telefono che avrebbero ritirato i loro spot dalla rete. Maledetti pubblicitari.’ Gail ignorò il suo commento. ‘Ascolta, la roba emotiva è una bomba. Non perderemo niente se non gli chiediamo nulla a quel proposito.’ ‘A parte la verità, vuoi dire?’ Gail proruppe in una risatina di scherno. ‘Mi sembri una di quegli studenti al primo anno di giornalismo alla Columbia.’ Carrie si infiammò. ‘No, io ho intenzione di andare in fondo a questa storia. Come possiamo non menzionare il fatto che ha lavorato per una società dove, fuori dalla sede principale, sono appena state uccise diverse persone? Sembreremmo degli idioti.’
‘D’accordo, accennalo quando torni in onda, ma poi a ad altro.’ ‘A cosa?’ ‘Ti verrà in mente qualcosa.’ E con ciò, Gail se ne andò, avvolta in una nube svolazzante di cashmere nero e di Chanel N. 5. Carrie dovette affrettarsi ad attraversare lo studio per tornare in tempo alla sua postazione. Con gli occhi della nazione addosso, Carrie non perse un colpo. ‘Richard, fino a poche settimane fa lavorava per la Meditech Corporation.’ ‘Sì, è così.’ ‘E quanto tempo ha lavorato per loro?’ ‘In totale, circa sei anni.’ ‘Cosa prevedeva il suo lavoro?’ ‘Ero coinvolto in diversi settori.’ ‘Che includevano la sperimentazione sugli animali?’ Richard non esitò. ‘È corretto. Credevo che i benefici apportati al genere umano avessero un peso maggiore rispetto alle sofferenze che potevano subire gli animali.’ ‘Recentemente, però, ha lasciato il suo impiego alla Meditech, vero?’ ‘Qualche settimana prima che Josh scomparisse, sì.’ Sentiva Gail, senza fiato per essere tornata di corsa in cabina, che le diceva in cuffia: ‘Ok, ora torna al bambino.’ ‘Qual era la natura del lavoro che svolgeva per la Meditech?’ ‘Non posso divulgare alcun dettaglio. Si tratta di questioni confidenziali.’
Gail ripeté: ‘Dannazione, Carrie, smettila.’ Carrie continuò a sorridere a Richard, indirizzando proprio a Gail il suo commento successivo, e a qualunque altro idiota in completo scuro avesse deciso di mettersi a fare il lavoro al posto suo. ‘Capisco, la sua lealtà è encomiabile, specialmente alla luce del fatto che il suo ex datore di lavoro non la aiuterà a trovare suo figlio...giusto?’ Questa volta, Richard esitò. ‘Sì...è giusto.’ Quando tornarono in pausa, Gail era di nuovo al fianco di Carrie. Carrie si preparò a reggere l’attacco. Gail Reindl in modalità aggressiva era qualcosa che valeva la pena di vedere. Invece, lei fissò lo sguardo sul pavimento dello studio e disse, ‘Chiudi con Hulme.’ ‘Ma abbiamo ancora dieci minuti.’ ‘Me ne rendo conto, ma abbiamo una telefonata. Voglio che la prendi in diretta mentre siamo in onda.’ Il cuore di Carrie accelerò i battiti. ‘Abbiamo già una pista?’ ‘Abbiamo ogni pazzo in circolazione tra Long Island e Long Beach che ci sta intasando i centralini, ma questa telefonata è un po’ diversa. L’amministratore delegato della Meditech in persona vuole chiarire alcuni punti.’ Carrie fece del suo meglio per reprimere un sorriso. Non al pensiero di altra dinamite che fe impennare gli indici d’ascolto, ma piuttosto all’ultima cosa che Lock le aveva detto quando l’aveva chiamata per organizzare l’intervista con Richard Hulme. Vediamo se non riusciamo a scomodare l’attenzione di qualcuno. All’estremità del suo campo visivo, Carrie vide Richard che veniva scortato fuori da un’assistente di produzione. Mentre l’assistente di regia le dava il tempo per la diretta piegando silenziosamente tre dita, fissò lo sguardo in camera. ‘In linea abbiamo adesso Nicholas Van Straten, azionista di maggioranza e
amministratore delegato della Meditech, l’azienda per la quale lavorava Richard Hulme. Signor Van Straten, la ringrazio per essersi messo in contatto con noi. I nostri telespettatori apprezzeranno di certo il suo punto di vista.’
Diciotto
Non c’era bisogno di indossare maschere. Non c’erano telecamere nell’appartamento, e l’unico testimone sarebbe stata la persona che erano venuti ad uccidere. L’uomo più alto bussò per primo, mentre il più basso dei due si posizionò al lato della porta. All’inizio non rispose nessuno. Gli uomini si scambiarono occhiate preoccupate senza parlare. L’uomo più alto bussò di nuovo. Forse il volume della TV era troppo alto. O magari era uscita. Stavano quasi per andarsene, quando la porta si aprì di uno spiraglio e la donna premette un lato del viso tra la porta e il battente. Era quel tipo di quartiere. L’uomo più alto sorrise. ‘Signora Parker?’ chiese. ‘Ve l’ho già detto, non so dove si stiano nascondendo.’ ‘Non si tratta di questo, signora Parker.’ ‘Qualcuno si è lamentato dei miei gatti?’ ‘Mi dispiace disturbarla, signora, ma mi lascerebbe entrare?’ Vide che stava riflettendo, registrando il fatto che era educato, ben vestito e, cosa più importante di tutte, bianco. La donna alla fine chiuse la porta per rimuovere il catenaccio, poi la aprì di nuovo e lo lasciò entrare. Lui fece un o all’interno. ‘Lasci che ci pensi io’, disse, chiudendo la porta ma non completamente. L’odore era soverchiante. Non sapeva come qualcuno potesse vivere in quella maniera. Un gatto miagolò facendo le fusa e si strusciò contro le sue gambe. Lui lo oltreò, e seguì la donna in soggiorno. Come previsto, la TV era accesa, e Cesar Milan stava tenendo una lezione ad una donna anoressica su come parlare al suo Rhodesian Ridgeback. A proposito della somiglianza tra animali e padroni.
‘Ora, lasci che le dica qualcosa sulla gente che abita qui accanto. Vede, a loro non piacciono i miei gatti.’ ‘Eppure sono creature così adorabili’, rispose lui, muovendosi in modo tale che, per guardarlo in faccia, la donna dovesse dare le spalle alla porta. ‘Crede?’ ‘Assolutamente sì. È il mio animale domestico preferito. Di gran lunga.’ ‘Ne ha uno?’ Dava il fianco alla porta, ora. Quasi in posizione. ‘No, purtroppo vivo in un complesso di appartamenti dove è vietato tenere animali.’ ‘È una vergogna.’ L’uomo più basso apparve nel vano della porta, la donna inconsapevole della sua presenza. Non però la mezza dozzina di gatti sparsi per la stanza. Per un qualche tipo di sesto senso felino cominciarono a miagolare. Cominciò uno, seguito a ruota da un altro. L’uomo più basso si mosse rapido, facendo gli ultimi i in meno di un secondo, togliendo il cappuccio di plastica dalla siringa mentre si avvicinava. Quando lei si voltò, le infilò l’ago nel gluteo sinistro e premette sullo stantuffo. Mentre la donna cominciava a gridare, l’uomo più alto le mise le braccia intorno al corpo. Quello più basso le coprì la bocca con la mano libera. Un gatto soffiò e saltò sul televisore da dove osservò, senza battere ciglio, la padrona crollare a terra. Aveva la bocca aperta. Così come gli occhi. L’espressione sul suo viso era di assoluto sconcerto. ‘D’accordo, mettiamola sulla poltrona.’ Insieme, la trascinarono sull’unica poltrona, sistemandola con le mani poggiate in grembo. L’uomo più basso le tirò giù le palpebre con pollice ed indice, poi fece un o indietro per ammirare il suo lavoro.
‘Sembra troppo in posa.’ ‘Hai ragione.’ L’uomo più basso si chinò e le spostò il piede destro con un calcio in modo che la gamba si aprisse da un lato. Un ultimo controllo. ‘Perfetto’, disse, chinandosi a raccogliere il cappuccio di plastica della siringa. ‘E i gatti?’ ‘In che senso?’ ‘Beh, non moriranno di fame?’ L’uomo più basso lanciò un ultimo sguardo all’anziana morta sulla poltrona. ‘Proprio lì hanno a disposizione scorte per tre settimane buone.’
Diciannove
––––––––
Stafford Van Straten sembrava sul punto di avere un aneurisma. Si pettinava la chioma bionda con una mano mentre continuava ad aprire e chiudere la bocca a mo’ di pesce rosso. ‘Affiderai la questione a Lock?’ Suo padre lo prese da parte, portandolo fuori dalla portata d’udito del suo entourage. ‘So che tu e lui non andate d’accordo, qualunque sia la ragione, ma in questo momento può esserci utile’, disse, ignorando il fatto che entrambi sapevano qual era il motivo per cui Stafford e Lock non potevano vedersi. Anche perché il motivo non era di quelli che Nicholas Van Straten avrebbe dimenticato facilmente. Era un motivo che gli era costato un’infinità di notti in bianco, oltre a un quarto di milione di dollari. ‘Ma Richard Hulme non è un nostro problema.’ ‘Ascoltami. Quali che siano i nostri problemi con Richard Hulme, o qualsiasi cosa vadano dicendo i nostri avvocati...’, Nicholas Van Straten si interruppe, abbassando la voce fino a ridurla a un sibilo insistente. ‘Un bambino è scomparso. E se si fosse trattato di te?’ Stafford fece un sorrisetto. ‘Difficilmente potrei essere considerato un bambino.’ ‘Esattamente, quindi smetti di comportarti come tale.’ Mentre congedava suo figlio voltandogli le spalle, Nicholas Van Straten fece cenno a Ty di avvicinarsi. ‘Tyrone?’ ‘Sì, signore.’ ‘Ha avuto fortuna nel contattare Ryan?’ ‘Le comunicazioni sono ancora interrotte.’
‘In inglese, per cortesia, Tyrone.’ ‘Il suo telefono è spento.’ ‘D’accordo. Non appena lo rintraccia, lo voglio qui per un aggiornamento. Nel frattempo, può iniziare ad occuparsi delle altre procedure?’ ‘Sì, signore.’ Stafford si diresse a o di marcia nel suo ufficio, raccolse la mazza da golf nell’angolo e la agitò come se si trattasse di una mazza da baseball, evitando la scrivania per un pelo. Lui era l’erede diretto, l’uomo che un giorno avrebbe amministrato la società, eppure la sua opinione non veniva nemmeno presa in considerazione. Il portiere dell’edificio aveva più voce in capitolo di lui nella gestione dell’azienda. La porta di accesso al bagno dell’ufficio era socchiusa e lui colse il suo riflesso nello specchio. Si fermò, compiaciuto dalla propria immagine, dai luminosi occhi azzurri e dai folti capelli biondi, entrambi ereditati dalla madre. Lo deluse solo il mento sfuggente di suo padre. Con un mento volitivo, il suo sarebbe stato il volto giusto per la copertina della rivista Fortune. Il viso di un uomo nato per compiere grandi imprese. ‘Sei proprio carino.’ Stafford si voltò per trovarsi davanti agli occhi Brand, incorniciato dal vano della porta. Lasciò cadere la mazza in una posizione più convenzionale e mimò un tiro da trentacinque metri. ‘Non sai che bisogna bussare, prima?’ chiese, avendo la sensazione di essere stato sorpreso con i pantaloni abbassati. Brand gli appoggiò una mano sulla spalla. ‘Non lasciare che il vecchio ti faccia questo effetto.’ ‘Era la nostra occasione per lasciarci alle spalle tutte queste stronzate sui diritti degli animali. Perché non ha potuto lasciare la cosa in mano a uno dei tuoi uomini? Voglio dire, chiunque altro a parte Lock. Odio quell’uomo.’ Stafford diede un calcio contro il muro con la punta delle sue Oxford in pelle di fattura inglese. ‘Lo so, amico.’
‘Allora che cosa facciamo con lui?’ ‘Non puoi parlare con il tuo vecchio? Magari suggeriscigli che è il momento che Lock prenda altre strade al di fuori dell’azienda.’ Stafford sorrise. ‘Mettendo quindi te a capo della sicurezza?’ ‘Ehi, questa non è una brutta idea.’ ‘Non sarà d’accordo. Non dopo quanto è accaduto. Crede che il sole sorga direttamente dal culo di Lock.’ ‘Che bella immagine. Sai che penso? Probabilmente è stato Lock a organizzare questa intervista. La tipa che la conduce, per un po’ Lock è uscito con lei.’ ‘Magari potrei usare quest’informazione.’ Brand gli batté di nuovo la mano sulla spalla. ‘La tua occasione verrà, Stafford. Tu ed io, siamo noi quelli da tenere d’occhio. Il tuo vecchio e Lock, invece, presto saranno storia.’
Venti
Il cartello ‘Affittasi’ pendeva come una bandiera bianca all’esterno della rosticceria coreana. Più giù, l’edificio della Meditech aveva lo stesso aspetto di prima della sparatoria, sebbene con l’aggiunta di una o due appendici muscolari sotto forma di una mezza dozzina di barriere Metalith™ anti sfondamento. Anche la facciata di vetro era stata ristrutturata, e la sfumatura delle vetrate, persino con quella luce, lasciava indovinare proprietà infrangibili. La parete in vetro rifletté l’immagine di Lock mentre era in piedi all’esterno, impegnato a studiare l’immagine di un estraneo che cambiava in continuazione. Quella che in precedenza era stata solo un’ombra, era diventata l’accenno di una barba folta. Aveva delle mezzelune scure sotto gli occhi. Le pupille si erano dilatate, ma le cornee erano arrossate, con i capillari in evidenza. Gli tornò in mente l’immagine di qualcun altro. Gli occorse qualche istante per capire di chi si trattasse. Ecco. Sembrava Richard Hulme. Si tolse il cappellino dalla fronte, sollevò un braccio e si massaggiò i punti sulla testa. Magari avrebbero finito per assomigliare tutti a Richard Hulme, prima che Josh venisse ritrovato. Fece tre i ed entrò nell’atrio. ‘Mi scusi signore, chi sta cercando?’ Era uno della squadra di Brand. Un ex-Marine col viso da poppante di nome Hizzard. Lock lasciò scorrere lo sguardo sulla protuberanza celata dal cappotto della guardia. ‘Hizzard, l’aria sarà pure gelida là fuori, ma qui dentro ci saranno quasi trenta gradi. Sembri uno stupido.’ Hizzard, con riluttanza, si sfilò il cappotto mostrando un Mini Uzi con quello che, ad una prima occhiata, Lock ipotizzò essere un caricatore da cinquanta colpi. ‘Oddio, ho cambiato idea, rimettiti il cappotto prima che qualcuno veda quella roba. Dove diavolo siamo? Sul set del film Get Rich or Die Tryin’?’
Hizzard sembrò a disagio. ‘Senti un po’, Fiddy’, disse Lock, ‘devi scegliere un’arma in base alla sua funzionalità rispetto al tuo incarico. E per nessun’altra ragione.’ Dei i echeggiarono sul pavimento in marmo alle loro spalle. Lock si voltò in quella direzione, felice di vedere Ty che attraversava l’atrio a grandi i diretto verso di lui. ‘Ti vogliono di sopra al venticinquesimo. Possiamo parlare mentre saliamo.’ ‘Ci sto’, rispose Lock, spostando lo sguardo da Hizzard a Ty. Ty indirizzò a Lock una scrollata di spalle come a dire ‘ecco come sono i ragazzi di questi tempi’ mentre si dirigevano verso la prima serie di ascensori che li avrebbe portati fino al ventesimo piano. Entrarono, e Ty premette il pulsante. Le porte si chio. La telecamera integrata nell’angolo anteriore destro dell’ascensore era puntata su di loro. Lock si voltò, in modo da rivolgerle la schiena, e contò silenziosamente fino a dieci. ‘Che significa tutta quella ferraglia, Tyrone?’ ‘Te l’ho detto, amico, con te fuori di qui abbiamo assistito alla madre di tutte le sfide su chi la fa più lontano. Brand sta marcando il territorio.’ Le porte si aprirono sul ventesimo piano. Ad aspettarli c’erano altri due membri dell’unità CA di Brand. Questa volta erano senza cappotto, ma portavano entrambi lo stesso modello di fucile automatico dei ragazzi al piano di sotto. Lock e Ty si scambiarono uno sguardo. La situazione era chiaramente fuori controllo.
Ventuno
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Entrando nella sala riunioni al venticinquesimo piano, Lock si sentì a suo agio quasi quanto un fumatore di crack che si imbattesse nello psichedelico ristorante Rainbow Room. Non che qualcuno avesse detto nulla – tutto l’opposto. Nessuno fece commenti sulla sua presenza. O gli chiese come stesse. O si informò su come si trovasse nel ruolo dell’uomo di punta ‘ufficiale’ della Meditech nella ricerca di Josh Hulme. Al contrario, tutti continuarono a studiare qualsiasi foglio di carta avessero davanti agli occhi e aspettarono che fosse il loro capo, Nicholas Van Straten, a cominciare. Nicholas Van Straten sedeva a capotavola. Stafford era subito alla destra di suo padre, Brand alla sua sinistra. Non era un buon segno. Ty prese posto accanto a Lock, qualche sedia più in là. Distribuiti negli altri posti a sedere, c’erano altri cinque o sei impiegati. Ad alcuni Lock riuscì a dare un nome, ad altri no. Era una grossa società. Stafford squadrò Lock dalla testa ai piedi. ‘Non mi ero reso conto che oggi fosse la giornata dell’abbigliamento informale al lavoro.’ La donna dell’ufficio delle pubbliche relazioni ridacchiò come una scolaretta. Lock fissò Stafford. ‘Il mio completo è in lavanderia.’ Nicholas Van Straten chiuse, con una mano dalla costosa manicure, una cartellina sottile e rivolse lo sguardo all’estremità del tavolo, incontrando per un istante lo sguardo di Lock. ‘Grazie per essere venuto, Ryan. Lo apprezzo molto. Come si sente?’ Lock indirizzò a Brand la sua risposta. ‘Pronto a tornare in servizio.’ Brand fece una risatina.
Piuttosto che focalizzarsi sulla rabbia che provava, Lock cercò di immaginarsi mentre usciva fluttuando dal suo corpo e osservava dall’alto quanto stava succedendo. Lock, da sionato spettatore, avrebbe ricordato a sé stesso che tutto quello che aveva fatto, era stato guadagnarsi lo stipendio. Le guardie del corpo venivano pagate certe cifre perché un giorno o l’altro avrebbero dovuto rischiare la vita per proteggere quella dei loro datori di lavoro. Lock inspirò, e fece del suo meglio per concentrarsi. ‘Mi scuso per il mio aspetto. Sono stati un paio di giorni un po’ frenetici.’ Lock notò che Ty teneva lo sguardo puntato sul tavolo, mettendocela tutta per non scoppiare a ridere. ‘Tranquillo’, disse Nicholas. ‘Ora, possiamo parlare di come procedere?’ La donna delle pubbliche relazioni, che secondo le indiscrezioni era la leggendaria Missy della ‘conferenza con la stampa all’esterno’, attaccò entusiasticamente a cianciare su come fosse meglio gestire la questione del rapimento di Josh Hulme dal punto di vista delle relazioni con il pubblico. Da vera professionista qual era, cominciò con una sottile manovra da leccaculo. ‘Dunque, signor Van Straten, grazie al suo brillante intervento, la nostra mossa iniziale per riprendere il controllo di questa situazione così delicata è stata grandiosa. Chiaramente, la nostra mancanza di partecipazione iniziale ha comportato qualche danno, ma non dovrebbe incidere molto, ora che ci hanno visto disposti a dare una mano.’ Quel suo ‘hanno visto’ lasciò Lock perplesso, ma rimase in silenzio. Evidentemente, le cose erano cambiate molto e molto in fretta, e doveva farsene un’idea prima di dire qualsiasi cosa. Mentre Missy proseguiva, usando parole da tre sillabe o più quando due sarebbero state sufficienti, Lock studiò Brand. Una testa squadrata su un busto ugualmente squadrato, era seduto dritto come un fuso, con lo sguardo fisso sulla donna che parlava. Teneva le mani sul tavolo con le dita intrecciate. Dava l’impressione di una persona concentrata nell’ascolto quando, in realtà, Lock sapeva per esperienza che non aveva idea di quello di cui si stava parlando. Ciò nonostante, il suo aspetto era impressionante. Calmo e controllato. ‘Quindi, riassumendo’, stava dicendo Missy, ‘credo che questa sia, in realtà, un’eccellente opportunità, non solo per costruire una riconoscibilità del marchio,
ma anche per riposizionare la nostra società rispetto alla percezione dei consumatori, presentandoci come un’azienda che si prende davvero a cuore l’intera comunità.’ Oh merda. Solo dal punto di vista dell’America delle aziende il rapimento di un bambino, che aveva già comportato un cadavere, poteva essere considerato un mezzo per far apparire un’azienda calda e accogliente. ‘Ho un’idea’, intervenne Lock. Tutti gli occhi si voltarono verso di lui. ‘Magari se riusciamo a riportare a casa il bambino tutto intero, potremmo collegare la cosa con uno dei nostri medicinali. Sapete, tipo il Ritalin, o una cosa del genere.’ Nessuno rise. Né sembrò incazzarsi. Missy buttò giù qualche appunto. ‘Magari istituire un qualche genere di fondazione?’ ‘Credo che scoprirete che il signor Lock stava facendo dello spirito’, commentò seccamente Nicholas Van Straten. ‘Oh’, fece lei, guardando Lock come se si fosse appena alzato per fare pipì contro un angolo della stanza. ‘Posso?’ si intromise Stafford. ‘Se devi’, rispose suo padre. Stafford premette i palmi delle mani uno contro l’altro in un’apparente posa supplice e fece una pausa. ‘Non credo che qui ci sia un problema. C’è un casino con le pubbliche relazioni, nulla che ci riguardi direttamente. E di certo nulla che preoccuperà i nostri azionisti. Gli attivisti a favore degli animali, ecco, quello sì che era un nostro problema. Ma visto che non fanno più parte del quadro, possiamo tornare a concentrarci su ciò che conta.’ Stafford si alzò. ‘Ora, ecco quello che suggerisco...’ Lock si agitò sulla sedia a disagio, mentre il suo mal di testa ricorrente cominciava a premergli sulla fronte. Mentre osservava Stafford che si dilungava, la sua mente tornò a tre mesi prima, alla prima volta che si era imbattuto in
quell’uomo. Lock stava supervisionando la perlustrazione dei piani alti del palazzo, mostrando al neo assunto Hizzard la corretta procedura civile di perlustrazione di un locale mentre non c’era nessuno. Anche gli impiegati che volevano evitare ad ogni costo di tornare ad un appartamento vuoto, o che accumulavano ore di straordinario non pagate per impressionare il loro diretto superiore, erano andati a casa da un bel po’. Lock aveva lasciato Hizzard a controllare metà del piano mentre lui si dedicava all’altra metà. Gli mancava un ufficio. L’ufficio di Stafford. Un piano più in basso rispetto a quello di suo padre, l’ufficio di Stafford era abbastanza vicino da farlo sentire importante, ma non così vicino perché suo padre dovesse incontrarlo spesso. La porta era leggermente socchiusa e, quando Lock la aprì, vide una donna piegata su sé stessa sopra la scrivania. Stafford le stringeva una ciocca di capelli con la mano destra, mentre si faceva strada tra le sue cosce con quella sinistra. La donna stava lottando con tutte le sue forze per sfuggirgli, graffiando il viso di Stafford con la mano libera. ‘Chiudi quella dannata bocca, puttana’, grugnì Stafford, tirandole con violenza la testa all’indietro. ‘Mi fai male’, lo implorò lei. Il viso di Stafford si avvicinò al suo. ‘Scommetto che ti piacciono le maniere forti, non è vero?’ le sussurrò. Lock aveva visto abbastanza. Varcò la soglia. ‘Non è necessario pulire questo ufficio, vada da qualche altra parte’, latrò Stafford, senza disturbarsi a guardarsi alle spalle. Quando non arrivò nessuna risposta, Stafford lasciò la presa sui capelli della donna e diresse la mano alla cerniera dei pantaloni. Coprendo la distanza che li separava in sei lunghe falcate, Lock si fermò mentre Stafford si guardava attorno. L’espressione sul viso di Stafford non era di vergogna, o di colpevolezza, niente che si avvicinasse a nessuna delle due. Sembrava solo irritato dal fatto che qualcuno avesse avuto l’audacia di disobbedirgli. Lock non aveva mai provato un impulso così forte di cancellare
un’espressione dal volto di qualcuno. Lo fece con un singolo colpo diretto al viso di Stafford, l’osso del suo gomito che lo colpiva sul naso con uno schiocco sordo. Se c’era qualcosa in grado di far sì che uno stupratore perdesse l’erezione, era una forte ondata di dolore. Generalmente funzionava molto meglio di una doccia fredda. La donna si divincolò e si voltò. Aveva il respiro affannoso per la lotta. Si portò entrambe le mani alla faccia e se la massaggiò, come sperando che si trattasse solo di un brutto sogno. A Lock sembrava sulla ventina, doveva essere una stagista o una neo diplomata dal college. ‘Sta bene?’ le chiese Lock. Lei annuì, cercando di tirarsi su le mutandine strappate. Hizzard, la nuova recluta, irruppe nella stanza e, assimilata la scena, si fece di ghiaccio. ‘C’è un bagno in fondo al corridoio’, disse Lock alla donna. ‘Hizzard, qui, la accompagnerà.’ Lei esitò. ‘Non si preoccupi, è al sicuro adesso’, la tranquillizzò Lock. ‘D’accordo.’ La voce le tremava leggermente. Tirandosi giù la gonna, uscì con la testa bassa ed evitando il contatto visivo con Stafford. Hizzard la seguì, attento a mantenere una certa distanza. Lock oltreò Stafford per prendere il telefono. Compiaciuto, osservò il panico guizzare nei suoi occhi. ‘Ehi, aspetta un minuto.’ Lock premette il nove per chiedere la linea con l’esterno. Si vedeva che Stafford moriva dalla voglia di strappargli la cornetta dalle mani ma era troppo codardo per farlo. Si infilò il telefono tra il mento e la spalla. ‘Che hai intenzione di dirmi? Che le piacciono le maniere forti? Che sono settimane che ci prova con te? Per quale altro motivo, altrimenti, sarebbe rimasta nell’edificio fino a tardi di venerdì sera, da sola con te?’ Premette di nuovo il nove. ‘Lock? È così che ti chiami, giusto?’ chiese Stafford, con la voce
improvvisamente resa stridula dal panico. Lock premette l’uno. Mancava ancora soltanto un tasto. ‘Ascolta, amico, non ho intenzione di trovare scuse del cazzo. Non so a cosa stavo pensando. Ho un problema.’ ‘Adesso ce l’hai sul serio’, rispose Lock, mentre premeva l’ultimo uno. ‘Dipartimento di polizia, per favore.’ Ci volle un secondo prima che gli venisse ata la comunicazione, e Lock si appollaiò con nonchalance sul bordo della scrivania, godendosi l’ovvio disagio di Stafford. Dentro di sé, era certo di una cosa: quella poteva essere la prima volta che Stafford veniva interrotto, ma – sicuro come la morte, non era la prima volta che succedeva. ‘Va’ all’inferno, amico’, sputò fuori Stafford. ‘Quello che hai visto non conterà niente in tribunale. Nemmeno arriverò al processo. È la sua parola contro la mia.’ Lock riagganciò la cornetta. Quello che Stafford aveva interpretato come una tattica da parte di Lock volta ad impaurirlo, era tutt’altro. Lock aveva messo giù il telefono non perché aveva spaventato Stafford a sufficienza, ma perché Stafford aveva ragione. Una telefonata alla polizia non avrebbe cambiato nulla. Tolse la SIG dalla fondina e la sollevò puntandola alla faccia, macchiata di sangue, di Stafford. Il movimento fu tanto rilassato da risultare quasi casuale. ‘Ti piacciono le pistole?’ A quel punto il viso di Stafford sbiancò per lo shock. ‘Al college ero nei Corpi di Addestramento per gli Ufficiali della Riserva’, balbettò. ‘Ricordi la prima cosa che ti ha detto l’istruttore che si occupava delle armi da fuoco? La regola cardinale?’ Stafford deglutì. ‘Non puntare mai un’arma a qualcuno, a meno che tu non intenda sparargli.’ ‘Molto bene. Voto dieci. Ora, usciamo.’ Lock indicò la porta a Stafford.
Sono molti i modi in cui un uomo può pensare di reagire quando gli viene puntata una pistola. In combattimento, Lock aveva visto dei gradassi perdere il controllo della vescica, e dei codardi trovare una calma relativa per reagire. Ma il primo impulso emotivo è lo stesso per tutti. Paura. Stafford si avviò docilmente verso la porta. In corridoio, Lock rinfoderò la pistola ma si assicurò che Stafford fosse davanti a lui e non guardasse indietro. Dietro di loro, Hizzard stava di guardia fuori dal bagno delle donne. Lock condusse Stafford all’ascensore. La conferma che fossero osservati giunse sotto forma di una voce nell’orecchio di Lock proveniente dalla sala di controllo. ‘Stiamo bene. Vogliamo solo prenderci un po’ d’aria stasera’, rispose Lock. Giunsero all’ultimo piano. Da lì si poteva accedere al tetto. Lock inserì un codice e spinse Stafford attraverso la porta con una manata. Fuori era buio. C’erano al massimo una decina di gradi. Scattò un sensore luminoso, proiettando l’immagine dei due uomini fino all’estremità del tetto. La eggiata sembrava aver fornito a Stafford la possibilità di ricomporsi un minimo. ‘E adesso che succede? Vuoi spararmi?’ chiese. ‘No’, replicò Lock, ‘salterai.’ ‘Cosa? Sei pazzo? Le immagini di te che mi porti quassù sono tutte su disco.’ ‘Intendi i dischi fissi che verranno accidentalmente cancellati al mio comando non appena toccherai il marciapiede?’ ‘E la ragazza?’ ‘Credi che avrà qualcosa da dire, dopo quello che le hai fatto?’ ‘Non c’è modo che tu riesca a spiegare tutto questo.’ ‘Ho servito dieci anni nella Royal Military Police. Credi davvero che non riuscirei a prendere tutte le precauzioni del caso?’
Tenendo la pistola puntata su Stafford, Lock si avvicinò al cornicione del tetto. ‘Ti ho beccato mentre tentavi di stuprare un membro giovane del tuo staff. Ti ho strappato via da lei. E tutto questo verrà confermato, giusto?’ Stafford non rispose. ‘Non ci sono telecamere quassù, nessuno a testimoniare che tu non abbia confessato nulla’, continuò Lock, spostando la pistola di una frazione di millimetro in modo che fosse puntata direttamente al volto di Stafford. Stafford portò le mani in alto. ‘D’accordo, allora diciamo pure che la ragazza sosterrebbe questa versione dei fatti. Che differenza fa?’ ‘Dunque, io ho il dovere di denunciarti. Tu mi preghi di ripensarci. Vuoi farmi un’offerta. Decidiamo di salire sul tetto, in modo che non possa sentirci nessuno. Tutto quello che c’è nel nastro sono due uomini che salgono quassù. Arriviamo qui, sotto le stelle, tranquilli e sereni, e tu mi fai la tua offerta. Ma io non la accetto. Al contrario, ho intenzione di riferirla in tribunale quando il caso verrà presentato. La mia dichiarazione sulla tua offerta di corruzione rende la sua storia molto più credibile, non trovi?’ Lock si era mosso in cerchio, quindi si trovava davanti a Safford che aveva la schiena rivolta al cornicione. Parlando, Lock si era spostato in avanti verso di lui. Quanto bastava ad invadere il suo spazio personale. Stafford, istintivamente, si era ritratto all’indietro senza nemmeno rendersene conto. A quel punto si trovava a forse un paio di metri dal baratro. ‘Tu sei sconvolto. Singhiozzi. Dici cose senza senso. Perché sai cosa succede in prigione agli stupratori. Specialmente a quelli giovani e carini come te. Sarai costretto a prenderlo invece di ficcarlo. Per non parlare dell’onta sulla tua famiglia. Allora’...Lock mise il dito sul grilletto della sua SIG – ‘salti.’ ‘Nessuno ci crederà’, disse Stafford, facendo un o indietro. ‘Oh, qualcuno non lo farà. È una storia del cazzo, non è vero? Ma in un tribunale si ridurrà tutto alla mia parola contro la tua. E tu non avrai nulla da dire.’ Stafford si lanciò un’occhiata alle spalle. Sorpreso da quanto si fosse avvicinato al cornicione, fece un o in avanti, ma Lock agitò la pistola.
‘Direzione sbagliata.’ ‘Non lo farò. Non ho intenzione di saltare.’ ‘Allora ti lancerò. Non sarà la prima volta che lo faccio.’ Lock rinfoderò la pistola e colpì Stafford con un pugno al plesso solare. Quando lui crollò, senza fiato, Lock gli assestò un calcio all’inguine, poi in faccia. ‘Nessuno noterà traumi extra sul corpo di uno che si è buttato’, rimarcò, afferrando Stafford per il retro della giacca e per la camicia e trascinandolo verso il cornicione. ‘Aiuto! Qualcuno mi aiuti!’ gridò Stafford. ‘Siamo soli, Stafford. Nemmeno il tuo paparino può salvarti adesso.’ C’era un bordo di cemento all’estremità del tetto. Lock ci spinse sopra Stafford. ‘Per favore! Ti prego, non farlo!’ lo pregò Stafford. ‘Perché non dovrei? Dammi una buona ragione.’ ‘Non ce l’ho.’ ‘Non vuoi morire, non è vero?’ Stafford scosse la testa, mentre le lacrime gli scorrevano lungo il volto. ‘No, non voglio.’ Lock si allontanò, tenendogli la pistola sempre puntata addosso. ‘D’accordo, allora ecco quello che devi fare.’ Lock spiegò brevemente a Stafford quali erano i suoi obblighi e cosa sarebbe successo se non li avesse eseguiti. Poi, rientrò nel vano delle scale, lasciando Stafford da solo sul tetto tutta la notte per farlo riflettere su quello che aveva fatto. Qualche giorno dopo la stagista aveva contattato Lock per ringraziarlo. Il giorno dopo l’aggressione aveva ricevuto a casa, per posta, un assegno certificato dell’ammontare di duecentocinquantamila dollari. Insieme ad un accordo legale
in cui si impegnava a non portare il caso in tribunale. Lock sapeva che si trattava di una scappatoia a basso costo per Stafford, e la cosa lo faceva stare male. Ma sapeva anche qual era la percentuale di condanne nei casi di violenza sessuale. Ancora una volta, la giustizia non aveva avuto parte nella storia.
Ventidue
‘Voglio che Ty lavori alle ricerche con me.’ Lock pronunciò la frase come se si trattasse di un’affermazione, più che di una richiesta. Così era più rapido, e loro avevano già sprecato trenta minuti con delle stronzate che non avevano nulla a che fare con il ritrovamento di Josh Hulme sano e salvo, e tutto con il prezzo delle azioni della Meditech e l’ego di Stafford. ‘Concesso’, disse Nicholas. ‘Di cos’altro ha bisogno?’ ‘Ci servirà qualcuno che tratti con la JTTF.’ ‘Non sarebbe lei la persona più adatta a farlo?’ chiese Nicholas. ‘Avrò troppe cose per le mani. Inoltre, il fatto che io sia stato coinvolto non è stata una mossa apprezzata.’ ‘D’accordo. Cos’altro?’ ‘Avremo bisogno di una squadra che i al vaglio tutte le valutazioni compiute in ato sulle minacce. In particolare quelle relative a Richard Hulme.’ ‘Già fatto’, intervenne Stafford. ‘E ho fatto circolare un memo tra tutti gli impiegati avvertendoli di stare all’erta e di riferire qualsiasi elemento sospetto alle autorità locali e al nostro personale di sicurezza.’ Forse il suo soggiorno notturno sul tetto con Stafford era finalmente riuscito a ficcargli un po’ di sale in zucca, pensò Lock. ‘Allora chi terrà il forte qui, mentre tu te ne vai là fuori a giocare al detective?’ chiese Brand. ‘A quanto pare, sembra che tu abbia già riempito il vuoto’, rintuzzò Lock. ‘Beh, qualcuno doveva pur farlo.’ Nicholas Van Straten sfogliò rumorosamente i suoi documenti, decretando così
concluso l’incontro. ‘È tutto sistemato, allora.’ Ty e Lock tornarono di sotto condividendo la corsa in ascensore. ‘Sei sicuro di lasciare questo posto in mano a Brand?’ chiese Ty. ‘Per niente.’ ‘Nemmeno io. Lo sai, io non ho la tua esperienza nel campo dell’investigazione.’ ‘E allora?’ ‘Allora magari non sono la persona giusta per aiutarti.’ ‘Tu soddisfi tutti e tre i criteri principali’, rispose Lock. ‘Ah davvero, e quali sono?’ ‘Ho bisogno di qualcuno di cui possa fidarmi. E fare delle indagini si riduce a una cosa che quegli idioti lassù non hanno. Il buon senso.’ ‘Questi sono solo due. Qual è il terzo?’ ‘Se ci fossero altre porte chiuse, ho bisogno di qualcuno che si metta davanti a me.’ ‘Bene, a questo ci credo. Ma ho ancora la sensazione che ci sia dell’altro.’ Lock sospirò. ‘D’accordo, gli attivisti politici con cui avremo a che fare non sono conservatori di destra del genere di Bill O’Reilly, giusto?’ ‘Con questo vuoi dire che sarà dannatamente più difficile per loro dire ad un uomo di colore di andare a quel paese.’ ‘Hai capito al volo. Dobbiamo individuare i punti deboli del nemico. Se in questo caso si tratta di una coscienza liberale, è quello che emo.’ ‘Quindi vorresti usare il colore della mia pelle per metterli in difficoltà?’
‘Decisamente sì.’ Ty ci pensò su per un momento. ‘D’accordo, penso di poterci stare.’ L’indicatore del piano dell’ascensore scattò ando ai numeri di una sola cifra. ‘Allora, quante possibilità credi che abbiamo?’ chiese Ty. Lock ci rifletté. Le porte si aprirono sull’atrio. ‘Beh, non abbiamo ricevuto alcuna richiesta di riscatto, nessun avvistamento dal momento del rapimento, ed è appena stata confermata la morte dell’unica persona che sapeva cos’è successo. A parte questo, direi che andiamo alla grande.’
Ventitré
‘Prendiamo la mia auto.’ Ty lanciò un’occhiata a Lock. ‘Che c’è?’ ‘Niente.’ ‘Se hai qualcosa da dire sulla mia macchina, faresti bene a dirlo.’ ‘Ok, ma se prendiamo la tua macchina’, cedette Ty tirando fuori un i-Pod nero, ‘la musica la decido io.’ Fu la volta di Lock di alzare gli occhi al cielo rivolgendosi a Ty. ‘Magari dopo tutto avrei dovuto scegliere Brand come compagno di viaggio.’ Ty finse indignazione. ‘Quello stupido bianco ascolta musica country. Una volta mi sono trovato bloccato nel veicolo dell’unità CA. Mi hanno fatto ascoltare una canzone intitolata “Come faccio a dirti che ti amo con una pistola ficcata in bocca?” E poi dicono che i testi rap sono fuori di testa? Cazzate.’ ‘Ci sto. Il mio destriero, la tua musica.’ ‘Definire “destriero” la tua macchina mi pare un po’ troppo.’ ‘Come chiamare musica la merda che ascolti.’ Quaranta minuti più tardi accostarono davanti ai cancelli del cimitero, ancora impegnati a dibattere i pro e i contro dell’auto di Lock e dei gusti musicali di Ty. Ty fece scorrere lo sguardo sulle altre persone in arrivo. ‘Ma questa gente non si guarda allo specchio prima di uscire di casa?’ In cima alla collina, la créme degli animalisti si stava radunando per assistere alla sepoltura di Gray e Mary Stokes, accanto ai loro animali domestici defunti, cani, gatti, conigli, e persino un asino.
‘Non ti piacciono gli animali?’ ‘Un tempo avevo un pitbull. Cavolo, amavo quel cane.’ ‘Che ne è stato di lui?’ ‘Ha cercato di mangiare mia cugina Chantelle. Abbiamo dovuto sparargli. Insomma, lei gli stava tirando le orecchie, cazzo, quindi il fatto che l’abbia morsa non è stato del tutto immotivato, ma la famiglia è la famiglia.’ ‘Ty, mi viene un groppo in gola a sentire le storie sulla tua infanzia. Come i Walton di Una Famiglia Americana, ma sotto crack.’ ‘Fottiti, ragazzo bianco’, replicò Ty con un sorriso. ‘Ascolta, tu rimani qui con la macchina.’ ‘Dai, amico. Devo proprio?’ ‘Adesso qual è il problema?’ Ty osservò gli interni della Toyota di Lock con sguardo disgustato. ‘Qualcuno potrebbe pensare che questa merda sia mia.’ Un volto familiare salutò Lock mentre cominciava a risalire la collina. Il sergente votato come quello con maggiori probabilità di avere il colesterolo alle stelle ma con la pazienza al minimo sollevò un panino con filetto di pesce e aggiunta di formaggio in segno di saluto. Chi diavolo mette del formaggio in un panino con del pesce? si chiese Lock. ‘Guarda, guarda chi c’è, il nostro Jack Bauer’, fece Caffrey, tentando di pulirsi uno sbaffo di maionese che gli era colata sotto uno dei suoi menti. Lock era felice di vedere una qualche variazione nella dieta di Caffrey, tanto quanto lo era di sentire che il sarcasmo di quell’infarto ad orologeria era rivolto ad entrambi gli schieramenti. ‘Com’è il panino?’ ‘Cibo degli dei’, mugugnò Caffrey masticando.
‘Giri un bel po’, non è vero?’ ‘La JTTF mi ha arruolato’, sputò fuori Caffrey. ‘È una nuova tattica? Al Quaeda attacca, noi li rimpinziamo come Spurlock finché non gli scoppia il fegato.’ ‘Spurlock?’ chiese Caffrey non cogliendo il nesso. ‘Il tizio che ha fatto quel film in cui non ha mangiato nient’altro che hamburger per un mese.’ ‘Un mese?’ ‘Già.’ ‘Che bastardo fortunato.’ ‘Bene, grazie per la bella chiacchierata.’ Lock cominciò ad allontanarsi, ma Caffrey lo bloccò. ‘Non andare a infastidire nessuno di loro, Lock. Sarò fortunato se riuscirò a finire di compilare le scartoffie che hai causato tu per quando andrò in pensione.’ ‘Sono qui solo per porgere le mie condoglianze.’ Caffrey si fece da parte e inghiottì un boccone noncurante di quel pesce di origine ignota. Per un uomo che aveva saltato la colazione, aveva un aspetto dannatamente invitante. Lock proseguì nella salita in direzione del punto in cui vedeva un paio di SUV con i vetri oscurati. Era talmente evidente, che sulla targa avrebbero potuto anche riportare la scritta ‘Sorveglianza FBI’. Ma d’altronde, magari era quello lo scopo: magari l’FBI voleva far sapere agli ultimi fedelissimi della campagna a favore dei diritti degli animali che li tenevano d’occhio. Mentre superava il veicolo dell’FBI, Lock resistette all’impulso infantile di battere sul finestrino. Si fermò cinquanta metri prima della cerimonia funebre mentre la gente si raggruppava attorno al lotto di terra. Due fosse. Una accanto all’altra.
Nell’avvicinarsi, Lock si rese conto che non avrebbe dovuto preoccuparsi dell’abbigliamento. Era la persona meglio vestita lì attorno. I partecipanti al funerale erano un’accozzaglia di hippy in declino e tipi new age tra i venti e i trenta. Un ragazzino sulla ventina si era presentato in jeans e giacca marrone in ecopelle, presumibilmente prodotta a mano usando del tofu. Lock gliel’avrebbe perdonata se fosse stata nera, ma marrone? Al suo arrivo alcuni dei presenti si voltarono nella sua direzione, ma nessuno disse nulla. In mezzo agli altri, intravide Janice seduta sulla sedia a rotelle, che fissava il vuoto mentre le due bare venivano calate contemporaneamente nel terreno. Un uomo sulla sessantina dalla carnagione cinerea e con lunghi capelli unti si alzò con le mani intrecciate e il capo chino, e pronunciò qualche parola. Avvicinandosi, Lock colse l’ultima parte del suo discorso. ‘Grey Stokes viene sepolto da eroe. Un martire per la causa dei diritti degli animali. È stato un uomo che ha visto il genocidio dove altri hanno preferito distogliere lo sguardo. Un uomo che ha scelto di affrontare chi dirige i campi di sterminio, un uomo che ha scelto di parlare a nome di quanti non hanno voce. Ma la sua morte non sarà vana. Il movimento per la liberazione degli animali dalla sofferenza e dalla tortura andrà avanti. E il suo spirito ci accompagnerà nel nostro viaggio.’ Martirio, sacrificio, morte. Lock si chiese dove aveva già sentito quelle parole. Forse John Lewis, il vicedirettore dell’FBI per l’antiterrorismo, aveva visto giusto quando, alcuni anni prima, aveva avvertito una commissione del Senato del fatto che gli animalisti estremisti stavano diventando una minaccia vera e propria. Ma poi Al-Quaeda era balzata direttamente in cima alle classifiche del terrore, con un taglierino anziché con un proiettile, e quasi tutti avevano dimenticato che il terrorismo non si limitava agli uomini con un debole per le vergini in attesa nell’aldilà. Una volta che l’uomo ebbe finito il suo panegirico, le persone ai margini del gruppo cominciarono ad allontanarsi, discendendo la collina. Lock si avvicinò a Janice mentre alcuni dei partecipanti rimasti, superandolo, gli lanciavano occhiate infuocate. In quel momento, aveva preso la parola il ragazzo con la giacca marrone, la testa inclinata in atteggiamento di sfida. ‘Pagheranno per questo. Vedrai. Quando avremo finito con loro, avranno interi cimiteri da
riempire.’ Le sue previsioni catastrofiche erano dirette a tutti e a nessuno. All’avvicinarsi di Lock, Janice lo zittì. Lock allungò una mano e le sfiorò la spalla. ‘Le mie più sentite condoglianze.’ Le parole sembravano inadeguate. Si preparò ad un’altra esplosione da parte di quella testa calda dall’abbigliamento informale, magari persino a beccarsi un pugno, ma il giovane si allontanò come gli altri. Janice mantenne lo sguardo sui feretri. ‘Perché è venuto?’ ‘Per porgere le mie condoglianze.’ Lock fece un cenno con la testa in direzione della testa calda. ‘Chi è?’ Lo sguardo di Janice ò da Lock ai due enormi SUV del JTTF. ‘Perché non lo chiede ai suoi amici?’ ‘Non credi che le cose si siano fatte troppo serie per questi giochetti tra di noi?’ ‘Qual è il vero motivo della sua presenza qui?’ ‘Rispondi alla mia domanda e te lo dirò.’ ‘Quello è Don’, rispose Janice. ‘Non faceva parte del nostro gruppo a tutti gli effetti. Non era d’accordo con il nostro modo di protestare.’ ‘È più il tipo da azione diretta?’ ‘È stato coinvolto in qualche liberazione.’ ‘Liberazioni’ era il termine usato dagli animalisti per descrivere le loro irruzioni nei laboratori che usavano animali, al fine di liberarli. A volte avevano colpito anche delle fattorie, di solito quelle con grandi stie piene di batterie di polli. ‘E che ci fa qui?’ ‘Quello che ci fa lei.’ ‘Quest’uomo ti sta importunando?’ chiese una voce, mentre il suo proprietario appoggiava con forza la mano sulla spalla di Lock per dare enfasi alla sua affermazione.
Lock si voltò di lato per trovarsi davanti il giovane con la giacca di tofu marrone. Era alto, ma faceva fatica a risultare imponente. Lock lo ignorò. La mano lo colpì di nuovo. Questa volta più forte. ‘Perché non la lascia in pace?’ ‘Don, va tutto bene. Lui è Ryan Lock...sai, l’uomo che mi ha salvato la vita.’ Don sembrò in imbarazzo e rivolse lo sguardo a terra. ‘Immagino di doverla ringraziare.’ Di tutti i modi di chiedere scusa, il suo si piazzava al limite estremo della riluttanza. ‘Sono certo che avresti fatto lo stesso al mio posto’, disse Lock. ‘Già, sicuro.’ ‘Allora, cosa sai di Josh Hulme?’ Don batté gli occhi all’improvviso cambio di argomento da parte di Lock. ‘So di che si occupa suo padre. Chi di spada ferisce, di spada...’ Lock si accostò rapidamente a Don, facendo in modo che lo guardasse negli occhi e che non distogliesse lo sguardo. ‘Stiamo parlando di un bambino. Apprezzerei che rispondessi alla mia domanda nel modo appropriato.’ Janice infilò la sedia a rotelle tra i due uomini. ‘Tutto questo non è necessario. Specialmente non qui. E non oggi.’ ‘In circostanze normali, sarei d’accordo con te. Ma finché Josh Hulme rimane scomparso, ritengo che le solite norme non siano più valide. In particolar modo in virtù del fatto che penso che tu e i tuoi amici possiate sapere dov’è.’ Lock afferrò il polso di Don e lo torse, il minimo indispensabile per avere la sua attenzione. ‘Ora, Don, forse potresti cominciare con il dirmi il tuo nome completo.’ Dai due SUV con i finestrini oscurati non provennero movimenti, sebbene Lock si sarebbe giocato la camicia sul fatto che non si stavano perdendo una sola del loro scontro. Non si sorprese per la loro decisione di non intervenire nonostante avesse appena commesso un’aggressione. Le agenzie governative erano bravissime nel delegare di questi tempi, e Lock sarebbe andato bene quanto qualsiasi secondino siriano dotato di sprone per il bestiame e un po’ di
tempo per le mani. Per non parlare del fatto, poi, che lui non era limitato come loro dalle buone maniere. ‘Perché diavolo dovrei dirti qualcosa? Non sei un poliziotto.’ ‘Questo è vero, Don, non lo sono. Il che significa che non devo attenermi alla procedura.’ Don fissò Lock con uno sguardo colmo di odio. ‘Basta!’ gridò Janice. ‘Abbiamo appena sepolto i nostri genitori!’ Lock lasciò il polso di Don. ‘Che intendi con “abbiamo”?’ ‘Don è il mio fratello minore.’
Ventiquattro
Lock si chiese che livello di estremismo si dovesse raggiungere per diventare la pecora nera della famiglia Stokes. In parte, comunque, spiegava l’indignazione rabbiosa del giovane. Quasi si pentì di aver aggiunto il danno alla beffa stringendo con violenza il polso di Don. Poi pensò a Josh Hulme, e la fugace empatia che aveva provato svanì velocemente come era comparsa. Don, preoccupato, si guardò il polso. ‘Cavolo, avrei proprio bisogno di bere qualcosa.’ Da come lo disse, Lock immaginò che non parlasse di un frullato proteico senza lattosio. Lock aveva sempre dato per scontato che gli animalisti non fossero favorevoli agli alcolici. Stufato di lenticchie, sicuro. Whiskey a buon mercato, mica tanto. ‘C’è un locale a circa cinque isolati da qui. Posso darti un aggio’, si offrì Lock. Don sembrò incerto. ‘È un tipo a posto’, lo tranquillizzò Janice. Don continuò a rimanere in silenzio. Lock non voleva fargli pressioni, ma quella era un’ottima opportunità. Chissà cosa avrebbe tirato fuori Don Stokes dopo essersi scolato qualche drink? ‘Senti amico, non avrei dovuto metterti le mani addosso, prima. Mi dispiace.’ Don riuscì quasi a mettere insieme un sorriso. ‘Lascia perdere, hai salvato la vita a mia sorella.’ ‘Pietra sopra?’ chiese Lock, porgendogli la mano. Don la strinse con la mano sinistra. ‘Di solito uso la destra, ma qualche stronzo me l’ha quasi rotta.’
Nel linguaggio maschile, si trattava di un sì. La tensione tra loro diminuì. Lock spinse Janice lungo la discesa del pendio. Non se ne era mai reso conto prima, ma se spingere una sedia a rotelle in salita era faticoso, riportarla giù era un’avventura. In fondo, scorgeva Ty completamente concentrato sul compito apparentemente impossibile di stare in piedi accanto alla Toyota di Lock, dando l’impressione di non averci niente a che fare. Lock si occupò delle presentazioni. Una volta sbrigate le formalità, Lock, Ty e Don aiutarono Janice a salire in macchina per poi impiegare i dieci minuti successivi a chiudere la carrozzina e a cercare di caricarla nel bagagliaio. ‘Avrei dovuto portare uno degli Yukon’, osservò Ty sollecito quando si avviarono, mentre il veicolo di sorveglianza dell’FBI si immetteva nel traffico dietro di loro. Lock era alla guida con Janice seduta accanto a lui sul sedile del eggero, cosa che dava a Ty e a Don la possibilità di fare conoscenza nel retro dell’abitacolo. ‘Gli animali devono piacerti parecchio, eh?’ chiese Ty. ‘Immagino di sì.’ ‘Una volta avevo un cane’, continuò Ty, guadagnandosi un’occhiata da parte di Lock del tipo per-favore-evita-questa-storia dallo specchietto retrovisore. ‘Cavolo, quando amavo quel cane.’ ‘Quello che è morto di vecchiaia?’ chiese Lock, premendo sull’acceleratore, ansioso di arrivare al bar. ‘Nah, parlo di un altro. Lo sai, il pitbull. Sono sicuro di averti già raccontato questa storia, no?’ ‘Che è il motivo per cui non voglio sentirla di nuovo.’ Lock lanciò uno sguardo allo specchietto. Il SUV della JTTF gli stava ancora alle calcagna, mantenendo la distanza regolamentare di mezzo isolato. Ty sorrise a Don. ‘Lock diventa emotivo quando la racconto. È stata una
situazione tipo quella della canzone Old Shep.’ ‘Bene, eccoci qui’, lo interruppe Lock, svoltando nel parcheggio del bar così violentemente che Ty e Don finirono sballottati sul sedile posteriore. Una volta aiutato Don a tirar fuori la sedia a rotelle dal vano posteriore, Lock lo lasciò ad occuparsi di riaprirla. Quindi trascinò Ty fuori dalla loro portata d’orecchio. ‘Che stai facendo, Tyrone? Questa gente ama gli animali più delle persone, e tu hai intenzione di raccontargli che hai sparato al tuo cane?’ Ty spostò lo sguardo su Don. ‘Ehi, se pensano che ho abbastanza sangue freddo da sparare al mio cane, forse cominceranno a pensare a quello che può capitargli se non tirano fuori quel bambino.’
Venticinque
Josh si destò al suono di i proveniente dal corridoio esterno. Quando si fermarono davanti alla porta, si irrigidì per la tensione. Muovendosi all’indietro, trovò il muro. La telecamera emise un ronzio mentre l’occhio seguiva il suo spostamento. Il suo respiro accelerò. Lanciò un’occhiata in direzione dell’album che giaceva, come un atto d’accusa, sul cassettone. La porta cominciò ad aprirsi. Josh serrò gli occhi. Quando li riaprì, Natalya era in piedi sulla soglia. Ma come? Natalya era morta. Josh ne era sicuro. D’accordo, lui aveva chiuso gli occhi dopo che l’uomo aveva sollevato la pistola. Ma aveva sentito lo sparo. Seguito dal tonfo in acqua. E aveva visto del sangue in fondo alla barca. Natalya gli sorrise. ‘Va tutto bene, Josh. Ora puoi andare a casa.’ Josh rimase dov’era. ‘Come faccio a crederti dopo quello che hai fatto?’ ‘Non vuoi andare a casa, Josh?’ ‘Sì.’ ‘Allora vieni con me.’ Natalya gli porse la mano. Josh fece un o verso di lei, allungando la propria. C’era quasi. Appena pochi centimetri separavano i loro polpastrelli. Poi, ci fu un grosso tonfo quando la porta si chiuse su di loro, e Natalya sparì davanti ai suoi occhi. Josh si drizzò di colpo a sedere. Aveva la schiena indolenzita. Lo sportello alla base della porta era aperto. Un vassoio venne spinto dentro. La colazione. Lui crollò di nuovo sul letto ascoltando il suono dei i, questa volta che si allontanavano. Si alzò e corse alla porta, colpendola con i pugni. ‘Lasciatemi andare! Fatemi uscire da qui!’ I i svanirono e tornò il silenzio. Abbassò lo sguardo sul vassoio. Cereali. Pane tostato. Succo d’arancia. Era
affamatissimo. Mangiò i cereali con le mani, infilandoseli in bocca incurante della telecamera. Cominciò a sentirsi la bocca secca e buttò giù il succo. Aveva lo stesso sapore di quello fatto in casa. Granuloso. Terribile. Poi notò un foglio di carta, piegato sotto la scodella di plastica per i cereali. Lo sfilò da lì e lo spiegò, preparandosi a vedere qualcosa di orribile dello stesso genere delle immagini nell’album. Invece, era solo un messaggio. Sorseggiò il succo d’arancia mentre lo leggeva. Josh Continua a fare quello che ti viene detto e presto potrai tornare dalla tua famiglia. Lupo Solitario Josh lo lesse lentamente, assicurandosi di comprendere ogni parola. Lupo Solitario. Era certo di aver già sentito quel nome prima. Forse c’entrava con le telefonate che avevano ricevuto a casa. Lui sollevava la cornetta e dall’altra parte rimanevano in silenzio. Era certo che c’entrasse con il lavoro di suo padre per la società. Josh era stato così contento quando suo padre gli aveva detto che avrebbe lasciato il lavoro. E poi era successo quello. Guardò di nuovo il messaggio, bevendo un altro sorso di succo. Non parlava affatto di quello che sarebbe successo se non avesse fatto come chiedevano. Se lo scopo del biglietto era quello di rassicurarlo, stava ottenendo l’effetto opposto. Alla prima occasione, aveva intenzione di andarsene da lì. Tornò a sedersi sul letto. Si sentiva il corpo pesante, in particolar modo le gambe. L’orrore della visita di Natalya stava diminuendo. In qualche modo, si sentiva di nuovo al sicuro. Lasciandosi cadere all’indietro sul letto, chiuse gli occhi. Dopo pochi secondi si era già raddormentato.
Ventisei
Lock, Janice e Don agguantarono un tavolo nel retro del bar, accanto a un vecchio jukebox Wurlitzer. Ty rimase fuori, cercando di rimediare uno Yukon per riportare a casa Janice e Don. Ci sarebbero voluti venti minuti perché arrivasse lì, il che dava a Lock un tempo appena sufficiente. Il bar odorava di birra sgasata e di flatulenze di vecchietti – uno sfortunato effetto collaterale del divieto di fumare imposto dallo stato. I clienti dell’ora di pranzo non erano molti, ma gli avventori sembravano compensare la scarsità di numero bevendo quantità industriali di birra e cicchetti di whiskey di accompagno. Prevedibilmente, Lock occupò la sedia in posizione frontale rispetto alla porta soffermando l’attenzione su Don, impegnato a prendere i loro drink al bancone. Se era coinvolto nella scomparsa di Josh, stava facendo davvero un ottimo lavoro nel nasconderlo. Anche i criminali più disinvolti che Lock aveva incontrato nelle sue precedenti incarnazioni professionali avevano lasciato trapelare qualcosa, qualche piccolo ‘tell’, come piaceva chiamarlo ai giocatori di poker. Lui, poi, non aveva nemmeno fatto di tutto per convincere Lock della sua innocenza – una cosa che i colpevoli amavano fare quando si trovavano pressati dalle domande imbarazzanti delle autorità. Quando furono tutti sistemati, Lock sollevò il bicchiere, Coca Cola, nel suo caso. ‘A che cosa brindiamo?’ Considerando la compagnia, era difficile pensare ad un argomento più spinoso. ‘Che ne dite di brindare all’essere sopravvissuti?’ propose Janice. ‘E a chi non ce l’ha fatta’, aggiunse Don. Lock non aveva problemi con nessuna delle due proposte. Fecero tintinnare i bicchieri, guadagnandosi delle occhiate lacrimose da parte degli uomini al bancone. Lock si trovò a studiare il viso di Janice, intenta a vuotare il bourbon d’un fiato e a fissare il fondo del bicchiere come se potesse trovarci qualche
segreto nascosto dentro. Lock si chiese quanto, del suo contegno attuale, fosse il risultato del suo faccia a faccia con la morte. ‘Che ne dite di brindare a quelli che possiamo ancora salvare?’ chiese Lock, indirizzando a Don la domanda. ‘A proposito di quello che ho detto prima, del bambino...’ ‘In questo momento le emozioni sono forti da entrambe le parti.’ ‘È impossibile che qualcuno dei nostri possa aver fatto una cosa del genere.’ ‘E chi, allora?’ ‘E noi come facciamo a saperlo?’ ‘Allora chi è Lupo Solitario?’ Janice e Don si scambiarono uno sguardo vacuo. Non prima, però, di aver abbassato gli occhi sul tavolo per una frazione di secondo. Fu la prima nota stonata colta da Lock. ‘Andiamo.’ Lock aveva abbassato la voce, quindi era a malapena udibile. ‘Chi è Lupo Solitario?’ Lisciò la copia spiegazzata della mail che aveva stampato dal computer di Richard Hulme e la distese, appiattendola, sul tavolo. I due fratelli si scambiarono un’altra occhiata. ‘Non sappiamo di chi stai parlando’, disse Don. Lock sbatté il bicchiere sul tavolo con una forza tale da attrarre l’attenzione dell’intero bar. ‘Smettila di mentirmi oppure, che Dio mi aiuti, stavolta ti farò male per davvero.’ Don vuotò il suo bicchiere di birra. ‘Non si tratta di una persona sola. Voglio dire, è come Spartaco, o una cosa del genere. Quelli del movimento adottano quel nome.’ ‘Quando vogliono fare una minaccia di morte?’ chiese Lock.
‘Quando vogliono opporsi a una situazione’, replicò Don. ‘Oh, Don, per l’amor del cielo, smettila’, intervenne Janice. Ruotò il collo in modo da guardare Lock direttamente in faccia. ‘Lupo Solitario è un uomo di nome Cody Parker. È quello che ha avuto l’idea di disseppellire quella vecchia signora e di scaricarla a Times Square.’ ‘E è lui che ha preso Josh Hulme?’ Don si alzò in piedi. ‘Non c’è verso, amico, nessuna possibilità che Cody abbia fatto una cosa del genere.’ Lock lo fissò. ‘E tu come fai a saperlo?’ Don distolse lo sguardo, dando così a Lock la risposta che voleva. Si rivolse di nuovo a Janice. ‘Che ne pensi?’ ‘Don ha ragione. Non avrebbe fatto una cosa del genere.’ ‘D’accordo, allora andiamo a chiederglielo di persona.’ Don buttò la testa all’indietro e scoppiò a ridere. ‘E come ha intenzione di farlo? Il governo lo cerca da anni e non ci sono mai arrivati nemmeno vicini.’ Lock ci rifletté per un momento prima di parlare di nuovo. ‘Hai un quarto di dollaro?’ chiese. ‘Come?’ ‘Per il jukebox.’ Don guardò Lock come se fosse impazzito, ma tirò fuori una manciata di quarti di dollaro e glieli porse. ‘La scelta alle signore. Qualche preferenza?’ chiese lui a Janice. Lei si strinse nelle spalle, confusa quanto suo fratello. Lock prese le monete e le inserì nel Wurlitzer. Scelse un pezzo di una band che nel nome aveva la parola ‘morte’. Poi, attraversò la sala diretto al bar e sbatté cento dollari sul bancone. ‘I drink li offro io, ma ho bisogno che alziate il
volume al massimo.’ Lock tornò a sedersi vicino a Don e Janice mentre i primi accordi di chitarra distorta e i colpi martellanti di batteria coprivano tutto il resto. Si sporse in avanti in modo che il suo viso fosse a pochi centimetri dai loro. ‘L’unica cosa che mi interessa in questo momento è riportare Josh Hulme sano e salvo alla sua famiglia. Solo perché sia chiara ad entrambi la mia opinione personale, non me ne frega un cazzo dei piccoli coniglietti pelosi a cui viene versato dello shampoo negli occhi, e in questo momento non me ne frega un cazzo nemmeno della Meditech. Quindi darò a entrambi la possibilità di fare una scelta. È assolutamente non negoziabile, e avete tempo solo fino alla fine di questa canzone per prendere la vostra decisione. Con quello che mi avete già detto, potrei mettere la cosa in mano all’FBI e vi trovereste entrambi ad affrontare un’accusa di cospirazione. Janice, tu morirai in un penitenziario, probabilmente prima che si giunga ad un processo. Don, per come viene considerato il rapimento di minore dal tribunale, per non parlare dai secondini e dai compagni di cella, potrebbe valere lo stesso per te. Non solo, io mi siederò al banco dei testimoni per aumentare al massimo le possibilità che le cose vadano in questo modo. Questa è l’opzione numero uno.’ La canzone stava aumentando di intensità, mentre il primo chitarrista si spostava sulla tastiera per trovare delle note percepibili solo dai delfini. Al bancone, due uomini erano venuti alle mani per risolvere la questione di chi dovesse essere servito per primo. Un bicchiere rovinò a terra. ‘Qual è la seconda opzione?’ chiese Janice. ‘Mi portate da Cody Parker.’ Don si appoggiò allo schienale della sedia. ‘Che è successo al cane?’ La domanda spiazzò Lock. ‘Quale cane?’ ‘Il tuo amico in macchina. Il suo cane.’ ‘Il cane ha aggredito la cugina di Tyrone, e, vedi, Ty diventa sentimentale quando si tratta di bambini’, spiegò Lock, allungandosi e afferrando il polso dolorante di Don. ‘Più sentimentale di quanto sia nei confronti degli animali. Dunque, vuoi davvero sapere cos’è successo a quel cane che amava così tanto? Gli ha sparato e l’ha ucciso. E se ci porti per il culo, direi che ci sono buone probabilità che faccia lo stesso con te.’
Ventisette
‘Scommetto che quando segui gli spettacoli in platea gridi le battute finali prima che possano arrivarci i comici’, fece Ty, lanciando a Lock le chiavi. ‘Ehi, ha funzionato. Hanno intenzione di aiutarci.’ Ty fissò Don, occupato a far salire di nuovo sua sorella nella Toyota di Lock. ‘Sarà meglio per loro’, commentò, arrampicandosi nell’abitacolo dello Yukon. ‘Sai cosa fare, giusto?’ gli chiese Lock. ‘Ricevuto.’ Quando Ty uscì dal parcheggio, Lock tornò indietro per vedere se Don aveva bisogno d’aiuto. Doveva ammettere che formavano un gruppo di ricerca decisamente strano: una ragazza in carrozzina con la gamba sinistra che tendeva a spasmi incontrollati, un giovane che la spingeva con una mano sola mentre con l’altra si massaggiava il polso, un uomo con testa rasata a chiazze e attraversata da una cicatrice lunga quasi quindici centimetri, e un afroamericano alto un metro e novanta senza capelli e coperto di tatuaggi. Quando Lock uscì con l’auto dal parcheggio, il SUV nero con la squadra di sorveglianza dell’FBI li stava aspettando. Per assicurarsi che la scelta dell’opzione due da parte di Janice e Don non finisse col diventare la numero uno, la prima cosa da fare era seminarlo. Considerando che la Royal Military Police era il reparto deputato ad insegnare al resto dei militari britannici le tecniche di guida difensiva e, in caso di bisogno, di quella offensiva, la prospettiva non lo preoccupava eccessivamente. Il suo telefono squillò. Lo aprì, guidando con una mano sola. ‘Ehi, cowboy.’ ‘Carrie?’
‘Quante altre bionde sexy che hanno appena ottenuto il trentacinque percento di ascolti hai che ti chiamano?’ ‘Il trentacinque è buono?’ ‘Sarebbe stato buono dieci anni fa. Ora è eccezionale.’ ‘Katie Couric deve cominciare a preoccuparsi?’ ‘In questo momento dovrebbe farsela sotto.’ ‘Senti, puoi fare qualche ricerca per me? Le informazioni, però, devono rimanere assolutamente confidenziali.’ La richiesta di embargo sui risultati fu accolta da un momento di silenzio. ‘Carrie?’ ‘Sì. D’accordo. Di che si tratta?’ ‘Il rapporto su un gentiluomo che risponde al nome di Cody Parker.’ ‘Contaci.’ ‘Grazie’, disse Lock, chiudendo la chiamata. Voltandosi a guardare Don, fece una domanda di cui già conosceva la risposta: ‘Allora, da dove cominciamo?’ Lui gli diede un indirizzo. Non era lo stesso che gli aveva fornito qualche minuto prima. Don si lanciò un’occhiata alle spalle, verso il SUV della JTTF. ‘Non riusciranno a sentirci?’ ‘Nah, sono troppo indietro’, mentì Lock, accendendo la radio e alzando il volume come per un ripensamento. Sul retro del SUV nero, l’addetto alle comunicazioni della squadra di sorveglianza composta da tre elementi fece un ampio sorriso. ‘Abbiamo un indirizzo.’
L’autista gli lanciò un’occhiata. ‘Di cosa?’ chiese. ‘Lo scopriremo quando saremo lì, immagino. Puoi anche restare indietro. Sarà un gioco da ragazzi.’
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Quando si fermarono ad un semaforo, Don si guardò nervosamente alle spalle. ‘Non preoccuparti di loro’, disse Lock. ‘Noi saremo pure in un’utilitaria della Toyota da dodicimila dollari, mentre loro si trovano al volante di un gioiellino governativo appositamente modificato del valore di cinquantamila dollari, ma abbiamo comunque qualche freccia al nostro arco.’ ‘Ah, davvero?’ ‘Beh, per cominciare, io sto guidando col cambio manuale’, spiegò Lock, innestando la marcia e partendo con un’accelerata non appena la luce diventò verde. Don si lanciò un’altra occhiata alle spalle per vedere che anche il SUV si stava lanciando in avanti. ‘Non so perché, ma non credo che basterà.’ ‘Non mi hai lasciato finire’, disse Lock, continuando ad accelerare mentre raggiungevano l’incrocio successivo. ‘Cosa ancora più importante, il problema con quello che guidano loro è che non solo si tratta di un SUV, ma è anche corazzato. Ciò significa che...’ Si concentrò sulla manovra successiva, scalando la marcia quando raggiunse l’angolo, frenando all’ultimo e poi accelerando di nuovo. ‘Significa che in curva si comporta come un mattone di gomma.’ Alle loro spalle, il SUV nero era rimasto indietro. Troppo indietro. Come aveva previsto Lock, l’autista accelerò – quando avrebbe dovuto rallentare – nel tentativo di non perdere l’obiettivo. Affrontò la curva troppo velocemente e le ruote del veicolo – alto e pesante – persero aderenza. Quando il SUV sbandò da un lato all’altro della carreggiata, l’autista premette sul pedale del freno per riprendere il controllo dell’auto.
Dietro di loro, Ty, alla guida dello Yukon, non si lasciò sfuggire l’occasione, frenando con un attimo di ritardo ed andando a finire contro il mezzo dell’FBI. Questo sobbalzò di colpo in avanti mentre si aprivano entrambi gli airbag anteriori. I veicoli si fermarono. Ty si diresse verso il veicolo dell’FBI, spalancando la portiera dal lato del guidatore mentre questi si liberava dell’airbag. ‘Mi dispiace, amico’, fece Ty, ‘hai tipo frenato troppo veloce per me. La distanza di sicurezza in questi casi è bastarda, eh? Ascolta, vuoi i miei dati per l’assicurazione?’ Con espressione da sempliciotto, Ty sbirciò il retro dell’abitacolo dove l’addetto alle comunicazioni si stava togliendo le cuffie mentre contemporaneamente cercava di staccarsi il sedile anteriore dalla bocca. ‘Ah, cacchio, ragazzi non sarete mica poliziotti, vero?’
Ventotto
Lock inspirò profondamente e si lanciò contro la porta dell’appartamento. A gettarlo quasi a terra fu un’esplosione di tutt’altro genere rispetto a quella della volta precedente. L’aria emanava un fetore di morte e decomposizione. Il suo stomaco sobbalzò mentre percorreva lo stretto corridoio foderato da giornali vecchi e altri materiali organici decisamente meno salutari. Fuori, ai piedi delle scale, sentiva il senzatetto che aveva oltreato salendo, impegnato in un discorso filosofico a senso unico. ‘Dannate puttane. Che prosciugano un negro fino alle ossa. Dov’è la giustizia fratello?’ Don e Janice erano in macchina, Janice esausta dopo gli eventi della giornata, e Don che non se la sentiva di affrontare Cody. Se Cody fosse stato lì. Con il piede, Lock aprì una porta già socchiusa che conduceva alla zona giorno. Una donna anziana, seduta in poltrona con la TV ancora accesa, il volume azzerato. Non respirava. Aveva gli occhi chiusi. Un grosso gatto rosso le sedeva in grembo, masticandole la mano. Dai graffi che aveva sul viso, era ovvio che la mano non era stata l’unica parte del suo corpo a ricevere quel tipo di attenzioni. Lock si avvicinò. ‘Sciò.’ Il gatto temporeggiò il tempo sufficiente a dimostrare chi fosse a comandare, poi saltò sul pavimento. Lock si allontanò dal corpo e controllò le altre stanze. Anche con un inalatore di Vicks infilato in ogni narice, un trucco utilizzato dai poliziotti e dai paramedici del primo soccorso, nessuno sarebbe riuscito a sopportare il tanfo per più di pochi minuti. Tornato sul pianerottolo, il suo corpo ebbe la meglio su di lui, e vomitò.
Macchie nere gli comparvero davanti agli occhi. Ci siamo, pensò. Il primo blackout. Ma non accadde. Il suo stomaco smise di avvolgersi su sé stesso e la testa gli si schiarì a sufficienza da permettergli di comporre il 911.
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Lock suppose che in quella parte del Bronx un cadavere, da solo in un appartamento, non meritasse una corsa sulla scena, e infatti i poliziotti se la presero comoda. Se alle autorità non importava granché di quella donna da viva, perché le cose sarebbero dovute cambiare dal momento che era morta? Si avviò di nuovo alla macchina. Quando lo vide, Janice sbiancò. ‘Tutto bene?’ La manifestazione di preoccupazione da parte di una donna morente lo fece sentire ancora peggio. Don uscì dall’auto e Lock gli raccontò cosa aveva trovato all’interno. ‘Deve trattarsi della madre di Cody.’ Lock si fece fornire da Don una descrizione rapida. Corrispondeva. Non voleva chiedergli di entrare a dare un’occhiata. Non quel giorno. ‘Ascolta, Cody può essere un po’ matto, ma non esiste che avrebbe...’ ‘Lo so.’ Non c’erano segni di traumi importanti, coltellate o fori di proiettile. ‘Cody e sua madre erano uniti?’ ‘Sì, penso di sì.’ ‘Lei era coinvolta nel movimento?’ ‘È così che ha cominciato Cody.’ Perfetto. Lock infilò la mano in tasca per prendere il suo cellulare e lo porse a
Don. ‘Comincia a far girare la voce. Ma non dire nulla a nessuno del fatto che è morta, dì solo che è successo qualcosa. Che le sue condizioni non sono buone. Ah, e torna in macchina, dobbiamo muoverci.’ Se dovevano trovare Cody Parker, non aveva intenzione di farlo con la scorta al seguito. Mentre Cody telefonava sul sedile posteriore, Lock guidava, insistendo a fargli usare il vivavoce in modo da poter sentire l’intera conversazione. Ricevettero sei chiamate, si stavano scaldando. Una donna in un ‘rifugio per animali’ non ufficiale a Long Island confermò che Cody era fuori a prendere delle scorte, ma che sarebbe tornato. Come suggerito da Lock, Don le disse di avvertire Cody di non andare a casa di sua madre. ‘I poliziotti sono dappertutto.’ ‘L’hai trovata tu?’ chiese la donna a Cody. ‘Più o meno.’ ‘Allora Cody vorrà parlare con te.’
Ventinove
Lungo la strada lasciarono Janice in una bella casa di periferia a Dix Hills, proprietà di una donna la cui figlia aveva sofferto anche lei di sclerosi multipla e che aveva incontrato Janice in un gruppo di o per famiglie colpite da quella malattia. La donna diede uno sguardo a Lock e si affrettò a portare Janice in casa, sbattendo la porta senza guardarsi indietro. Lock richiamò la Meditech e gli rispose Brand che, con sommo piacere, lo informò che Ty era trattenuto dai Federali, e che entrambi i Van Straten erano ben lungi dall’essere felici come una Pasqua. Lock lo ringraziò per l’aggiornamento. Nulla di tutto ciò importava: si stavano avvicinando a Josh. Lock se lo sentiva. Lungo il tragitto verso il rifugio, Don ragguagliò Lock sull’ambiente che bazzicava Cody. Gestiti da volontari, e soliti ospitare animali ‘liberati’ dal movimento, c’erano rifugi sparsi per tutto il paese. Una sorta di Ferrovia Sotterranea per quadrupedi, pensò Lock. Quando gli animali venivano presi, erano ancora tecnicamente proprietà della società che li aveva utilizzati per gli esperimenti, quindi i rifugi dove erano tenuti tendevano a tenersi fuori dai radar. Solo gli attivisti più fidati ne conoscevano la posizione, cosa che portò Lock a chiedersi quale scalino occue Don sulla scala dell’estremismo. Il rifugio che stavano per visitare era gestito da una donna con cui Cody aveva una relazione a singhiozzo. A salutare il loro arrivo, un coro di latrati provenienti dal retro della casa. Lock controllò la SIG. Nel vedere la pistola, Don cambiò atteggiamento. ‘Niente pistole’, disse. ‘Cosa?’ ‘È una delle regole.’ ‘Una delle regole che valgono per dei pazzi come voi, forse. Io ho le mie regole.
E la numero sei dice proprio porta una pistola quando ti trovi ad affrontare un criminale ricercato.’ ‘Non hai intenzione di consegnarlo alla polizia, vero?’ ‘Dipende.’ ‘Da cosa?’ ‘Se ha preso Josh Hulme’, rispose Lock, tralasciando di aggiungere che se era Cody a trattenerlo, l’avrebbe consegnato in forma di cadavere. ‘Non ce l’ha lui. Devi credermi.’ ‘Andiamo a vedere, allora.’ In realtà, Lock non aveva alcuna intenzione di consegnare Cody Parker alle autorità. Non ancora, perlomeno. Se Cody fosse stato arrestato, Lock sapeva che per prima cosa avrebbe richiesto un avvocato e si sarebbe appellato al quinto emendamento. Il colore della casa, originariamente pitturata di bianco, col tempo era sbiadito in una sfumatura giallastra e il cortile frontale era trascurato e coperto di vegetazione. Don fece strada ando di lato. Lock lo seguì rimanendo indietro di qualche o. Furono accolti da un branco di cani che li circondarono, un’esplosione di code in movimento e lingue penzoloni. Un chiassoso Labrador Retriever color miele, con l’aspetto di una palla da bowling, e grosso modo lo stesso slancio, infilò il muso tra le gambe di Lock. Sulla testa, il cane mostrava una cicatrice rettangolare là dove gli era stata strappata la pelle. Lock si chiese se non fosse quello il “cane manifesto” della protesta contro la Meditech. Gli diede una grattatina dietro alle orecchie e quello strofinò il naso avvicinandosi ancora di più. ‘Questa è Angel. È stata tirata fuori da un laboratorio ad Austin.’ Girarono l’angolo e trovarono Cody Parker che trascinava una busta di dimensioni industriali di pappa per cuccioli. Lui fissò Lock per un momento prima di voltarsi verso Don, ma non si mosse. Né sembrò mostrare alcun segno di dolore. Forse la donna con cui aveva parlato Don non aveva ancora comunicato la brutta notizia.
‘L’hanno presa loro, eh?’ chiese a Don. Oh-oh, pensò Lock, ecco che si comincia. Tutti a bordo del treno speciale per paranoici. Cody lasciò cadere a terra il sacco di cibo. ‘E questo chi è?’ ‘Ryan Lock.’ Cody era un ragazzone con una coda di cavallo di un biondo vistoso che gli penzolava fino a metà della schiena. Un metro e novantacinque per novantacinque chili, nemmeno un grammo di grasso. ‘Adesso mi ricordo. La Meditech. Sei venuto ad uccidere anche me?’ gli domandò Cody, sollevando un’altra busta. ‘Non lo crederai davvero?’ chiese Lock, rimasto spiazzato dalla domanda. ‘Che mia madre è stata uccisa o che tu sei qui per uccidermi?’ Cody era in piedi, le gambe leggermente divaricate, le braccia lungo i fianchi, troppo rilassato per credere davvero alla seconda opzione. ‘Se si tratta della seconda, non capisco perché avresti dovuto portare un testimone.’ ‘D’accordo, allora perché qualcuno avrebbe voluto uccidere tua madre?’ ‘Perché pensano che io abbia qualcosa.’ ‘Di che si tratta?’ ‘Ho detto che pensano che ce l’abbia io, non che ce l’ho davvero.’ ‘Uno dei posti in cui stava Cody è stato svaligiato qualche settimana fa’, disse Don, aggiungendo un elemento al quadro delle informazioni. Lock ripensò all’appartamento nel Bronx. Com’era possibile che le ambizioni di un ladro potessero riguardare un letamaio del genere, per non parlare dell’omicidio di una vecchia signora? ‘Cos’hanno preso?’ ‘Documenti, principalmente.’ ‘A che proposito?’
‘Informazioni sui posti dove vengono torturati gli animali.’ ‘Intendi i laboratori?’ ‘Tra gli altri.’ ‘Ma la Meditech sta cessando le sperimentazioni animali.’ ‘Questo è quanto vanno dicendo loro.’ ‘Senti, sono qui per trovare Josh Hulme.’ ‘Pensa che l’abbia preso tu’, aggiunse Don. Cody non batté ciglio. ‘E perché avrei dovuto volerlo fare?’ ‘Perché sei capace di farlo’, intervenne Lock. ‘Chiunque è capace di fare roba seria se viene portato al punto di farlo.’ ‘Allora non ti importerà se do un’occhiata qui intorno.’ ‘Prego, fa’ pure.’ Lock attraversò il cortile, dirigendosi alla porta blindata sul retro della casa. Cody, Don e il labrador lo seguirono all’interno. Lui cercò di allontanare il cane, ma quello gli andò dietro zampettando. ‘Deve avere la testa più scombussolata di quanto pensassimo’, rifletté Cody, indicando il cane con un cenno. Lock le diede una grattatina sulla cicatrice e lei gli si strusciò contro le gambe. Se Cody teneva Josh lì, era notevolmente calmo. ‘Conosci una ragazza di nome Natalya Verovsky?’ ‘Il nome lo conosco, certo. Come conosco il nome di Richard Hulme. E di suo figlio. Sono su tutti i notiziari.’ ‘Sai che l’FBI ti sta cercando?’
‘Non per questa faccenda.’ ‘È solo questione di tempo. Dubito che are da furto aggravato a rapimento sarebbe un salto poi così grande per una giuria. A meno che tu non voglia negare anche di aver disseppellito Eleanor Van Straten.’ Cody guardò Don dritto in faccia. Era lampante. Anche Cody lo sapeva. ‘Devo appellarmi al Quinto Emendamento in questo caso, amico mio’, disse. ‘Ma lascia che ti faccia una domanda.’ Lock si fermò nel bel mezzo del soggiorno. ‘Avanti.’ ‘Perché hanno fatto saltare la testa a Gray Stokes? E non rifilarmi la solita stronzata, ormai stantia, che i media stanno propinando alla gente a casa sul fatto che il sicario stesse mirando a Van Straten e l’abbia mancato. Questa è proprio una gran cazzata. Un colpo. Un centro.’ ‘Non so rispondere a questa domanda.’ Cody lo fissò negli occhi. ‘Beh, io posso farlo.’ Lock sedette su un divano ricoperto di peli di cane. Angel gli appoggiò la testa in grembo e lo fissò con gli occhi marroni di un cane vecchio mille anni. ‘Illuminami, dunque’, disse. ‘Dici sul serio, fratello? Stokes e tutti gli altri all’interno del movimento hanno rotto le scatole alla Meditech per mesi. Per come la vedevamo noi, se fossimo riusciti a convincere loro a smettere di usare gli animali, una grande e potente compagnia come quella, allora tutte le altre si sarebbero allineate. Ma loro hanno puntato i piedi. Hanno solo cominciato ad assumere sempre più uomini come te. Poi, all’improvviso, di punto in bianco, hanno ceduto. Come mai?’ Lock non rispose. ‘Amico, magari non avrò tutte le risposte, ma almeno ho qualche buona domanda’, disse Cody. ‘Diciamo che forse si sono stancati delle intimidazioni’, suggerì Lock. ‘Succede.’
Cody scoppiò a ridere. ‘Alle persone, certo. Ma ad una società che sta mirando ad un contratto con il Pentagono?’ ‘Cosa?’ ‘Oh, ma non dovrebbe saperlo nessuno, non è vero?’ ‘Allora tu come fai a saperlo?’ ‘Pensi che non abbiamo anche qualcuno all’interno? Alcune persone possono anche entrare a far parte di società come la Meditech credendo a tutte le pagliacciate sulle cure contro il cancro, ma alcuni di loro aprono gli occhi. Gira tutto attorno ai soldi. È sempre stato così. E così sarà sempre.’ ‘Allora che cos’ha a che fare tutto questo con Josh Hulme? O con Gray Stokes, se è per questo?’ ‘Come ho detto, io ho solo le domande. Ma non ci vuole un genio per capire che diminuire i test sarebbe dovuta essere l’ultima cosa a are per la mente di Van Straten. Contratti importanti come quello implicano più test. Più animali torturati, come il tuo nuovo migliore amico, lì.’ Cody fece un cenno col capo in direzione di Angel che, nel frattempo, si era addormentata col capo poggiato sulle gambe di Lock. ‘Ma quello che hanno fatto è stato proclamare una tregua, e il minuto successivo Janice è lì che raccoglie il cervello di suo padre dal marciapiede. Lui sapeva qualcosa, amico mio. Sapeva qualcosa di abbastanza grosso da farli cedere e, allo stesso tempo, da farsi uccidere.’ ‘Va bene allora, cosa sapeva?’ Cody batté le mani. ‘Bravo, Signor “Accetto I Soldi Della Compagnia”. Ora sì che stai facendo le domande giuste. Ascolta, ho della roba qui da qualche parte che può darti una mano. Lascia che vada a prendertela.’ ‘Pensavo che tutta la tua roba fosse stata rubata.’ Cody schiuse le labbra, forzando un sorriso. ‘Non tutta.’ Uscì dalla stanza. Meno di cinque secondi dopo si sentì il suono di una porta blindata che sbatteva e Cody che correva. Lock saltò subito in piedi, facendo finire Angel sul pavimento. Angel si raddrizzò andando a sbattere contro le
gambe di Lock. Lui barcollò, ma rimase in piedi. Quando raggiunse il vano della porta, Don decise di bloccargli la strada. Lock lo buttò a terra con una spallata e uscì fuori a tutta velocità, giusto in tempo per vedere un pick-up rosso allontanarsi lungo la strada mentre neve e fango schizzavano da sotto le sue ruote posteriori. Lock estrasse la pistola, ma il mezzo era già fuori dal raggio di tiro che gli avrebbe permesso di colpire le ruote e non pensava che sparare ad un civile disarmato senza la dovuta autorità, anche se si trattava di un fuggiasco ricercato, sarebbe stato granché apprezzato. Rinfoderò la SIG mentre Don usciva. Don decifrò l’occhiata che Lock gli lanciò. ‘Mi dispiace di essermi messo in mezzo, ma Cody è un mio amico.’ ‘E tu sei uno che si sacrifica per gli amici, vero?’ ‘E per il movimento.’ ‘Bene, ammiro la tua posizione come uomo di sani principi’, disse Lock, afferrando il polso di Don e finendo quello che aveva cominciato. L’osso si spezzò con uno schiocco secco. Don lanciò un grido di dolore. ‘Figlio di puttana! Me l’hai spezzato! Mi hai spezzato il polso!’ ‘Fa’ una cosa del genere un’altra volta e ti spezzo il collo.’
Trenta
Anziché con Josh Hulme, Lock lasciò la casa con un Labrador color miele di una certa età seduto accanto a lui sul sedile del eggero. Angel aveva seguito lui e Don fuori fino alla macchina, era saltata dentro, e poi si era rifiutata di muoversi. Lock l’aveva fissata, e lei aveva ricambiato il suo sguardo. Fanculo, aveva pensato Lock, che differenza faceva un altro caso disperato in un’auto che ne era già piena? ‘Dove andiamo adesso?’ chiese Don dal sedile posteriore. Lock abbassò le sicure delle portiere posteriori. ‘Tu, amico mio, andrai in prigione.’ ‘Ma ti ho aiutato a trovarlo.’ ‘E poi l’hai aiutato a scappare.’ ‘Non è lui ad avere il bambino.’ ‘Allora perché sarebbe scappato?’ ‘È ricercato, ecco perché. Ma non per questa storia.’ Lock svoltò. ‘Adesso sì.’ ‘Avresti dovuto dargli retta’, lo difese Don. ‘Ma per favore. Voi pensate che tutto il mondo ce l’abbia con voi.’ ‘D’accordo, va bene, allora perché mio padre sapeva che sarebbe morto?’ ‘Te l’ha detto lui?’ ‘Non è stato necessario.’ Mentre Angel infilava la testa il più vicino possibile alla ventola dell’aria condizionata, Lock studiò Don nello specchietto retrovisore. ‘Va’ avanti.’
‘Hai mai sentito il discorso che ha fatto Martin Luther King a Memphis prima che gli sparassero?’ ‘Quello di “Ho un sogno”?’ chiese Lock. ‘No. Quello che dico io parlava di scalare una montagna fino ad arrivare in cima, di come il movimento dei diritti civili stesse vincendo, ma di come lui avrebbe potuto non essere lì a testimoniare la vittoria definitiva. Una cosa del genere, comunque. Quello che voglio dire, è che quando vedi il filmato di quel discorso, è come se lui sapesse che non gli restava molto da vivere.’ ‘Avevano già cercato di uccidere King prima.’ ‘Sì, ma questa è una cosa diversa.’ La furia di Lock nei confronti di Don si era calmata abbastanza da far riaccendere il suo interesse. ‘E che cosa c’entra questo con tuo padre? Credi che sapesse che qualcuno avrebbe provato a togliergli la vita?’ ‘No, niente di così specifico, ma, ecco, è come se sapesse che c’era qualcosa di strano. Anche solo le cose strane che diceva. Che le cose stavano per cambiare, che avremmo dovuto essere forti.’ ‘Janice mi ha detto che avevate ricevuto delle minacce. Ne avete avute nei giorni precedenti all’omicidio?’ ‘No, su quel fronte è stato tutto molto tranquillo.’ ‘Forse i vostri compari non volevano dire nulla’, suggerì Lock. ‘Credimi, l’avrei saputo. Dov’è il senso di fare una minaccia, altrimenti?’ ‘Forse dovresti chiederlo a tua sorella. O al tuo amico Cody.’ Tuttavia, quello che diceva Don aveva un senso. Lock doveva riconoscerlo. In una folla di gente, non si preoccupava mai del pazzo che andava gridando oscenità, andando su di giri fino a perdere le staffe e urlando qualunque genere di minaccia. Bisognava preoccuparsi solo quando c’era calma. C’era una bella differenza tra chi diceva che stava per commettere un atto di violenza e chi invece era deciso a farlo sul
serio. Chi decideva di andare fino in fondo non sentiva il bisogno di gridarlo al mondo. In realtà, l’ultima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata renderlo pubblico e mettere la pulce nell’orecchio di qualcuno. Mentre Don metteva il broncio seduto sui sedili posteriori, Lock rallentò lungo la Long Island Expressway. In qualche modo, Angel era riuscita a infilare la testa sotto il volante e ad appoggiarla di nuovo sulle gambe di Lock. Il che rendeva difficile cambiare marcia. Lock poggiò una mano sul volante e con l’altra accarezzò la testa al cane, grato di quel momento di calma relativa che gli dava il tempo di decidere le mosse successive. Avrebbe lasciato che fosse l’FBI a correre dietro a Cody Parker. Avrebbe lasciato a loro anche Don. E questo lo riportava dritto alla casella di partenza. E, delineata con cura, in quella casella c’era una donna morta. Lock fece una breve sosta ad un minimarket accanto al Casello di West Jericho e riempì una busta con cibo secco per cani, acqua in bottiglia, e due ciotole. Angel cenò all’aperto nel parcheggio gelido prima di avviarsi trotterellando verso una macchia d’erba sul retro del negozio e scegliere con cura il punto migliore per scaricarsi la vescica. Poi seguì di nuovo Lock fino alla macchina e saltò sul sedile anteriore. ‘Si tratta di una sistemazione temporanea, quindi non farti strane idee’, le disse. ‘E se avessero in qualche modo bisogno di te per curare il cancro, ti trascinerò a calci in culo per il marciapiede. Understand?’ Angel inclinò la testa. ‘E puoi smetterla con queste smancerie del cazzo.’ Don si sporse in avanti attraverso il varco tra i sedili anteriori. ‘Allora dove si va adesso?’ ‘Noi non andiamo da nessuna parte’, replicò Lock. ‘Io torno al lavoro, mentre tu vai in prigione.’
Trentuno
Quello di cui aveva davvero bisogno Federal Plaza, erano porte girevoli più grandi, pensò Lock mentre spingeva Don in una direzione e Ty veniva portato fuori da Frisk in quella opposta. ‘Facciamo uno scambio’, propose Lock, spingendo Don verso Frisk. ‘Lo stavo lasciando andare in ogni caso’, rispose Frisk con un cenno del capo in direzione di Ty. ‘Davvero? Pensavo che il danneggiamento di una proprietà federale fosse considerato un crimine maggiore.’ Con uno sguardo, Ty registrò l’immagine della mano inerte di Don. ‘Come rompere il polso a qualcuno.’ Frisk si abbassò per fare il solletico dietro le orecchie ad Angel e notò la cicatrice. ‘Che ci fa questo cane con lei?’ ‘Era già così quando l’ho trovata’, rispose Lock. Spostò di nuovo lo sguardo su Don. ‘Per la cronaca, lo stesso vale anche per lui.’ ‘Mmm.’ ‘Non penso che ti creda’, commentò Ty. ‘È per questo che mi pagano, per essere sospettoso’, spiegò Frisk. Girò la testa di scatto verso Don. ‘Di chi si tratta?’ ‘La pecora nera della famiglia Stokes.’ ‘Dev’essersi impegnato un bel po’.’ ‘È quello che ho pensato anch’io. Ma mi ha aiutato a trovare Cody Parker.’ La cosa sembrò destare l’attenzione di Frisk. ‘Dov’è?’ ‘Andato’, rispose Lock. ‘Ma l’ha visto?’
‘Per poco.’ ‘Ha visto il bambino?’ ‘Non credo che ce l’abbia lui.’ Quelle parole suscitarono una reazione in tutti e tre gli uomini. Don sembrò il più sorpreso. ‘È quello che ho cercato di dirti’, disse. Lock lo ridusse al silenzio con un’occhiata. ‘Quando vorrò la tua opinione, Donald, mi assicurerò di fartelo sapere.’ ‘Allora, come mai crede che Parker non abbia il bambino?’ chiese Frisk. ‘Non è il tipo.’ ‘Tutto qui?’ ‘Ehi, io ci ho parlato. Che è più di quanto voi siate riusciti a fare.’ ‘E poi l’ha lasciato andare.’ ‘È scappato. C’è differenza.’ Frisk appoggiò una mano sulla spalla di Don Stokes. ‘D’accordo, bene, vediamo un po’ quello che riesco a tirar fuori da questo idiota.’ ‘Magari prima vorrà fornirgli qualche cura medica per quel polso. Gli è rimasto nella portiera dell’auto quando Parker stava cercando di scappare.’
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Prima di cominciare a parlare, Ty e Lock aspettarono di essere ad un isolato di distanza. ‘Allora, dimmi la verità, che sta succedendo?’ chiese Ty.
‘Quello che ho detto a Frisk. A parte quella cosa che il polso di Don è rimasto incastrato nella portiera. Sono io che gliel’ho rotto.’ ‘Ma va’.’ ‘Il cerchio si stringe, Tyrone. Non diciamolo ad alta voce, ma non credo che siano gli animalisti ad aver preso Josh Hulme.’ ‘E chi allora?’ ‘Forse si tratta solo di un banale rapimento per riscatto.’ ‘Proprio una bella coincidenza.’ ‘Magari no. La Meditech è sui notiziari. Tutti sanno che sono abbastanza imponenti da avere una polizza ragguardevole. Il rapitore non ha ritenuto di avvicinarsi a qualcuno come Van Straten per paura di venir fatto fuori, quindi ha preso il figlio del ricercatore capo. Una settimana prima, avrebbe potuto trattarsi dell’Amministratore Delegato della Microsoft. Siamo stati solo sfortunati.’ ‘Però Richard Hulme non è coperto.’ ‘Magari non lo sapevano.’ ‘Allora dove ci porta tutto questo?’ ‘Non riesco a togliermi dalla testa la ragazza alla pari.’ ‘Perché è russa?’ ‘Qual è stato negli ultimi cinque anni uno dei crimini per profitto in maggiore crescita a livello internazionale?’ ‘Il rapimento a fini di riscatto.’ ‘E chi sono gli apripista?’ ‘Islamici, colombiani e russi.’ ‘A parte il fatto che i colombiani operano sul loro territorio, così come gli islamici...il che lascia solo i russi. L’ondata, comunque, si è spostata verso
occidente. Ti ricordi la famiglia di quel banchiere che hanno preso a Francoforte? E l’agente di borsa a Londra? Ha trasferito la metà dei fondi in contanti della sua azienda senza che nessuno ne fosse a conoscenza. Era solo una questione di tempo prima che lo fero nell’America settentrionale. E non conoscendo il territorio, vanno dietro a chiunque abbia il profilo più alto e le misure di sicurezza minori.’ ‘Ma non ci sono state richieste di riscatto né avvertimenti di alcun tipo, amico. Io non me la bevo’, disse Ty. Lock si morse il labbro inferiore. ‘No...ma spiegami il fatto che Natalya sia salita in quell’auto con Josh Hulme.’ ‘Non posso farlo.’ ‘Nemmeno io.’
Trentadue
Sembrava ata un’eternità dall’ultima volta che Lock era stato nell’appartamento di Carrie ma non potevano essere più di tre o quattro mesi. Non essendo una da regole prestabilite, Carrie l’aveva invitato a salire praticamente al primo appuntamento, sottolineando che lei, generalmente, non era quel tipo di ragazza. Nemmeno lui era quel tipo di persona, di solito, ma l’attrazione tra loro era stata immediata e intensa, più un riconoscersi che un fare conoscenza. Tornare lì, specialmente considerando tutta la merda che gli stava intorno, calmò Lock. Aveva telefonato a Carrie dalla macchina, e si erano incontrati alla pista di pattinaggio esterna del Rockefeller Center prima che lei suggerisse che nel suo appartamento sarebbero stati più al caldo. Lock non aveva ritenuto di dover obiettare. Appendendo la giacca nell’armadio dell’ingresso, lo colpì il pensiero di quanto gli fosse mancata. Il ritmo intenso del lavoro gli aveva permesso di mettere da parte quelle sensazioni. Ma la tranquillità ordinata dell’ambiente domestico del suo appartamento, i fiori freschi in un vaso sul tavolinetto da caffè, l’odore acre del lucido per mobili, l’aria calda che soffiava delicatamente dai condotti a pavimento, tutto cospirava investendolo in pieno con un’ondata di rimpianto. La sensazione di essersi fatto sfuggire un’occasione peggiorò non appena si lasciò cadere sul divano. Indirizzò lo sguardo verso le fotografie incorniciate appoggiate sulla credenza di mogano. La maggior parte gli erano familiari, a parte un’aggiunta recente. Doveva essere stata scattata durante una gita in montagna. Carrie era in piedi con le braccia attorno alla vita di un uomo, entrambi rivolti, sorridendo, verso l’obiettivo come una coppia di sposini. Lui aveva grosso modo la stessa età di Lock, con un’abbronzatura naturale che doveva essergli costata un bel po’, e dei denti sbiancati che di naturale sembravano avere ben poco. Lock lo odiò a prima vista. Carrie arrivò dal bagno, si era cambiata indossando un paio di jeans e una felpa.
Vide Lock osservare la foto. ‘È Paul’, disse. ‘È uno dei nostri produttori. Ha divorziato l’anno scorso. Ci frequentiamo da un po’.’ Sembrò ansiosa di superare l’imbarazzo di quel momento. ‘Ehi, è un paese libero’, ribatté Lock, un po’ troppo rapido per risultare convincente. ‘È un gran bravo ragazzo. Ti piacerebbe.’ ‘Non so perché ma ho i miei dubbi.’ Per dimostrargli il suo sostegno, Angel saltò sul divano, si distese accanto a Lock e cominciò a leccarsi i genitali. ‘Ecco, questo sì che è imbarazzante’, commentò lui, distogliendo lo sguardo dal cane. ‘Le ragazze devono pure avere un hobby, no?’ ‘Stiamo ancora parlando di Paul?’ Carrie rise. ‘Allora, è una cosa seria?’ ‘Dai, Ryan. E se in questo momento ti dicessi che scaricherò Paul e che possiamo fare un altro tentativo, tu cosa mi risponderesti?’ Sapeva che direzione avrebbe preso il discorso. Come nel caso di un avvocato dibattimentale, il lavoro di Carrie implicava che lei poneva raramente una domanda di cui non conoscesse la risposta. ‘Direi che ho un bambino da trovare.’ ‘E io ti amo per questo, ma così non andiamo da nessuna parte, non credi?’ Cadde il silenzio. Angel finì di leccarsi e si mosse per strofinare il naso sul viso di Lock. ‘Non è che non apprezzi il pensiero, ma non sei esattamente il mio tipo’, disse Lock al cane, scansandole gentilmente il muso con la mano. Mentre Carrie si occupava di preparare la pasta e un’insalata Lock aprì una
bottiglia di vino rosso. Aveva la capacità di far sembrare elegante anche qualcosa di banale come far bollire dell’acqua, rifletté Lock. Tutto quello che faceva era così preciso, fatto con una tale cura per i dettagli. ‘Oh, quasi dimenticavo.’ Carrie si diresse verso uno sgabello, prese la borsa e ne trasse una cartellina, che porse a Lock. ‘Tutto quello che hai sempre voluto sapere su Cody Parker, ma avevi troppa paura di chiedere.’ Carrie non aveva messo insieme solo i soliti ritagli di giornali, aveva preso anche i rapporti degli arresti, le trascrizioni dei tribunali a partire dalle prime infrazioni commesse da Cody, e il profilo e le informazioni confidenziali ottenute tramite le intercettazioni telefoniche, gentili concessioni della JTTF. ‘Come hai avuto questa roba?’ ‘Potrei dirtelo, ma poi dovrei ucciderti.’ ‘Purché mi lasci mangiare prima’, rispose Lock, accomodandosi per dare una scorsa al mucchio di informazioni. Don doveva avere ragione a proposito del ruolo svolto dalla madre di Cody nell’influenzare le sue idee poiché i suoi trascorsi criminali erano cominciati presto. Di fatto, a quattordici anni. Quasi tutti i reati, però, erano contro la proprietà. È vero che era il principale sospettato nell’esumazione e l’abbandono di Eleanor Van Straten, ma persino questo caso, si sarebbe potuto obiettare, riguardava un essere inanimato. L’unica cosa che ci si avvicinava un po’ era la minaccia di una bomba contro un’impresa edile che stava costruendo un nuovo impianto per la ricerca e le sperimentazioni sugli animali giù dalle parti dell’ex Cantiere Navale di Brooklyn. Il cliente era la Meditech. ‘Chi hai messo al lavoro su questa ricerca?’ Lock fece scivolare il foglio di carta sul piano di marmo in direzione di Carrie. ‘Sarei stata io.’ ‘Bene, non metterti ancora a liberare lo spazio per piazzare il Pulitzer sui tuoi scaffali.’ ‘Ah, e perché?’
‘Perché io conosco tutti gli impianti della Meditech. E non ho mai sentito nominare quello del Cantiere Navale.’ Carrie prese a mordicchiare una foglia di radicchio. ‘Lo ricontrollo, se vuoi.’ ‘Probabilmente si tratta di un errore di battitura. Molte di queste società hanno nomi simili.’ ‘Allora che ne dici del fatto che Cody Parker potrebbe aver preso Josh Hulme?’ Lock sollevò il fascicolo. ‘Da quanto c’è scritto qui, non direi. Sai, lui ha fatto delle allusioni a proposito del fatto che tutte le strade portano alla Meditech.’ ‘Ma certo che è così. E l’undici settembre è stato organizzato dalla CIA. E i mezzi di comunicazione controllati dagli Ebrei sono implicati in qualsiasi cosa.’ ‘Ad ogni modo, effettivamente ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere.’ Carrie si diresse al lavandino e cominciò a sciacquare il resto del radicchio sotto l’acqua fredda. ‘E sarebbe?’ ‘Hai sentito del contratto che la Meditech sta per firmare con il Pentagono?’ Carrie si strinse nelle spalle, scuotendo via l’acqua in eccesso dalla lattuga e mettendola in una ciotola sul piano della cucina. ‘E allora? Il governo pompa miliardi nelle casse delle società biotecnologiche da quando si è reso conto che il Dipartimento della Difesa non regge il ritmo. Dovresti saperlo. Sono stati stanziati quarantaquattro miliardi di dollari dal 2001. Tutte le compagnie farmaceutiche e quelle che si occupano di biotecnologie lottano una contro l’altra per mungere il governo federale.’ ‘Il bioterrorismo è una stronzata. Qualsiasi terrorista decente si dà alla tecnologia spicciola. Fertilizzanti. Taglierini, roba che sia facile da reperire’, replicò Lock, ando a Carrie un bicchiere di vino. ‘E che mi dici di quelli che sciolgono sostanze nell’acqua?’ ‘È possibile, immagino.’ Bevve un sorso di vino. ‘Faresti delle ricerche per me?’
‘Su questo contratto?’ ‘E su Richard Hulme. Non sono ancora riuscito a tirargli fuori il motivo per cui si è dimesso.’ Carrie fece una smorfia. ‘Nemmeno io.’ Lock sapeva che si trattava di un’ammissione rara. Non era qualcosa che le succedeva molto spesso. ‘Posso darti un consiglio, Ryan?’ ‘Certo.’ ‘Quando sto riportando una notizia, cerco sempre di mantenerla semplice. È facile vedere cose che non ci sono. Fare collegamenti che non esistono.’ ‘Come questo contratto con il Pentagono?’ ‘Esattamente. Pensaci per un attimo. Di tutte le cose, un contratto del genere non renderebbe meno probabile che la Meditech interrompa la sperimentazione animale, piuttosto che il contrario?’ ‘È quello che ha detto Cody Parker. Ma la Meditech ha interrotto i test.’ ‘No, loro hanno detto di averlo fatto. Sono due cose diverse.’
Trentatré
La ditta Kensington Nanny and Au Pair occupava un piccolo angolo all’ultimo piano dei cinque che costituivano un edificio senza ascensore situato ad un tiro di schioppo da Alphabet City. Ty l’aveva individuata come quella usata dalla Meditech per reperire personale che si occue dei bambini per i suoi dipendenti con alto grado di anzianità. ‘Aveva’ era la parola chiave. Le molte lamentele relative al fatto che le persone proposte fossero assolutamente incapaci di prendersi cura di un pesce rosso, figurarsi di dei bambini, avevano fatto sì che venisse scaricata come fornitore esterno. Arrivati al quarto piano, Lock e Ty dovettero fermarsi entrambi a riprendere fiato. ‘Amico, siamo dei pappamolle fuori allenamento’, osservò Ty, annaspando in cerca d’aria. ‘Ehi, io sono appena stato dimesso dall’ospedale, tu che scusa hai?’ ‘Un eccesso di bella vita.’ Continuarono fino all’ultimo piano. La porta che conduceva all’ufficio era socchiusa e dall’interno proveniva la voce di una donna impegnata a rispondere al telefono. Lock la aprì spingendola con la punta dello stivale ed entrarono. La donna sembrava aver ato la quarantina da un po’. Con il telefono in mano, scorreva una pila di fogli sistemati sulla scrivania di fronte a lei. Accanto ai fogli era appoggiata, completamente piena e del tutto intonsa, una tazza di caffè, con il latte che si andava rapprendendo a formare una condensa bianca sul bordo. Il resto dell’ufficio era un caos, fogli di carta sparsi a caso su ogni superficie immaginabile. ‘Sì, e mi dispiace molto che le cose non abbiano funzionato ma, semplicemente, non ho nessun altro disponibile al momento’, stava dicendo al telefono. Si accorse della presenza di Lock e Ty e sollevò la mano facendo loro cenno di entrare, indicando con un altro movimento del braccio due sedie dall’altro lato della scrivania.
Lock sollevò la catasta di fascicoli poggiati su una delle sedie e li spostò sopra uno schedario. ‘Ascolti, ho gente in ufficio in questo momento’, continuò la donna. ‘Se dovesse liberarsi qualcuno, lei sarà la prima della lista.’ Lock sentiva la persona all’altro capo della linea che continuava a parlare mentre la donna le chiudeva il telefono in faccia. Quando si rivolse a loro, l’accento britannico sembrò svanire, lasciando trasparire una parlata più simile a quella di Brooklyn. ‘Tanto perché lo sappiate, c’è una lista d’attesa di tre mesi prima che possa trovare qualcuno che si occupi del vostro piccolo frugoletto.’ ‘Ehm, noi non stiamo insieme’, obiettò Lock. ‘Già’, disse lei, scrutando Ty dalla testa ai piedi prima di rivolgere lo sguardo di nuovo a Lock, ‘lui è un po’ fuori dalla tua portata, tesoro.’ Ty represse una risatina mentre Lock cercava di decidere se fosse il caso di offendersi. ‘Ehi, non è che per caso voi due siete delle tate, vero?’ chiese con un sorriso tormentato. ‘Solo per gli adulti’, sorrise Ty. ‘E io sono decisamente, al cento per cento, etero.’ Solo Ty avrebbe potuto trasformare quella situazione in un’opportunità di rimorchio, pensò Lock. ‘È così che reperite i vostri collaboratori? Chiunque capiti a are per la porta?’ chiese Lock. ‘Siete dell’FBI? Perché ho già detto a uno dei vostri tutto quello che so. Merda, non siete giornalisti, vero? Perché se è così, io non rilascio alcuna dichiarazione.’ ‘Noi siamo qui a titolo personale, Signora...’ ‘Lauren Palowsky.’
‘Signora Palowsky. Il padre di Josh Hulme ci ha chiesto aiuto per rintracciarlo.’ Lock tenne deliberatamente il nome della Meditech fuori dal discorso. ‘L’FBI ha detto che non devo parlare di questa faccenda.’ ‘L’FBI è pienamente consapevole del nostro coinvolgimento’, la rassicurò Lock. ‘Allora parlate con loro.’ Il viso di Lock si contrasse mentre scompariva qualunque traccia di affabilità. ‘Sto parlando con lei. E se permette, mi sembra notevolmente composta per essere una la cui impiegata è stata brutalmente assassinata, per non parlare del bambino di cui si stava occupando, rapito e forse ucciso anche lui.’ Lauren fissò la pellicola di latte rappreso che galleggiava sulla superficie del suo caffè mattutino. ‘Sto cercando di non pensarci. Ma chiariamo una cosa: non sono io che ho assunto Natalya. Io sono un’agente, e questo è tutto.’ Il telefono squillò di nuovo, ma Lauren lasciò che scattasse la segreteria. ‘È il suo avvocato che le ha detto di rispondere così?’ ‘No. E comunque, non credete che sia preoccupata da morire per quel bambino, da quando ho sentito la notizia?’ ‘Non ne ho idea. Me lo dica lei.’ Lei abbassò lo sguardo sulla scrivania, afferrò una manciata di documenti a caso e li tenne sollevati davanti a lui. ‘Tutta questa gente è alla ricerca di qualcuno che faccia da genitore ai propri figli perché loro non ne hanno il tempo. Tutti vogliono Mary Poppins, ma sono disposti a pagare solo un salario minimo. Poi quando qualcosa va storto, all’improvviso diventa tutta colpa mia.’ ‘Sto solo cercando di capire quello che è successo’, disse Lock, abbassando il tono di voce e chinandosi in avanti. ‘Mi parli di Natalya.’ ‘Non c’è molto da dire, in realtà. Una storia uguale a quella della maggior parte delle ragazze che mi contattano in cerca di lavoro. Il suo inglese non era eccezionale, ma molto migliore di quello di tante altre. Sembrava abbastanza gradevole.’
‘Da quanto tempo era nel Paese?’ ‘Non da molto, da quanto ho potuto capire io.’ ‘Anni? Mesi? Settimane?’ ‘Mesi, probabilmente.’ ‘Ha detto nulla della sua situazione?’ ‘Lavorava in un bar, facendo avanti e indietro tutti i giorni da Brighton Beach o un posto del genere. Ha pensato che una posizione che includesse l’alloggio fosse adatta a lei, che le avrebbe dato la possibilità di risparmiare qualche soldo.’ ‘In che bar lavorava?’ ‘Ho a che fare con dozzine di richieste di lavoro ogni settimana. Sono fortunata se riesco a ricordarmi qualche nome.’ ‘E riguardo al visto? Ne aveva uno, giusto?’ Ci fu un momento di silenzio. ‘Non faccio parte dell’FBI, o dell’Immigrazione, o dell’Homeland Security. Mi rendo conto che probabilmente a volte prendete delle scorciatoie’, la imbeccò Lock. ‘I clienti firmano un contratto che stabilisce che è a loro, in qualità di datori di lavoro, che compete la responsabilità definitiva di verificare quel tipo di cose. Guardi, non mi occupo mica di traffico illegale di essere umani nel Paese.’ ‘Allora che differenza c’è tra rivolgersi a voi e mettere un’inserzione sul giornale o postare un annuncio su Craigslist?’ Ty rispose al posto di Lauren, ‘Più o meno quattromila bigliettoni ogni botta, giusto?’ ‘Sono sul punto di mandarla a quel paese’, disse lei a Ty. ‘Altrettanto a te, piccola’, replicò lui. Lauren sospirò. ‘Se queste ragazze fossero qui legalmente, la maggior parte di loro potrebbe trovare un lavoro pagato più di sette dollari e quindici l’ora, capisce cosa
intendo? Si lamentano tutti dei clandestini finché non arriva il momento di mettere mano al portafoglio.’ Lock ebbe la sensazione che quella fosse la lagna che Lauren amava tirare fuori quando veniva messa in discussione l’etica del suo lavoro. Ma non lo stava aiutando a definire il ruolo svolto da Natalya nella scomparsa di Josh Hulme. ‘Avete ricevuto delle referenze dal precedente datore di lavoro di Natalya?’ ‘Ho già dato tutto all’FBI. Hanno fatto delle copie.’ ‘Possiamo dare un’occhiata?’ Scattò di nuovo la segreteria. Lauren sospirò, e con quello che sembrò costituire uno sforzo sovrumano, si alzò da dietro la scrivania e attraversò la stanza, dirigendosi verso lo schedario. ‘Non ho voluto dare loro gli originali nell’eventualità in cui l’intera faccenda finisca in tribunale.’ Si fermò in mezzo alla stanza. ‘Ora, sono certa di aver messo tutto al sicuro da qualche parte.’ Lock immaginò che ‘al sicuro’ nell’ambito del sistema di archiviazione caotico di Lauren Palowsky, significasse da qualche parte dove probabilmente non sarebbe mai più stato trovato. Il telefono squillò per la terza volta. ‘Vi dispiace se...?’ chiese. ‘Senta, vuole che guardi io?’ ‘Le dispiacerebbe? Se non sto al o con le chiamate, finirò con l’essere ancora qui a mezzanotte.’ Lock aprì il primo cassetto dello schedario più vicino a lui e si mise al lavoro. Fece un cenno a Ty perché si mettesse a controllare una delle molte pile in precario equilibrio. Un’ora buona dopo, Lock si stava chiedendo come fe la gente a are tutta la vita in ufficio facendo esattamente quello che stava facendo lui in quel momento. Non che soffrisse di claustrofobia vera e propria, ma la sua mente e il suo corpo, per loro natura, non smettevano mai di muoversi; sempre in movimento, riposavano raramente. Anche nel sonno, i suoi sogni erano vividi e
movimentati. La ricerca ebbe un doppio risultato: diede loro accesso a tutti i documenti dell’agenzia, e diede a Lock il tempo per soppesare Lauren. Una cosa gli era stata chiara sin da subito: non era coinvolta in nessun rapimento. Il rapimento richiedeva un grado di organizzazione che andava oltre le sue capacità. Probabilmente, lei avrebbe finito col mandare la richiesta di riscatto all’indirizzo sbagliato. Mentre sollevavano ed esaminavano un foglio dopo l’altro, Ty e Lock avevano capito presto che fatture, richieste di impiego, ogni tipo di documento immaginabile, erano semplicemente messi insieme alla rinfusa, senza senso. C’erano richieste di impiego compilate da potenziali tate che risalivano a oltre dieci anni prima, e informazioni sui genitori di bambini che probabilmente, in quel momento, erano ormai al college. Ty sfilò un fascicolo pendente verde la cui etichetta riportava ‘conto telefonico’, che però, naturalmente, conteneva gli estratti conto delle carte di credito della società. Lì sotto, sul fondo del cassetto dello schedario, c’era un foglio di carta. Lo tirò fuori. Era una lettera di referenze. Stava per metterla assieme al resto, quando notò il nome. Natalya Verovsky. Ty si avvicinò alla scrivania di Lauren e glielo sventolò davanti. Lei coprì la cornetta con la mano. ‘L’FBI l’ha visto?’ chiese. ‘Di che si tratta?’ Guardò la lettera. ‘Cavolo. Deve essersi staccato dalla sua domanda di lavoro.’ Nel frattempo Lock aveva raggiunto Ty alla scrivania, e prese dalle mani di Lauren il foglio, cominciando a studiarlo. Niente carta intestata. Scritto a mano. La calligrafia era filiforme. Il nome di Natalya era scritto a lettere maiuscole ad un terzo della pagina, subito sotto erano state scarabocchiate le referenze vere e proprie. Solo poche linee. Natalya lavora per me da dodici mesi. È stata una gran buona lavoratrice. È molto brava con i clienti e sempre in orario. Vi raccomando sentitamente i suoi servizi.
Poi, sotto uno spazio di qualche centimetro, c’era la firma ‘Jerry Nash’. C’era un indirizzo, ma niente numero di telefono. Nessun riferimento a quali fossero le mansioni svolte da Natalya, per non parlare di quale fosse la relazione tra Natalya e Jerry. Capo? Collega? Amico? Ci vollero altri quaranta minuti perché Lock e Ty trovassero il modulo originale della domanda di lavoro di Natalya. Quando lo trovarono, non conteneva nulla che già non sapessero. Cosa ancor più determinante, non elencava l’ultimo posto di lavoro. O altri datori di lavoro. Quindi la referenza restava significativa, essendo l’unica pista nuova di cui Lock fosse a conoscenza in un’indagine che andava rapidamente raffreddandosi. Incredibilmente, non c’erano computer nell’ufficio, né c’era modo di verificare l’indirizzo sulla lettera di referenze, né tanto meno se esistesse davvero. Senza numero telefonico, Natalya avrebbe potuto inventarsi tutto di sana pianta. Lauren era ancora al telefono. Lock le sventolò davanti la lettera. Lei gli fece una smorfia. ‘Che altro c’è?’ Lock fece tre i, si piegò, e staccò la spina del telefono dalla presa. Le piazzò la lettera di referenze direttamente davanti alla faccia. ‘Ha almeno controllato l’indirizzo su questa?’ ‘Certo. Qui da qualche parte c’è anche una lettera che ho scritto. Non credo di aver mai avuto risposta.’ ‘Ha mai sentito la frase “non vale la carta su cui è scritto”?’ le chiese Ty. Lei lo guardò a bocca aperta. Lock aveva voglia di accartocciare quel dannato foglio di carta e farglielo mangiare. ‘Faccio del mio meglio qui’, protestò lei. Lock ripiegò la lettera, se la infilò nella tasca, e uscì dall’ufficio. Arrivato in strada, chiamò Carrie. Le ci vollero meno di novanta secondi per richiamarlo...più rapida dell’FBI. ‘Dunque, l’indirizzo è reale. Anche il lavoro lo è.’
‘Che genere di lavoro?’ ‘Il più vecchio del mondo.’
Trentaquattro
‘Ecco, questo è il genere di indagine che piace a me’, affermò Ty, studiando la facciata rosa fluorescente del Kittycat Club dall’altro lato della strada. Prima di dirigersi lì, Lock era ato da casa a cambiarsi. Vestito con dei pantaloni di velluto a coste neri, una camicia bianca, e indossando un paio di occhiali da vista con lenti non graduate, si avvicinò al club parallelamente rispetto all’entrata. C’erano due buttafuori all’ingresso, ragazzoni che contavano sull’altezza e su muscoli gonfiati dagli steroidi per svolgere il loro dovere. Per raggiungere l’ingresso bisognava superare loro. Nel corso degli anni Lock aveva avuto a che fare con un numero sufficiente di tipi come quelli, da sapere che il segreto per riuscire ad oltrearli era avere un aspetto il meno minaccioso e il più remissivo possibile. Erano portati a vedere un affronto dove non c’era. Il contatto visivo diretto era un no definitivo. Gli occhiali, sperava lui, avrebbero aiutato, e gli avrebbero anche conferito un aspetto da sfigato. Era stupefacente come gli stereotipi dei tempi della scuola divenissero parte integrante di noi una volta cresciuti. Percorse il marciapiede a o svelto e svoltò bruscamente a sinistra verso l’ingresso, mantenendo gli occhi rivolti a terra e facendo del suo meglio per apparire nervoso. L’atteggiamento nervoso, tuttavia, tendeva a non venirgli naturale, e uno degli uomini gli piazzò una mano sul petto. ‘Dove vai così di fretta, amico?’ gli chiese l’altro uomo. ‘Vediamo un po’ i documenti’, aggiunse il buttafuori con il braccio teso in avanti. L’ultima cosa che Lock voleva, era mostrargli qualcosa col suo nome scritto sopra. ‘Non ho il portafogli con me, ragazzi.’ Quella che fino a quel momento era stata una ferma pressione da parte della
mano dell’uomo, si trasformò in una spinta. ‘Niente documenti, niente ingresso.’ Lock si concesse di barcollare all’indietro prima di riguadagnare l’equilibrio. Infilò la mano nella tasca sinistra dei pantaloni, tirò fuori un fermaglio con delle banconote e ne trasse due da venti. ‘Ecco qua, ragazzi.’ Loro presero i soldi, li intascarono, e la mano si scostò dal suo petto come un ponte levatoio che venga abbassato. ‘Che ti è successo alla testa?’ chiese il buttafuori mentre si rinfilava la mano nella tasca del cappotto. ‘Mia moglie. Nel mio portafoglio ha trovato il numero di un’altra, scritto sul retro di un sottobicchiere di carta del Lizard Lounge. Mi ha colpito di taglio con il ferro da stiro. Sono stato in ospedale per una settimana’, rispose Lock. Riportò la storia con lo sguardo rivolto a terra. Questo spiegava l’assenza del portafogli, il nervosismo e, cosa ancora più importante, la cicatrice di dieci centimetri sulla sua testa. I due buttafuori ridacchiarono. Stavano pensando entrambi la stessa cosa. Che perdente. ‘Ok, dobbiamo solo darti una rapida palpatina di controllo.’ Lock sollevò entrambe le braccia all’altezza delle spalle, mentre il peso degli spicci sparsi nella tasca del suo giubbotto sportivo gli impediva di sollevarsi troppo e di dare loro una visuale ottimale sulla sua SIG. Quello era il segnale per Ty. ‘Ehi!’ Ty sembrò sbucare fuori dal nulla. Lock sorrise, mentre l’amico attraversava la strada con lunghe falcate ciondolanti da pappone. Riabbassò le braccia, mentre i due buttafuori scendevano dal marciapiede per affrontare Ty. ‘Quanto costa l’entrata?’ domandò Ty mentre Lock li oltreava, la pistola ben celata. Il bancone correva per tutta la lunghezza del muro. Dietro, la barista solitaria era una donna. In topless. Cosa che rendeva di certo più complicato ordinare un
drink. Aveva un’abbronzatura da ufficio e capelli biondastri tirati indietro, legati ben stretti, che le regalavano un lifting a basso costo. ‘Una birra, per favore’, chiese Lock. Lei notò che evitava di fissarle il seno, nonostante se lo trovasse proprio davanti, a livello degli occhi. ‘Non c’è problema se mi guardi le tette, se vuoi’, fece lei, spigliata. L’unica cosa che venne in mente a Lock in risposta all’invito fu, ‘Grazie’. A dire il vero, non era un tipo da tette. E nemmeno un tipo da gambe. A lui piacevano gli occhi. E le labbra. Già, dategli un bel paio d’occhi, di quelli che brillano. E labbra espressive. Cosa che doveva renderlo un tipo da faccia, immaginò. ‘Cioè, è per questo che ho preso questo lavoro’, continuò la donna. ‘Cioè, gli uomini ti guardano comunque le tette, quindi perché non dare un taglio a tutta la farsa? E tirare su mance migliori, oltretutto.’ ‘È da molto che lavori qui?’ chiese Lock, impegnandosi al massimo per farla sembrare una goffa battuta da rimorchio. ‘È la tua prima volta, dolcezza?’ replicò lei, stuzzicandolo. ‘La prima volta che vengo qui. Ho appena avuto un nuovo lavoro in fondo alla strada. Nella finanza, vendita telefonica di azioni.’ La donna fece scivolare la birra verso di lui. Lock tirò fuori qualche banconota e pagò, lasciandole una mancia generosa. ‘Tieni il resto.’ ‘Tanto per chiarire, con me, una mancia è solo una mancia. Se stai cercando qualcuno per farti dare un controllatina all’impianto idraulico, sono le ballerine quelle con cui devi fare il carino.’ ‘Chiaro.’ Pochi istanti dopo, Ty si accomodò all’estremità opposta del bancone. Lock prese atto della sua presenza con un cenno del capo. Una rossa mingherlina si avvicinò a Lock. Si presentò come Tiffany, e lui le offrì una coca da dieci dollari. Stava aspettando un invito a raggiungerla sul retro per un balletto privato, ma non arrivò. Tiffany, al contrario, scelse di lanciarsi nel racconto della storia della
sua vita. Lock sorrise educatamente e fece del suo meglio per ascoltare. Per ragioni note solo alle giovani donne che bazzicavano quel tipo di attività commerciali, lui sembrava emanare una sorta di aura da padre confessore non appena metteva piede in uno di quei locali. Era diventato uno scherzo ricorrente tra lui e i suoi compagni dell’esercito. Doveva essere stato l’unico soldato nella storia delle forze armate, a ridursi a dare delle pacche sulla schiena a una puttana mentre lei gli riversava addosso i suoi segreti più oscuri e profondi. Ormai sapeva la storia a memoria: un padre assente o violento, seguito da una sequela di uomini ugualmente assenti nel tentativo di ritrovarlo. Arrivati a quello che gli sembrò un buon punto per interrompere il racconto – Tiffany aveva appena perso la figlia a causa dei servizi sociali, cosa che l’aveva fatta precipitare in una spirale di abuso di ketamina – Lock si scusò e scese dallo sgabello, dirigendosi apparentemente verso il bagno degli uomini. ‘Vuoi che ti tenga il posto?’ chiese lei con un sorriso, ricordandosi cos’era che contava in posti come quello. ‘No, grazie, ma apprezzo molto l’offerta. Sei una brava ragazza.’ Lei scivolò lungo il bancone appollaiandosi sullo sgabello accanto a Ty. Oltre la porta contrassegnata dalla scritta ‘gangster’ per indicare il bagno degli uomini e ‘battone’, presumibilmente per quello delle signore, si estendeva un breve tratto di corridoio scuro che terminava con tre porte. Una portava al bagno degli uomini, l’altra a quello delle donne che, a giudicare dal vocio proveniente da dietro la porta, svolgeva elegantemente anche la funzione di spogliatoio per le ballerine. La terza, in cima a una breve rampa di scale, riportava la scritta ‘Vietato l’Accesso’. Il cartello rendeva la faccenda un gioco da ragazzi. Avanzando, Lock sfoderò la sua SIG, caricò un colpo, e poi lo armò usando la levetta sulla sinistra dell’impugnatura. Dopodiché, la rinfoderò. Era pronto a procedere. Faceva così tutte le volte che stava per attraversare una porta senza sapere per certo cosa si nascondesse dall’altra parte e c’era la possibilità che si trattasse di qualcosa di brutto. In cima alle scale si fermò, tirò fuori il suo coltello militare e sollevò una sezione di filo pitturato dalla cornice della porta. Recidendolo, se lo infilò in tasca prima di aprire la porta con una spinta.
Una lampada da tavolo solitaria creava un cerchio nell’oscurità. Si respirava un odore di sudore stantio e di fumo di sigaretta. Dietro ad una scrivania sedeva un’anziana in sovrappeso con i capelli raccolti in una crocchia. Annaspò, cercando a tentoni il pulsante antipanico. Lock sollevò il pezzetto di filo che aveva tagliato da quello che correva attorno alla cornice della porta. ‘Non funziona.’ Sulla scrivania c’era un telefono, ma la donna non fece alcun movimento in quella direzione. Sembrava notevolmente composta, come se l’irruzione di un uomo armato nel suo ufficio fosse cosa di tutti i giorni. Accendendo una sigaretta nuova dal mozzicone morente della precedente, fece una tirata profonda, scurendo il filtro con un’unica boccata, apparentemente rassegnata a qualsiasi cosa dovesse accadere. ‘Che vuoi? Sono occupata.’ Lock infilò la mano nella giacca e ne estrasse la foto di Natalya con i suoi genitori. La appoggiò sulla scrivania di fronte alla donna. Lei le diede un’occhiata, poi distolse lo sguardo. ‘Allora?’ ‘La conosci?’ Lo squadrò con aria di sospetto. ‘Chi diavolo sei?’ ‘Lei è morta. Ma prima che morisse un ragazzino di cui si occupava è stato rapito. Io sto cercando di trovarlo. E tu mi aiuterai.’ ‘Non so di cosa stai parlando.’ Così non andavano da nessuna parte. Prima o poi, qualcuno si sarebbe accorto che un cliente era andato in bagno e non era ancora tornato. Allora uno dei gorilla sarebbe andato a cercarlo. Tirò fuori la lettera di referenze, la piazzò sulla scrivania accanto alla fotografia e indicò la firma. ‘Questa è tua, non è vero? Sei tu Jerry.’ Si rese conto che, in quel momento, la donna avrebbe negato persino di essere nella stessa stanza con lui, quindi proseguì. ‘Ora, puoi decidere di rispondere alle mie domande, o posso
portare questo all’FBI.’ ‘È il mio nome, ma non sono stata io a firmarla. Il mio nome si scrive con la i, non con la y.’ Sollevò la lettera e si prese del tempo per osservarla. ‘Ha lavorato qui. Fino a, forse...’ Si interruppe, sforzandosi di ricordare. ‘Cinque mesi fa. Poi se n’è andata.’ Bussarono alla porta. Poi li raggiunse la voce di un uomo. Uno dei buttafuori. ‘Ehi, Jerri, ci servi di sotto.’ ‘Rispondigli’, ordinò Lock a bassa voce. ‘Dammi cinque minuti.’ Rimasero in ascolto mentre l’uomo discendeva le scale con i pesanti. Poi, lo sentirono aprire la porta del bagno delle signore e abbaiare qualcosa ad una delle ragazze. Jerri fece un tiro di sigaretta mentre Lock rovistava tra le pratiche sulla sua scrivania. ‘Senti un po’, se trattavo Natalya così male, perché è tornata chiedendomi di riavere il suo vecchio lavoro?’ Lock alzò lo sguardo dallo schedario. ‘Cosa?’ ‘Non lo sapevi, vero?’ disse Jerri mentre un sorrisetto le attraversava il viso. ‘Quando è stato?’ ‘Fammi pensare. Un mese, un mese e mezzo fa.’ ‘Ti ha detto perché?’ Jerri espirò producendo un anello di fumo e si strinse nelle spalle. ‘Non l’ha detto. Ma deve essere stato un uomo. È sempre così.’ ‘Ha parlato di qualcuno in particolare?’ ‘Un tipo di nome Brody, credo.’
‘Potrebbe essersi trattato di Cody?’ ‘Sì, può essere.’ ‘Cody Parker?’ ‘Ha detto soltanto Cody.’ Merda. Lock si era sbagliato. Quel tizio non era innocente, semplicemente uno che rimaneva freddo quando si trovava sotto pressione. ‘Ha detto qualcosa sui diritti degli animali?’ ‘Diritti che?’ Lock lo prese per un no. ‘L’hai mai incontrato?’ ‘Forse è venuto a prenderla un paio di volte.’ ‘Era più vecchio? Più giovane?’ ‘Di lei? Più vecchio. Senti, i nostri cinque minuti sono finiti. Gli altri torneranno qui e ci saranno dei problemi.’ Proprio in quel momento, bussarono di nuovo alla porta. Stavolta con più insistenza. ‘Jerri?’ Prima che avesse la possibilità di rispondere, la porta si spalancò e uno dei buttafuori si trovò una pistola piantata in faccia. ‘Rilassati’, disse Lock, ‘me ne stavo giusto andando.’ Il buttafuori impallidì. ‘Va bene amico. Non ho intenzione di provare a fermarti.’ Lock lo spinse da parte e si diresse giù per le scale, scendendole due alla volta. Al bancone, Tiffany era appollaiata in grembo a Ty.
‘Devo andare’, le disse Ty. Lei gli getto le braccia al collo. ‘Mi chiamerai?’ ‘Sicuro.’ Ty si accodò a Lock. Dietro di loro, il buttafuori urlava, parlando al cellulare, mentre si affrettava giù per le scale. ‘Sì, ha una pistola. Ho bisogno di qualcuno qui, subito!’ Nell’ufficio, Jerri si accese un’altra sigaretta e si infilò il telefono nell’incavo della spalla. ‘Non lo so’, disse, emettendo un anello di fumo perfetto e guardandolo dissolversi davanti al suo viso. ‘Ma se fossi in te, comincerei a chiudere in fretta questa faccenda.’
Trentacinque
‘Quindi ce l’avevamo, e l’abbiamo lasciato andare’, disse Ty, percorrendo a grandi i il soggiorno di Lock fino alla finestra e mimando un pugno in direzione del suo riflesso. ‘Se hanno fatto del male a quel bambino...’ Lock sedeva sul divano, con la testa tra le mani e i polpastrelli delle dita della mano destra che stuzzicavano la cicatrice. ‘Potrebbe non essere Cody, lo sai.’ ‘Ah, andiamo Ryan. Conosceva Natalya, poi lei magicamente compare come tata di Josh.’ ‘Ragazza alla pari’, lo corresse Lock. ‘Quello che è.’ ‘Immagino che dovremmo chiamare Frisk. Mettere la cosa di nuovo in mano ai Federali. Magari la gente non ha voluto fornire informazioni su Parker quando era per tutti il Che Guevara delle palle di pelo, ma questa cosa potrebbe modificare la sua immagine.’ Lock prese il cellulare dalla custodia che teneva attaccata alla cintura. Gli vibrò in mano. Il prefisso era quello di Federal Plaza. ‘Parli del diavolo.’ Lo aprì per rispondere. ‘A che dannato gioco stai giocando?’ La voce era indubbiamente quella di Frisk. ‘Proprio l’uomo con cui volevo parlare.’ ‘Che il diavolo ti porti, Lock.’ ‘Sappiamo chi ha Josh Hulme.’ ‘Ottimo. Sapete anche chi ha suo padre?’ ‘Cosa?’
Guardando l’espressione di Lock, Ty si accorse che c’era qualcosa che non andava. ‘Che succede?’ Lock lo zittì con un cenno. ‘Richard Hulme è con i vostri, non è così?’ ‘Era così fino a circa un’ora fa.’ ‘Che è successo?’ ‘Ha lasciato il suo appartamento e ora non riusciamo a trovarlo.’
Trentasei
Stafford Van Straten trasse dei documenti da una valigetta di pelle da ottocento dollari e li appoggiò sul sedile posteriore dell’Hummer. ‘Ho ato quasi tutta la giornata a trattare con la nostra compagnia assicurativa’, spiegò. Richard abbassò lo sguardo sui documenti, un’espressione vacua sul viso. ‘Poiché c’è solo una piccola finestra temporale tra quando hai lasciato l’impiego e la tua decisione di tornare nell’azienda, sono riuscito a convincerli a non invalidare la polizza che ti copre in merito al rapimento ai fini di riscatto. In altre parole, sarai ancora coperto.’ Stafford sorrise tra sé. Sarebbe stato un ottimo venditore porta a porta. ‘In questa situazione, non è stata una trattativa semplice. Metteranno un limite di due milioni di dollari al riscatto. Di solito, arrivano a cinque. Ma credo che siamo stati fortunati già solo a portarli ad estendere la copertura, non sei d’accordo?’ Richard continuò a rimanere in silenzio. ‘Nel caso in cui il riscatto pagato superi i due milioni di dollari, la Meditech ha accettato di coprire la differenza fino al tetto solito di cinque milioni. In ogni caso, possiamo scaricarlo dalle tasse.’ Finalmente, Richard sollevò lo sguardo verso di lui. ‘È la vita di mio figlio quella che stai mettendo su un grafico.’ Stafford si allentò la cravatta e si slacciò il primo bottone della camicia. ‘Mi dispiace Richard. Non intendevo suonare così asettico. Non sono la persona migliore quando si tratta di avere a che fare con le emozioni. Tendo a sopprimerle, lo sai. Per me è più semplice cercare di aggiustare le cose piuttosto che preoccuparmi del motivo per cui si sono guastate inizialmente. Capisco che faresti qualsiasi cosa per riaverlo indietro.’ Con i polpastrelli della mano destra fece scivolare un contratto attraverso il sedile.
Richard abbassò gli occhi sulla pila di fogli di carta pesante stampati a laser. ‘Di che si tratta?’ ‘Dunque, perché questo funzioni, dovrai rimanere impiegato presso di noi per almeno i prossimi dodici mesi. In caso contrario, la compagnia assicurativa annullerà di nuovo la polizza. Insieme alla copertura per gli altri impiegati. Cosa che, a sua volta, renderà quasi impossibile per noi essere assicurati con chiunque altro. E questo comporterà notevoli difficoltà, specialmente per le nostre operazioni oltreoceano. Notevoli difficoltà anche per te, in quanto riponderai personalmente di qualsiasi riscatto. E immagino che se avessi qualche milione in avanzo nascosto da qualche parte non saremmo qui adesso. Capisci cosa ti sto dicendo, Richard, non è vero?’ Richard esitò, poi prese in mano il contratto. Cominciò a scorrerlo, cercando i punti dove doveva firmare. ‘È tutta roba piuttosto standard’, disse Stafford rapidamente, porgendogli una Mont Blanc. ‘Tutte le solite diffide, in special modo in riferimento alla riservatezza commerciale del tuo lavoro.’ Richard smise di sfogliare. ‘Non ricomincerò ad usare gli animali.’ ‘E nemmeno noi. Hai la nostra parola in merito.’ Richard sfogliò fino all’ultima pagina e firmò. Stafford gli porse la copia. Firmò anche quella. ‘Tu parli di riscatto’, disse Richard, ‘ma non c’è stata ancora alcuna richiesta.’ ‘Non è del tutto vero.’ ‘Che vuoi dire?’ ‘Prima dovevamo risolvere altre questioni. Prima di dirtelo.’ Per un momento, Stafford pensò che Richard l’avrebbe pugnalato alla gola con la penna. ‘I rapitori si sono messi in contatto con voi?’ ‘Ovviamente erano confusi in merito alla tua posizione rispetto alla compagnia. Non hai pensato che fosse strano quando non hai ricevuto alcuna richiesta?’ ‘Perché non me l’avete detto?’ Richard sembrava incredulo.
‘Se l’avessimo fatto, tu l’avresti detto all’FBI, e dove ci avrebbe portato tutto questo? Ascolta, Richard, sei una bomba ad orologeria per l’azienda. Anche prima di questa faccenda. Tutte le tue obiezioni riguardo alla sperimentazione animale non sono piaciute alla dirigenza.’ ‘È un modo sbagliato di fare scienza. La struttura genetica di un primate non è abbastanza simile per utilizzarlo in un esperimento di questo tipo. Va bene se volete trovare qualcosa per curare, diciamo, il diabete, ma in questo caso non c’è margine di errore.’ Stafford lo interruppe. Era il momento di are alle maniere forti. ‘Beh, mentre tu eri occupato a mettere la tua anima a nudo sulla tv nazionale, io ero sommerso dal lavoro per cercare di tirare fuori la società da questo dannato casino. Le persone che hanno tuo figlio hanno chiarito che non vogliono che arrivi notizia della loro richiesta di riscatto all’FBI. E nemmeno noi. Quanti figli dei nostri impiegati verrebbero rapiti, se la cosa divenisse di dominio pubblico? Milioni di dollari coinvolti. Qualsiasi fottuto perdente del Paese cercherebbe di ripetere il trucco. Ogni figlio, i cui genitori lavorino in una grossa compagnia, diventerebbe un bersaglio. È questo che vuoi?’ ‘Certo che no. Non lo augurerei al mio peggior nemico.’ ‘Bene. Allora non dirlo a nessuno. Specialmente, non all’FBI. Se lo scoprono, bloccheranno tutto, e tuo figlio probabilmente morirà.’ ‘Come facciamo ad essere certi che sia ancora vivo?’ ‘Una prova?’ Richard annuì. Stafford si chinò di nuovo verso la sua elegante valigetta di pelle e ne trasse una busta di plastica trasparente richiudibile. All’interno, c’erano quattro ciocche di capelli castani. ‘Li abbiamo fatti analizzare dai nostri laboratori. Sono indiscutibilmente di Josh. E ci hanno mandato questo.’ Conscio del fatto che una Polaroid eliminava il sospetto che l’immagine fosse stata ritoccata, Stafford prese uno scatto contornato di bianco e lo ò a Richard. Mostrava Josh in piedi, le palpebre contratte per reazione al flash, i capelli tagliati irregolarmente e tinti, che reggeva una copia di due giorni prima del New York Post.
‘Oddio. Mio figlio. Cosa gli hanno fatto?’ chiese Richard, crollando, alla fine.
Trentasette
Era quasi mezzanotte e le luci erano ancora accese all’interno della rosticceria coreana. La dura realtà commerciale spiegava il cartello ‘Affittasi’. ‘Ci vorrà solo un minuto’, disse Lock, spingendo la porta per entrare. ‘Potevi limitarti a mandare un biglietto’, obiettò Ty. Lungo il tragitto verso il quartier generale erano stati informati da Carrie che l’anziano coreano non ce l’aveva fatta, il suo cuore aveva smesso di funzionare. Sua figlia era dietro al bancone. Quando Lock entrò, si irrigidì. Ancora di più quando Ty lo seguì all’interno. Lock sospirò: alcune cose in città non cambiavano mai. Si tolse il cappellino da baseball e lo tenne appoggiato al petto. ‘Mi dispiace per tuo padre.’ Lei distolse lo sguardo, mentre il dolore la coglieva ancora una volta impreparata. Le lacrime cominciarono a sgorgare. Ty tenne lo sguardo fisso a terra. ‘Siamo venuti solo per questo, in realtà.’ ‘Grazie.’ Poi, si avviarono di nuovo verso la porta. ‘Un momento’, li richiamò lei, spostandosi da dietro al bancone. ‘Mio padre pensava che lei fosse un eroe. Sa, eravamo già stati rapinati in ato. E nessuno aveva fatto nulla. Sono solo rimasti lì a guardare.’ ‘La polizia non ha detto nulla degli uomini che erano qui?’ ‘Ci hanno fatto delle domande sulle persone che protestavano in fondo alla strada.’
‘Logico.’ ‘Perché?’ chiese lei. ‘Non importa. Quando gli assassini sono entrati, cos’hanno detto?’ ‘Non hanno detto nulla.’ ‘Proprio niente? Nemmeno “a terra” o “non muovetevi”?’ ‘Hanno dato un biglietto ad ognuno di noi.’ ‘Che vuoi dire?’ ‘Istruzioni su un pezzo di carta. Quello che hanno dato a mio padre era scritto in coreano.’ Improvvisamente, Lock tornò del tutto vigile e all’erta. Ty, che aveva preso in mano un giornale per ammazzare il tempo, lo rimise sull’espositore. ‘E cosa diceva?’ ‘Solo quello che dovevamo fare.’ ‘E i biglietti erano proprio scritti in coreano?’ ‘E in inglese. Sì.’ ‘L’hai detto alla polizia?’ ‘Certo.’ ‘E che hanno detto loro?’ ‘Niente. Perché?’ ‘Hai dato loro i biglietti?’ ‘Gli uomini non li hanno lasciati qui.’ Lock guardò Ty mentre entrambi venivano attraversati dallo stesso pensiero. Le
ripeterono di nuovo quanto fossero spiacenti per la morte di suo padre, e se ne andarono. Un poliziotto civile non avrebbe colto il collegamento. Per lui, o lei, sarebbe stato solo un trucco semplice, magari un modo per assicurarsi che la vittima non cogliesse un accento particolare. Ma per Lock e Ty le istruzioni per iscritto indicavano qualcos’altro. Qualcosa di importante. In Iraq, quando le pattuglie militari conducevano dei raid nelle case e non avevano accesso ad un interprete locale, usavano dei biglietti scritti nei dialetti del posto. Contavano sul fatto che la popolazione irachena fosse una popolazione istruita, ma che sebbene il livello di alfabetizzazione fosse alto, non era certo che sapessero parlare inglese. Sapevano anche che una mancanza di comprensione delle istruzioni comportava fraintendimenti, e che i fraintendimenti portavano alla morte. Quindi, furono introdotti i biglietti. Lock si sentì pervadere da un’ondata di adrenalina. Chiunque avesse preso il controllo del negozio era un militare, o un ex militare. Percorrendo rapidi il marciapiede, raggiunsero l’ingresso del palazzo della Meditech in meno di un minuto. Parlarono solo dopo aver raggiunto l’ascensore. ‘Cody Parker ha svolto il servizio militare?’ ‘Non credo.’ ‘Don Stokes?’ ‘Mi vuoi prendere per il culo? Con quell’atteggiamento da bambino sarebbe durato più o meno due secondi.’ Quando furono ammessi alla sala operativa improvvisata, trovarono Brand seduto dietro ad una scrivania. Sopra la testa di Brand, un enorme ingrandimento di Josh Hulme delle dimensioni di un poster li guardava dall’alto. Brand scostò all’indietro la sedia e si mise le mani dietro la testa. ‘Ecco di ritorno i viaggiatori erranti.’ Lock si chinò sulla scrivania fino a portare la faccia a pochi centimetri da quella di Brand.
‘Dov’è Hulme?’ ‘Al sicuro.’ Lock fece un o all’indietro, sollevò uno stivale e lo usò per spingere la sedia di Brand contro il muro. ‘Ho chiesto dov’è, non come sta.’ ‘Ho capito quello che hai chiesto, Lock. Ma mentre tu setacciavi i locali di spogliarello di mezza città alla ricerca di una baldracca ancora fresca, la situazione è andata avanti. Si trova alla Baia, se proprio vuoi saperlo.’ ‘Brand, smettila con le stronzate. Che sta succedendo?’ ‘Rilassati, ci stiamo occupando noi di tutto.’ ‘Sono io il responsabile qui, e tu lo sai. Quando succede qualcosa, devo esserne informato.’ ‘Correzione. Tu eri il responsabile.’ Brand si alzò e sollevò dalla scrivania due buste bianche con l’intestazione della compagnia. Una era indirizzata a Lock, l’altra a Ty. Gliele ò. Lock aprì la sua con uno strappo. L’unica riga in grassetto maiuscolo sotto l’intestazione non lasciava spazio ad interpretazioni: PREAVVISO DI LICENZIAMENTO.
Trentotto
Stafford era in piedi sul patio della proprietà di famiglia alla Baia di Shinnecock, telefono in mano. Un orgasmo in termini di proprietà immobiliare da tremila metri quadri, con niente a dividerli dall’Europa a parte l’Atlantico. Denaro nuovo che si affacciava sul vecchio mondo. Terminò la telefonata e si voltò verso i due uomini in piedi alle sue spalle. Uno era suo padre, l’altro Richard Hulme. ‘L’accordo è concluso’, disse. Le spalle di Richard si rilassarono verso il basso, mentre la gravità sembrava tornare anche per lui alla normalità. ‘Dimmi che sta bene. Dimmi che mio figlio è al sicuro.’ ‘Sta bene, Richard.’ ‘Allora quando possiamo...’ ‘Se va tutto liscio, sarà tutto finito in meno di ventiquattro ore.’ Richard annuì tra sé, volendo crederci con tutte le sue forze, proprio come Stafford immaginava sarebbe successo. Nicholas Van Straten percorse il patio fino all’estremità, continuando a tenere le braccia conserte. ‘Quanto?’ ‘Tre milioni.’ Nicholas strinse gli occhi mentre fissava lo sguardo sull’oceano, oltre la piscina sotto di loro. ‘Un piccolo prezzo da pagare.’ ‘In special modo, se c’è qualcun altro che paga la maggior parte del conto’, aggiunse Stafford. ‘Richard, mi concederebbe un momento da solo con mio figlio?’ ‘Certo.’ Nicholas aspettò che Richard si allontanasse.
‘Ben fatto, Stafford.’ Era la prima lode incondizionata che Stafford ricordava di aver mai ricevuto da suo padre. Anche da bambino, ogni complimento era sempre stemperato dalla precisazione immediata che, anche se aveva agito bene, beh, era il minimo che ci si potesse aspettare visti i vantaggi che derivavano dalla sua nascita. Voleva assaporarla. Ma tutto ciò che sentì fu risentimento. ‘Grazie, signore.’ ‘Forse avrei dovuto coinvolgerti prima.’ ‘Forse avresti dovuto.’ E poi eccola, l’onnipresente riserva: ‘Speriamo solo che alla consegna vada tutto liscio, d’accordo?’
Trentanove
La stanza piombò nell’oscurità. Josh, procedendo a carponi, brancolò fino alla televisione e premette il pulsante di accensione, ma non accadde nulla. La paura che aveva messo da parte negli ultimi giorni tornò sotto forma di battito impazzito e secchezza alla bocca. L’assenza di luce era assoluta. La stanza era così scura che percepiva la sensazione della mano appoggiata sul viso, ma non riusciva a vederla. Gridò in cerca d’aiuto, ma non venne nessuno. Poi, forse un minuto, forse cinque minuti dopo, sentì la porta che si apriva. Fuori dalla stanza regnava la stessa oscurità. Poi, una violenta luce accecante si accese, diretta contro il suo viso. Lui strizzò gli occhi a quella sollecitazione, mentre ombre scure contornate di giallo si muovevano confusamente davanti a lui. Aveva la sensazione che ci fosse qualcuno dietro la luce. Poi, una borsa fu gettata nella stanza e atterrò ai suoi piedi. ‘Buon Natale’, disse una voce maschile. Josh fissò la borsa. ‘Avanti Josh. Aprila.’ Lui si abbassò e tirò giù la cerniera. Gli tremavano le mani. Non fare il bambino, si ammonì. Dentro c’erano un paio di scarpe da ginnastica. ‘Indossale.’ Si sedette sul pavimento e se le infilò frettolosamente ai piedi, trafficando con le chiusure di velcro. ‘Ok, ora girati con il viso dall’altra parte.’ Fece come gli era stato ordinato. ‘Adesso ti metterò un cappello. Un cappello grande, in modo che tu non riesca a vedere nulla. Ma non ho intenzione di farti del male. Hai capito?’
‘Sì’, rispose Josh. La voce suonò innaturale alle sue stesse orecchie. Poi si ricordò che erano giorni che non parlava. Si voltò, e l’uomo gli tirò il cappello sul viso. ‘Bene, prometti di non sbirciare?’ ‘Lo prometto.’ ‘Bravo, perché se lo fai, non tornerai mai più a casa. Mi hai capito?’ ‘Sì.’ ‘Ok, ti terrò per mano e ti indicherò dove andare.’ Mentre l’uomo lo guidava fuori dalla stanza, Josh percepì la sua pelle ruvida sotto la mano. L’aria era più fredda, e lui sentiva l’eco dei i dell’uomo mentre gli camminava a fianco. Si udì un click, come di una porta che si apriva. L’uomo spinse Josh in avanti e poi ci fu un altro click. Lui immaginò che fosse la porta che si richiudeva. Allora l’uomo lo prese di nuovo per mano e continuarono ad avanzare. Josh faticò un po’ a tenere il ritmo, facendo qualche o di corsa ogni tanto per mantenersi alla pari. L’ultima cosa che voleva era far arrabbiare l’uomo. Si udì un ronzio e il click di un’altra porta che si apriva, poi furono investiti da una ventata gelida di aria fredda. ‘Attento a dove metti i piedi’, disse l’uomo, quasi sollevando Josh da terra. ‘Da questa parte.’ Si sentì il rumore di una portiera pesante che si apriva, poi fu infilato all’interno, scaricato rapidamente sul sedile posteriore. ‘Ecco, siediti.’ Sentì una pressione sul petto quando l’uomo lo spinse all’indietro. Il sedile era morbido, freddo e liscio contro la pelle nuda delle mani. Udì il suono secco di una cintura che veniva allacciata. ‘Tieni il cappello in testa. Io ti guardo.’
Dopo qualche istante il motore venne avviato. Josh si sistemò le mani in grembo. Sentiva la lana del cappello prudergli sulla pelle, ma resistette all’impulso di grattarsi. Per distrarsi si affondò le unghie, cresciute da quando era stato preso, nei palmi delle mani. La macchina aveva lo stesso odore di quella in cui lui e Natalya erano entrati dopo la festa. Sembravano ati secoli. Gli tornarono in mente cose a cui aveva cercato di non pensare. Il panico che aveva provato durante la corsa in macchina. L’odore del fiume. Lo scoppio della pistola che gli aveva fatto irrigidire la schiena. Intrecciò le mani con più forza, le unghie che penetravano più a fondo nella carne, il dolore che spazzava via tutto il resto. Sul sedile anteriore, l’autista fece la prima di tre telefonate. La prima lo preoccupava più delle altre, perché non aveva idea se la persona con cui doveva parlare gli avrebbe risposto. Fu sollevato di sentire la voce all’altro capo della linea. Aveva trascorso delle ore a prendere familiarità con quella voce, ascoltando ancora e ancora le minacce espresse dall’uomo cui la voce apparteneva. ‘Sì?’ ‘So cosa è successo a Stokes, e perché.’ ‘Chi parla? Come ha avuto questo numero?’ ‘Se vuole scoprirlo, dovrà incontrarmi fra un ora’, disse l’autista. Poi gli fornì l’indirizzo e chiuse la chiamata. La natura umana avrebbe fatto il resto.
Quaranta
Ty e Lock si infilarono in un separé. Di fronte a loro, Tiffany, mescolando con un cucchiaino, stava cercando di fare un buco sul fondo della tazza di caffè. Ty fece scivolare una foto di Cody Parker verso di lei. Tiffany la osservò per meno di un secondo newyorkese e poi scosse la testa. Lock si sporse attraverso il tavolo avvicinandosi a lei. ‘Ma si tratta di lui, è lui Cody Parker.’ ‘Non assomigliava per niente a questo qua.’ Con la mano, Lock nascose la sommità del capo di Cody, ragionando che per quanto ne sapeva lui, i lunghi ricci fluenti che sfoggiava potevano essere un travestimento, fatti crescere in un secondo momento. ‘Guarda di nuovo.’ Lei continuò a mescolare il suo caffè. Lock allungò la mano attraverso il tavolo e le tolse il cucchiaino dalla mano. Tiffany fece per riprenderselo, ma lui lo tenne fuori portata. ‘Ho detto guarda di nuovo.’ ‘Non ne ho bisogno. Questo qui non gli assomiglia affatto.’ Lock le restituì il cucchiaino e lei riprese a mescolare. ‘Ok, allora a chi assomigliava il Cody Parker con cui si vedeva Natalya? E se rispondi “non a quello della foto” prendo quel cucchiaio e te lo caccio su per il culo.’ Tiffany lanciò un’occhiata a Ty. ‘Il tuo amico è proprio violento.’ ‘Lo so’, rispose Ty. ‘Ed è una delle sue qualità migliori.’ ‘Cominciamo con l’altezza’, disse Lock.
‘Come lui’, rispose lei, indicando un tozzo aiuto cameriere ispanico che stava sparecchiando un tavolo vicino al loro. ‘Sul metro e settanta?’ ‘Se è l’altezza di quel ragazzo, allora sì.’ ‘Bianco? Nero? Ispanico?’ ‘Bianco, ma aveva la pelle tutta rovinata. Tipo...come se da giovane avesse sofferto molto di acne.’ ‘Come aveva i capelli?’ ‘Castani con qualche filo di bianco. Tagliati corti.’ ‘Come i miei?’ Lei appoggiò il cucchiaino sul tavolo, mentre una microscopica goccia di caffè scivolava nella parte concava. Sollevò lo sguardo su Lock come se si fosse accorta di lui solo in quel momento. ‘Già. Tipo.’ ‘Età?’ ‘Quaranta. Forse cinquanta.’ ‘Ma ha detto che si chiamava Cody?’ Osservò Lock come un’insegnante particolarmente impaziente avrebbe guardato uno studente ottuso e ribelle. ‘Già.’ ‘Resta con lei per cinque minuti’, chiese Lock a Ty. ‘Assicurati che non vada da nessuna parte.’ ‘Perché? Dove stai andando?’ ‘A prendere altre foto.’
Quarantuno
L’auto sobbalzò mentre percorreva il terreno irregolare del lotto abbandonato. L’autista parcheggiò, spense il motore, scese e si allontanò attraversando la strada. Poi, fece altre due telefonate. La prima al quartier generale della Meditech. La seconda, dieci minuti buoni più tardi, all’FBI. Dopo aver concluso l’ultima chiamata, spense il cellulare. Attraversò di nuovo la strada fino a raggiungere un edificio abbandonato accanto al lotto libero. Sul retro del palazzo c’era una porta, sbarrata con delle assi di legno. Entrò all’interno e si fece strada tra la spazzatura che infestava il corridoio fino a raggiungere una rampa di scale. Cominciò a salire, diretto verso il suo punto d’osservazione. Da lì, sarebbe riuscito a vedere il lotto con al centro la macchina parcheggiata. Quindici minuti più tardi, due massicci GMC Yukon frenarono, stridendo, accanto al lotto libero. Rimasero lì, i motori al minimo, come se non fossero certi di quale dovesse essere la mossa successiva. Brand sedeva sul sedile anteriore del eggero del veicolo di testa, i polpastrelli della mano destra che seguivano i segni dei piccoli crateri sul suo viso. Hizzard era al posto di guida. Brand l’aveva scelto espressamente quando avevano ricevuto la chiamata una decina di minuti prima. Richard Hulme sedeva sul sedile posteriore. Quando si fermarono, balzò in avanti aggrappandosi con le mani al sedile di Brand. ‘Che stiamo aspettando?’ ‘Non è così facile. Prima verifichiamo che sia lì. Poi effettuiamo il trasferimento. Quando è stato convalidato, lo tiriamo fuori.’ ‘Perché non lo prendete e basta?’ ‘Le ho già spiegato perché. Questa gente non scherza.’ ‘Lasci che vada a vedere’, chiese Richard.
‘Se la vede, potrebbe agitarsi. Quando sarà tutto finito, potrà andare a prenderlo, promesso.’ ‘E se non è nemmeno nella macchina? Che facciamo se è solo uno scherzo perverso?’ Brand si voltò per guardarlo dritto in faccia. ‘Hizzard, vai tu.’ Hizzard aprì la portiera, uscì dall’auto e si avviò a o svelto verso la macchina parcheggiata. Quando arrivò ad una distanza di tre metri, rallentò e si inginocchiò a terra guardando a lungo e accuratamente sotto la macchina. Poi annullò la distanza che lo separava dalla portiera posteriore più vicina. Afferrò la maniglia, fece un respiro profondo e la aprì. All’interno c’era un ragazzino. Sedeva quasi tranquillo, con le gambe che penzolavano dal bordo del sedile e un cappello tirato davanti al viso. ‘Ciao?’ disse il bambino, con voce rauca ed esitante. ‘Josh?’ ‘Sì.’ La voce era un sussurro. ‘Sono venuto per portarti da tuo padre. Ma ho bisogno che tu abbia ancora un po’ di pazienza. Puoi farlo per me?’ ‘Credo di sì.’ ‘Bene. Ti stai comportando in modo molto coraggioso. Adesso allungherò la mano e ti toglierò il cappello in modo che tu possa vedere.’ ‘Va bene.’ Hizzard allungò la mano e gli sfilò il cappello. Josh lo fissò, a malapena riconoscibile dalle fotografie che aveva visto. Gli avevano tagliato i capelli e li avevano tinti, ma si trattava certamente di lui. ‘Ora devo allontanarmi per qualche minuto. Ma torno subito. Devi fare una cosa per me, d’accordo? Devi restare qui finché non torno a prenderti. Qualunque cosa accada, non uscire da quest’auto.’
Richiuse la portiera lasciando Josh da solo. Fece il tragitto inverso quasi correndo e rimontò sullo Yukon di testa. Richard gli si aggrappò non appena si sedette. ‘È lui? Sta bene? Gli hanno fatto del male?’ La sua voce cominciava a spezzarsi, le domande che si accavallavano l’una sull’altra. ‘Sì, è lui. Sta bene, Dr. Hulme.’ Brand premette il pulsante di selezione rapida sul suo telefono. Ci fu un secondo di pausa prima che la referente loro assegnata presso la compagnia assicurativa rispondesse. ‘È Brand che parla. Abbiamo un’identificazione positiva.’ ‘Avvierò il trasferimento immediatamente, signor Brand’, replicò la donna dall’altro capo della linea. Brand terminò la chiamata. ‘E adesso che succede?’ chiese Richard. ‘La compagnia assicurativa effettua il trasferimento. Una volta che verificano che sia stato completato, mi contatteranno e potremo andare a prenderlo.’ ‘E se non mantengono la loro parte del patto?’ ‘Lo faranno’, disse Brand. ‘Se non lo fanno li scoverò, ovunque siano, uno per uno fino all’ultimo. Loro lo sanno.’ Lanciò a Richard un sorriso rassicurante. ‘È tutto finito. Tra pochissimo andremo a prendere il suo ragazzo.’ Dal suo punto d’osservazione privilegiato tre piani più in alto, l’autista osservò un malridotto pick-up Ford del ’96 procedere parallelo rispetto al lotto e parcheggiare. L’autista riaccese il cellulare e fece un’altra chiamata. Pronunciò tre parole: ‘Ce l’abbiamo.’ Poi riagganciò. Giù in basso, vide tutte e quattro le portiere di entrambi gli Yukon spalancarsi e gli uomini correre verso l’auto. Il primo uomo a raggiungerla spalancò la portiera posteriore con tale forza, da farla piegare all’indietro sui cardini. Poi la sua testa e il torso scomparvero all’interno. Riemerse insieme ad una piccola
figura accartocciata e corse di nuovo in direzione degli Yukon. Un uomo in giacca sportiva e pantaloni kaki, che immaginò essere Richard Hulme, strappò il bambino dalla presa dell’uomo. Gli altri uomini lo spinsero, con il bambino in braccio, di nuovo verso i veicoli. Dall’altra parte della strada, Cody Parker accostò giusto in tempo, assicurandosi un posto in prima fila per assistere al trasferimento. ‘Figlio di puttana.’ Riavviò la trasmissione del camioncino proprio quando il primo veicolo dell’FBI si fermava trionfalmente davanti a lui, con il muso di traverso davanti a quello del suo pick-up. Guardò nello specchietto retrovisore, pronto a fare marcia indietro, quando un’altra vettura si schiantò contro di lui da dietro. Dalla sua postazione sopraelevata, l’autista attese che le portiere di entrambi gli Yukon si chiudessero, poi fece l’ultima chiamata. All’interno della berlina parcheggiata il cellulare nascosto sotto il sedile fece a malapena in tempo ad emettere uno squillo. L’auto esplose, facendo innalzare una voluta di fuoco verso il cielo. I finestrini si frantumarono, frammenti di vetro volarono in ogni direzione. L’onda d’urto staccò dall’auto i pannelli del corpo principale che cominciarono a vorticare mentre uno di essi si schiantava contro lo Yukon più vicino. Un attimo più tardi, una seconda deflagrazione provocò un'altra scarica di fiamme dal retro del veicolo mentre il serbatoio del carburante prendeva fuoco. Nel sedile posteriore del primo Yukon, Richard osservava il guscio della berlina privata dei finestrini bruciare, mentre Josh seppelliva la testa nel petto di suo padre. Singhiozzando per il sollievo, si chinò a baciare la testa di suo figlio andogli freneticamente le dita tra i capelli. Dall’altra parte della strada, vide un uomo ben piantato con i capelli unti raccolti in una coda che veniva trascinato fuori da un pick-up da quattro uomini con indosso delle giacche a vento blu marcate con le lettere JTTF. L’uomo stava pronunciando un fiume di oscenità mentre gli torcevano le braccia dietro la schiena e lo sollevavano in piedi. ‘Andiamocene da qui’, disse Brand.
Hizzard non ebbe bisogno di alcun incoraggiamento per dare gas e allontanarsi accelerando dalla carcassa in fiamme dell’auto. Sul sedile posteriore, Richard si teneva suo figlio stretto al petto. ‘Va tutto bene, Josh. Sei al sicuro adesso. Con me sei al sicuro.’
Quarantadue
‘Nella nuova svolta nel caso del rapimento di Josh Hulme, il sedicente liberatore di animali Cody Parker, noto alla polizia anche come Lupo Solitario, sarà chiamato in giudizio lunedì con l’accusa federale di rapimento per la presunta sottrazione di Josh Hulme, di sette anni.’ Carrie si interruppe, tirando indietro alcuni capelli che erano riusciti a liberarsi, finendole davanti all’occhio sinistro. ‘Scusa, Bob, fammelo provare di nuovo’, disse al suo cameraman, raddrizzandosi e impostando il viso in un’espressione preoccupata. ‘Nella drammatica svolta nel caso del rapimento di Josh Hulme, il trentasettenne attivista per i diritti degli animali Cody Parker, noto alle autorità anche come Lupo Solitario, è atteso in giudizio lunedì con l’accusa di rapimento federale. Parker viene anche indagato per l’esumazione del corpo delle settantaduenne Eleanor Van Straten. Lui, comunque, continua a negare ogni coinvolgimento nel rapimento Hulme.’ Mantenne la sua espressione contando fino a tre. ‘Questa com’era?’ ‘Ottima, se è quello che è accaduto davvero’, disse Lock costeggiando la fontana all’esterno di Federal Plaza. Non si parlavano dalla cena nel suo appartamento. Per Lock si era trattata di una notte trascorsa con Paul, la nuova fiamma di Carrie, che gongolava di fronte a lui dalla credenza. Anche Angel, il cane che aveva adottato, l’aveva lasciato da solo, preferendogli i più sontuosi confini della camera da letto di Carrie, dove si era accucciata tra i cuscini e da cui si era fermamente rifiutata di spostarsi. Da allora, Carrie era stata occupata a cercare di tenere il o, man mano che la storia di Josh Hulme si sbrogliava a velocità supersonica, mentre anche Lock era impegnato con altre ricerche. Avevano provato a chiamarsi qualche volta, ma scattava sempre la segreteria telefonica e Lock non aveva alcuna intenzione di confidare quello che aveva scoperto ad una segreteria. Mentre il cameraman smontava l’attrezzatura, Carrie raggiunse Lock alla
fontana. ‘Allora, cos’è successo?’ ‘Non ho ancora tutti i pezzi del puzzle, ma posso dirti una cosa: Cody Parker non ha avuto nulla a che fare con il rapimento di Josh Hulme.’ ‘L’FBI non è d’accordo. Pensano di avere in mano un caso piuttosto solido. È fortunato che nello stato di New York non ci sia la pena di morte, se vuoi sapere la mia opinione.’ ‘A New York non c’è proprio a causa di casi del genere.’ ‘Che vuoi dire?’ ‘Cos’è che ti fa finire fritto sulla sedia elettrica o con una bella dose di cloruro di potassio in vena, di questi tempi?’ ‘Come mai ho la sensazione che sto per ricevere una delle tue piccole lezioni?’ ‘Assecondami.’ ‘D’accordo. Un crimine orripilante. L’assassinio di un bambino, il rapimento.’ ‘E in casi del genere c’è una pressione indiavolata sulle autorità perché portino qualcuno in tribunale.’ ‘Ehi, non è che hanno scelto Cody Parker sull’elenco del telefono. Hanno delle prove piuttosto solide.’ ‘E io scommetterei che sono tutte circostanziali.’ ‘Non posso credere che tu stia difendendo quell’uomo! Hai sentito quello che ho detto un attimo fa. Sicuro come la morte, lui è colpevole di aver disseppellito una vecchina e di aver scaricato il suo corpo nel bel mezzo di Times Square.’ ‘E per quello dovrebbe finire in prigione. Molto a lungo. Ma quello che stanno facendo loro’, disse Lock, alzando gli occhi e rivolgendo lo sguardo al Jacob K. Javits Federal Building, ‘è appioppargli il rapimento il più in fretta possibile.’ ‘Allora, se non è stato Cody Parker, chi è stato?’ ‘La Meditech.’
Lei scoppio a ridere. Lock mantenne lo sguardo fisso sul suo. ‘Oh mio Dio, dici sul serio.’ ‘Va bene, non si è trattato di un’azione collettiva. Immagino che, anche a saperlo, fossero in pochi. Non sono neppure certo che Nicholas Van Straten lo sapesse.’ ‘Ma l’amministratore delegato è lui.’ ‘Esattamente. Ascolta, Carrie, il motivo per cui la gente pensa che sei impazzito quando dici una cosa del genere, è che hanno un’immagine nella testa di una grossa riunione ufficiale con Van Straten seduto in una poltrona dall’ampio schienale che accarezza un gatto bianco. Questo genere di stronzate non funziona così. La compagnia aveva bisogno che Richard Hulme tornasse a lavorare per loro.’ ‘Allora perché non gli hanno offerto, che ne so, dieci milioni di bigliettoni?’ ‘Perché un uomo come Richard è il peggior incubo di ogni società.’ ‘Vale a dire?’ ‘Un uomo i cui principi non possono venir compromessi da un gran numero di zeri.’ ‘Quindi hanno rapito suo figlio?’ ‘Secondo me, sì. Hulme era un problema che andava risolto. E qualcuno ha trovato una soluzione fuori dagli schemi.’ ‘Vorrai dire fuori dal mondo!’ ‘La copertura era già lì. Il bambino scompare, e tutti guarderanno agli animalisti. Dopo tutto quello che è successo, chi non penserebbe che sono coinvolti? Specialmente dopo che il loro amato leader è stato vaporizzato proprio davanti all’ingresso della compagnia.’ ‘E la Meditech sarebbe responsabile anche di quello?’
‘Stai guardando la cosa dal verso sbagliato. Tu pensi che Nicholas Van Straten abbia ordinato l’assassinio di Gray Stokes.’ ‘Non è questo quello che mi stai suggerendo?’ chiese Carrie. Lock sospirò. La verità era che nemmeno per lui la cosa aveva granché senso. Ma neppure la versione ufficiale. Di fatto, quella era ancora più insensata. ‘Il fatto è che una società grande come la Meditech non agisce come l’esercito. Nell’esercito, ogni incarico viene scomposto in minuscole fasi. Questo lo rende a prova di idiota, ma significa anche che nessuno può semplicemente andare e fare di testa propria. In una società privata è diverso. A loro non frega un cazzo di come si ottiene una cosa, l’unica cosa che gli importa è il risultato finale. Ecco come mai capita che dei tizi che lavorano nelle società di sicurezza in Iraq cominciano ad ammazzare civili a destra e a manca. Sono tutti ex soldati, ma all’improvviso non hanno più una struttura di comando, nessuno che li faccia finire con il culo su una barella se fanno la cosa giusta nel modo sbagliato.’ Si interruppe, massaggiandosi i punti. ‘Immagina che qualcuno stia ricattando la Meditech, e che la persona sbagliata entri in possesso di questa informazione e decida di risolvere il problema in prima persona. E quando si oltrea il limite una volta...’ ‘Allora chi è stato ad aver preso Josh Hulme?’ chiese Carrie. Lock la fissò dritta in faccia. ‘Qualcuno che aveva un appoggio nel consiglio da Stafford. Con ogni probabilità, Brand.’ ‘Sei sicuro? Voi due non vi siete mai visti di buon occhio.’ ‘È vero, ma non è questo il motivo per cui penso che sia coinvolto.’ ‘Allora qual è?’ ‘Perché Brand andava a letto con Natalya Verovsky. Ma le ha detto di chiamarsi Cody Parker.’
Quarantatré
Josh Hulme sedeva rannicchiato accanto a suo padre mentre l’imbarcazione percorreva a balzi la distanza fino al molo, rilasciando una scia di schiuma dietro di sé. Di fonte a loro si estendeva il vecchio Cantiere Navale di Brooklyn, sede del nuovo complesso di ricerca della Meditech. Richard sollevò lo sguardo verso l’imponente struttura. Un muro alto sei metri correva lungo tutto il raggio della sua visione periferica. Sulla sommità del muro, una bandiera solitaria a stelle e strisce schioccava, tesa dal vento. Sotto la bandiera, due guardie percorrevano la erella con fare predatorio. Erano entrambi armati. Richard si tirò Josh più vicino e stampò un bacio sulla testa di suo figlio. ‘Tutto bene, figliolo?’ Si infilò la mano in tasca e ne trasse un pacchetto di pastiglie antinausea. ‘Se hai il mal di mare, puoi prendere una di queste.’ Josh gli scansò la mano. ‘Papà, quando possiamo tornare a casa?’ ‘Papà ha un lavoro da finire, prima.’ ‘Oggi?’ ‘Forse tra una settimana o giù di lì.’ ‘Ma è quasi Capodanno.’ ‘Lo so, ometto, lo so, ma papà ha preso un impegno.’ In realtà, Richard si odiava. Josh aveva bisogno di lui. In quel momento aveva bisogno di lui più che mai. Ma senza l’impegno assunto con la Meditech, Josh non sarebbe stato lì, forse neppure ancora vivo, quindi che poteva fare? Stafford scese nella cabina dell’imbarcazione. ‘C’è un po’ di maretta là fuori, eh?’ Si accomodò sulla panca accanto a Richard e arruffò i capelli di Josh. ‘Non preoccuparti, tra un paio di minuti saremo arrivati.’
Josh si irrigidì e gli spinse via la mano. ‘Senti figliolo, posso rubarti tuo padre per un momento?’ Richard seguì Stafford fuori, sul ponte, mentre la barca avanzava solcando il mare. ‘Ottanta milioni di dollari. Bello, non trovi?’ Tutto ciò che Richard riusciva a vedere, era un muro bianco che correva per quelli che erano forse trecento metri, attorno a un lotto di terra che si affacciava sul molo. L’unica cosa notevole era l’altezza. Almeno sei metri. Forse di più. Stafford diede una pacca sulla schiena di Richard. ‘Starà bene.’ ‘Non è tuo figlio, non puoi immaginare quello che è stato per noi.’ ‘È vero. Ma la cosa più importante è che adesso sia al sicuro.’ Richard mantenne lo sguardo fisso davanti a sé. Anche Stafford stava osservando il muro. ‘Non so perché, ma non credo che saranno molti gli sciocchi che verranno qui a protestare.’ ‘Non credi che tutte queste misure di sicurezza siano eccessive?’ ‘Accidenti, Richard, so che a voi accademici a volte sfugge il quadro d’insieme, ma per l’amor del cielo. Qui ci occuperemo di Livello 4, Categoria A. Si può eliminare metà del paese con la roba che c’è lì dentro.’ ‘Niente animali, però?’ ‘Niente che abbia una coda, zampe o del pelo. Hai espresso chiaramente la tua opinione, Richard. E per un certo verso concordo con te. Il nostro era il modo sbagliato di fare scienza. Il che lo rendeva un modo sbagliato per fare soldi.’ La barca accostò ad una delle banchine e attraccò. Stafford scese. Porse una mano a Richard, che a sua volta aiutò Josh a scendere a terra. Seguirono Stafford lungo una erella, fino a raggiungere un piazzale di cemento, con Josh che faceva fatica a tenere il o con le lunghe falcate di Stafford. Poi, raggiunta l’estremità del muro, svoltarono a sinistra.
Stafford lanciò un’occhiata a Richard da sopra la spalla. ‘Non manca molto. Ho pensato che arrivare dal fiume fosse una buona idea. Per darti maggiormente l’idea delle dimensioni di questo posto.’ Altri quattrocento metri più avanti, il muro veniva interrotto da un viale d’accesso abbastanza grande da permettere il aggio di camion in entrambi i sensi di marcia. Era regolato da un casotto metallico, presidiato da un afroamericano di mezza età con l’uniforme del servizio di sicurezza della Meditech. Arrivati alla postazione si fermarono, e Stafford esibì il suo tesserino laminato della Meditech. Richard fece lo stesso. La guardia li controllò senza dire una parola, poi confrontò i loro nomi con quelli nella lista dei visitatori ammessi. ‘Potete cortesemente guardare in alto, signori?’ chiese, indicando un punto alle sue spalle. Obbedirono, e furono investiti da un flash proveniente dalla macchina fotografica fissata al muro. La guardia portò lo sguardo sullo schermo del computer. ‘Bene, ora potete are.’ ‘Software di riconoscimento facciale’, spiegò Stafford, proseguendo a o di marcia. ‘La sicurezza, qui, sembra come quella di Fort Knox’, commentò Richard. ‘Non come’, lo corresse Stafford. ‘Ancora meglio.’ Una volta attraversato il cancello, oltrearono una guardiola presidiata da due guardie, entrambe armate. Era abbastanza ampia da nascondere l’area alle sue spalle alla vista di chiunque si trovasse al primo punto di controllo. Si sottoposero alla stessa tiritera, ed si addentrarono nel corpo del complesso. Lì trovarono Missy che, a parte battere i piedi a terra per evitarne il congelamento, era vivace come al solito. ‘Ehi Josh, lascia che ti mostri la tua sistemazione’, cinguettò. Stafford, a quanto pareva, l’aveva arruolata come bambinaia non ufficiale. Superarono una serie di edifici bianchi ad un unico piano, notevoli esclusivamente per la loro uniformità. La mole del complesso era impressionante, specialmente considerata la sua
vicinanza alla città. Josh non mollò la presa dalla mano di suo padre. ‘Abbiamo un albero di Natale per te, e tutto il resto’, insisté Missy. ‘Va tutto bene, Josh’, Richard rassicurò suo figlio, ‘puoi andare con lei. Ti raggiungo tra pochi minuti.’ Con riluttanza, Josh lasciò la mano di suo padre e Missy lo condusse via. Richard li osservò allontanarsi. ‘Non avremmo potuto aspettare la fine delle festività per questa roba?’ ‘Richard, abbiamo una scadenza. Se aspettiamo, perdiamo il vantaggio sulla concorrenza.’ Stafford diede una pacca sulle spalle a Richard. ‘Ascolta, se l’esperimento va bene, potrai avere una vacanza pagata di tre mesi. Dannazione, potrei persino unirmi a te. Ora, lascia che ti mostri il laboratorio di ricerca, per cominciare. Penso che ne rimarrai piuttosto impressionato.’ Stafford svoltò a destra ma Richard rimase dov’era. La sua attenzione era stata attratta da un’area a una sessantina di metri da lì. Un edificio uguale agli altri, circondato da una rete metallica sovrastata da filo spinato a lame di rasoio. ‘Cos’è quello?’ chiese. ‘È una struttura contenitiva. Non preoccuparti, non dovrai avvicinarti, se non vuoi.’ ‘E cosa contiene?’ ‘I soggetti dei test.’ ‘Mi hai mentito.’ ‘Semantica, Richard. Solo questo.’ ‘E non è tutto’, affermò Richard. Fino a quel momento non ci aveva fatto caso. Era qualcosa che gli aveva detto Lock nel suo appartamento, e che stava riemergendo soltanto ora. Qualcosa che aveva a che fare con la presenza
dell’insolito, e l’assenza del solito. Il filo spinato rientrava nell’insolito, ma c’era qualcos’altro in quel posto che non quadrava. ‘Sono qui da cinque minuti, e le uniche persone che ho visto sono guardie. Dove sono i tecnici?’ ‘In questa fase stiamo operando con uno staff ridotto all’osso.’ ‘Allora perché avete bisogno di me, in questa fase?’ ‘Perché devi approvare i dati. Il tuo nome ha molta rilevanza per la Food and Drug istration, per non parlare del Dipartimento della Difesa.’ ‘Allora fate i test e inviatemi i risultati clinici. Posso emettere una valutazione basandomi su...’ Stafford lo interruppe, afferrandolo per un braccio e stringendoglielo con forza. Gli fece male. ‘Qui non c’è spazio per altri dilemmi etici, nemmeno dopo che saranno stati condotti i test. Ecco perché abbiamo preferito che tu fossi il più coinvolto possibile.’ Richard sentì un grumo di orrore che gli si andava formando alla bocca dello stomaco. ‘Parliamo dei soggetti dei test. Di che si tratta esattamente?’ ‘Pensa a loro come a primati di livello superiore.’
Quarantaquattro
Un forte vento trasversale investì il Gulfstream non appena cominciò la manovra di avvicinamento alla pista d’atterraggio, la visibilità fortemente compromessa dalla pioggia torrenziale che scrosciava contro il lato del velivolo. I amontagna indossati da pilota e copilota non aiutavano. Nessuno dei due conosceva il nome dell’altro, o per chi lavorasse. Lo stesso valeva per gli altri otto membri dell’equipaggio. Nella cabina, i morbidi sedili in pelle, generalmente deputati ad accogliere i glutei già ben ammortizzati di dirigenti di alto livello, erano stati sostituiti con sei lettighe. Su ognuna di esse era distesa una persona. Sei in totale, cinque uomini e una donna. Avevano la testa incappucciata, con un foro praticato nel tessuto a due terzi dal fondo per permettergli di respirare. Portavano delle manette ai polsi, ognuna delle quali era attaccata ad un o, saldato a ciascun lato della barella. I piedi erano bloccati allo stesso modo. I loro abiti consistevano in maglietta e pantaloni rosso . Sotto i pantaloni, indossavano un pannolone per adulti. Nessuno di loro era stato slegato durante il volo per concedergli una visita in bagno. Non che loro fossero interessati a muoversi, in ogni caso. Prima della partenza, gli era stata iniettata una dose di Haldol, un potente antipsicotico. Le pastiglie avrebbero potuto essere infilate sotto la lingua o sputate, quindi la somministrazione per endovena era sembrato il modo più efficace per assicurarsi che il farmaco entrasse in circolo. Mareta Yuzik, disorientata e con la lingua ispessita, aprì gli occhi nell’oscurità. Per un momento, si chiese se fosse stata accecata. Poi si ricordò del cappuccio. Avvertiva la sensazione del tessuto sul viso. Sorrise per il sollievo. Avvertiva un dolore lancinante al fianco sinistro. Cercò di allungare una mano verso il basso per toccare il punto sensibile, ma la mano non si mosse. La costrizione attorno ai polsi e alle caviglie le suggerì di essere stata legata.
Non cieca, solo incappucciata. Non paralizzata, solo immobilizzata. E, miracolosamente, ci sentiva. Nelle ultime settimane, durante gli spostamenti da un luogo all’altro, le erano state messe sulla testa delle cuffie antirumore in modo che riuscisse a sentire solo i rumori più forti, più per la vibrazione che per altro. Essere in grado di sentire significava sapere che si trovava su un aereo. Significava anche che riusciva a sentire le guardie, persino con il rombo dei motori. Riconobbe il loro accento dai film. Erano americani. Sentiva due di loro parlare. ‘Cavolo, che bello essere a casa.’ ‘Quanto ti fermi?’ ‘Una settimana, forse. Dipende da come va questa cosa. Tu?’ ‘Più o meno lo stesso. Lascia che te lo dica, sarò felice di mollare questa roba. Questi tizi mi mettono i brividi.’ ‘Rilassati, hanno abbastanza merda nelle vene da stendere un elefante.’ ‘Ad ogni modo, perché li stanno riportando qui?’ ‘Boh. Ho sentito parlare di un esperimento.’ ‘Bene. Spero che li facciano fuori.’ ‘Io gli pianterei un proiettile in corpo, risparmierei energia.’ Il Gulfstream rullò fino al termine della pista e svoltò a destra, dirigendosi verso un lontano hangar a non più di cinquecento metri di distanza. Le porte dell’hangar erano già aperte, e all’interno c’erano più di una dozzina di uomini, oltre a sei SUV. Come tutti quelli a bordo, gli uomini erano mascherati. Il velivolo si fece strada lentamente all’interno dell’hangar e le immense porte metalliche vennero spinte perché si chiudessero dietro di lui. Pochi secondi dopo, il portellone dell’aereo si aprì e la scaletta venne calata a terra. Uno degli uomini salì fino in cima, scomparendo all’interno dell’aereo. Soltanto uno dei prigionieri era stato slegato. La donna. Una delle guardie sfoderò la propria arma di servizio e la ò al suo compagno. Poi la aiutò a
scendere dalla barella e a rimettersi in piedi. Lei faticò a mantenere la posizione eretta, e lui fece il possibile per impedire che cadesse a terra. Discesero la scaletta dell’aereo lentamente, come due amanti che inciampino all’uscita di un bar. Non appena poggiò i piedi sul cemento, la donna crollò in ginocchio. ‘Sta bene?’ ‘Fate attenzione, potrebbe fingere.’ ‘Amico, tu hai un’immaginazione troppo fervida.’ ‘Hai letto il suo fascicolo? Ha fatto fuori più gente lei di Bin Laden.’
Quarantacinque
‘Queste sono stronzate. Non ho preso nessun bambino!’ ‘Allora che ci facevi lì, Cody?’ Frisk si trovava faccia a faccia con Cody Parker e il suo avvocato d’ufficio, una donna ispanica poco sotto la trentina, dall’altra parte di un tavolo nella sala interrogatori al terzo piano di Federal Plaza. ‘Ve l’ho detto. Ho ricevuto una telefonata.’ ‘Questo sì che è comodo. Da parte di chi?’ ‘Non lo so. Ha detto che sapeva chi aveva ucciso Gray Stokes e che se volevo saperlo anch’io avrei dovuto incontrarlo a quell’indirizzo.’ ‘Non ti hanno fornito un nome? Non hai riconosciuto la voce?’ ‘No. Ascolti, se avessi rapito io il bambino, allora dove sono i soldi, eh? O me li avete piazzati nel furgone?’ ‘Perché non ce lo dici tu dove sono.’ ‘Qualcuno mi ha incastrato.’ Frisk spinse la sedia all’indietro, stirò le braccia verso l’alto e sbadigliò. ‘Avanti allora, sono pronto ad esplorare possibili scenari alternativi.’ ‘È stata quella società. Stavano cercando di farmela pagare.’ Frisk rise. Poco professionale, ma non riuscì a farne a meno. ‘Hanno organizzato il rapimento del figlio di uno dei loro impiegati allo scopo di prendersi una qualche vendetta contro la tua persona? Va bene, questa sì che è un’ipotesi interessante. Ma, comunque, ancora non si spiega il movente. Perché tu?’ ‘Che vuole dire con “perché io”? Io li ho sfidati. E perché voi non siete là fuori a
cercare chi ha ucciso mia madre?’ ‘Perché non c’è alcuna prova che lei sia morta per altro motivo che non siano cause naturali. Ma questa conversazione ci porta subito ad un'altra questione. Al disseppellimento del corpo di Eleanor Van Straten. È questo che intendevi quando hai detto che “li hai sfidati”?’ Cody puntò lo sguardo al soffitto. ‘Non so di cosa stia parlando.’ ‘A parte il fatto che abbiamo rinvenuto delle particelle di terriccio sui tuoi stivali che sono compatibili con il terreno prelevato presso la tomba dalla signora Van Straten.’ Cody serrò la mascella. Lanciò una brevissima occhiata al suo avvocato. ‘D’accordo allora, sono stato io.’ ‘Finalmente’, disse Frisk. ‘E chi c’era con te?’ ‘Ero da solo.’ ‘Spostare un corpo, anche quello di una piccola vecchina, è un lavoro da fare in due. Come minimo.’ ‘Gliel’ho detto. Ero da solo.’ ‘Allora questo tuo amico, quello che ha fatto esplodere l’auto, avrebbe eliminato le prove scientifiche?’ ‘Pensate davvero che avrei fatto saltare in aria quella merda per eliminare le tracce scientifiche, e poi me ne sarei rimasto seduto all’altra parte della strada rispetto al ragazzo?’ ‘Beh, devi ammettere che eri lì. Voglio dire, nessuno ti ha teletrasportato, o roba del genere.’ ‘Ero lì. E vi ho detto perché. Controllate le registrazioni delle telefonate con la compagnia telefonica, se non mi credete.’ ‘Già fatto.’
‘E?’ ‘Hai ricevuto una chiamata all’ora che hai detto tu.’ ‘Quindi sto dicendo la verità.’ ‘Le registrazioni non dicono cosa è stato detto. E se parliamo di dire la verità, quante volte sei stato interrogato a proposito della signora Van Straten?’ ‘Non ricordo esattamente.’ ‘Tre volte. E tre volte hai negato ogni coinvolgimento. Quindi permettimi di restare scettico di fronte alle tue dichiarazioni di onestà.’ Cody allungò le braccia verso il soffitto. ‘Allora, che succede adesso?’ ‘Sei formalmente accusato. In attesa di presentarti al giudice. Avrai un sacco di tempo per decidere se vuoi dichiararti colpevole o no.’ ‘Non potete incolpare me per questa storia. E neppure qualcuno del movimento.’ ‘Ah sì?’ commentò Frisk, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso un contenitore di plastica all’angolo della stanza. Tolse il coperchio e tirò fuori una busta di plastica per le prove. All’interno c’era un album di foto con la costola rossa e una semplice copertina grigia. Lo portò sul tavolo. ‘Avanti.’ Cody aprì la busta come se qualcosa potesse saltare fuori dalle pagine dell’album e morderlo. ‘È mio. E allora?’ ‘Oh, sappiamo che è tuo. Lì sopra ci sono le tue impronte dappertutto.’ ‘Allora perché me lo state chiedendo?’ ‘Perché era insieme a Josh Hulme quando è stato trovato. Qualcuno l’aveva lasciato al punto di scambio. E sopra ci sono le tue impronte insieme a quelle di Josh Hulme.’ ‘Mi hanno portato via un sacco di stronzate durante un furto’, disse Cody, con voce piatta. ‘L’hai denunciato?’
‘No’, rispose Cody, scuotendo la testa. ‘Josh Hulme ci ha detto che quest’album era nella stanza dove l’hanno tenuto dopo averlo rapito.’ Frisk allungò la mano e aprì l’album su una pagina a caso. Gli occhi erano enormi, marroni, e familiari a Frisk e a Cody. Così come la carne rossa esposta sulla sommità della testa del cane. La porta si aprì lasciando entrare un agente in uniforme. Si chinò verso Frisk e gli parlò a bassa voce. ‘C’è Ryan Lock che chiede di parlarle.’ Frisk si alzò. Prese l’album e lo tenne davanti alla faccia di Cody. ‘Una cosa piuttosto perversa da mostrare a un bambino, non è d’accordo signor Parker?’
Quarantasei
‘Vuole che inverta completamente la rotta di questa indagine sulla base delle parole di una prostituta adolescente che ha trovato in uno strip club? Dove, casualmente, è entrato portando una pistola? Se continua su questa strada, Lock, dovremo mettere sul libro paga dei nuovi criminali solo per tenere il o con lei.’ ‘Ma farà delle indagini?’ Lock sapeva che convincere Frisk non sarebbe stata una eggiata. Dannazione, non era certo neppure che Carrie gli credesse. Ma eccolo lì nell’ufficio di Frisk a chiedergli un favore. ‘Per quel che vale’, disse Frisk con voce piatta. ‘Tutto quello che le chiedo, è di mantenere la mente aperta.’ ‘E questo non avrebbe niente a che fare col fatto che Brand ha preso il suo posto a capo della sicurezza alla Meditech, giusto?’ ‘Io sono in convalescenza.’ ‘La maggior parte della gente lo fa rimanendo a casa, a letto con una bella tazza di brodo di pollo.’ Lock sorrise. ‘Mai detto di essere un buon paziente.’ Frisk aprì l’ultimo cassetto della scrivania e ne estrasse un contenitore di plastica Tupperware. ‘Mia moglie mi prepara il pranzo. Sa, per assicurarsi che mangi le verdure.’ Tolse il coperchio e lo inclinò verso Lock perché ispezionasse il contenuto. ‘Cioè, sul serio, mangerebbe questa merda?’ Lock lo scansò. ‘È da quando l’ho vista la prima volta che ce l’ha con Brand’, continuò Frisk.
‘È lui ad avercela con me.’ ‘Offrirsi volontario per testimoniare contro uno dei propri compagni? Non è una di quelle cose che nell’esercito ti fa finire dritto su una mina antiuomo?’ ‘Non nell’esercito in cui ho servito io. Non se qualcuno oltrea il limite.’ ‘Ah, già. Dimenticavo che ha servito nella patria del tè. È per questo che lei e Brand non andate d’accordo?’ ‘Vada in Scozia. Provi a definirla patria del tè, e vedrà che succede. Io ho servito nello stesso reparto dell’esercito di mio padre. Ho servito la sua memoria. E mi sono beccato un bel po’ di merda da ambo le parti mentre lo facevo, per il solo fatto di essere un meticcio. Ma non ho mai sentito il bisogno di avvolgermi in nessuna bandiera per provare il mio patriottismo.’ ‘Belle parole’, disse Frisk, rimettendo il coperchio al contenitore del pranzo. ‘Senta, io ho un colpevole.’ ‘Che non ha commesso il fatto.’ ‘Ci sono prove di cui lei non è a conoscenza.’ ‘Tipo?’ Frisk si alzò in piedi. ‘E comunque, chi diavolo è lei, Lock? Solo manodopera a pagamento.’ ‘Questo caso è un cumulo di stronzate, e lei lo sa.’ ‘Io so solo che ho un tizio che ha appena ammesso di aver disseppellito il corpo di Eleanor Van Straten, e che era presente allo scambio. L’unica cosa che ha in mano lei, è che uno dei suoi collaboratori si sbatteva la tata di Richard Hulme.’ ‘Che doveva essere coinvolta nel rapimento.’ ‘Qualche mese prima stava facendo lavoretti di mano sul retro di uno strip club, quindi come fa a sapere che non allargava le gambe per più di un uomo?’ Lock tornò con la mente agli istanti che aveva ato nella camera di Natalya
dopo che Richard Hulme l’aveva rintracciato. Sembrava ata una vita, ma aveva ancora davanti agli occhi la fotografia della ragazza insieme alla sua famiglia. Tutto quell’ottimismo, tutte quelle promesse. Chiuse la mano a pugno e cominciò a portarla indietro, non del tutto consapevole di quello che stava facendo. Frisk notò il sangue che defluiva dalle nocche di Lock e fece un o indietro. ‘Quella sarebbe davvero una pessima idea.’ Lock era consapevole che un paio di agenti lo osservavano dalle scrivanie lì attorno. ‘Lo sa, quando mi hanno detto che era corso verso quel cecchino, ho pensato che lei potesse essere pazzo. Ma adesso ne sono sicuro.’ Lock fece un respiro profondo e contò lentamente fino a dieci. ‘Abbiamo finito?’ gli chiese Frisk. ‘Beh, visto che ha tirato fuori la faccenda. Che mi dice di Gray Stokes? Non verrà incriminato nessuno per il suo omicidio?’ ‘Le indagini sono in corso.’ ‘Che ha detto la Scientifica del fucile che ha ucciso Stokes?’ ‘Un M-107.’ ‘Rintracciabile?’ ‘Era scomparso da un’unità di combattimento in Iraq.’ ‘Quindi probabilmente stiamo cercando personale che ha lasciato l’esercito’, constatò Lock con voce piatta. ‘Direi che si tratterebbe di una supposizione corretta.’ ‘E non combacia con il profilo di nessuno degli animalisti.’ ‘Non li conosciamo tutti’, obiettò Frisk. ‘Diamine, Cody Parker teneva un profilo molto basso, e guardi di cos’è stato capace.’
‘Senta, quando sono arrivato nel retro di quel negozio, ho capito subito di avere a che fare con qualcosa di grosso. E non parliamo di gente a cui non va giù allungare un pacchetto di sigarette a un beagle. Se erano pronti a superare le difficoltà di mettere le mani su un M107, e a imparare ad usarlo, crede che avrebbero mancato Van Straten prendendo l’altro tizio?’ Frisk si infilò il cappotto e si avviò in direzione della porta. ‘Per l’amor di Dio, Lock, la prossima volta mi porti qualcosa di più, di un po’ di rancore.’
Quarantasette
Brand era fermo fuori dalla porta insieme ad altri due membri della sua unità. Erano tutti in tenuta antisommossa. Casco di protezione con visiera, giubbotto antiproiettile e anfibi. Ora che la situazione Hulme si era risolta in modo soddisfacente, Brand si sarebbe occupato personalmente della gestione quotidiana dell’unità di isolamento. In totale, dovevano occuparsi di dodici individui, recapitati con due voli separati. Ognuno di essi era ritenuto altamente pericoloso. In mano, Brand reggeva un piccolo monitor su cui scorrevano le immagini in tempo reale della telecamera piazzata al di là della porta. Uno spioncino, persino uno protetto da vetro o Perspex, sarebbe stato di gran lunga troppo pericoloso. La donna giaceva sul letto con lo sguardo rivolto al soffitto. Mentre lui rimaneva dall’altro lato della porta, gli altri due uomini sarebbero entrati nella stanza, immobilizzandole mani e piedi. La presenza di più di due uomini nella cella insieme al soggetto dell’esperimento, avrebbe reso troppo difficile muoversi. Avrebbero solo finito col pestarsi i piedi a vicenda. Per la stessa ragione, non era permesso introdurre armi nella cella, né nel resto della struttura contenitiva, in ogni caso. ‘Pronti?’ chiese loro Brand. Gli uomini verificarono l’equipaggiamento per l’ultima volta. ‘Non capisco perché non possano essere sedati’, commentò uno di loro. ‘Renderebbe tutto questo molto più semplice.’ ‘Non si può condurre un esperimento se hanno tutta quella merda in corpo.’ ‘Allora che facciamo se sorge un problema con uno di loro?’ ‘Che genere di problema?’ ‘Tipo se ci saltano addosso.’
Brand sollevò la visiera e indicò il monitor. ‘Hai paura di una donna?’ ‘Sto solo facendo una domanda.’ ‘La procedura dice che sei da solo con te stesso.’ Cinque minuti dopo, Mareta fu condotta nell’ambulatorio, con le catene a bloccarle mani e piedi. Non sembrava spaventata. Nemmeno sprezzante, a dire il vero. Sembrava spenta. Lo stomaco di Richard sussultò violentemente. Dalla sua conversazione con Stafford aveva capito che avrebbero usato dei soggetti umani per i test, ma aveva razionalizzato che magari si trattava di volontari. Il pagamento per aver partecipato ad un esperimento poteva aggirarsi sulle migliaia di dollari. Che per qualcuno erano un mucchio di soldi. Ma chi si sarebbe offerto volontario per una cosa del genere? Sapeva anche che la ricerca sui vaccini per combattere le armi biologiche aveva un ato fatto di luci ed ombre. Dai soldati deliberatamente esposti a dosi massicce di radiazioni durante i test nucleari, fino agli esperimenti farmacologici sui civili che si concludevano in modo infausto, gli esperimenti che coinvolgevano soggetti vivi erano un campo minato dal punto di vista etico e legale. Se va bene, si possono salvare migliaia, a volte milioni di vite; se va male le conseguenze restano. A volte sotto forma di deformità alla nascita, per generazioni. Ecco perché Stafford era così ansioso di averlo a bordo, a qualunque costo. La sua migliore possibilità, forse l’unica che gli rimaneva, era di accettare quanto stava succedendo. ‘Perché è immobilizzata in questa maniera?’ chiese a Brand. ‘Non si preoccupi dottore, principalmente è per la sua sicurezza personale.’ ‘Possiamo parlare un momento in privato?’ ‘Ma certo, dottore.’ Richard aprì una porta in fondo dell’ambulatorio e Brand lo seguì in un piccolo ufficio.
‘Che sta succedendo?’ chiese. ‘Ehi, sono qui solo per assicurarmi che siano tutti al sicuro.’ Già, proprio così, pensò Richard, notando lo sguardo compiaciuto sul viso di Brand. ‘Ha pensato che avremmo messo un annuncio sul Village Voice e trovato dei volontari per questa cosa, dottore?’ ‘Chi è la donna?’ ‘Qualcuno di cui il pianeta non sentirà la mancanza nel caso in cui le cose vadano male. Questo è tutto ciò che lei ha bisogno di sapere.’ ‘Non è abbastanza. Mi rifiuto di condurre alcun test finché qualcuno non mi dice che sta succedendo qui.’ ‘Allora parli con Stafford. Sarà qui più tardi.’ ‘E che succede se io non sono qui?’ ‘Questo dipende da lei. Ma in questo momento l’unica cosa che le viene chiesta di fare, è di sottoporli ad un controllo e verificare che siano adatti allo scopo.’ La porta di comunicazione tra le due stanze era rimasta aperta a metà, e Richard riusciva a vedere Mareta e le due guardie. Sembrava minuscola in confronto a loro, e la differenza era accentuata dal giubbotto antiproiettile. Stancamente, tornò verso di lei, conscio che suo figlio si trovava all’interno del complesso. Il corpo di Mareta era l’immagine vivente della tortura. Richard aveva capito quanto nel vederla entrare nella stanza. Procedeva ad un’andatura lenta, le falcate più corte di quanto ci si sarebbe aspettati. Camminava quasi sulle punte, riluttante ad appoggiare i calcagni a terra – il risultato di una tecnica nota come falanga. In parole povere, consisteva nel colpire la pianta dei piedi con uno strumento smussato. Ripetutamente. ‘Non posso visitarla adeguatamente se è immobilizzata in questa maniera.’ Brand si scambiò un’occhiata con i suoi uomini. ‘È troppo pericolosa per fare
altrimenti.’ Richard dovette reprimere l’impulso di ridere. La donna era alta poco più di un metro e sessantacinque, non pesava più di quarantotto chili, e sembrava sul punto di collassare. ‘Non sembra granché, dottore, ma basta un colpo alla gola o un dito piazzato al posto giusto per far fuori qualcuno.’ Richard prese la sedia da dietro la scrivania e la sistemò accanto al lettino. ‘Per lo meno lasciate che si sieda.’ Mareta venne trascinata per la breve distanza che la separava dalla sedia. Un uomo la aiutò a sedersi sostenendola sotto le braccia. Richard si inginocchiò davanti a lei per portarsi al livello dei suoi occhi. Lei sembrò studiarlo. ‘Salve, il mio nome è Dottor Hulme, e il suo?’ disse Richard, in un tono tale da sembrare rivolto ad un bambino. Una delle guardie ridacchiò. ‘Non habla anglais, dottore’, interloquì Brand. ‘Parla spagnolo?’ un’altra risatina. ‘No, non abbiamo rapito nessun mangia fagioli’, replicò Brand, ‘Per quanto vorrei averci pensato. Avremmo potuto fare un patto con le nostre milizie e risparmiare un mucchio di soldi di trasporto aereo.’ ‘Senta, ho bisogno di un nome per i miei dati.’ ‘Abbiamo un numero per lei, se può aiutare. Potrebbe rendere le cose più semplici sotto ogni punto di vista. Specialmente quando si tratterà di bombardarla con qualsiasi cosa sia quello che sta testando.’ ‘Grazie, conosco questa teoria’, replicò Richard. Dopo il primo esperimento con il farmaco DH-741, era stato inviato un memo a
tutti gli impiegati della Meditech coinvolti nella sperimentazione animale. Questo specificava come tutti i soggetti dovessero essere identificati solo tramite un numero, e che in nessuna circostanza sarebbe stato dato loro un nome, né ci si sarebbe riferiti ad essi usando altro che il loro numero. Chiunque si riferisse ad un animale chiamandolo per nome, era immediatamente segnalato alle Risorse Umane. La ragione apparente era che questo avrebbe ridotto la probabilità di fare confusione con i dati ma Richard sospettava che il motivo fosse un altro. Da’ un nome a qualcosa e le attribuirai anche un’identità. Ad ogni modo, davvero pochi tra gli scienziati si erano disturbati a dare un nome ai loro soggetti. Sogghignavano davanti a qualsiasi tendenza antropomorfizzante dei loro colleghi, considerando infantile assegnare caratteristiche umane a degli animali. In ogni caso, Richard sospettava che il loro atteggiamento scaturisse dal desiderio di annullare i loro stessi sentimenti. Nel migliore dei casi, gli animali subivano dei disagi, nel peggiore una morte in agonia. Richard l’aveva pensata in modo diverso. Se due dozzine di primati dovevano patire le pene dell’inferno per sviluppare una cura che avrebbe salvato migliaia di vite, allora il fine giustificava i mezzi. Il fatto che sua moglie fosse morta di cancro, poi, aveva solo rafforzato la sua convinzione in tal senso. Ora, in quella stanza, si rese conto che i mezzi erano aumentati a dismisura. E nel suo caso, lo stesso valeva per il fine. Il suo rifiuto, infatti, avrebbe potuto comportare la morte della cosa che per lui contava più di ogni altra al mondo: Josh. Accettare, esigeva che lui oltreasse il limite, entrando nel territorio della moralità da cui non si poteva tornare indietro. ‘D’accordo, la segnerò come soggetto numero uno’, disse Richard, girando la testa per guardare Brand. ‘Orecchiabile’, replicò Brand. Richard tornò a posare lo sguardo su Mareta, proprio mentre lei gonfiava le guance e gli lanciava un grumo di sputo dritto in faccia. Atterrò proprio sopra l’occhio sinistro e cominciò e scivolargli giù per la guancia in direzione della bocca. Cercando di non guardarla, si pulì con la manica del camice da laboratorio. Quando avesse preso i campioni di sangue, avrebbe chiesto al laboratorio di effettuare un controllo per l’epatite.
Era il momento di mettersi al lavoro.
Quarantotto
Quando la gente immaginava New York, inizialmente pensava allo skyline e poi alla ressa dei corpi. Ma nel quartiere giusto, al momento giusto, si poteva essere soli, senza un’anima in giro. Era lì che Carrie si trovava in quel momento. A dieci isolati da casa. E il silenzio faceva sì che riuscisse a sentire nitidamente i i che si trascinavano dietro di lei. Il ritmo dei i aumentò. Lei si guardò alle spalle, ma non vide nessuno. In quel momento percepiva la presenza della persona che la seguiva. Un uomo, quasi sicuramente un uomo. Si infilò la mano in tasca e tastò la bomboletta di spray lacrimogeno. Era un regalo di Lock, accompagnato da una spiegazione prolissa. Un coltello può essere strappato di mano. Stesso dicasi per una pistola. Un taser, l’ultimo must per le donne che contano, troppo complicato da utilizzare. E poi, se manchi il contatto, devi avvicinarti. Un allarme antistupro? Qualcuno doveva decidersi ad intervenire, e quella era pur sempre New York. Quindi, le aveva regalato uno spray al peperoncino e le aveva insegnato qualche mossa: gomitata e spinta di allontanamento con entrambe le mani. Tutto con un unico scopo in mente: darle abbastanza tempo per scappare. Come le aveva spiegato, in ogni caso era a quello che si riduceva il lavoro di guardia del corpo. Fuga organizzata. Con la mano tastò il coperchio rosso posto sulla bomboletta e lo spostò in avanti. Cercò il pulsante subito sotto. Lasciò scorrere l’indice sul metallo freddo per localizzare l’erogatore. L’ultima cosa che voleva era spruzzarselo addosso. Sentiva che l’uomo le era quasi alle spalle. Dal rumore sull’asfalto, era certa che si trattasse di un uomo. Ancora tre i e si voltò, mentre contemporaneamente tirava fuori lo spray. ‘Ehi! Carrie, scusa, non ero certo che fossi tu. E non volevo mettermi a urlare a qualche sconosciuta per strada, spaventandola.’ ‘Ryan, sei un idiota.’
‘Me lo dicono in tanti.’ ‘Ho pensato che volessi aggredirmi.’ ‘Tra un attimo potresti desiderare che fosse andata così.’ ‘Perché?’ ‘Ho bisogno di un ultimo favore.’
––––––––
La sua giornata era cominciata alle sei, con una puntata in palestra e un’ora di penitenza ata a salire gradini sullo Stair Master. Migliaia delle persone che vivevano in città in palazzi senza ascensore sognavano di trasferirsi per potersi risparmiare le scale. Invece eccola lì, circondata da donne della sua età e più giovani, a pagare per quel privilegio. Gli uomini riuscivano a cavarsela davanti alla telecamera anche se si guastavano un po’. Qualche chilo in più e una faccia da segugio gli conferivano solennità. Per una donna era la fine della carriera. Era quella la dura realtà nel suo campo. In quel momento, erano le nove di sera ed era in piedi di fronte ad una telecamera all’esterno del quartier generale della Meditech. Tre ore dopo aver lasciato il lavoro. Due delle quali ate a convincere Gail Reindl ad acconsentire alla storia. Nelle cuffie, sentiva la voce del conduttore in studio: ‘Per gli altri drammatici sviluppi nel caso del rapimento di Josh Hulme, iamo la linea alla nostra corrispondente, in onda dall’esterno della sede principale della Meditech Corporation per un aggiornamento esclusivo. Carrie, quali nuove informazioni sono venute alla luce?’ Come ogni bravo giocatore di golf, anche Carrie aveva una sua routine ogni
volta che andava in diretta. Faceva un respiro profondo che durava fino a tre. Quella volta, durò fino a cinque. ‘Grazie, Mike. Come già sanno quanti tra noi hanno seguito questa storia, è stato compiuto un arresto, e l’FBI ha informato la stampa che nessun altro è ricercato in relazione a questo crimine. Comunque, qualche ora fa ho parlato in via ufficiosa con una fonte vicina alla Meditech, secondo la quale la ragazza alla pari che si occupava di Josh all’epoca dei fatti, una giovane donna russa il cui corpo è stato rinvenuto poco dopo il rapimento, aveva una relazione con uno dei membri del servizio di sicurezza della società.’ Il presentatore intervenne. ‘E cosa rende questo sviluppo particolarmente significativo, Carrie?’ ‘Beh, Rob, se ti ricordi, l’ultima volta che Josh Hulme è stato visto, stava salendo in un’auto a noleggio insieme alla ragazza alla pari che si occupava di lui fuori da un complesso residenziale nell’Upper East Side, cosa che porta molti di noi a ritenere che quella giovane donna fosse coinvolta in qualche modo nel rapimento.’ ‘E cosa dice l’FBI in proposito?’ ‘Non molto fino ad ora, per quanto si creda che questa nuova informazione sia già stata portata alla loro attenzione.’ Non appena terminò, Lock diede inizio all’applauso. Angel si unì, abbaiando in segno di approvazione mentre si strofinava contro le gambe di Lock. ‘Ti va di andare a mangiare un boccone?’ gli chiese Carrie. ‘E Paul?’ Lei rimase in silenzio per un momento, poi sospirò. ‘Abbiamo rotto.’ Lock fece del suo meglio per non mostrare quanto quella notizia gli fe piacere. ‘Una cosa improvvisa.’ ‘Già.’ ‘Chi è stato a cambiare idea?’
‘Ha importanza?’ Lock esitò. ‘Se è stata la persona che mi sta invitando a cena fuori, forse ne ha.’ Alle loro spalle, il cameraman smise per un momento di origliare la loro conversazione per schiarirsi la voce. Lock si voltò a guardarlo. ‘Ha qualcosa da dire?’ ‘Solo che se fossi stato al suo posto, non me lo sarei fatto ripetere due volte.’ Lasciarono Angel nell’appartamento e scesero le scale, diretti al ristorante italiano del quartiere di Carrie. Tovaglie a quadretti bianchi e rossi e illuminazione soffusa a prova di vampiri, il locale era rimasto inalterato così a lungo da essere ormai considerato retrò. Ordinarono entrambi la pasta e si divisero una bottiglia di vino rosso. ‘Vuoi agitare le acque?’ chiese Carrie a Lock mentre una candela solitaria emanava un bagliore tremulo in mezzo a loro. ‘È questo lo scopo per cui mi hai chiesto di fare quel servizio?’ ‘No, è una forma di assicurazione.’ ‘Contro cosa?’ ‘Un’assicurazione sulla vita.’ ‘Per chi?’ ‘Per me.’ ‘E come funziona?’ ‘Beh, partendo dal presupposto che si tratti delle stesse persone, chi è disposto a rapire un bambino e ad uccidere della gente a Midtown in pieno giorno, non ci penserà due volte a far fuori me.’ ‘Ma se sei tu a muovere delle accuse...’ ‘Comincerà a sembrare strano il fatto che io abbia un incidente. Non mi mette al sicuro, ma – sicuro come la morte – dà loro qualcosa su cui riflettere.’
‘E questo in che posizione mette me?’ ‘Non ti toccheranno.’ ‘Sono felice di sentirti così sicuro.’ ‘Se i giornalisti fossero un bersaglio facile, ad oggi sareste una specie in via d’estinzione. Ad ogni modo, ci sono modi migliori per manipolare una storia piuttosto che uccidere chi la riporta. Loro contano sul fatto che concedendo alla storia abbastanza tempo, tutto questo finirà.’ ‘E succederà davvero?’ ‘Succede sempre, con il tempo.’ ‘Allora perché continuare a fare pressione?’ Lock sorrise, allungando la mano a riempire i bicchieri di entrambi. ‘Perché sono un idiota.’ Lei si chinò verso la borsa e ne trasse una sottile cartellina stracolma. ‘Lo so. Ecco perché ti ho portato tutto quello che sono riuscita a mettere insieme sulla Meditech. E sul colonnello in pensione Brand.’ Lui prese il fascicolo. ‘Ti dispiace se lo leggo mentre siamo a tavola?’ ‘Se ci riesci, con questa luce.’ Cominciò a sfogliare il materiale su Brand e due parole attirarono il suo sguardo. Abu Ghraib. ‘Lui c’era quando Lindy King e il suo fidanzatino torturavano i prigionieri tenendoli al guinzaglio’, disse Carrie. ‘Allora come mai nessuno ha mai sentito fare il suo nome?’ chiese Lock mentre andava avanti a leggere. Non appena le fotografie di Abu Ghraib erano diventate di dominio pubblico, avevano offerto a Brand, che aveva accettato, un congedo onorevole. Se sapeva quello che stava succedendo laggiù, era stato abbastanza furbo da tenere la
faccia lontano dai riflettori. ‘La Meditech ha eseguito un controllo completo quando mi ha assunto. Ha parlato con un mucchio di persone. Devono aver fatto lo stesso con Brand.’ ‘Forse è proprio questo il motivo per cui l’hanno assunto’, suggerì Carrie. Più tardi, quella sera, fecero l’amore nell’appartamento di Carrie. Non fu com’era stato in ato. Fu più lento, il legame più intenso. Prima, si era trattato di divertimento. Ora sembrava il preludio a qualcosa di più profondo. Dopo, Carrie si accoccolò accanto a lui, la testa poggiata sul suo petto. Ancora circondata dalle braccia di Lock, scivolò nel sonno. Nessun dilemma alla Harry ti presento Sally per Lock. Era una bella sensazione. Rimasero a lungo distesi in quella posizione. Quando lei si destò, era ancora scuro e lui non c’era più. Angel doveva essere sgattaiolata all’interno della camera, ed era addormentata ai piedi del letto. Carrie si alzò e si infilò la vestaglia. Uscì dalla stanza diretta in soggiorno. Lock era in piedi accanto alla finestra, si stava infilando la giacca mentre teneva lo sguardo rivolto alla strada vuota sotto di lui. ‘È presto, torna a letto.’ Lei sbadigliò, stirando le braccia sopra la testa. ‘Io sono una che si sveglia presto.’ ‘Non così presto.’ ‘Perché? Che ore sono?’ ‘Le quattro.’ ‘Dove stai andando?’ ‘A Brooklyn.’ ‘Alle quattro del mattino?’ Lui le si avvicinò e la baciò delicatamente sulle labbra. ‘Il momento migliore per vedere Brooklyn. Quando è buio pesto.’
Quarantanove
L’alba era una minaccia ancora lontana quando Lock e Ty, vestiti completamente di scuro, raggiunsero di corsa la recinzione perimetrale secondaria del complesso della Meditech. Lock si inumidì il dito e diede un colpetto alla recinzione per vedere se era elettrificata. ‘Scommetto che da piccolo infilavi la forchetta nelle prese solo per vedere quello che sarebbe successo, vero?’ chiese Ty. ‘Una fiammata blu e finisci sbalzato dall’altra parte della stanza.’ ‘E capisci di non farlo più’, disse Ty. ‘Nah, ci ho riprovato l’anno dopo. Volevo essere sicuro che non fosse stata un’eccezione.’ Lock si fermò, lo sguardo che si allargava a racchiudere l’intera area interna del complesso. I suoi occhi si soffermarono sull’edificio di contenimento. ‘D’accordo’, disse Ty, ‘abbiamo dato un’occhiata. Adesso portiamo il culo lontano da qui.’ ‘Che è quella roba là sopra?’ ‘Non lo so, amico. Sono arrivato solo fin qui.’ ‘Allora che ti sembra?’ Ty ò in rassegna lo stesso recinto che aveva notato Lock, rilevò lo stesso filo spinato a lame di rasoio, registrando il modo in cui si curvava su sé stesso. La curva sulla sommità di una recinzione poteva dire molto. Cosa principale, era lì per tenere qualcuno fuori o per tenere qualcuno dentro? ‘Sembra un carcere militare’, disse Ty.
‘Allora che ci fa una copia in scala di Guantanamo Bay nel bel mezzo di un complesso di ricerca?’ Ty alzò gli occhi al cielo. ‘Come faccio a saperlo?’ ‘Tu torna indietro. Io voglio dare un’altra occhiata in giro.’ ‘Va bene, ci vediamo all’entrata’, rispose l’altro con riluttanza. Lock gli lanciò le chiavi e osservò Ty svanire nell’oscurità. Poi, poggiando a terra lo zaino di tela nero, ne estrasse un paio di tronchesi e si mise al lavoro in un’area dove la telecamera di sorveglianza era orientata verso un’ampia distesa di terreno aperto oltre la recinzione. In meno di due minuti aveva aperto due squarci nella rete, abbastanza ampi perché lui potesse arci attraverso. Una volta al sicuro dall’altra parte, riabbassò di nuovo la rete in modo che, almeno da lontano, sembrasse intatta. Poi coprì a o svelto la distanza che separava il più vicino palo in metallo della recinzione dalla via di fuga che si era appena creato. Mentre stava riponendo di nuovo le tronchesi nello zaino di tela, Lock sentì la canna di un M-16 premergli contro la parte bassa della schiena. ‘Sai, Lock, se volevi fare un giro, bastava chiedere.’
Cinquanta
Lock rimase disteso a faccia in giù sul terreno mentre lo perquisivano, prendendogli il portafogli, il cellulare e il Gerber. Grazie al cielo, la sua 226 era rimasta in macchina. Brand scorse i nomi sul cellulare di Lock. Si fermò su quello di Ty e gli tenne lo schermo davanti al viso in modo che Lock potesse vederlo. ‘È ancora là fuori ad aspettarti. Faresti meglio a dirgli che troverai da solo un modo per tornare a casa, che non hai trovato quello che stavi cercando e che te ne andrai fuori città per un po’.’ ‘E perché dovrei farlo?’ ‘Pensavo che fosse un tuo amico. Non vorrai trascinarlo oltre in questa storia più di quanto tu abbia già fatto, no?’ Brand premette il pulsante di chiamata e porse di nuovo il cellulare a Lock. Poi prese l’M-16 di uno dei due uomini che erano con lui, si infilò l’impugnatura sotto la spalla e appoggiò l’estremità della canna in mezzo alla fronte di Lock. ‘Ty? Ascolta, non c’è bisogno che resti nei paraggi...No, ho trovato un’altra uscita. Ascolta, ho delle questioni da sistemare. Mi faccio sentire io tra qualche giorno.’ Una pausa. ‘No, amico, sto bene.’ Terminò la chiamata e Brand gli tolse di nuovo il cellulare dalle mani, lo spense, e se lo infilò in tasca. ‘Ora, vuoi fare quel giro o no?’ ‘Ho scelta?’ ‘No. È come quel vecchio detto cinese. Sta’ attento a quello che desideri, perché potresti ottenerlo.’ Raggiunsero quella che Lock reputò essere l’entrata principale dell’edificio che, secondo Ty, assomigliava ad una prigione militare. Non c’era maniglia né
serratura esterna. Si apriva con un semplice click. ‘Non avete risparmiato sulle spese, eh?’ chiese a Brand. ‘Aspetta di vedere cosa ci teniamo dentro.’ ‘Oh, sono eccitato come un bambino la mattina di Natale’, rimpallò Lock. All’interno si apriva un corridoio. Era ampio circa un metro e mezzo e si estendeva per una decina di metri, terminando davanti ad una porta dello stesso genere di quella da cui erano appena entrati. I muri erano di semplice cemento sbiancato. ‘È qui che tenevi il bambino?’ chiese Lock a Brand. ‘Tu pensa a camminare.’ Raggiunsero la porta successiva e si fermarono. Brand spinse Lock di lato e lo superò. ‘Vado a prepararti la stanza.’ La porta si aprì con un click e Brand la attraversò, lasciando Lock con le due guardie. Giunto di là, Brand richiese un’altra squadra di due uomini, perché lo raggiungessero davanti alla porta di accesso di una delle celle. Ricevettero istruzioni di portare con sé anche il suo equipaggiamento antisommossa. arono cinque minuti. Poi dieci. Alla fine Lock udì dei i pesanti e una porta che si apriva, seguiti dal rumore di una lotta breve ma violenta. Poi la porta di fronte a lui si aprì di nuovo e Brand la attraversò, togliendosi il casco. Aveva profondi graffi che gli correvano lungo un lato del viso, ma stava sorridendo. ‘Ti va di incontrare il tuo nuovo compagno di stanza?’ Lock attraversò la soglia. Si fermarono fuori dalla cella di Mareta. Sul muro accanto alla porta c’era uno schizzo di sangue. Lock contò sei porte su ogni lato della stanza. Colpi e grida provenivano da dietro ognuna di esse, tranne una. Quella di fronte a loro. Brand tirò fuori di nuovo il telefono di Lock. Lo aprì.
‘Nessuno che vuoi salutare?’ Lock rimase dov’era e non rispose. Brand scorse i numeri. ‘Ecco qui. Che ne dici di Carrie?’ Poi si interruppe e si diede un colpetto sulla testa con il palmo della mano in un gesto di simulato disagio. ‘Che stupido. Avrei dovuto dirtelo prima. Non avrebbe senso chiamarla.’ Brand tenne il telefono sollevato in modo che Lock potesse vederlo mentre cancellava il suo numero. ‘Un pirata della strada. Il guidatore non si è neppure fermato. Uno stronzo con un Hummer.’ Lock scattò verso di lui. Lo colpì all’angolo del mento con il palmo della mano aperta, spingendogli il collo all’indietro e facendolo barcollare. Le grida provenienti dalle altre celle si intensificarono. Un manganello si abbatté dietro le ginocchia di Lock, e le gambe gli si piegarono. Dei puntini neri gli si materializzarono davanti agli occhi mentre riceveva un secondo colpo alla nuca. Poi sentì la porta che si apriva, fu tirato di nuovo in piedi e gettato all’interno. Atterrò a poca distanza dalla porta, e la sentì chiudere sbattendo. Poi percepì un suono metallico che si avvicinava attraversando il pavimento. Sbatté gli occhi diverse volte nel tentativo di schiarirsi la vista. Il suo Gerber era sul pavimento della cella, con la lama estratta. La mano di una donna si abbassò a raccoglierlo. Lui sollevò la testa. La donna era in piedi sopra di lui. Le dita della sua mano destra strette a pugno attorno al manico, con una presa a martello. Lock la guardò negli occhi e si preparò a ricevere il colpo.
Cinquantuno
Carrie dormì fino a tardi. La sua comparsa fuori programma la sera precedente significava che non era attesa al lavoro prima dell’ora di pranzo. Di solito si gettava direttamente sotto la doccia ma quella mattina si sentiva ancora l’odore di Lock addosso, e non voleva mandarlo via. In cucina, preparò la colazione per lei e per Angel. Entrambe spazzolarono i piatti in tempo record. Vagò per il soggiorno e accese la tivù. Alcune delle altre reti avevano ripreso la storia della Meditech. Stavano seguendo la sua scia, cosa che andava avanti dall’assassinio di Gray Stokes. Il mese successivo sarebbe stato un buon momento per chiedere il trasferimento in studio. Le piaceva la frenesia che comportava l’andare a caccia di una storia, ma sapeva anche che c’era un motivo se quelli che facevano il suo lavoro venivano paragonati a degli squali: bisognava continuare a muoversi, altrimenti si finiva uccisi. Sul ripiano della cucina il palmare lampeggiò. Lei lo prese e scorse le e-mail. Ce n’era una nuova di Gail Reindl che le comunicava i dati sugli ascolti. Gail voleva congratularsi con lei di persona non appena fosse arrivata in ufficio. Quel lavoro da conduttrice diventava sempre più vicino. Angel aveva preso posizione accanto alla porta e aveva cominciato ad abbaiare. Carrie tornò in camera, si infilò una tuta e si legò i capelli in una coda. Afferrò il guinzaglio di Angel dal ripostiglio accanto alla porta insieme ad una giacca, e scese le scale. Nell’ingresso, il portiere salutò entrambi. Fuori era ancora freddo, ma il cielo era di un blu luminoso e il sole splendeva. Il tempo rifletteva l’umore di Carrie. Raggiunse, metà correndo e metà camminando, la fine dell’isolato. Angel le trotterellava al fianco, superandola di tanto in tanto e tirando il guinzaglio, impaziente di arrivare al parco. Quando raggiunsero l’attraversamento pedonale, Carrie strattonò con forza il guinzaglio. ‘Ehi, sta’ buona.’
Il cane si fermò e la guardò dal basso. Il semaforo scattò, diventando verde. ‘Ora possiamo andare.’ Carrie scese dal marciapiede. Non notò neppure l’Hummer che ava con il rosso e sbandava nella sua direzione, quattro tonnellate e mezze di caos che procedevano a oltre sessanta all’ora, aumentando di velocità ad ogni metro d’asfalto che gli scorreva sotto le ruote. Sollevò lo sguardo solo all’ultimo minuto, e si trascinò di nuovo sul marciapiede con il cane mentre i cerchioni del veicolo grattavano il coperchio di cemento di un tombino. Un signore sulla sessantina, sul naso occhiali con lenti a fondo di bottiglia, le toccò il bracciò. ‘Sta bene?’ Il cuore le martellava nel petto. Aveva la sensazione che tutto il suo corpo stesse vibrando. Veniva dritto contro di me! Pensò. ‘Quelle dannate macchine non dovrebbero circolare!’ gridò l’uomo all’indirizzo dell’Hummer in allontanamento, mentre questo bruciava il semaforo successivo, rallentava, e svoltava a sinistra scomparendo dalla vista.
Cinquantadue
‘Amico, dovremmo prendere dei popcorn per questo spettacolo.’ Brand si comportò come uno che debba andare al lavoro all’inizio del quarto quarto del Super Bowl, e decida di registrare l’intera partita per poi guardarsela più tardi. Non appena Lock era entrato nella cella, aveva contattato via radio l’operatore CCTV per assicurarsi che il filmato della cella di Mareta venisse scaricato sul disco fisso. ‘L’hai ?’ L’operatore annuì. ‘Tutto pronto a partire. Questo qui’, disse, indicando lo schermo centrale in un gruppo di altri monitor. L’immagine era cristallizzata: Mareta, la vedova in gramaglie, che fissava il soldato ferito mentre lui avanzava strisciando verso di lei. ‘Cavolo, quando finisce, caricherò questa merda su Live Leak. Avanti, fa’ vedere.’ L’operatore premette il pulsante di riproduzione e Brand si chinò per godersi l’azione. Prima ancora che la porta della cella si aprisse, Lock aveva già capito un paio cose. Era evidente che Brand si stesse divertendo un mondo, e in un modo che andava ben oltre la soddisfazione che avrebbe tratto solo dalla sua reclusione. Quello che c’era dall’altra parte della porta stava regalando a Brand una cazzo di erezione. Da com’era stato concepito l’edificio, sia fuori che dentro, a Lock era chiaro che non fosse stato costruito solo al fine di evitare la fuga, ma anche per limitare e contenere i movimenti al massimo. Questo significava che gli occupanti erano ritenuti pericolosi per lo staff. Lock si era preparato alla lotta. Alla morte, se necessario. Sua o dell’altro uomo.
Poi Brand aveva gettato la bomba su Carrie. Brand si era aspettato, ovviamente, che la notizia mettesse Lock in ginocchio, ma aveva ottenuto l’effetto opposto. Lui si era sentito attraversato da un’ondata di energia, e insieme a quella, da una scarica di adrenalina. Anche nel suo stato fisico debilitato, aveva avuto la sensazione che la rabbia da sola l’avrebbe aiutato a venirne fuori. Quando aveva sollevato lo sguardo dal pavimento della cella per trovarsi di fronte una donna, la decisione era stata semplice. Natalya gettata nell’East River con un buco in testa. Carrie, vittima di uno sfortunato ‘incidente’. Due donne morte bastavano. Rimase immobile e aspettò.
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‘Sicuro che questa roba funzioni?’ chiese Brand, sbattendo la grossa mano accanto alla tastiera. Lock e la detenuta si erano a malapena mossi, sul nastro. Erano rimasti dov’erano, guardandosi a vicenda come in una qualche dannata situazione di ime messicana. ‘Sì, signore’, rispose l’operatore. ‘Manda avanti. Arriviamo all’azione.’ L’operatore spostò il mouse, trascinando in avanti la barra di scorrimento. La donna avanzò a scatti mentre Lock giaceva a terra. ‘Ok. Qui.’ Sullo schermo, Mareta poggiò a terra il coltello. Sempre a portata di mano nel caso in cui dovesse averne bisogno. Poi si inginocchiò accanto a Lock e lo aiutò a rimettersi in piedi. ‘Ma che diavolo?’ esplose Brand. Era arrivato a metà del primo quarto solo per
trovare uno degli uomini della linea difensiva che faceva irruzione e cominciava a ballare il valzer con il quarterback avversario.
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Mareta aveva sentito gli uomini avvicinarsi. Anche dopo tutto quel tempo, non era stata in grado di sfuggire alla sensazione di paura stagnante che le invadeva la mente quando sentiva aprirsi la porta della cella. Si era irrigidita, poi aveva rilassato completamente il corpo. C’erano meno probabilità di rompersi un osso, se si rimaneva rilassati. I lividi e le ferite erano un conto, ma aveva ato tre mesi in una prigione di Mosca con la tibia rotta e nessuna assistenza medica. L’osso si era saldato da solo, ma le aveva lasciato un’andatura claudicante e il ricordo di un dolore intenso. Gli uomini avevano fatto irruzione all’interno, uno alla volta. Il più grosso di loro l’aveva trascinata fuori dal letto e le aveva sbattuto le spalle contro il muro. L’altro uomo le aveva portato le mani all’altezza della vita afferrandole i polsi con una mano, mentre con l’altra si rovistava nella tasca. Si sentì un click e una delle sue mani fu libera. Lei aspettò che le liberasse l’altra, poi gli graffiò la faccia. Sentì la pelle che le si infilava sotto le unghie. Cercò di afferrargli i capelli, ma erano troppo corti. L’uomo le urlò contro, chiamandola cagna e dandole un pugno in faccia. Sotto l’impatto del colpo era caduta a terra. Uno degli uomini le si era seduto sul torace, l’altro sulle gambe, mandandole un lampo di dolore lungo la gamba sinistra, quella che si era rotta a Mosca. Aveva sentito le catene alle caviglie cadere rumorosamente a terra mentre le toglievano anche quelle. Poi gli uomini erano usciti dalla cella, e lei era corsa verso la porta mentre si chiudeva, prendendo a pugni il rivestimento d’acciaio. Aveva sentito una porta aprirsi e sbattere nel chiudersi di nuovo. Poi erano tornati, avevano aperto di nuovo la porta, e gettato un uomo all’interno. Era vestito normalmente. Sembrava americano, o almeno come lei pensava che apparissero gli americani quando non erano in uniforme. Aveva i capelli più corti delle guardie, e una cicatrice recente che gli correva lungo la testa. Aveva
spostato lo sguardo dal coltello verso di lei, ma non si era mosso in quella direzione, nemmeno quando lei si era chinata a raccoglierlo. I loro occhi si erano incontrati. Non c’era paura nel suo sguardo. Lei reggeva il coltello con fermezza, come le aveva insegnato suo marito. Lui continuava a non muoversi. Erano rimasti in quella posizione per quella che le era sembrata un’eternità. Aveva la sensazione che lui fosse conscio del coltello, anche se non l’aveva mai guardato. Nemmeno una volta. Poi, alla fine, l’uomo aveva preso la parola. ‘Non ho intenzione di lottare con te. Quindi, se vuoi farlo, facciamola finita.’ Lei aveva spostato lo sguardo dall’uomo all’occhio immobile della telecamera posizionata nell’angolo, aveva messo giù il coltello e gli aveva porto la mano. Lui l’aveva presa, e lei l’aveva aiutato a rimettersi in piedi.
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Nella sala di controllo, Brand si era stancato della scenetta stucchevole. ‘Ok, a in diretta.’ L’operatore premette un tasto. Lo schermo diventò nero. Ripeté il gesto. ‘Che succede? Qual è il problema?’ chiese Brand, agitato. ‘Non riceviamo segnale da quella telecamera.’ ‘Prova ancora.’ ‘L’ho appena fatto.’ Brand diede un calcio al muro in preda alla frustrazione. Mezzora prima la cella era occupata da una donna sola, ammanettata, e con i ceppi ai piedi. Ora c’erano lei, Lock e un coltello. Che diavolo era andato storto?
Cinquantatré
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Lock porse di nuovo il coltello a Mareta – una calcolata dimostrazione di fiducia di cui sperava di non doversi pentire. Se aveva intenzione di uscire da lì, aveva bisogno della sua collaborazione. Un allarme che suonava in sottofondo da cinque minuti si zittì. Lock ispezionò la cella, esaminando la sua struttura da ogni angolazione. Mareta lo osservò. ‘L’unica via d’uscita è attraverso la porta’, gli disse. ‘Parli inglese? Scusa, domanda stupida.’ ‘Loro non sanno che li capisco’, continuò lei, annuendo in direzione della telecamera che giaceva a pezzi sul letto. ‘Chi sei? Perché sei qui?’ ‘Mi chiamo Mareta Yuzik.’ Quell’informazione da sola era in grado di rispondere praticamente ad entrambe le domande. Lock non avrebbe riconosciuto il suo volto, perché erano in pochi ad averlo visto. E la maggior parte di quelli che l’avevano fatto, erano morti. Ma, sicuro come la morte, conosceva il suo nome. Di fatto, quel nome gli mandò un fremito involontario su per la schiena fino alla base del collo. Mareta era la più nota tra le vedove nere della Cecenia, donne i cui mariti erano stati uccisi dai Russi e che operavano come donne kamikaze nella sanguinosa guerriglia cecena per ottenere l’indipendenza dalla madre patria. Il marito di Mareta era stato un famoso signore della guerra ceceno. Ma non era quello che la rendeva eccezionale. Quello che l’aveva resa una figura di spicco, era il fatto che aveva rinnegato il martirio per assumere il comando del gruppo di combattenti precedentemente guidati da suo marito.
La banda di Mareta aveva ato gli ultimi anni a provocare stragi. I momenti più bassi riguardavano il massacro in massa di alcuni tra i principali pezzi grossi di Mosca durante uno spettacolo al Bolshoi. Mostrando una consapevolezza spaventosamente accurata della teatralità necessaria per farsi notare come terrorista nell’epoca moderna, Mareta aveva dato avvio alle danze decapitando personalmente la prima ballerina sul palco. Naturalmente, dove stavano i nuovi ricchi della Russia, c’erano anche le relative guardie del corpo. C’era stata una sparatoria, durante la quale le rispettive squadre di protezione ravvicinata avevano fatto fuori più clienti gli uni degli altri di quanto fossero riusciti a fare i ceceni. Il tutto si era concluso con un’enorme esplosione. Proprio in quella nuvola di fumo, Mareta e i suoi camerati erano scomparsi, dando vita a speculazioni che sostenevano che l’intera vicenda fosse stata una messa in scena da parte del Cremlino, che aveva visto uno dei propri maggiori avversari politici finire ucciso durante lo scontro. Gli uomini dell’apparato del PCUS l’avevano considerata una coincidenza positiva. I successivi trascorsi di Mareta non erano stati meno meritevoli delle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. I suoi combattenti avevano fatto irruzione in un asilo nido appena oltre il confine della Cecenia e tenuto in ostaggio due dozzine di bambini prima di massacrarli a sangue freddo, registrando gli eventi per i posteri. Ancora una volta, Mareta era scomparsa nella notte prima che l’edificio fosse invaso dalle forze speciali russe e la maggior parte dei suoi guerriglieri uccisi. Fu questa seconda fuga a valerle il soprannome di Fantasma sui mezzi di informazione russi. C’erano stati numerosi avvistamenti di lei da allora, anche nel Nord dell’Iraq, in Pakistan e nella provincia di Helmand. La sua comparsa lì, però, le batteva tutte. Lock decise di seguire la guida di Mareta e di far finta di nulla. ‘Sai perché sei qui?’ ‘Per morire’, disse lei, come se fosse un dato di fatto. ‘Anche le altre persone che hanno portato qui vengono dal tuo paese?’ ‘Qualcuno. Alcuni da altri posti.’ Con la punta del coltello, stuzzicava un chiodo sul muro. ‘Ora, permettimi di farti la stessa domanda che hai fatto a me. Perché sei qui?’
‘È una lunga storia.’ Mareta si guardò attorno nella cella. ‘Forse anche il tempo che abbiamo è lungo.’ Lock si fidava della sua nuova compagna di cella più o meno quanto si fidava di Brand, quindi le fornì una versione rivista degli eventi, dicendole che era un giornalista investigativo che voleva vederci chiaro sulle attività di una compagnia farmaceutica. ‘Voi avete dei giornalisti investigativi, giusto?’ ‘Investigativi?’ lei accarezzò la parola con le labbra, come se fosse la cosa più strana che avesse mai sentito. ‘Sì, abbiamo gente così. Il governo li uccide.’ Era chiaramente una di quelle ragazze che vedevano sempre il bicchiere mezzo vuoto. ‘Quindi, mentre stavo dando un’occhiata in giro’, continuò Lock, ‘mi hanno trovato e pestato. Immagino che mi abbiano gettato qui nella speranza che tu finissi il lavoro.’ Mareta ascoltò con calma. Camminò fino alla porta, poi rifece il percorso inverso, tracciando figure nell’aria con la lama del coltello. ‘Allora, perché credi che io sia qui?’ ‘Vuoi dire, che cosa può volere una compagnia farmaceutica da te?’ ‘Sì.’ ‘Credo che tu sia un porcellino d’India.’ ‘Un porcellino d’India?’ ‘Già. Hanno intenzione di usarti per vedere se la roba su cui stanno lavorando è sicura da usare sugli umani.’ ‘Di che si tratta?’ ‘Questo non lo so.’ A dire la verità, aveva un paio di idee. La presenza di Mareta lì doveva essere
stata approvata ai livelli più alti. Forse era un accordo privato tra i governi. Forse la Meditech stava sviluppando qualcosa che i russi pensavano potesse farla aprire ad un interrogatorio. Sia la CIA che il KGB avevano dato la caccia ai cosiddetti sieri della ‘verità’ durante la Guerra Fredda, qualsiasi cosa a partire dal pentotal sodico fino ad uno scioglilingua più ortodosso come il whiskey, o a una foto del bersaglio in una situazione compromettente. In un mondo dove un servizio di intelligence di qualità poteva salvare migliaia di vite, qualcosa di infallibile avrebbe avuto un valore superiore al suo peso in oro. ‘Allora, per quale giornale lavori?’ chiese Mareta. ‘Sono un freelance’, rispose Lock. Era una bugia solo a metà, ma l’espressione di Mareta diceva che non se l’era bevuta – e nemmeno lui, per quel che valeva. In fondo, però, immaginava che non fosse una brutta cosa essere un disastro a fare finta di niente. Mareta smise di muoversi per la cella e si avvicinò a Lock. Teneva la punta del coltello a una trentina di centimetri dal suo occhio destro...non abbastanza vicino perché lui potesse toglierglielo dalle mani. ‘E se dicessi che non ti credo?’ Lock fece del suo meglio per non battere le palpebre. Sapeva che mettersi a discutere l’avrebbe reso ancora più sospetto. ‘Non c’è molto che io possa fare al riguardo.’ Lei mantenne la punta del coltello nella stessa posizione. ‘Ci hanno già provato in ato. A Mosca. Mi hanno messo in cella con un’altra donna. Mi sono assicurata che non potesse più avere figli. E, all’epoca, non avevo un coltello.’ ‘Sei stata catturata?’ ‘Due volte. E due volte sono scappata.’ Lock guardò il coltello, poi portò di nuovo lo sguardo su Mareta. ‘Allora, se pensi che io sia una spia, perché non mi hai già ucciso?’ ‘Ottenere informazioni da qualcuno è un processo che va in due direzioni. Ho imparato più io, da chi si occupava dei miei interrogatori nel corso degli anni, di quanto non abbiano imparato loro da me.’
‘Non dire cazzate.’ ‘Non usare questi termini, per favore.’ Lock si prese un appunto mentale. Le piace: decapitazione in pubblico. Non le piace: linguaggio inappropriato. ‘Forse mi assicurerò che neppure tu possa più avere figli.’ Fece scivolare il coltello lentamente sotto il suo viso, scendendo in basso fino a fermarsi all’altezza dell’inguine.
Cinquantaquattro
Lock sedeva sul pavimento con la schiena appoggiata al muro della cella. L’unica cosa che gli mancava per completare il look alla Steve McQueen era una palla da baseball. ‘Allora, come pensi che dovremmo chiamare i nostri figli?’ Mareta, che era sul letto, gli puntò di nuovo il coltello in direzione della faccia. ‘Tu parli troppo.’ ‘Cerco solo di are il tempo.’ ‘Dovresti pensare a come uscire da qui.’ ‘Pensavo che te ne occui tu.’ Lei lo guardò dritto in faccia. ‘E perché dovrei?’ Dannazione. Nulla di quello che aveva detto Lock da quando era entrato nella cella, aveva suggerito in alcun modo che conoscesse la sua reputazione, e quell’affermazione ci andava troppo vicino. ‘Hai detto che sei fuggita due volte dopo essere stata catturata, no?’ replicò, il pensiero che correva veloce. Lei sogghignò, e portò le gambe oltre la struttura del letto. Gli punzecchiò piano il braccio con la punta del coltello, come una casalinga che controlli l’arrosto per vedere se i succhi che ne escono sono chiari. ‘Tu non sei un giornalista’, disse. ‘Perché dici così?’ ‘Ne ho incontrati tanti.’ Lock richiamò alla mente un’altra storia in cui si riteneva che Mareta fosse stata pesantemente implicata. Sei reporter favorevoli al Cremlino inviati da Mosca per mostrare i risultati positivi degli sforzi bellici in Cecenia. La prima testa era stata
recapitata una settimana dopo al loro ufficio di Mosca in una grossa scatola marrone. Il giorno successivo, un’altra testa. Entro una settimana erano state rimandate indietro tutte. Poi cominciarono ad arrivare le mani. Ci vollero due settimane. In tutto, il processo richiese tre mesi. Uno stillicidio di dettagli raccapriccianti. Solo i cuori non furono rimandati indietro. Probabilmente, li avevano lasciati in Cecenia. ‘La maggior parte dei giornalisti sono grassi’, continuò Mareta. ‘Perché non fanno altro che tenere il fondoschiena appoggiato alla sedia e infilare il muso nel trogolo del governo.’ ‘Qui no, non sono così, signora mia’, disse Lock. ‘Noi abbiamo la libertà di stampa.’ ‘Anche in Russia. Sono liberi di dire o scrivere quello che vogliono. Ma chissà perché, quello che scrivono è quello che vuole sentire la gente che li paga. Una grossa coincidenza.’ Continuò a mantenere lo sguardo fisso su di lui. ‘Allora, chi sei?’ Non dava l’impressione di essere sul punto di abbandonare questa linea di interrogatorio, nell’immediato futuro. ‘Te l’ho già detto.’ ‘Vuoi dire che hai già mentito.’ ‘Senti, se vogliamo andarcene da qui tutti interi, dovremo fidarci l’uno dell’altra.’ ‘La fiducia richiede onestà.’ Lock dovette convenire su quel punto. Stava per infrangere la prima regola in caso di cattura: scegli una storia e attieniti ad essa. Ma quella non era una situazione normale. Tanto per cominciare, Brand non avrebbe esitato a bruciare la sua copertura, specialmente se avesse pensato che questo l’avrebbe fatto finire ucciso. Studiò Mareta. In una lotta diretta non ci sarebbe stata sfida, nonostante la sua reputazione. Ma lei aveva il coltello. Quelli che guardavano L’Ultimate Fighting Championship potevano anche parlare di ‘combattimento’ con il coltello, ma in
realtà una cosa del genere non esisteva. Esisteva solo il venir colpiti. Seguito a ruota dal morire dissanguati. ‘D’accordo, hai ragione’, ammise. Lei ascoltò con calma mentre lui le raccontava del suo lavoro alla Meditech e aggiungeva i dettagli che l’avevano portato lì, ad essere imprigionato nel complesso. Lei non disse nulla, rimase risolutamente priva di espressione, interrompendolo solo occasionalmente per chiedere dei chiarimenti in merito ad una parola o ad un’espressione che non capiva. L’unico momento in cui reagì alla storia di Lock, fu quando lui menzionò gli animalisti e la loro causa. L’idea in sé le sembrò assurda. Lock comprese il suo scetticismo. Per una che aveva assistito e messo in pratica l’omicidio di un essere umano, doveva essere un concetto estraneo. Valutò l’idea di ripeterle la citazione di Gandhi che gli aveva sbattuto in faccia Janice dal suo letto d’ospedale, ma ci ripensò. Terminò, e aspettò che Mareta dicesse qualcosa. Su di loro calò il silenzio. Di norma ne sarebbe stato contento, ma in quel momento aveva bisogno di un contatto. Raccontare la propria storia era il modo migliore che conosceva per stabilirlo. ‘E tu allora? Perché sei qui?’ ‘Tu sai già chi sono io’, replicò Mareta. ‘Sì, lo so.’ ‘Ma non sembri spaventato.’ ‘Dovrei esserlo?’ ‘Tutti hanno paura dei fantasmi.’ Lock ci pensò su. ‘Forse io sono diverso.’ Mareta studiò le pareti della cella, anche lei impegnata a riflettere. ‘È vero’, replicò. ‘Sei ancora vivo. E se vuoi restare tale, forse vorrai cominciare a pensare a come possiamo uscire di qui.’
Cinquantacinque
Lock fu il primo a sentire la porta all’estremità opposta del corridoio che si apriva. Fece cenno a Mareta di alzarsi in piedi. Si appiattirono ai lati della porta della cella mentre due coppie di i si avvicinavano, accompagnate dallo sferragliare di un carrello metallico. Il rumore metallico aumentò, seguito dalle grida di un uomo in una lingua che Lock non conosceva. ‘Che sta dicendo?’ ‘Sta chiedendo chi altro è qui.’ Mareta premette il viso contro la porta della cella, e gridò qualcosa in risposta. Lock capì che si trattava del suo nome. Nella sua lingua aveva un suono più gutturale, pregno di minaccia. ‘Proprio una bella riunione di famiglia quella che stai portando avanti’, osservò Lock. Mareta gridò qualcos’altro, stavolta forse in ceceno. Sentì l’uomo ridere, in risposta a qualsiasi cosa fosse quello che lei aveva appena detto. ‘Che gli hai detto?’ ‘Gli ho detto che ci saremmo lavati con il sangue dei nostri carcerieri.’ ‘Non mi stupisco che nei nostri locali non ci siano spettacoli di cabaret ceceni. Perché non gli chiedi in quanti siete qui, adesso?’ Lei gli gridò qualcosa, e l’uomo ruggì una risposta. ‘Dieci. Forse di più.’ ‘Che sta succedendo adesso?’ Mareta premette il viso contro il pannello apribile in fondo alla porta. Lock la afferrò per le spalle e la tirò indietro. Lei gli lanciò un’occhiataccia.
‘Se ti avvicini troppo, potrebbero aprire quella roba e spruzzarti una bella dose di spray al pepe’, la avvertì. Un altro scambio di grida. ‘È il momento del pasto’, spiegò Mareta a Lock. Come previsto, qualche istante dopo, lo sportello si aprì e venne spinto dentro un vassoio – di metallo, in modo da rendere difficile romperlo per procurarsi un’arma. A riempire gli scomparti incassati del vassoio, quello che Lock immaginò essere cibo standard da prigione. Due fette di pane. Succo d’arancia. Un qualche genere di stufato con del riso. Un quadratino di cioccolato da copertura di infima qualità, e una banana. Niente male. Meglio di quanto servivano in classe economica la maggior parte delle compagnie aeree con cui aveva volato. Prese una fetta di pane e porse l’altra a Mareta. Lei la respinse arricciando il naso. ‘Mangia prima tu.’ Immaginava che non si trattasse di un gesto di ospitalità da parte sua. ‘Non hai fame?’ ‘Non so che c’è dentro.’ ‘Quindi se si tratta di veleno per topi, vuoi che sia io a scoprirlo per primo?’ ‘Esattamente’, replicò lei. Lock poggiò di nuovo il pane sul vassoio. ‘Tu non pensi a questo genere di cose’, gli fece notare Mareta con un sogghigno. Aveva ragione. Lock non ci aveva pensato. Lei prese di nuovo il pane dal vassoio, ne staccò un grosso pezzo e lo ò a Lock. ‘Non mi hanno portata qui per avvelenarmi. Ma potrebbe esserci qualcosa per farci dormire.’ ‘Allora perché vuoi ancora che lo assaggi io?’
‘Vedrai.’ Lock prese il pane e se lo infilò in bocca. Mentre masticava con esitazione, sentì un sapore dolce riempirgli la bocca. Inghiottì. Fece un sorsetto di succo d’arancia per mandarlo giù. Aveva un sapore strano. Versò il resto del succo nello scomparto del vassoio. Un residuo granuloso galleggiò sul fondo. Con il dito lo fece vorticare in cerchio. ‘Avrebbero almeno potuto sborsare qualche soldo per un po’ di Roipnol. Quello si scioglie, almeno.’ Sedette sul pavimento con la testa appoggiata al cemento freddo. ‘Allora, che ci fa una ragazza carina come te in un posto come questo?’ le chiese Lock, la domanda mirata a dare il calcio d’avvio ad un po’ di conversazione e a combattere la frustrazione che Lock si sentiva crescere nelle ossa. ‘Non ti interessa.’ ‘È qui che ti sbagli. Voglio dire, parto dal presupposto che quando sei nata non eri la strega cattiva che ritiene accettabile ammazzare brutalmente dei civili.’ ‘Vuoi sapere perché ho tagliato la testa ad Anya Versokovich?’ Lock si strinse nelle spalle. ‘L’ho fatto perché...lei era lì.’ Lock era stanco, molto probabilmente più per la settimana frenetica che aveva ato e le conseguenze dei ripetuti sbalzi di adrenalina, che per la roba che gli era entrata in circolo con quel minuscolo sorsetto di succo. ‘Tutto qua? È questa la tua grandiosa spiegazione per aver decapitato la prima ballerina del Bolshoi?’ ‘È la stessa ragione che mi hanno dato i russi.’ ‘Che ti hanno dato per cosa?’ ‘Per quello che mi hanno fatto. Vuoi che te lo racconti?’ Lock riappoggiò la testa contro il muro della cella e chiuse gli occhi. ‘Certo.’
‘Sai della morte di mio marito?’ ‘Conosco la sua reputazione.’ ‘Stavo facendo il bagno ai miei due figli quando arrivarono. Mio figlio aveva quattro anni. Mia figlia tre. Quando il comandante dei russi non riuscì a trovare mio marito, lasciò due dei suoi soldati nella stanza con noi. Non voleva che in seguito qualcuno potesse dire che lui fosse stato lì.’ Con cupa prevedibilità, Mareta proseguì. Lock tenne gli occhi chiusi. Non era certo di aver voglia di guardarla mentre finiva di raccontare la sua storia. ‘Mentre uno dei soldati mi stuprava, l’altro puntava un coltello alla gola dei miei figli. Li obbligò a guardare. Quando il primo uomo finì, toccò all’altro. Poi mi legarono le braccia dietro la schiena e mi costrinsero a guardare. Prima annegarono mio figlio. E poi sua sorella. Dopo, fui portata al piano di sotto per parlare con il comandante. Mio marito aveva ucciso dei russi, ma cos’avevo fatto io? Quindi glielo chiesi, “Perché l’avete fatto?” E lui mi rispose, “Perché eri qui.”’ Lock aprì gli occhi. Il viso di Mareta era imibile. Privo di espressione. Solo gli occhi tradivano le sue emozioni. La voce di lui tremava leggermente quando parlò. ‘Cosa successe dopo?’ ‘Mi hanno lasciata andare, ma io li ho seguiti.’ ‘Li hai uccisi?’ ‘Fino all’ultimo.’ ‘Quando finirà tutto questo, Mareta?’ ‘Non finirà.’ ‘Lo sai che stavolta non c’è modo di uscirne.’ ‘C’è sempre un modo per uscirne’, disse lei, fissando lo sguardo nel vuoto. ‘Sempre?’
‘La morte è un modo per uscirne.’ ‘Vero, ma quello che non capisco è come mai sei sempre stata l’unica a riuscire a scappare, in ato.’ ‘È semplice. Più dai l’impressione di essere un duro, meno loro riescono a vedere.’ Un altro indovinello. ‘E che vuol dire?’ ‘Quando loro guardano in alto, io rimango bassa. Quando guardano in basso, io mi tengo alta.’ ‘Vuoi provare a tradurlo in inglese?’ Lo stesso accenno di sorriso. ‘Ci arriverai.’
Cinquantasei
‘Perché non possiamo semplicemente buttare dentro una granata, far esplodere tutto e lasciare a Dio il compito di occuparsi dello smistamento?’ chiese Brand. Stafford si voltò verso di lui. ‘Perché dodici è il numero minimo richiesto per la Fase Uno.’ ‘Allora troviamo un’altra persona’, replicò Brand. ‘E dove suggerisci di farlo, Colonnello? Tramite Craigslist?’ Stafford indicò lo schermo nero con un dito. ‘Portatemi laggiù. Parlerò con loro.’ Brand grugnì. ‘Lei non parla inglese, e non c’è verso che Lock sia così stupido da uscire fuori, con noi lì ad aspettarlo. E non abbiamo nemmeno il tempo di ridurli alla fame.’ ‘Allora troveremo un altro modo.’ Brand si strinse nelle spalle mentre Stafford marciava fuori dalla sala di controllo. ‘Non vedo l’ora di vedere quale.’ ‘Porta con te la tua arma’, gli gridò Stafford mentre procedeva a lunghe falcate. ‘Le armi da fuoco non sono ammesse nell’edificio di contenimento’, gli ricordò Brand, afferrando la sua Glock e seguendolo lungo il corridoio. ‘Fa’ un’eccezione.’ ‘Non credo proprio che sia una buona idea.’ ‘Loro hanno un coltello. L’hai detto tu stesso.’ ‘E che facciamo se si impossessano di una pistola?’
‘Non succederà.’ Qualche istante dopo arrivarono alla porta della cella di Mareta. Brand si sistemò a un lato della porta, Stafford dall’altro. ‘Dammi la tua arma’, disse Stafford. Brand tolse la Glock dalla fondina, tirò indietro il cane per armare un colpo e la porse a Stafford tenendola per la canna. ‘Non hai intenzione di entrare là dentro, vero?’ ‘No’, rispose Stafford, prendendo la Glock e puntandola alla testa del suo capo della sicurezza. ‘Ci andrai tu.’ Brand rimase calmo. ‘Non è da te.’ ‘Era da me quando ho ucciso Stokes’, disse Stafford. ‘Era diverso. Era stato tutto preparato per te. Dovevi solo premere il grilletto.’ Il polpastrello dell’indice destro di Stafford si contrasse nell’applicare una leggera pressione sul grilletto. ‘Che cambia adesso?’ Brand alzò le mani in segno di resa. ‘Ok, ok.’ ‘Vedila in questo modo’, disse Stafford. ‘Mi hai sempre ripetuto che Lock era quello che si metteva in mostra, mentre tu eri il vero campione. Questa è la tua occasione per dimostrarlo.’
Cinquantasette
‘Tutto bene?’ Carrie non si era nemmeno accorta che Gail Reindl fosse entrata in ascensore. ‘Bene. Perché?’ ‘Ti tremano le mani.’ Carrie finse un sorriso. ‘Intossicazione da caffeina.’ Gail osservò l’espressione di Carrie con sguardo interrogativo. ‘Sicura che sia tutto qui?’ ‘Qualche idiota con un Hummer è ato col rosso mentre stavo attraversando la strada. Non mi ha presa per un pelo. Sono un po’ scossa. Tra un attimo starò di nuovo bene.’ Gail fece una faccia alla che ci vuoi fare, ‘sta città è da pazzi. Le porte si aprirono e lei uscì, con molto sollievo di Carrie. Che altro c’era da dire? Che l’Hummer era proprio come quello che aveva investito la moglie di Gray Stokes, a parte il fatto che quello era nero anziché rosso. Che lei non pensava che fosse stato un incidente. Che qualcuno stava cercando di ucciderla. Che solo perché sei paranoica, non significa che loro non siano là fuori a cercarti. Da quando era uscito il film Network, completo di conduttore che abbaia in preda alla follia, l’unico modo sicuro al cento per cento per farsi buttare fuori come conduttore, era mostrare un qualsiasi segno di instabilità mentale. E Carrie non era ancora nemmeno arrivata a occupare quella posizione. No, se doveva parlarne con qualcuno, doveva farlo con Lock. Carrie si fermò al distributore dell’acqua. Uno dei produttori era lì per riempirsi la tazza di caffè. ‘Hai una visita’, le disse, annuendo in direzione della scrivania di Carrie.
La prima cosa che Carrie vide fu la sedia a rotelle, poi Janice Stokes. Prima che riuscisse a censurare il pensiero successivo, quello le era già balzato in testa. Sembra l’immagine della morte. Carrie si sedette, spostando la sedia in modo da trovarsi accanto a Janice. ‘Hanno arrestato mio fratello.’ ‘Con quale accusa?’ ‘Complicità in sottrazione di minore. Lock ci aveva promesso che se l’avessimo aiutato, ci avrebbe tenuto fuori da tutto questo. Don non reggerebbe la galera.’ ‘È stato lui?’ ‘No. E io devo tirarlo fuori da Rikers prima che gli succeda qualcosa di brutto.’ ‘Non sarebbe meglio parlarne con un avvocato?’ ‘L’ho già fatto.’ ‘E che ha detto?’ ‘Che dovrei aspettare finché non si arriva al processo.’ ‘Suo fratello potrebbe richiedere la custodia protettiva.’ ‘Che lo farebbe sembrare ancora più colpevole.’ ‘Scusa, non vorrei sembrarti scortese, ma cosa credi che potrei fare io?’ ‘Ho pensato che poteva sapere dov’è Ryan Lock, tanto per cominciare. Ho provato a chiamarlo, ma ha il cellulare spento. Non riesco nemmeno a mettermi in contatto col suo amico Ty.’ Carrie le credette. Aveva chiamato Lock subito dopo l’incidente con l’Hummer e aveva lasciato un messaggio vocale. ‘Non è insolito che Lock sparisca dai radar. Credimi, io lo so.’ Janice rimase un momento in silenzio, come se fosse impegnata a prendere una decisione. Poi lasciò scivolare il braccio al lato della sedia a rotelle e tirò fuori
una busta di carta. ‘Alcuni amici mi hanno aiutato a fare una cernita della roba dei miei genitori. Fino a ieri non ci ero riuscita.’ Porse la busta a Carrie. ‘Ryan mi ha chiesto se mio padre aveva qualcosa sulla Meditech. Sa, per costringerli a cambiare idea in merito alla sperimentazione sugli animali.’ Carrie infilò la mano nella busta e ne trasse un unico foglio di carta. In alto c’era stampato l’indirizzo di un link: www.er.tv/Meditech.
Cinquantotto
Il vassoio del cibo giaceva vuoto a un lato della porta, Mareta lì accanto, raggomitolata in posizione fetale. Ginocchia al petto, occhi chiusi. La mano destra infilata sotto il corpo a nascondere il coltello. Lock era disteso accanto a lei, ugualmente provato. Le gambe erano allungate in modo che una fosse quasi a contatto con la porta. Così, anche se si fosse appisolato, si sarebbe accorto quando fosse entrato qualcuno. L’ultima ora era stata di una calma mortale. Poi c’erano stati dei i in corridoio proprio lì fuori. Una persona sola, che si muoveva lentamente, tradita solo dall’acustica, che sembrava progettata per amplificare il minimo rumore. I i si interruppero. Una goccia di saliva scivolò dall’angolo della bocca di Lock, raggiungendo il pavimento. La porta sbatté contro le gambe di Lock. Lui si mosse, ma tenne gli occhi chiusi. ‘Ok’, sentì Brand bisbigliare. Altre due coppie di anfibi si avviarono lungo il corridoio a o svelto. Lock aprì gli occhi di uno spiraglio. Alla sua sinistra vide lo stivale di Brand che stava per calargli addosso. Lock fece scattare una mano all’infuori per afferrare la caviglia di Brand. Brand fece del suo meglio per mantenere l’equilibrio, ma rovinò a terra. Atterrò sopra Lock, colpendolo con il ginocchio al cavo oculare. Il coltello discese in una traiettoria ad arco, infilandosi nell’elmetto di Brand e recidendogli l’orecchio. Lui gridò e si strattonò il casco. Il lobo dell’orecchio gli pendeva da un lato della testa come un pesce appena pescato steso ad asciugare. Brand allungò il braccio in avanti, in direzione di Lock. Lock tentò di afferrargli il polso, ma non fu abbastanza veloce. Brand mosse rapido il braccio all’indietro trovando il viso di Mareta, che la gomitata spedì di nuovo sul letto a gambe
all’aria. Nel frattempo, lo spostamento del peso di Brand permise a Lock di sgusciare da sotto il corpo pesante dell’uomo. Le altre due guardie avevano quasi raggiunto la porta. Nel giro di un secondo sarebbero entrate. A quel punto, lo scontro sarebbe diventato una lotteria, solo la fortuna a decidere chi sarebbe morto e chi, invece, ce l’avrebbe fatta. E qualcuno sarebbe morto di certo. Lock scansò Brand da una parte e si lanciò contro la porta. Mareta attaccò Brand, affondando il coltello nella sua protezione inguinale. Lo tirò di nuovo fuori, ma non prima di prendersi un’altra gomitata in faccia. Uno dei suoi incisivi finì a terra. La tenuta corazzata di Brand la stava distraendo. Aveva la testa coperta da un elmetto rinforzato di Kevlar. Pannelli di protezione al collo e alla gola che arrivavano fino all’attaccatura del giubbotto vero e proprio. Le maniche rinforzate finivano direttamente nei guanti antitaglio. Dalla vita in giù, la protezione era ugualmente completa. Fino in fondo. Brand la colpì di nuovo. Lei schivò il colpo e si gettò ai suoi piedi. Lui la centrò con il ginocchio alla guancia fratturandole lo zigomo. Lei affondò il coltello con tutte le sue forze nella linguetta del suo stivale destro, perforando la pelle morbida e facendo penetrare la lama fino a raggiungere il piede. Stavolta fu Brand a gridare. Il clamore che proveniva dalle altre celle stava raggiungendo un livello critico. Quelle che Lock indovinò essere esortazioni alla vittoria e lodi divine creavano un sottofondo davvero surreale. Mareta si affrettò a voltarsi, portandosi alla schiena di Brand, le sue mani che ruotavano mentre manteneva una presa decisa sull’impugnatura del coltello che gli sporgeva dal piede. Poi mollò la presa e gli mise il braccio attorno al collo, strangolandolo. Stavolta era troppo vicina perché lui potesse colpirla con il gomito. Brand si dimenò mentre Lock cercava di farsi sentire al di sopra del frastuono. Da fuori stavano spingendo la porta per aprirla, e le sue forze si esaurivano di secondo in secondo. ‘Se entrate, lui è morto!’ urlò. La pressione si interruppe.
Lock si lanciò un’occhiata alle spalle in direzione di Brand, in piedi con Mareta alle sue spalle che teneva il braccio destro a garrotargli il collo e la mano sinistra sull’elmetto all’altezza della protuberanza del mento. Lock sapeva che, non appena la porta si fosse aperta, era pronta a ruotargli la testa fino a superare il punto di non ritorno per la prima vertebra cervicale. ‘Mantenete la posizione!’ Gridò Brand, con voce strozzata. ‘Dì loro di ritirarsi.’ ‘L’avete sentito. Fatevi indietro.’ Lock rimase alla porta. ‘Se vedo qualcuno, lui muore.’ Contò fino a dieci e poi la aprì. Diede un rapido sguardo. Libero. Il corridoio era completamente vuoto fino al cancello di sicurezza, che era chiuso. Rientrò nella cella e spogliò Brand di manganello, radio, taser, e dello spray al peperoncino che non aveva avuto la possibilità di usare. Il problema di quasi tutte le armi non mortali era che gli spazi ristretti le rendevano inutili. Non c’era spazio per ruotare un manganello, lo spray al peperoncino non era selettivo, solo il taser rappresentava una possibilità, ma una volta che veniva preso in mano poteva essere sottratto con facilità. Lock premette il taser contro la parte bassa della schiena di Brand trovando la fessura tra il giubbotto e la protezione inguinale. Mareta rilasciò la presa, e Lock premette il pulsante. Il corpo di Brand sussultò. ‘Merda. Quello per che cos’era?’ ‘Per la mia soddisfazione personale.’ Lock tirò fuori il jack dell’auricolare e del microfono dalla radio di Brand. ‘Ok, qual è la vostra frequenza di riserva?’ ‘Tre’, grugnì Brand. Lock sapeva che c’era sempre un canale di trasmissione alternativo per le comunicazioni, nel caso in cui quello originale venisse compromesso. Era qualcosa su cui ci si accordava in anticipo. A volte si modificava a incrementi predeterminati, di due o di tre. Di solito, i modelli erano facili da decifrare
perché dovevano essere mantenuti semplici quando il più grosso idiota in circolazione. ‘Sarà meglio che senta parlare, o ti toglierò quella corazza e lascerò che Mareta ci dia dentro col Gerber’, disse Lock mentre ava sul tre. Come previsto, era in atto una vera e propria bagarre tra le altre guardie. Le trasmissioni si sovrapponevano, inframezzate da scariche statiche. Lock abbassò il volume. ‘Non riuscirete mai ad uscire di qui, Lock.’ Lock colpì di nuovo Brand con il taser. Lui guaì di dolore. ‘Quando vorrò la tua opinione, te lo farò sapere’, replicò Lock. ‘Almeno puoi togliermi questo dannato coltello dal piede?’ rantolò Brand. ‘Ma certo.’ Lock si inginocchiò, estraendolo dallo stivale di Brand. Uscì con un risucchio e uno schizzo di sangue. Lui ripulì la lama e la tenne in mano. C’erano parecchie domande che da un po’ tormentavano Lock. Non solo a proposito di Josh – si era immaginato da solo la maggior parte della storia – ma sulla presenza di Mareta e degli altri. ‘Che ci fa lei qui?’ chiese Lock a Brand, indicandola con un cenno della testa. ‘È un soggetto per la sperimentazione. Devono testare la sostanza sugli esseri umani e lei era la cosa più vicina che siamo riusciti a trovare.’ Quella risposta strafottente fece guadagnare a Brand un’altra scarica ad alto voltaggio. ‘È per questo che è ancora viva?’ ‘Sostanzialmente sì.’ ‘E avete preso il figlio di Hulme perché pensasse che erano stati gli animalisti? Per spaventarlo abbastanza da farlo tornare a bordo.’
‘Non è stata una mia idea.’ ‘E che mi dici di Stokes?’ ‘Gli era giunta voce delle sperimentazioni sugli umani. Qualche virtuoso cittadino in seno all’azienda deve esserselo lasciato sfuggire. Ha usato l’informazione per fare leva nel negoziare l’accordo, ma sai già quanto alla compagnia piacciano le questioni irrisolte.’ ‘Hulme sa niente di tutto ciò?’ chiese Lock. ‘Ne dubito. Mi è sembrato piuttosto scioccato quando ha capito chi avrebbe rimpiazzato le scimmie.’ Brand lanciò un’occhiata a Mareta, in piedi, con la testa tirata indietro che si stringeva il naso per fermare il sangue. ‘E perché una cecena?’ ‘E che ne so. Probabilmente è stata presa in Medio Oriente. Ho pensato che avremmo preso per lo più qualche straccione col turbante o i rimasugli di Guantanamo Bay, ma i cuori teneri vogliono che si renda conto della maggior parte di loro.’ ‘D’accordo Brand. Come facciamo a uscire?’ ‘Te l’ho già detto Lock, non ce la farete. In questo esatto momento, questo posto è più blindato del buco del culo di un moscerino. Se anche superaste i nostri ragazzi, trovereste l’esercito sul perimetro.’ ‘Ma noi abbiamo te.’ ‘Capirai. Sono rimpiazzabile tanto quanto te. Non appena avranno visibilità, ti accenderanno come un albero di Natale.’ ‘Meglio togliere quelle protezioni, allora.’ Mareta e Lock tennero d’occhio Brand mentre si spogliava. Lock, sentendosi un po’ poco galante, afferrò la protezione ulteriore fornita dagli abiti di Brand e se li infilò sopra ai suoi, prima di infilarsi la tenuta antisommossa. Per il momento, tralasciò il casco. Si consolò pensando che Mareta era la persona più al sicuro tra loro tre. Lo garantiva il suo stato di soggetto per la sperimentazione.
Le chiacchiere via radio erano finite. Lock alzò il volume e aspettò. Proprio mentre si stava chiedendo se ci fosse stato un altro cambio di canale, si udì una scarica statica, poi la voce di Stafford si diffuse, sfrigolando, dal ricevitore. ‘Lock? Ci sei?’ Lock si portò il walkie-talkie alle labbra. ‘Ci sono.’ ‘Brand è vivo?’ ‘Siamo tutti vivi. Per ora.’ ‘L’esercito sarà qui tra cinque minuti.’ ‘L’esercito?’ ‘Esatto.’ ‘Non trascinarli in questa storia, Stafford. Se chiunque nell’esercito sapesse quello che stai combinando, ti lancerebbero da un elicottero sopra Teheran con una foto firmata di Dick Cheney attaccata alle mutande.’ ‘Cinque minuti, Lock. Ucciderò chiunque sia nella cella, se sarò costretto a farlo.’ ‘Stronzate. Hai bisogno della donna per fare numero.’ Stafford non replicò, cosa che parlava da sé. Lock si voltò verso Mareta. ‘Sei tu l’esperta di fuga. Che facciamo adesso?’ ‘Facciamo così’, rispose Mareta, tagliando la gola a Brand.
Cinquantanove
Stafford era in piedi in fondo al corridoio, la Glock di Brand, ormai calda, stretta in mano. Tre porte più giù, quella della cella di Lock si aprì e ne rotolò fuori un oggetto tondeggiante. Gli ci volle un momento per capire di cosa si trattasse. Gli occhi bendati. I capelli rasati. Una ferita irregolare che gli serpeggiava lungo il cranio. Era la testa di Lock. Quella pazza di una puttana aveva macellato Lock e aveva lanciato la sua testa in corridoio come fosse una palla da bowling. Lo stomaco di Stafford sobbalzò, e la sua cena da duecento dollari finì scodellata sulle sue sine Harris con cucitura da cinquecento dollari. Una figura emerse dalla cella, il volto oscurato dalla visiera del casco, mentre spingeva Mareta ad avanzare puntandole addosso il coltello. Il viso della donna era un disastro, aveva i capelli incrostati di sangue. ‘Bene, cazzo’, disse Stafford, facendo un gesto in direzione delle guardie che erano con lui perché aprissero la porta. ‘Ce l’ha fatta.’ L’uomo diede un’altra spinta a Mareta. Con forza. Lo slancio le fece attraversare la porta e la mandò a sbattere contro le due guardie. Che inciamparono cercando di afferrarla. Nel frattempo, l’uomo allungò una mano e liberò la Glock dalla presa di Stafford. Sbigottito, Stafford non cercò nemmeno di fermarlo. ‘Ce l’hai fatta Brand! Ce l’hai fatta!’ L’uomo gli puntò la pistola alla testa. Stafford incespicò nelle parole. ‘Ascolta, non c’è alcun bisogno di essere così arrabbiato. Sapevo che ce l’avresti fatta. Lock non è mai stato alla tua altezza.’ La visiera si sollevò verso l’alto. ‘Ah sì?’ chiese Lock, afferrando Stafford e premendogli la canna della Glock alla tempia.
Un grido provenne da una delle guardie mentre Mareta gli si lanciava contro, cercando di togliergli la protezione della gola. L’uomo sollevò la mano per allontanarla e lei gliela morse. Mentre l’arma di servizio della guardia finiva a terra con un tonfo metallico, l’altra mano di Mareta, che reggeva il coltello, si avventò contro il viso dell’uomo, scovando una breccia nella corazza e conficcando la punta del coltello dritta nell’arteria carotidea. Il sangue fuoriuscì con uno spruzzo irregolare che raggiunse la parete, colando in un rivolo denso, mentre il compagno dell’uomo cercava di metterla fuori combattimento. Lock tolse di mezzo Stafford, puntò la pistola verso il basso, e fece del suo meglio nel prendere la mira, considerando che stava usando il mirino metallico in uno scontro a distanza ravvicinata. Sparò un colpo singolo in direzione della gamba di Mareta. Lei mollò la presa, mentre le mani scendevano a toccare il punto dove era stata colpita. La guardia illesa la trascinò sul pavimento, strappandole il coltello e piantandole un ginocchio sulla schiena. Un secondo troppo tardi, Lock colse l’immagine di Stafford che si abbassava a raccogliere l’arma di servizio della guardia morente. Si voltò, rivolgendo la Glock verso Stafford, ma non prima che la guardia inginocchiata sopra Mareta fosse riuscita a puntare la sua arma direttamente contro il volto di Lock, privo di protezione. Lui percepì il puntino rosso del mirino laser che tracciava un percorso dalla sua bocca al centro del viso, fino a raggiungere il punto esattamente in mezzo agli occhi. Lentamente tolse le dita dal grilletto della Glock e la appoggiò con delicatezza a terra.
Sessanta
Nella struttura ospedaliera Lock veniva tenuto sotto sorveglianza, disteso su una barella. Dall’altra parte della stanza, Mareta era immobilizzata in modo simile, con la gamba ridotta ad un ammasso sanguinolento. Richard Hulme, che era stato reclutato come sostituto medico di pronto soccorso, era in piedi sopra di lei. ‘Com’è successo?’ chiese a Stafford, che stava percorrendo a grandi i la stanza. ‘Chiedilo al Ranger Solitario laggiù’, rispose Stafford, facendo un gesto in direzione di Lock. Lock appoggiò il mento al petto. Le uniche vere ferite che aveva erano i tagli e i lividi che si era guadagnato mentre lo pestavano dopo aver messo giù la Glock. Tutte le guardie erano state membri del distaccamento di Brand. Il lutto, in quel caso, si era manifestato sotto forma di pugni e calci che avevano accompagnato Lock per tutto il tragitto fino all’infermeria. Tuttavia, aveva notato Lock mentre subiva il pestaggio, non avevano alzato un dito su Mareta. Lei era una donna. Era ferita. Ma non credeva che quello li avrebbe fermati. Il fatto era che avevano bisogno di lei. E in quel momento, sperava, avrebbero avuto bisogno anche di lui il tempo necessario a tenerlo vivo ancora un po’. ‘Dunque, la buona notizia è che dubito che sarà necessario amputare’, disse Richard. ‘Ma dobbiamo portarla in una struttura di pronto soccorso vera e propria il prima possibile.’ ‘Non si può’, disse Stafford. ‘Dovrai darle qui una rattoppata. Possiamo farti avere tutto quel che serve.’ ‘Sono ati vent’anni dall’ultima volta che mi sono trovato davanti a una situazione del genere.’ ‘Allora sarà una buona occasione per rispolverare le tue abilità.’
‘Papà!’ Josh era in piedi nel vano della porta, affiancato da due guardie. ‘Scusate’, disse uno dei due, mentre l’altro cercava di spingere Josh fuori dalla stanza. ‘Ci è stato detto solo che il dottor Hulme era qui.’ Josh sfuggì dalla loro presa e corse da suo padre. ‘Che è successo a queste persone?’ chiese, fissando Lock e Mareta da sopra le spalle di suo padre. ‘Hanno avuto un incidente. Ma non ti preoccupare, papà ora sistemerà tutto. Perché adesso non torni nella tua camera?’ Una delle guardie si fece avanti per guidarlo fuori. ‘Forza, figliolo.’ ‘No, lascialo restare’, lo interruppe Stafford. Lock osservò Josh spostare alternativamente gli occhi da suo padre a Stafford, incerto su chi dei due dovesse ascoltare. Era la prima volta che vedeva il ragazzino, che non fosse in fotografia. La rabbia che provò al pensiero che Stafford l’avesse usato come pedina in quella situazione agì come un balsamo, lenendo il suo dolore. Dannazione. Avrebbe dovuto sparargli quando ne aveva avuto l’occasione e farla finita. Stafford rivolse nuovamente la sua attenzione a Mareta, facendo una smorfia davanti alla sua gamba ferita. ‘Va ancora bene per l’esperimento?’ chiese a Richard. ‘Sei uscito di senno? Certo che no.’ ‘Non potresti dare una sistemata ai risultati?’ ‘Aspetta un momento. Prima vuoi che approvi i risultati, adesso che li falsifichi?’ ‘Hai ragione. Ma così rimaniamo a corto di uno. Dovremo cercare qualcun altro che prenda il suo posto.’
Lock osservò lo sguardo di Stafford soffermarsi su Josh. ‘Mi chiedo se ci sia un qualche beneficio, a livello clinico, nell’osservare l’efficacia del vaccino in un gruppo di età diverso...’ rifletté Stafford a voce alta. Richard si piazzò tra Stafford e suo figlio. ‘Va’ all’inferno, Stafford.’ Lock si sforzò di sollevare la testa. ‘Potete usare me.’
Sessantuno
Carrie allargò a tutto schermo la finestra di RealPlayer sul suo computer. Lo schermo era nero, a parte un pulsante con un indicatore di ora/data nell’angolo in basso a sinistra. Se era corretto, il nastro era stato filmato a mezzanotte meno dieci, un mese prima che sparassero a Gray Stokes fuori dalla Meditech. Un testo bianco scorse sullo schermo. Qualcuno si era impegnato per mettere insieme quella roba. Carrie trasse un blocco legale giallo da un cassetto e si appuntò quello che diceva. PRIMA FASE DELL’ESPERIMENTO DI DH-741 STANZA PER LA SPERIMENTAZIONE ANIMALE DELLA MEDITECH REAZIONE DELL’ANIMALE SOGGETTO DEL TEST ESPOSIZIONE AL FILOVIRUS POST-VACCINAZIONE Quando il testo scomparve dallo schermo, ci fu un brusco stacco su un filmato video – tremolante, eseguito a mano, rubato. Metallo grigio invase lo schermo. La lenta zumata all’indietro identificò il grigio come quello della sbarra di una gabbia. Collegata ad un’altra sbarra. Poi Carrie riuscì a distinguere un macaco Reso col muso schiacciato contro la gabbia. Le zampe della scimmia erano strette alle sbarre, la bocca più spalancata di quanto sembrasse possibile. Gridava. Lacrime rosso sangue le colavano dagli occhi. Stava scuotendo le sbarre della gabbia. La telecamera fece una panoramica, cogliendo l’animale vicino che colpiva le sbarre con la testa, mentre contemporaneamente si artigliava gli occhi con le dita. Si sentivano provenire grida da ogni direzione. In una gabbia lì accanto, un altro Reso si contorceva. Inarcò la schiena e cadde, come attraversato da una forte scossa elettrica. Lineamenti quasi umani contorti dal dolore. Poi si inarcò ancora una volta, cadde all’indietro, e smise di muoversi.
La persona che stava girando il filmato avanzò lungo la fila. Un animale morto, o morente, dopo l’altro. Si udì il clangore di una porta pesante che si chiudeva, e i i di qualcuno che entrava. ‘Dottor Hulme?’ Poi lo schermo diventò nero.
Sessantadue
Tornato in cella, Lock cercò di dormicchiare, ma addormentarsi era reso del tutto impossibile dai ceppi alle gambe, dalle manette, dal corpo dolorante, e da un brutto caso di rimorso del compratore. Aveva deciso di sparare a Mareta seguendo l’impulso del momento, razionalizzando che non era il caso di sguinzagliarla a piede libero contro l’inconsapevole pubblico americano, ma non avendo lo stomaco – o il cuore – di uccidere una donna. Spararle, li teneva vivi entrambi, e gli concedeva tempo, ma per cosa? Quella era stata la sua opportunità di fuga migliore, probabilmente l’unica, e aveva mandato tutto a puttane alla grande. Il fantoccio poteva essere morto, ma chi tirava i fili era più vivo che mai. E immaginava che nemmeno Mareta stesse saltando dalla gioia. La porta della cella si aprì inaspettatamente e due guardie in tenuta antisommossa entrarono all’interno. ‘Rilassatevi. Non mi getterò su di voi’, disse Lock girandosi su un lato. ‘Anche se potrei rigettare.’ Lo tirarono in piedi e lo trascinarono fuori dalla cella. Lui aspettò che i pugni e i calci ricominciassero, ma non accadde. Il cancello in fondo al corridoio si aprì scorrendo e lui fu condotto a o di marcia attraverso di esso e fuori dall’edificio. L’acquoso, pallido sole invernale gli ferì gli occhi mentre veniva guidato attraverso uno spiazzo fino alla struttura medica. Lì trovarono altri cancelli, altre postazioni di sicurezza da superare. Alla fine, raggiunsero una stanza che Lock ricordava vagamente di aver attraversato qualche ora prima con Mareta, lungo il tragitto fino al reparto medico. Non c’erano barelle all’interno, solo un lettino da visita, una scrivania, e una sedia. Dietro alla scrivania era seduto Richard Hulme. Le guardie sollevarono Lock sul lettino.
‘Sarò al sicuro’ disse Richard. Le guardie non cedettero. ‘Siamo spiacenti, dottor Hulme, abbiamo degli ordini.’ Lock si chiese quanto sapesse, ogni guardia, dei fatti che avevano portato alla sua apparizione nella cella di Mareta. Dubitava che Brand avrebbe messo qualcuno, oltre ai suoi più fidati collaboratori, a parte del rapimento di Josh o del ruolo svolto da Lock nel cercare di rintracciarlo. ‘È completamente immobilizzato’, ribatté Richard. ‘Come abbiamo appena detto, siamo qui per garantire la sua sicurezza’, insisté la seconda guardia. ‘E lo apprezzo. E se vi eccitate alla vista di me che sottopongo un uomo adulto ad una visita medica completa, comprensiva di controllo alla prostata, allora sono affari vostri.’ ‘Prostata?’ chiese la prima guardia. ‘Mi infilerà un dito su per il culo’, replicò Lock. Le due guardie si scambiarono un’occhiata. ‘È incatenato’, sottolineò la seconda guardia, non apprezzando particolarmente l’idea di quello che sarebbe accaduto in quella stanza. ‘D’accordo, saremo proprio qua fuori, ma lasci la porta aperta. Se la chiude, entreremo.’ Una volta soli, Richard cominciò la visita, partendo da una valutazione visiva. ‘L’hanno pestata per bene.’ ‘Ho subito di peggio’, mentì Lock. Richard si avvicinò, chinandosi per controllargli le orecchie in cerca di segni di sanguinamento. ‘Crede che ci stiano registrando?’ bisbigliò. Poi si tirò indietro. ‘Sente dolore?’ ‘Credo che sia meglio partire da questo presupposto’, rispose Lock. ‘Ma finché rimane a un livello basso, credo che starò bene.’ Richard colse il suggerimento e abbassò la voce mentre proseguiva la visita. ‘Senta, conosce la procedura per questo esperimento?’
Lock si strinse nelle spalle. ‘Ha importanza?’ ‘Nel suo caso, sì. Le somministrerò un placebo, ma voglio che lei reagisca come se avesse una reazione violenta subito dopo che gliel’ho dato.’ Alzò di nuovo la voce. ‘Può sollevare le braccia, per favore?’ ‘E gli altri? Sottoporrà anche loro all’esperimento?’ chiese Lock mentre Richard gli appoggiava lo stetoscopio sulla schiena. ‘Mi auguro di cominciare con lei.’ ‘È troppo rischioso, specialmente ora che tengono Josh qui.’ ‘Non possono prendersela con me se il vaccino non funziona.’ ‘Non crede che funzionerà?’ ‘No, io credo che lo farà, ma non ho intenzione di giocare a fare Dio con questa gente, a prescindere da chi siano.’ ‘Potrebbe non avere scelta, dottor Hulme.’
Sessantatré
Josh era disteso a letto e stava leggendo un fumetto, uno per bambini della sua età. Non come quell’album orribile. Aveva già scoperto che se si concentrava abbastanza a fondo su un altro genere di immagini, riusciva a togliersi dalla mente quelle fotografie. Ma gli sembrava di non riuscire a sbarazzarsi dell’odore del posto dove l’avevano tenuto. Era dappertutto. Quando suo padre entrò nella stanza, sollevò lo sguardo. ‘Cos’ha quella donna?’ ‘È rimasta ferita in un incidente.’ ‘Sembra che le abbiano sparato.’ ‘È andata così. Ma come ho detto, è stato un incidente. Ecco perché non devi mai prendere in mano una pistola, se ne vedi una.’ ‘Si è comportata male?’ ‘Sì, ma non è per questo che le hanno sparato.’ ‘Natalya si era comportata male?’ ‘No, non proprio.’ ‘Un pochino?’ Josh osservò suo padre dal basso, notando quanto sembrasse stanco. ‘Si è fidata della persona sbagliata, ecco tutto.’
––––––––
Mareta stava dormendo quando Richard andò a controllarla, il respiro lento ma
regolare. Lui allungò la mano a toccare quella di lei, ammanettata al letto. Mentre si svegliava, lei chiuse le dita attorno alle sue. La pelle era soffice e calda al tatto. Le sue pupille si dilatarono e si contrassero di nuovo, cercando di mettere a fuoco le immagini attraverso i fumi della morfina. ‘Yani?’ Yani era suo marito? Suo figlio? ‘No, sono il dottor Hulme. Sono venuto a vedere come sta.’ ‘La mia gamba, è riuscito a salvarla?’ ‘Sì, ma dobbiamo portarla in un ospedale vero e proprio.’ ‘Sa cosa ho fatto a quell’uomo?’ Richard aveva colto dei frammenti dalle conversazioni delle guardie su come Brand avesse trovato la morte. Ogni volta che il racconto veniva ripetuto, era più cruento della precedente. ‘Giudicarla non fa parte del mio lavoro’, disse. ‘Ho dovuto farlo’, sussurrò. ‘Mi avrebbe ucciso. Non ho avuto scelta.’ Lui studiò il suo viso, la carnagione olivastra, i tranquilli occhi castani, gli zigomi alti. ‘Si sente a suo agio? C’è niente che possa portarle?’ ‘Magari un po’ d’acqua.’ Richard attraversò la stanza, diretto al lavandino che si trovava all’angolo opposto, e riempì un bicchiere dal rubinetto. La aiutò a mettersi seduta e le portò il bicchiere alle labbra. Lei fece qualche piccolo sorso, poi sprofondò di nuovo tra i cuscini. ‘Grazie.’ Tentò di allungare la mano a cercare la sua, mentre le manette sferragliavano contro le sponde del letto. Con i polpastrelli, gli tracciò un cerchio sul palmo della mano. ‘Mi aiuti. Se rimango qui, morirò.’
Sessantaquattro
La lettiga di Lock, ammanettato e con le catene ai piedi, fu spinta attraverso una camera di equilibrio fino alla stanza della sperimentazione. Delle bocchette rosse per l’aria pendevano dal soffitto ad intervalli di un paio di metri. Le due guardie provviste di tuta anticontaminazione biologica che l’avevano spinto all’interno, eseguirono un ultimo controllo delle cinghie che lo immobilizzavano. Lock sollevò la testa appena in tempo per vederli tornare nella camera di equilibrio. Da lì stava sopraggiungendo un altro uomo in tuta anticontaminazione. Aveva un respiratore fissato sulla schiena. Richard Hulme aveva l’aspetto dell’astronauta più improbabile del mondo. Lock notò che a Richard tremavano le mani mentre appoggiava sul piano da lavoro tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno. Tamponi. Siringhe sterilizzate. Attraversò la stanza, dirigendosi verso quello che, agli occhi di Lock, pareva un sovraccarico frigo per la birra con controllo della temperatura attaccato al muro. Richard lo aprì, tirò fuori la prima di dodici fiale di alluminio, poi chiuse di nuovo lo sportello. Lock sapeva che il vaccino doveva essere tenuto ad una temperatura costante. Richard glielo aveva spiegato. Il piccolo indicatore di calore sull’etichetta ò dal rosso al blu non appena la temperatura aumentò di più di tre gradi. Su quella fiala c’erano due indicatori di calore. Il secondo l’aveva messo Richard, per indicare il contenuto come soluzione salina. Richard arrotolò la manica di Lock. Lock aveva assistito ad un numero sufficiente di esecuzioni nel corso della sua vita, da sapere che chi sta per morire dà raramente mostra di una grande isteria. Forse perché la loro mente è già andata, o magari perché gli è stato somministrato qualcosa che ne controlli l’emotività prima di farli entrare nella stanza. A Lock gli aghi non piacevano. Non gli erano mai piaciuti. Quindi distolse lo sguardo mentre Richard gli picchiettava il braccio con un tampone sterile. Una precauzione quasi comica, date le circostanze. Se Lock fosse morto, dubitava che la mancanza di igiene avrebbe svolto un qualche ruolo nella faccenda.
Un divisorio trasparente correva lungo una delle pareti. Vide Stafford che lo osservava. Mentre l’ago penetrava nella fiala, Lock gli mostrò il medio. Era quello che Stafford si sarebbe aspettato. E se Stafford osservava lui, non si sarebbe concentrato troppo su Richard. Sembrava che stesse funzionando. Con Lock immobilizzato dalle cinghie e una quantità notevole di potenza di fuoco a fare da cuscinetto tra loro, Stafford sorrise, agitando quattro dita in segno di saluto. Richard terminò di riempire la siringa. Premette lo stantuffo per far uscire eventuali bollicine d’aria. Mentre l’ago entrava in contatto con la pelle di Lock, Stafford fece un o in avanti e premette un pulsante sul quadro dei comandi davanti a lui. Si chinò per parlare nel microfono. La sua voce raggiunse la stanza della sperimentazione da un altoparlante fissato al muro. ‘Cambio di programma.’ ‘Ma...’ Richard cominciò ad obiettare. La camera d’equilibrio si aprì con un sibilo e le due guardie spinsero all’interno un’altra lettiga. L’uomo disteso su di essa aveva un’età indefinita, la pelle segnata dalla vita all’aria aperta e il viso quasi completamente nascosto da una folta barba. Stava borbottando tra sé e sé. Le guardie sistemarono la lettiga dell’uomo accanto a quella di Lock e si allontanarono. Richard esternò la sua irritazione stringendosi nelle spalle, e si allungò a prendere un’altra siringa. La voce di Stafford tornò a risuonare dall’altoparlante. ‘Non dovrebbe usare la siringa già piena, dottor Hulme?’ Richard prese in mano la siringa preparata per Lock e infilò l’ago nel braccio dell’uomo. L’uomo chiuse gli occhi con uno sguardo sereno degno di un tossico. Magari stava sognando tutte quelle vergini, si disse Lock. Richard premette sullo stantuffo, svuotò il contenuto della fiala, estrasse l’ago dal braccio dell’uomo e lo tamponò di nuovo. L’uomo aprì gli occhi. Il suo viso fu attraversato da una vaga espressione di disappunto. ‘Adesso Lock’, ordinò Stafford.
Richard aprì di nuovo il frigorifero, tirò fuori dalla confezione una siringa nuova, e la riempì con una partita di vaccino a virus vivo attenuato. I palmi di Lock si ricoprirono di una sottile patina di sudore. Si sentiva la bocca secca e un sapore metallico sulla lingua. Dall’altro lato del vetro, il volto di Stafford rimase imibile. ‘Pensa, Lock. Stai facendo la storia qui.’ Lock gli mostrò di nuovo il medio. Stavolta con tutto il cuore. Terminate le procedure preliminari, Lock tenne stoicamente lo sguardo fisso al soffitto. L’ultima cosa che voleva in assoluto era vedere l’espressione compiaciuta di Stafford. Nel sottofondo di dolore costante che il suo corpo stava già sopportando, percepì a malapena la puntura dell’ago. Sentì una vampa di calore diffondersi per il braccio. Troppo tardi, a quel punto, fare qualsiasi cosa a parte aspettare. Aveva pensato di attenersi al piano originale e fingere di avere un attacco, ma Stafford non l’avrebbe bevuta anche se tutti gli altri l’avessero fatto. Inoltre, non riteneva granché le sue doti d’attore. Un attimo dopo vide Richard che gli stava tamponando il punto di entrata dell’ago mentre una piccola macchia di sangue si allargava sul tampone. Richard lo fissò al braccio con un pezzo di nastro adesivo chirurgico. ‘Come si sente?’ gli chiese Richard. ‘Male come prima.’ ‘Bene, che entri il terzo concorrente’, disse Stafford, con tutta la vivacità del conduttore di un gioco televisivo. ‘Che succede adesso?’ chiese Lock a Richard. ‘Gli daremo ventiquattro ore, e poi verrai esposto all’agente vivo.’ ‘E poi?’ ‘Aspetteremo di vedere se il vaccino è efficace’, rispose Richard.
‘E se non lo è?’ Richard distolse lo sguardo. ‘Morirai.’
Sessantacinque
Ci volle più di un’ora per arrivare in fondo alla processione dei soggetti dell’esperimento. Portati dentro due alla volta, per risparmiare tempo, la maggior parte di loro si mostrò docile. Qualcuno un po’ meno. In un caso, molto meno: il soggetto numero undici stese una delle guardie con un devastante colpo di testa, la tipica strategia di attacco nel caso di qualcuno con braccia e gambe bloccate. Richard dovette iniettargli il vaccino sulla gamba. Nessuno dei soggetti, comunque, mostrò alcuna reazione al vaccino. Al termine, Richard raggiunse Stafford nella stanza di osservazione. ‘Bel lavoro.’ ‘Avrebbe potuto farlo anche un’infermiera a ore’, disse Richard mentre si toglieva la tuta anticontaminazione biologica. ‘Avrebbe potuto, ma è importante che tu ti senta parte della squadra’, disse Stafford. Fino a quel momento, Richard non se ne era reso conto. Facendogli eseguire in prima persona il semplice compito di iniettare il vaccino ai soggetti dell’esperimento, lui diventava un complice. Aveva abusato dei loro diritti umani quanto chiunque altro. Avrebbe potuto parlare di coercizione ma cos’aveva fatto la Meditech, a parte ‘salvare’ Josh dagli animalisti e poi tenerlo al sicuro? Qualunque accusa avesse mosso, a quel punto, sarebbe sembrata un modo per perorare la propria causa. Stafford aveva giocato splendidamente le proprie carte. ‘Non abbatterti in questo modo, Richard’, proseguì Stafford. ‘Se questa cosa funziona, pensa alle vite che potrebbero essere salvate.’ ‘E ai soldi che farai tu.’ ‘I soldi che faremo noi. Questa è un’impresa in collaborazione, ecco perché
abbiamo tutti delle opzioni di acquisto sulle azioni.’ ‘Ho finito qui?’ chiese Richard. ‘Per il momento.’ Richard tornò indietro, senza scorta, a cercare Josh. Nel complesso, a quel punto, si respirava una tangibile aria di sollievo. La tensione collettiva che era montata nei momenti precedenti alla fase di avvio dell’esperimento sembrava essersi dissolta. Anche le guardie che, dall’incidente con Brand, oscillavano a cavallo della linea sottile tra lo stato di iperallerta e la voglia di mettersi a sparare, sembravano essersi dati una calmata. Uno di loro era persino riuscito a mugugnare un saluto al aggio di Richard. Magari alla fine sarebbe andato tutto bene, si disse. Se il vaccino avesse funzionato, Stafford si sarebbe placato. Richard se ne sarebbe potuto andare. Avrebbe potuto dimenticare che tutta quella storia fosse mai accaduta. Attaccandosi a quel pensiero, aprì la porta della sua stanza. Josh era raggomitolato sotto il piumone. Si sedette sul bordo del letto e allungò una mano ad accarezzare la testa di suo figlio. Le sue dita, però, trovarono solo il cuscino. Freneticamente, lo tirò via, gettando contemporaneamente il piumino sul pavimento. Il letto era vuoto.
Sessantasei
Una luce sistemata sopra il letto disegnava un cerchio luminoso attorno a Mareta. Al di fuori c’era solo penombra. La guardia incaricata di occuparsi di lei se n’era andata. Da quanto aveva capito dall’odore del suo respiro e dal pallore della sua pelle, immaginò che fosse uscito per fumarsi una sigaretta. Ma lei non era sola. Accanto al letto, Josh si appollaiò su una sedia. ‘Che ti è successo alla gamba?’ chiese. ‘Voglio dire, cosa ti è successo veramente?’ ‘Un uomo mi ha sparato.’ Josh non reagì. ‘Era quello che pensavo. Perché ti ha sparato?’ ‘Per salvarsi.’ Si interruppe. ‘E, forse, per salvare me.’ Le sopracciglia di Josh si sollevarono mentre cercava di seguire la sua logica, senza riuscirci. ‘Ti annoi a restare qui distesa tutto il tempo?’ ‘Molto’, disse Mareta. ‘Anch’io.’ Mareta si voltò a guardarlo e gli sorrise. ‘Magari potremmo fare un gioco.’ Richard uscì di corsa dalla struttura degli alloggi mentre la guardia al suo fianco faticava a tenere il o. ‘Non si preoccupi dottor Hulme, lo troveremo. Probabilmente si è solo allontanato.’ Richard individuò Stafford mentre stava salendo in auto. Corse verso di lui. La guardia si frappose tra loro. ‘Che gli ha fatto?’ chiese Richard con veemenza.
‘Di che diavolo stai parlando?’ ‘Josh se n’è andato.’ ‘Questo gioco mi sembra difficile’, disse Josh, elencando le cose che doveva fare sulle dita della mano. ‘Pensavo che fossi bravo nei giochi...’ ‘Lo sono.’ ‘D’accordo, allora dimostramelo.’ Il mento di Josh scattò in avanti. ‘D’accordo, lo farò.’ ‘Allora, io conto fino a duecento’, disse Mareta, e chiuse gli occhi. ‘Fino a mille.’ ‘D’accordo, mille. Uno. Due. Tre...’ Josh si voltò e uscì di corsa dalla stanza. Una volta rassicurato Richard che l’avrebbe aiutato nella ricerca di Josh, Stafford si infilò nella sua auto e chiamò suo padre. ‘Procede tutto a meraviglia’, gli disse. ‘La fase uno è completata?’ ‘Finora il vaccino non ha mostrato alcuna reazione negativa.’ ‘Non era successo nemmeno con gli animali’, replicò Nicholas Van Straten freddamente. ‘Ma nel frattempo è stato rimesso a punto.’ ‘Che mi dici di Brand?’ ‘Che vuoi sapere?’ ‘Credevi che non mi sarebbe giunta voce, Stafford?’ ‘Abbiamo avuto un problema con la sicurezza. Ora è stato risolto.’
‘Facciamo in modo che la situazione rimanga questa. Mi stanno ricoprendo di merda per quel filmato.’ ‘Quale filmato?’
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In ato, Josh aveva già partecipato a delle cacce al tesoro, ma mai ad una in cui dovesse anche cercare di non farsi vedere. Era difficile. Specialmente con tutta quella gente che correva qua e là. Il bello era che, in realtà, doveva trovare solo un oggetto, sebbene non sapesse come avrebbe fatto a prenderlo. L’unica cosa che poteva fare era mettercela tutta. Mentre si infilava in una rientranza del corridoio, una delle guardie lo superò. Eccole lì, proprio attaccate alla cinta. Ma così non andava. Doveva trovare qualcuno che non le tenesse appese alla cintura. Lui sapeva dove le guardie dormivano quando non erano di servizio. Missy gliel’aveva mostrato il primo giorno che era arrivato. Forse poteva provare lì. La guardia spense la sigaretta mentre l’uomo con il camice bianco correva nella sua direzione. Uno di quegli scienziati, uno di livello piuttosto alto, se non ricordava male. ‘Stavo giusto tornando dentro, signore.’ ‘Dentro dove? Dove avrebbe dovuto essere?’ ‘Nel reparto medico.’ Richard afferrò la guardia per la manica. ‘Mi faccia strada.’ Josh porse le chiavi a Mareta. ‘A che numero eri arrivata?’ ‘Novecentonovantanove’, disse Mareta nascondendo le chiavi tra le pieghe del lenzuolo.
‘Caspita, ho fatto appena in tempo.’ ‘Sei stato molto bravo.’ La porta si spalancò e Richard irruppe dentro, fiancheggiato da due guardie. Strinse Josh tra le braccia, premendosi la testa di suo figlio contro la sua spalla. ‘Sta bene?’ chiese una delle guardie. ‘Perché non dovrebbe?’ replicò Mareta. ‘Stavamo solo facendo un gioco. Sono nei guai?’ la preoccupazione rendeva stridula la voce di Josh. ‘Non fare mai più una cosa del genere, mi hai sentito?’ lo rimproverò Richard. ‘Cosa credete che avrei fatto?’ chiese Mareta, tenendo ben stretto in mano il piccolo mazzo con le chiavi delle manette. Attese un’ora prima di chiedere alla guardia di avvicinarsi. ‘Potrei avere un po’ d’acqua?’ chiese, con voce rauca. ‘Certo.’ Le portò un bicchiere. Lei faticò a mettersi seduta. Quando lui le mise un braccio dietro alla schiena per sostenerla, lei sollevò la mano libera e gli infilò due dita negli occhi con tutte le sue forze. Con l’altra mano gli afferrò i capelli dietro la nuca, portandosi il viso dell’uomo così vicino da avvertire l’odore di tabacco sul suo colletto. Poi lo morse sul naso al massimo delle sue forze, strappandogli via con gli incisivi la punta carnosa e una striscia di cartilagine. Troppo vicino a lei per colpirla con un pugno, lui agitò le braccia. Con calma, deliberatamente, Mareta arrotolò un angolo del lenzuolo inzuppato di sangue e glielo infilò in bocca per soffocare le sue grida.
Sessantasette
Lock si svegliò di soprassalto, sorpreso da due cose. Era vivo, e la porta della sua cella era spalancata. Si mise in piedi a fatica e raggiunse il corridoio. Vuoto. Nessuna guardia in vista. Per un istante rimase fermo lì, nel tentativo di orientarsi. Aveva fatto la dormita migliore delle ultime settimane, anche se solo per un paio d’ore. Percepiva ancora un sapore metallico in bocca, ma per il resto, a parte i soliti dolori e fastidi, si sentiva bene. Udì un clic, e la porta accanto alla sua si aprì. Come per le porte esterne, doveva essersi trattato di un qualche tipo di dispositivo di disabilitazione a distanza. Ne uscì un uomo, lo stesso cui era stato iniettato il placebo diretto a Lock. Quello sbatté gli occhi allungando una mano per dare un colpetto sulla spalla di Lock, il contatto fisico necessario a rassicurarlo che non si trattava di un sogno. Un altro clic. Un’altra porta si aprì. Poi un altro. E un altro. In meno di due minuti erano emersi dalle celle tutti i soggetti dell’esperimento. Sembravano stare tutti bene. Si riunirono in piccoli gruppi, mentre alcuni si esprimevano con bisbigli pieni di urgenza. Uno di loro si avvicinò a Lock, con fare aggressivo. L’uomo che aveva ricevuto il placebo si frappose tra loro, e parlò all’aggressore. Quello indietreggiò. Il cancello in fondo al corridoio si aprì ruotando sui cardini. Con fare incerto, cominciarono tutti ad avviarsi in quella direzione. Uno degli uomini disse qualcosa e alcuni risero. L’uomo del placebo sollevò i polsi ammanettati e li zittì. Lock si portò in fondo alla fila mentre procedevano verso il cancello aperto. Non appena lo oltreò, il cancello si chiuse alle sue spalle. Gli uomini in fondo cominciarono ad agitarsi quando si serrò con un rumore metallico. All’estremità opposta del corridoio la porta si aprì con un click. La spinsero, e uscirono
nell’oscurità. Erano tutti e dodici ancora ammanettati e restituivano un’immagine piuttosto surreale mentre si trascinavano in avanti al chiaro di luna, l’aspetto di un gruppo di prigionieri incatenati l’uno all’altro, che si avviavano al lavoro notturno. L’uomo del placebo sembrò assumere una sorta di ruolo di comando. Sibilando, ordinò loro di sparpagliarsi, indirizzandoli di nuovo nell’ombra. Lock colse il momento, e si svincolò dal gruppo. Sapeva che, con la quantità di potenza di fuoco nelle vicinanze, rimanere in campo aperto era praticamente la peggiore idea possibile. L’uomo del placebo fece cenno a due degli altri di avanzare. Questi eseguirono, sporgendosi con cautela oltre l’angolo dell’edificio. Poi, all’improvviso, si fermarono. Lock si accorse che la guardia stava per svoltare l'angolo. Non perché ne sentisse i i, ma perché stava parlando alla radio, informando la sala operativa di aver controllato un settore e che stava per are al successivo. Procedura standard per il pattugliamento. Controlla e conferma. Controlla e conferma. Ripeti fino alla morte. Quasi certamente in senso letterale, nel caso di quel povero idiota. ‘Base, qui Leech. Giallo libero, mi sposto su rosso.’ Si sentì una pausa. ‘Base? Puoi confermare?’ Il fatto che la guardia non ricevesse risposta aveva senso. Le celle erano state aperte a distanza, e l’unico modo per farlo era dalla sala operativa. Lì attorno c’erano dodici di loro. Il che lasciava solo una persona fuori dai giochi.
Sessantotto
Quando Lock arrivò, la stanza era vuota. C’erano dei libri, qualche vestito del bambino, ma niente Josh. Per quanto non ci fosse sangue, né alcun segno di lotta, gli attraversò la mente il pensiero che i fuggitivi l’avessero raggiunto per primi. Raccolse una delle felpe del bambino e rimase lì, fermo, per un momento. Poi uscì, trovandosi puntata addosso la canna dell’M-16 imbracciato da un Hizzard dal volto pallido. ‘Mani e ginocchia a terra.’ ‘Hizzard, non abbiamo tempo per queste stronzate.’ La paura sembrava aver impostato Hizzard in modalità pilota automatico. ‘Come sei riuscito a scappare dall’edificio degli alloggi?’ ‘Mi sono teletrasportato.’ Hizzard gli diede un colpetto con il fucile. ‘Stenditi a terra.’ Lock gli agitò una mano davanti alla faccia. ‘Hizzard, sono io, Lock. Ti ricordi?’ ‘Tu sei un prigioniero. Io ho il compito di recuperare tutti i detenuti e riportarli alla struttura di alloggio.’ ‘Bene, buona fortuna. In questo momento hai dodici ceceni, o iracheni, o pachistani, o quello che diavolo sono, incazzati e a piede libero, e non abbiamo molto tempo per fermarli.’ Degli spari provenienti da armi di piccolo calibro misero il punto con precisione al condensato riassunto di Lock. ‘Come faccio a sapere che non stai mentendo?’ ‘Chi cazzo se ne frega se sto mentendo o no? Non hai capito quello che ho appena detto? Questa è una struttura di ricerca con un livello di biosicurezza 4 sul punto di venir requisita da una banda di terroristi. Dobbiamo agire subito o
moriremo tutti.’ Hizzard prese la radio. ‘Neanche quella ti servirà a molto. Credo che siano penetrati nella sala operativa. Non otterrai nessun aiuto da lassù.’ Il dubbio serpeggiò nello sguardo di Hizzard. ‘Base, qui Hizzard.’ La risposta fu una scarica statica vuota, poi una voce, femminile, con un accento particolare. ‘Hizzard, qui base. Esci fuori e poggia l’arma a terra.’ In altre circostanze, Lock si sarebbe magari concesso un sorriso nel vedere l’espressione alla oh merda attraversare il volto di Hizzard. Invece, gli tolse l’M16 dalle mani. ‘Hai un’arma di servizio?’ Hizzard sollevò il giubbotto. ‘Una Glock.’ ‘Meglio di niente, suppongo’, commentò Lock, impostando l’M-16 col selettore su colpo singolo e dirigendosi di nuovo all’esterno, Hizzard che lo seguiva con riluttanza. ‘Quante guardie ci sono in servizio?’ ‘Più o meno una dozzina.’ ‘Più o meno?’ ‘Credo.’ Una classica operazione alla Brand, pensò Lock. ‘E che mi dici delle armi? M16 e Glock?’ ‘C’è altra roba nell’armeria.’ ‘Aspetta un momento, soldato, quale armeria?’ chiese Lock, guardandosi attorno alla ricerca della porta che lo riportasse nel suo universo. ‘Quell’edificio laggiù.’ Attraverso le tenebre, Hizzard indicò un piccolo edificio tozzo a circa
quattrocento metri di distanza, posto tra altre due strutture. Lock aveva immaginato che si trattasse di un locale caldaia o di un’area per un generatore di scorta. ‘Hai accesso?’ Hizzard si toccò la cintura. ‘Certo, ho la chiave qui.’ ‘Grandioso.’ ‘Cosa?’ ‘Beh, se tu hai la chiave, immagino che ne abbiano una anche le altre “dodici o giù di lì” guardie.’ ‘Boh.’ ‘Vieni allora, Einstein, andiamo a dare un’occhiata.’ La porta principale era spalancata quando arrivarono, l’acciaio rinforzato del tutto inutile contro una profusione di chiavi. Parlare di lavoro da dilettanti non rendeva nemmeno l’idea. Lock lasciò che Hizzard entrasse per primo, poi lo seguì all’interno. Sparpagliate sul pavimento c’erano alcune scatole di proiettili assortiti, ma a giudicare dagli scaffali e dalle fuciliere vuote, sembrava che il posto fosse stato completamente ripulito. Il coperchio deformato di una grossa cassa metallica era bloccato a quarantacinque gradi. Hizzard lo aprì con uno strattone e guardò all’interno. ‘Oh, merda.’ ‘Che c’era dentro? Lanciamissili?’ chiese Lock. ‘No, qui era dove Brand teneva l’esplosivo al plastico.’
Sessantanove
Lock e Hizzard uscirono lentamente dall’armeria. Il silenzio era inframezzato da colpi di arma da fuoco. Svoltarono l’angolo, Lock che si allargava nel caso in cui i fuggitivi si trovassero proprio lì dietro, mentre Hizzard forniva copertura con la Glock, tesa nella mano destra. ‘Pulito’, sussurrò Lock un istante prima che uno dei detenuti entrasse con o strascicato nel suo campo visivo. Lock fece per sollevare l’M-16 che aveva requisito. Troppo tardi. Il detenuto l’aveva già avvistato. Il tempo per Lock rallentò. Hizzard stava svoltando l’angolo, ma non sarebbe arrivato in tempo. Poi, mentre il prigioniero gli offriva un sorriso sdentato e con il dito cominciava a percorrere, millimetro dopo millimetro, il viaggio sul grilletto, un buco gli si aprì in mezzo alla fronte. Barcollò in avanti, il proiettile che mancava Lock colpendo il vuoto, mentre Ty usciva dalla copertura alla loro sinistra. ‘Uno è andato, ne mancano undici’, disse, avviandosi in direzione dei prigionieri. Lock fissò il suo secondo in comando. ‘Sei rimasto lì tutto il tempo, non è vero?’ Ty ghignò. ‘Già.’ ‘Sei un grandissimo stronzo qualche volta, Tyrone, lo sai?’ ‘Che posso dirti, amico? Ho imparato dal migliore.’ Si voltò verso Hizzard che aveva ancora la Glock puntata sul prigioniero morto. ‘Come te la cavi, Hizzard?’ Lock rispose al posto suo. ‘Una bottiglia di whisky, un tubetto di pomata per le emorroidi, e il ragazzo sarà pronto alla battaglia.’ Ty fece rotolare il detenuto schiena a terra spingendolo con lo stivale. ‘Sì. Proprio morto.’ Lasciò che l’uomo scivolasse di nuovo a faccia in giù e colpì Hizzard con un pugno scherzoso alla spalla. ‘Non è divertente?’
Si udiva l’eco delle sirene in lontananza, e altri colpi di pistola provenienti dallo scontro vicino al perimetro. Avanzarono verso il loro obiettivo, la sala operativa, il cui ingresso si trovava a circa centocinquanta metri di fronte a loro. L’ultimo tratto a separarli dalla porta d’ingresso era in campo aperto. Lock non vedeva nessuno dei fuggitivi, né delle guardie, peraltro. Presumibilmente, i fuggitivi si trovavano all’estremità del complesso impegnati nello scontro, mentre le guardie di Brand erano rintanate da qualche parte, cercando di capire cos’era andato storto così all’improvviso. Lock lasciò Ty e Hizzard a fornirgli copertura, e si preparò a correre. Come quando si trattava di lanciarsi da un trampolino, sapeva di non doverci pensare troppo. Il segreto, che valeva per la maggior parte delle cose nella vita, era di mettere un piede davanti all’altro. In quel caso, il più velocemente possibile. Via. Si lanciò verso l’ingresso, consapevole solo del suo respiro e dei suoi i sul terreno. Dell’M-16 che reggeva con tutte e due le mani. Si aspettava di sentire il fuoco di copertura provenire da Hizzard e Ty, ma niente. Raggiunse la porta, si fermò a riempire d’aria i polmoni con tre grosse boccate, si inginocchiò, e puntò l’M-16, mirando ad un punto al centro dell’edificio più vicino. Fece segno agli altri due di muoversi. Osservare Ty che si avvicinava di corsa fu peggio che farlo in prima persona. Continuava ad aspettarsi il fischio di un proiettile tracciante o la detonazione di un singolo colpo. Niente.
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Ty e Hizzard si scambiarono un colpetto col pugno, la morte alle calcagna che forgiava un istantaneo spirito di squadra. All’interno, regnava il silenzio. Qualche sporadico schizzo di sangue segnalava il tragitto per la sala operativa. Lock e Ty li seguirono, lasciando Hizzard a piantonare l’ingresso.
La sala di controllo era circondata su tre lati da vetro rinforzato. Mareta si accorse a malapena della loro presenza mentre si avvicinavano. Lock vide anche Richard. Tra le braccia cullava Josh, addormentato. La sua visuale di tiro su Mareta era sgombra. Dubitava che la prima raffica avrebbe fatto breccia, ma una seconda avrebbe potuto, o una terza. Ma lei rimase imperturbata. Poi si alzò in piedi. Ty abbassò la pistola. Quando lei si voltò nella loro direzione, Lock ne comprese la ragione. Attorno al petto aveva una cintura esplosiva improvvisata. Strisce di C4, con quelli che sembravano chiodi, circondate da nastro telato e collegate l’una all’altra ad intervalli di un paio di centimetri, con un detonatore fermato all’altezza della vita. Lock aveva già visto cinture suicida, ma quella era diversa dalle solite per un dettaglio agghiacciante. L’esplosivo, in particolar modo quello dello stesso genere del C4, era difficile da reperire, quindi era usato con grande moderazione. A creare danno era il materiale di confezionamento inserito attorno alle cariche – cuscinetti a sfera, chiodi, viti più o meno grandi. A rendere diverso quel dispositivo era la quantità di esplosivo. Due o tre chili buoni. Mareta non sarebbe solo esplosa, si sarebbe polverizzata in una nebbia sottile. E molto probabilmente, chiunque altro nella stanza avrebbe fatto la sua stessa fine.
Settanta
Frisk era in piedi a centocinquanta metri dal perimetro del complesso e osservava le ombre scure che si muovevano velocemente tra un edificio e l’altro di là dal muro. Si guardò attorno in direzione dei gruppi di forze dell’ordine riuniti in piccoli cerchi. FBI. ATF. SWAT. Erano tutti lì, e ognuno di loro aveva un’idea diversa su come procedere. Sebbene la t Terrorism Task Force di cui faceva parte lui fosse stata incaricata di stabilire una chiara catena di comando, le vecchie abitudini erano dure a morire. Frisk sollevò lo sguardo nel vedere una figura solitaria che entrava nel cono di luce proiettato dai riflettori piantati dallo SWAT presso il cancello principale. La figura alzò le mani in un gesto di resa. Nel tentativo di vederci meglio, Frisk strinse gli occhi. Presto, la figura fu abbastanza vicina perché Frisk riuscisse ad indentificarla. ‘Figlio di puttana.’ Avrebbe dovuto immaginarlo. Un paio di agenti dello SWAT in tuta anticontaminazione corsero verso Ty con gli scudi antiproiettile tesi di fronte a loro e le pistole ai fianchi. ‘A terra!’ gridò uno di loro. Ty lì allontanò con un gesto. ‘Sentite, non sono stato esposto. Ma devo parlare immediatamente con qualcuno.’ ‘Gettati subito a terra o sparo!’ lo avvertì l’agente SWAT, gesticolando con la pistola nella sua direzione. Frisk osservò Ty assumere la posizione richiesta. Gli immobilizzarono i polsi con delle manette e lo trascinarono indietro verso il perimetro. Uomini e donne che avevano ato la vita ad affrontare il peggio che la razza umana avesse da offrire, di fronte a lui battevano in ritirata. Frisk lo seguì mentre Ty veniva condotto verso un Winnebago bianco. Tre i e si ritrovò all’interno. Era equipaggiato come un laboratorio mobile. Venne
accolto da altre due persone provviste di tuta anticontaminazione. ‘Ve l’ho detto, sono pulito.’ ‘Dobbiamo esserne sicuri.’ Ty offrì il braccio. ‘Quanto ci vorrà?’ ‘Trenta minuti.’ Uno degli uomini che indossavano la tuta gli prelevò un campione di sangue. ‘Questo ci dirà se ha contratto una delle dieci principali patologie emorragiche virali.’ ‘E se così fosse?’ ‘Verrà messo in quarantena e sottoposto a cure mediche.’ ‘Potete curare questa roba?’ ‘La maggior parte. A parte la variante dell’Ebola. Per quella non abbiamo ancora un vaccino.’ Dieci minuti dopo, Frisk fece il suo ingresso nel caravan, anche lui con indosso una tuta anticontaminazione. Ty lo salutò con un cenno del capo. ‘Tenuta niente male per un bianco’, disse, ‘anche se magari dovresti pensare a farti accorciare i pantaloni di qualche centimetro.’ ‘Avrei dovuto immaginare che tu e Lock foste immischiati in questa storia. Che diavolo sta succedendo qui?’ ‘Vuoi la versione lunga o quella corta?’ ‘Quella corta.’ Ty lo aggiornò. Ad ogni nuova informazione, il pallore di Frisk aumentava. Lui sapeva solo che si era verificato uno scontro a fuoco significativo presso una struttura di ricerca con livello di biosicurezza 4. ‘E perché ti hanno fatto uscire?’ chiese a Ty.
‘Ho un messaggio.’ ‘E qual è? Cosa vogliono?’ ‘Un impegno scritto del Presidente che gli garantisca lo stato di prigionieri di guerra secondo la Convenzione di Ginevra, insieme all’assicurazione che non verranno estradati. Ah, già, e una foto autografata di Will Smith.’ ‘Tutto qui, eh?’ chiese Frisk. ‘L’ultima parte è negoziabile. Credo che si accontenterebbero anche di Eddie Murphy, alla fin fine.’ ‘Sono contento di vedere che questa storia ti diverta, io però mi trovo circa sei livelli sotto a quello necessario per poter anche solo cominciare ad offrire impegni scritti con potere esecutivo.’ ‘Allora faresti meglio a cominciare a risalire la scala verso i piani alti.’ ‘Anche se dovessimo ottenere l’accordo, finiranno tutti in prigione per il resto della loro vita.’ ‘Lo sanno.’ ‘D’accordo, riferirò’, disse Frisk uscendo dal Winnebago. ‘Ma è tutto qui, giusto? Non c’è altro.’ ‘Tutto qui.’ Ty osservò Frisk lasciare il caravan. Sciolse le dita che aveva tenuto incrociate, e liberò un sospiro. Mareta aveva espresso un’altra richiesta, ma Lock gli aveva ordinato di non farne parola, per quanto Ty non avesse alcun bisogno di farselo ripetere. Non appena avesse ottenuto il nulla osta, Ty se ne sarebbe occupato per conto suo. A dirla tutta, non vedeva l’ora.
Settantuno
Ty trovò Carrie tra i furgoni delle emittenti che erano stati spinti al limite estremo di una strada di servizio. La buona notizia era che era pulito. La brutta, che doveva convincerla a dargli una mano in qualcosa che avrebbe potuto farli finire entrambi dietro le sbarre per il resto della loro vita. Non appena lo individuò, lei gli corse incontro. ‘Dov’è Ryan? Che succede laggiù?’ ‘Stai sbagliando, ragazza. Non dovresti invertire l’ordine delle domande? Sai, per il fatto che sei un membro della stampa e via dicendo.’ ‘Dimmelo e basta.’ ‘Si trova all’interno. Non direi che è esattamente in salvo, ma tutto sommato, sta discretamente bene.’ ‘Tutto sommato cosa?’ Ty la trasse sul retro del furgone. ‘Ha bisogno del nostro aiuto.’ Carrie fece un respiro e si concentrò. ‘Ok. Che genere di aiuto?’ Ty aveva già deciso di darle le informazioni poco alla volta. ‘Hai una macchina qui?’ ‘No.’ Lui tirò fuori un mazzo di chiavi. ‘Dannazione, dovremo usare quella di Lock, allora.’ ‘Ty, che sta succedendo?’ ‘Dov’è quello stupido cane che ha lasciato da te?’ ‘Nel furgone, addormentato.’
‘Dovremo portarla con noi.’ ‘Dove? Dove stiamo andando?’ Lei lanciò un’occhiata al furgone dell’emittente. ‘Sono in servizio qui. Non posso semplicemente prendere le mie cose e andarmene.’ ‘Ryan ha bisogno che tu faccia questa cosa.’ ‘Non mi hai ancora detto cosa vuole che faccia. E non vado da nessuna parte finché non lo fai.’ Ty poggiò la mano contro la ruota di scorta sul retro del caravan dell’emittente. ‘Ci ho ripensato, possiamo usare anche questo. Prenderemo due piccioni con una fava. Puoi avere la tua storia, mentre io vado a prendere ciò che devo.’ ‘Sei sordo? Non andrò da nessuna parte finché qualcuno non mi dice il motivo.’ ‘Allora molta gente morirà.’ ‘D’accordo, allora, ma almeno devi dirmi dove stiamo andando.’ Ty fece un cenno al cameraman di Carrie. ‘Salta su.’ Poi si voltò di nuovo verso di lei. ‘Stiamo andando a mettere l’azienda di fronte alle sue responsabilità.’
Settantadue
Mareta osservava le ombre scure che di tanto in tanto si muovevano rapide sui monitor, con lo stesso livello di interesse che un poliziotto in pensione relegato al turno di notte avrebbe dedicato ad un centro commerciale fuori città. Afferrò una manciata di analgesici, controllò l’orario che scorreva sullo schermo più vicino in basso a sinistra, ruotò sulla sedia, e sparò in faccia alla guardia accanto a lei. Josh si agitò nel sonno mentre Richard lo porgeva a Lock correndo verso l’uomo morente. Uno schizzo di sangue raggiunse il viso di Richard – una ricompensa ingrata per un atto comionevole. Lock mise la mano sulla nuca di Josh e si premette contro il petto il viso del piccolo. Nonostante l’apparentemente infinita capacità di assimilazione infantile, c’erano delle cose che era meglio rimanessero ignote. Mentre osservava Richard che si occupava della guardia morente, Lock sentì le braccia e le gambe di Josh irrigidirsi. Si allungò all’indietro il più possibile, cogliendo lo sguardo di Richard. ‘Lascia andare il bambino, Mareta. L’hanno già usato abbastanza.’ ‘Non farò del male al ragazzino.’ Mareta si interruppe. ‘Purché le mie richieste vengano esaudite.’ ‘Questo Paese non negozia con i terroristi.’ ‘Correzione. Non lo mostra. C’è differenza.’ ‘Ascolta, hai me, hai lui’, disse Lock indicando Richard. Lei fece un giro completo sulla sedia, mentre l’impeto del movimento faceva balzare in gola il cuore di Lock. ‘Questa situazione non è opera mia’, disse lei. Si sentirono dei movimenti provenire da fuori dalla sala di controllo. Uno dei detenuti, un giovane pachistano che gli altri chiamavano Khalid, condusse dentro
tre delle guardie della Meditech tenendole sotto tiro. Avevano le uniformi strappate e gli occhi che si chiudevano per le percosse ricevute. Mareta azionò il comando di sblocco della porta e gli uomini furono spinti dentro, obbligati a sedere sul pavimento. ‘Ok, facciamo un patto’, suggerì Mareta. ‘Appena il tuo amico ci consegna il carico, il bambino può andare. Ma nel frattempo, per ogni ora che a, uno di questi uomini morirà.’ Lock sapeva che discutere non l’avrebbe portato da nessuna parte. ‘Ti ho già spiegato che la cosa avrebbe richiesto almeno due ore. Ci vorranno solo per il viaggio, senza contare il recupero vero e proprio.’ Mareta sembrò pensarci su. ‘Allora moriranno solo due di loro.’
Settantatré
Due pastori tedeschi pattugliavano a denti scoperti la recinzione che circondava la proprietà di Nicholas Van Straten sulla Baia di Shinnecock. Ty infilò la mano in una busta di carta marrone, ne trasse una mezza dozzina di polpette di carne che avevano comprato lungo il tragitto da un confuso addetto in un fast-food, fece un o all’indietro e le lanciò al di là del cancello. I cani le annusarono con sospetto. Poi uno di loro, presumibilmente il maschio alfa, sollevò la zampa e ci fece la pipì sopra. Un attimo dopo l’altro seguì il suo esempio. Dunque i cani erano stati addestrati a mangiare solo quello che gli veniva dato dal loro padrone, risultato generalmente raggiunto tramite una forma di terapia avversiva piuttosto crudele che prevedeva che fossero colpiti con un bastone ogni volta che si avvicinavano troppo a del cibo che non gli fosse stato presentato da lui personalmente. ‘Piano B sia, allora’, decise Ty, tornando verso la macchina. Aprì il portellone posteriore e Angel saltò fuori. Carrie lo seguì. ‘Ehi, dove la stai portando?’ ‘Il trucco più vecchio del mondo. Non preoccuparti’, rispose, accarezzando Angel sulla testa, ‘le piacciono i cattivi ragazzi.’ Carrie incrociò le braccia. ‘Come fai a saperlo?’ ‘Beh, ha seguito Ryan, no?’ Carrie si guardò attorno. ‘Non dovrei nemmeno essere qui.’ ‘È il prezzo da pagare per avere lo scoop del secolo.’ Ty tolse il guinzaglio ad Angel, e lei trotterellò verso la recinzione. ‘Avanti’, mormorò Ty, prima di voltarsi di nuovo a guardare Carrie. ‘Qual è l’altro modo di raggiungere il cuore di un uomo, a parte prenderlo per la gola?’ ‘Questa cosa è così disgustosa.’
‘Ehi, è stata un’idea del tuo ragazzo, non mia.’ A quel punto i cani erano diventati frenetici, i nasi neri e umidi pressati contro la rete. Denti scoperti e latrati avevano lasciato il campo a code frementi e guaiti bramosi. Con gran sollievo di Ty, Angel contraccambiava, apparentemente appagata dalle attenzioni che riceveva da non uno, ma ben due vigorosi tedeschi. Uno dei cani cominciò a grattare con le zampe il terreno vicino alla rete, sollevando in aria zolle di terriccio. L’altro si unì al primo, e presto furono entrambi impegnati in una gara per stabilire chi sarebbe riuscito per primo a scavarsi un aggio per raggiungere Angel. I due cani impiegarono meno di dieci minuti a scavare una galleria sotto la rete che fosse abbastanza grande perché potessero strizzarsi e are dall’altro lato. Non degnarono Ty e Carrie di uno sguardo mentre si mettevano a girare attorno ad Angel, annusandola. Ty si mise al lavoro per creare un varco nella recinzione con un paio di tronchesi, poi si voltò verso Carrie. ‘Tutto chiaro quello che devi fare adesso?’ Carrie si avviò di nuovo verso il furgone del notiziario, parcheggiato poco lontano dai cancelli della proprietà. ‘Non ci vuole uno scienziato’, replicò. I due cani ringhiarono, e Ty si gettò un’occhiata alle spalle, temendo che avessero perso interesse per Angel. Sollevato, vide che si stavano fronteggiando l’un l’altro, presumibilmente per decidere chi sarebbe stato il primo. Angel sedeva scodinzolando e li osservava. Ty lasciò Carrie a godersi lo spettacolo in diretta e uscì dalla loro visuale scivolando nella bassa vegetazione. Mentre si faceva strada verso la villa, richiamò alla mente i sistemi di sicurezza del posto. I cani erano quello più evidente, e con ogni probabilità costituivano il deterrente più efficace, specialmente contro gli intrusi casuali. All’esterno della casa erano montati dei sensori di movimento. Luci ad infrarossi e telecamere a circuito chiuso fornivano una visuale a trecentosessanta gradi dell’area attorno alla casa. I membri del reparto di sicurezza controllavano il tutto dalla sala operativa, un locale convertito accanto a quelli di servizio a piano terra. Chiunque riuscisse ad avvicinarsi, sfuggendo al loro controllo, si sarebbe poi trovato davanti i sensori di contatto senza fili posti in tutti punti di accesso, e altri sensori di movimento presenti in ogni stanza, a parte le quattro enormi camere da letto e i corridoi. Di certo, nessuno voleva che scattasse una sirena da
centocinquanta decibel quando Van Straten si alzava per fare pipì nel cuore della notte. Ty arrivò a una cinquantina di metri dalla facciata della proprietà e si fermò. Le luci erano accese in due delle stanze sulla facciata anteriore. Fece un rapido calcolo mentale di quanto tempo avrebbe avuto a disposizione una volta all’interno. ò attorno ai sensori di movimento e si diresse verso il garage. Era adiacente alla casa, ma separato. Non c’erano telecamere lì. Né sensori di movimento. Forzò la porta per aprirla e penetrò all’interno. C’era odore di olio per motori e detergente. All’interno, tre auto erano parcheggiate nello spazio che avrebbe potuto comodamente ospitarne il doppio. La prima era una Mercedes 500SLK, dalla guida scorrevole. Ty la eliminò subito dalla lista. La seconda era di Stafford. Di bene in meglio. Ma non avrebbe usato nemmeno quella. Accanto al veicolo di Stafford troneggiava l’Hummer corazzato. Era nero, non il rosso fuoco che aveva visto in ato. Verniciato di fresco. Immaginò che dovesse essere quello usato nel tentativo di investire Carrie. Lei gli aveva raccontato tutto durante il tragitto. Tirò fuori il cellulare e inviò un messaggio di sei lettere al numero di Carrie: CH-I-A-M-A. Poi si infilò sotto l’Hummer e si mise al lavoro. ‘È quella stupida stronzetta dell’NBC’, disse Stafford, porgendo il telefono a suo padre, già alle prese con il terzo Scotch con ghiaccio. ‘Che cosa vuole?’ ‘Qualcosa a proposito di un problema con la sicurezza nell’area del cantiere navale.’ Van Straten strappò la cornetta dalle mani di suo figlio. ‘Parla Nicholas Van Straten.’ ‘Signor Van Straten, dove si trova in questo momento?’ ‘Perché?’ ‘L’FBI l’ha già contattata?’
‘No, perché avrebbero dovuto farlo?’ ‘Perché ovunque lei si trovi in questo momento, deve andarsene immediatamente. Sulla vita sua e di suo figlio pende una grave minaccia.’ ‘Signorina Delaney, posso assicurarle che ci troviamo ben al sicuro dove siamo.’ ‘Signor Van Straten, ha un televisore nella stanza?’ ‘Sì.’ ‘Allora lo accenda sulla NBC.’ Nicholas mosse le dita in direzione del telecomando sul letto. Stafford lo prese e lo lanciò a suo padre, che lo afferrò e premette il tasto corrispondente al canale. Lo schermo era diviso a metà. A destra c’era un ammasso di veicoli di primo soccorso filmati a distanza, ma riconoscibilmente parcheggiati vicino allo stabilimento della Meditech. La sinistra dello schermo era occupata dalla ripresa statica del cancello d’ingresso di casa loro. ‘Signor Van Straten?’ ‘Sono qui.’ ‘Inoltre, Ryan Lock vi raggiungerà a breve. Ho ricevuto una chiamata da parte sua un’ora fa in cui diceva di essere per strada, diretto verso di lei per parlarle. Mi è sembrato piuttosto arrabbiato...’ Carrie non riuscì a finire la frase prima che Nicholas Van Straten riagganciasse. Soddisfatta di non aver avuto la possibilità di concludere la sua bugia, tornò a rivolgersi al cameraman. ‘Ok, torniamo al cantiere navale.’ ‘Non concederà un’intervista?’ le chiese il cameraman. ‘Non è neppure qui’, mentì lei. L’uomo si strinse nelle spalle e cominciò a darsi da fare per mettere via l’attrezzatura mentre Angel trotterellava di nuovo verso di loro, ricoperta di sporcizia e scodinzolante.
‘Sgualdrina’, commentò Carrie, allungando il braccio verso l’alto per aprirle il portellone posteriore del furgone. Quando la porta laterale del garage si aprì, Ty si irrigidì. Un paio di stivali attraversarono la stanza fino a raggiungere l’Hummer. Si fermarono davanti alla portiera del conducente, proprio accanto a dov’era la testa di Ty. A Ty sarebbe bastato allungare la mano per toccarli. Attese che gli stivali raggiungessero l’altro lato del veicolo e cominciassero ad ispezionarlo. O che il viso del guidatore gli comparisse davanti agli occhi in modo che lui potesse piantargli una pistola davanti alla faccia. O che fe la sua apparizione lo specchietto estensibile, così che lui potesse afferrarlo, trascinare verso il basso l’uomo e soffocarlo con lo straccio che aveva infilato nella camicia. Ma non accadde nulla del genere. La situazione era andata a rotoli davvero velocemente da quando lui e Lock erano stati sollevati dal loro incarico. O l’autista aveva una fretta del diavolo. O magari entrambe le cose. L’Hummer emise un fischio quando il guidatore premette il comando a distanza, disabilitando l’allarme e sbloccando tutte e quattro le portiere. Ty osservò uno stivale sollevarsi sul predellino, la portiera aprirsi, e l’altro stivale unirsi al primo. La portiera del lato guida si chiuse con un tonfo. Ty si spinse con le mani, gattonando all’indietro, emergendo proprio a sinistra del portellone posteriore dell’Hummer. Tolse la pistola dalla fondina, pronta al fuoco, e si accovacciò, avanzando in quella posizione per i pochi i che lo separavano dalla portiera posteriore. La mossa successiva richiedeva un elemento concreto: velocità. Alzò la mano e afferrò la maniglia, aprì la porta e si lanciò dentro. L’interno dell’Hummer era grande abbastanza da permettergli di distendere il braccio senza che l’uomo al volante potesse raggiungerlo. Puntò la pistola alla testa dell’uomo. ‘Fa’ un respiro sbagliato, amigo, e ti consegno alla storia.’
Settantaquattro
Croft infilò lentamente la mano sotto la spalla ed estrasse la sua arma, una SIG 226. La porse, per il calcio, a Ty. Ty la sostituì alla Glock, infilandosi quest’ultima nella fondina come scorta. ‘Lascia le chiavi nel quadro d’accensione e scendi dal veicolo.’ Una volta che Croft ebbe eseguito, Ty gli gettò uno straccio. ‘Infilatelo in quel grosso buco che hai in mezzo alla faccia e voltati.’ Croft afferrò lo straccio e se lo infilò in bocca. Poi si voltò. Ty infilò le mani nelle tasche di Croft alla ricerca delle chiavi della Mercedes e le usò per aprire il bagagliaio. Spinse Croft in quella direzione. Croft entrò, sempre sotto la minaccia della pistola. ‘Non appena mi sarò allontanato a sufficienza, chiamerò il dipartimento di polizia locale e manderò qualcuno a tirarti fuori.’ Ty chiuse il bagagliaio sbattendolo e si mise alla guida dell’Hummer. Riprese la Glock dalla fondina e la ripose nel vano portaoggetti tra i sedili anteriori; la SIG, se la appoggiò sulle gambe. Poi sollevò il braccio, premette il comando di apertura del garage e uscì, chiudendosi la porta alle spalle non appena l’Hummer fu completamente fuori. Fece svoltare il veicolo, dirigendolo verso l’ingresso della casa. La porta si aprì e comparve una guardia. La cosa aveva senso. Si era aspettato una squadra di tre uomini: uno al volante, uno con l’incarico di guardia del corpo, e uno che restasse indietro e agisse da sicurezza residenziale, nel caso in cui dovessero tornare indietro in tutta fretta. La guardia era seguita da Nicholas Van Straten. Poi arrivò anche Stafford. Nel buio e da dietro i vetri oscurati, Ty sapeva che nessuno sarebbe stato in grado di vederlo. Come da procedura standard, la guardia aprì la portiera e face un o indietro. Van Straten e Stafford erano troppo impegnati a parlare per guardare verso Ty.
Inoltre, la luce interna sopra il cruscotto era stata disabilitata molto tempo prima – la procedura standard per prevenire l’eventualità di un colpo sparato a distanza. Non c’era nulla che un tiratore amasse di più, di un fascio di luce ad evidenziare l’obiettivo. I Van Straten presero posto. Stafford cianciava a vanvera come sotto anfetamine. Dallo specchietto, Ty vide suo padre fare del suo meglio per ignorarlo. Nessuno dei due l’aveva ancora guardato. Per gente come loro, i membri del personale erano né più né meno di un elemento sullo sfondo, parte del contorno. La guardia chiuse la portiera e cominciò a fare il giro del veicolo per accomodarsi sul sedile anteriore del eggero. Sul quadro dei comandi alla sua sinistra, Ty premette il pulsante che bloccava tutte le portiere e si allontanò accelerando, lasciando la guardia indietro, accanto al posto che fino a pochi istanti prima era stato occupato dall’Hummer. I cancelli erano aperti e lui li oltreò a forte velocità. ‘Dove andiamo, gentili signori?’ chiese, voltandosi e assaporando la loro espressione scioccata. ‘O magari potrei fermarmi da qualche parte in un posto tranquillo, tirarvi fuori tutti e due, farvi inginocchiare davanti a un fosso e spararvi alla nuca.’ Stafford prese la parola. ‘Ascolta, Tyrone, se si tratta della conclusione del tuo contratto...’ ‘Ah, già, perché è così che in genere reagisco quando vengo licenziato.’ ‘Torna immediatamente indietro!’ gli ingiunse Stafford, con voce stridula e poco convincente. Con un occhio alla strada, Ty tolse la mano destra dal volante e gli puntò contro la 226. ‘Chiudi quella dannata bocca.’ ‘Sì’, convenne Nicholas Van Straten. ‘Chiudi quella dannata bocca, Stafford.’ Ty notò la mano di Stafford che scivolava verso la maniglia, con la stessa noncuranza con cui un quattordicenne cercherebbe di toccare un paio di tette nella penombra di un cinema. ‘È bloccata. Ma se vuoi tentare la sorte, almeno aspetta che abbia raggiunto l’autostrada.’
‘Dove ci sta portando?’ chiese Nicholas. ‘Non si preoccupi, lo capirà quando ci arriveremo.’
Settantacinque
Quando Mareta fece inginocchiare la guardia a terra con la faccia rivolta contro il muro, Josh si irrigidì tra le braccia di suo padre. Mareta teneva una pistola nella mano destra; nella sinistra, due pezzi di metallo collegati al detonatore. Il contatto tra i due avrebbe garantito la morte di tutti loro. Lock voleva il bambino fuori di lì, e quella era la sua occasione. ‘Non ha già visto uccidere a sufficienza?’ le chiese Lock. ‘Allora portalo fuori.’ ‘Lo farò io’, disse Richard. ‘Va’, allora’, concesse Mareta, come se il desiderio di risparmiare a un bambino la vista di un omicidio a sangue freddo fosse un chiaro segno di debolezza. Lock osservò Khalid scortarli fuori. ‘Grazie.’ La guardia con la faccia alla parete cominciò a crollare. ‘Ti prego, non permetterle di farlo. Ho moglie e figli.’ Mareta lo colpì dietro alla testa con la Glock, procurandogli una ferita. ‘Allora perché fai questo lavoro?’ ‘Cinque minuti. Dagli altri cinque minuti, Mareta’, chiese Lock. ‘Poi alla fine di quei cinque minuti, ne chiederai altri cinque. Conosco questo genere di giochetti.’ C’era una cosa di cui Lock sperava che Frisk e il resto del JTTF avrebbero tenuto conto. La maggior parte dei terroristi non sopravvivevano al primo assedio; Mareta vi aveva preso parte con la stessa frequenza con cui le spose fresche di Long Island andavano alle feste per la nascita di un bebè. Di quel o doveva conoscere il copione dei negoziatori meglio di loro. ‘Come va la gamba?’ chiese Lock, nella speranza di distrarla. ‘Alla grande.’
Controllò gli schermi. Erano sempre di più i veicoli che si ammassavano all’esterno al perimetro. Per la maggior parte, assembrati ai lati del cancello. ‘Non c’è traccia del tuo amico’, commentò. ‘Verrà.’ Mareta abbassò la pistola. ‘D’accordo, hai cinque minuti. Poi, però, ucciderò il prossimo tra mezzora.’ ‘Avevi detto ogni ora.’ Mareta sospirò. ‘Noi negoziamo. Io do qualcosa a te, tu mi dai qualcosa in cambio. È così che funziona, no?’
Settantasei
A circa trentacinque chilometri di distanza dal cantiere navale, la spia del carburante si accese sul cruscotto dell’Hummer. Ty grugnì. Il consumo di carburante di un Hummer non era eccezionale nella maggior parte dei casi, ma aggiungendoci pure una tonnellata di corazzamento di livello B7, in pratica consumava un giacimento petrolifero da solo. ‘Problemi?’ chiese Stafford dal sedile posteriore. ‘Nulla che non possa gestire’, rispose Ty con una smorfia. Meno di cinque chilometri dopo, trovò una stazione di rifornimento. Il suo piano era semplice. Minacciare il sacco di merda vivente che costituiva il suo carico. Mettere cinquanta bigliettoni di gas. Gettare una banconota da cinque dollari attraverso la fessura del finestrino e rimettersi in marcia. Ty accostò e si voltò. ‘Mi allontanerò per meno di due minuti. Vi terrò d’occhio per tutto il tempo. Se vedo una mossa di qualsiasi tipo, forma o genere che mi crea disagio, vi ucciderò più velocemente di quanto accadrebbe a David Duke durante un barbecue organizzato dallo Stato Islamico.’ Spense il motore, prese le chiavi, uscì, e chiuse le sicure. Poi afferrò l’erogatore e lo infilò nel bocchettone. I suoi occhi facevano avanti e indietro tra i dollari e i centesimi che scorrevano sul display e le portiere dell’Hummer. Fissava il punto in cui avrebbero dovuto essere Stafford e Van Straten. Non vedeva un bel niente attraverso i vetri scuri, ma non voleva che se ne accorgessero. Ogni volta che faceva rifornimento, di solito i numeri si accavallavano alla velocità di una slot machine, ma quella pompa sembrava muoversi al rallentatore. Arrivata a cinquanta dollari, risistemò l’erogatore sulla pompa, chiuse il coperchio e andò a pagare, voltandosi a guardare l’Hummer ogni pochi i.
Spinse i soldi attraverso la fessura nella vetrata antieffrazione e si allontanò a o svelto. Mentre faceva per aprire la portiera, si ricordò. Dannazione. La Glock. L’aveva lasciata nel vano tra i sedili anteriori. Si guardò alle spalle. Il responsabile della pompa, un ragazzino ispanico che aveva da poco superato la ventina, era appollaiato su uno sgabello, concentrato su qualsiasi fosse la spazzatura che trasmettevano in TV a quell’ora. Ty estrasse la pistola, spalancò la portiera, e ci si nascose dietro, preparandosi al primo accenno di movimento. Niente. Dalla sua angolazione riusciva a vedere solo la spalla di Nicholas Van Straten. Ma non era del paparino che si preoccupava. ‘Uscite dalla macchina. Uno alla volta. Prima tu Stafford.’ ‘Rimanete in macchina. Scendete dalla macchina. Insomma, che dobbiamo fare?’ ‘Sta’ calmo, Stafford’, Ty sentì mormorare da Van Straten. ‘Almeno potresti aprire la portiera, allora?’ chiese Stafford, con tono irritato. Ty spalancò la portiera del eggero, assicurandosi di mantenere la superficie rinforzata tra lui e Stafford. Stafford uscì con le mani in alto. Ty si lanciò un’occhiata alle spalle e si accorse che l’addetto li stava osservando, senza dubbio cercando di capacitarsi di che genere di criminale mentalmente disturbato portasse le proprie vittime ad una stazione di servizio per rapinarle. Ty non poteva fare altro che andare avanti. Perquisì Stafford. Pulito. ‘Ok, ora tocca a lei.’ Nicholas Van Straten scese e Ty ripeté la procedura. ‘Fermi lì’, disse loro.
Arrampicandosi sul sedile anteriore, aprì lo scompartimento. La pistola era sparita. Uscì di nuovo e colse Stafford che si agitava freneticamente in direzione dell’addetto, mimando qualcuno che telefonava. ‘D’accordo, dov’è?’ chiese a Stafford. ‘Non so di cosa stai parlando.’ Stafford si stava comportando esattamente come avrebbe fatto Ty nella stessa situazione. Stava prendendo tempo. L’addetto era già al telefono con un occhio alla situazione che si andava dipanando all’esterno, mentre sputava a tutta velocità le parole nella cornetta. Stafford doveva aver immaginato che Ty avesse qualcosa in serbo per loro. Altrimenti li avrebbe uccisi entrambi nell’abitazione. O avrebbe accostato la macchina alla baia di Shinnecock e l’avrebbe fatto lì. ‘Non ho bisogno di entrambi’, disse Ty. ‘Allora, con chi comincio?’ ‘Credo che se ci chiedessi di votare, finiremmo a un punto morto’, rispose seccamente Nicholas Van Straten. ‘Mmm’, commentò Ty, ragionandoci su. ‘Immagino che questo metta la decisione nelle mie mani, allora.’ Sollevò la pistola all’altezza della testa di Nicholas Van Straten. ‘Avanti’, disse Stafford. ‘È infilata nel sedile posteriore’, disse Nicholas. ‘Alla faccia della famiglia unita’, commentò Ty, infilandosi di nuovo nel veicolo e recuperando l’arma. Li spinse di nuovo nell’Hummer, proprio mentre l’auto di pattuglia della polizia accostava. Una pattuglia con un solo agente. Probabilmente c’erano altre unità per strada. A giudicare dal rapido gesticolare dell’addetto, che era impegnato al telefono tentando di spiegare una rapina che però non era rivolta a lui, Ty immaginò che
la chiamata fosse stata classificata come “verificare e fare rapporto”. Quindi, se lasciava che la situazione andasse avanti, le cose potevano andare in unica direzione. Aspettò che l’agente uscisse dall’auto di pattuglia, poi mise la retromarcia e diede gas. Il retro imponente dell’Hummer urtò contro il blocco motore della Chrysler. Sorridendo per la prima volta da quando aveva svoltato nella stazione di servizio, Ty si allontanò velocemente, lasciandosi alle spalle un poliziotto molto incazzato che annaspava nel tentativo di agguantare la radio.
Settantasette
L’Hummer avanzava lentamente tra un furgone Sala Operativa Mobile e un carrello elevatore rinforzato della Squadra artificieri del Dipartimento di Polizia di New York. Van Straten e Stafford potevano solo guardare fuori dal finestrino disorientati mentre più di un centinaio tra uomini e donne, molti di loro pesantemente armati, si spostavano con cautela tra il perimetro e i veicoli. ‘Eccoci qua, ragazzi’, esordì Ty. ‘Ci siamo.’ Fece rallentare l’Hummer. Alla sua sinistra, due agenti del NYPD lo stavano osservando con attenzione. Uno dei due stava parlando alla radio, l’altro si stava rivolgendo al suo compagno tentando di non farsi notare. Quando cominciarono ad avvicinarsi all’Hummer, Ty abbassò il finestrino per sentire quello che stavano dicendo. ‘Ehi. Fermi il veicolo.’ Già, proprio quello che pensava stessero dicendo. Chiuse il finestrino, scalò la marcia e punto dritto al cancello. Il trucco era colpirlo ad una velocità tale da abbatterlo, a circa trenta all’ora, per poi premere sull’acceleratore nel momento dell’attraversamento vero e proprio. L’errore che faceva la maggior parte della gente quando abbatteva un ostacolo, tipo un posto di blocco, era prendere la maggiore velocità possibile e lanciarsi dritti contro la barriera. Nei circoli della protezione ravvicinata veniva definito ‘schiantarsi’. Tutta un’altra cosa rispetto a quello che stava per fare lui. Quando raggiunse il cancello, Ty non si guardò alle spalle. Non fu necessario, perché era abbastanza certo che nessun altro l’avrebbe seguito. Il perimetro, in quel momento, era più psicologico che fisico. La recinzione tremò sotto l’impatto iniziale. Poi seguì lo stridio del metallo contro il metallo. In quell’istante, finalmente, Stafford, prese coscienza di quanto stesse accadendo. Che loro erano il pagamento del riscatto, in forma umana. Accanto a lui, suo padre sedeva dritto come un fuso, rintanandosi in una forma di coraggio
patrizio ormai scomparsa da tempo. Nel momento in cui l’Hummer fece breccia nella recinzione, la coppia di poliziotti che aveva continuato a corrergli accanto picchiando contro le portiere come fan invasati al seguito di una limousine, si staccò restando indietro. L’Hummer avanzò, diretto verso l’edifico che ospitava la sala operativa. Un paio di raffiche si levarono dal tetto, le prime gocce di pioggia metalliche di una tempesta che stava montando velocemente d’intensità. Ty accostò l’Hummer all’ingresso dell’edificio principale, uscì, e aprì la portiera posteriore dal lato del conducente come copertura. ‘Bene, signore mie, fine della corsa. Farete meglio ad entrare prima che qualche boy scout dell’ATF troppo entusiasta faccia pratica usando i vostri culi pallidi e ossuti come bersagli.’ Van Straten e Stafford uscirono di corsa e volarono dentro l’edificio, dove tutti e tre si trovarono di fronte la guardia d’onore di Mareta. Uno dei componenti tese il braccio per prendere la pistola di Ty, ma lui lo respinse. Stafford e Van Straten furono condotti per il lungo corridoio fino a raggiungere la sala operativa. La porta si aprì con un click e Ty li scortò all’interno. Mareta guardò i Van Straten dall’alto in basso, con tutto il distacco professionale di un boia che sollevi la mano di un uomo per calcolarne il peso. ‘Bene, ti abbiamo consegnato quello che ci hai chiesto, ora il bambino e il dottore vengono con me’, disse Lock. Ty rimase accanto alla porta con la mano sul calcio della pistola. La Glock era infilata fastidiosamente dietro alla schiena. ‘Questo non è tutto quello che ho chiesto’, disse Mareta dopo un silenzio imbarazzato. ‘Ascolti, se si tratta di soldi...’ farfugliò Nicholas Van Straten. Mareta lo ignorò. ‘Il bambino può andare, ma il dottore mi serve.’ Josh corse da suo padre e gli allacciò le braccia attorno alla vita. ‘Perché lui è qui, ad ogni modo?’ chiese Nicholas.
‘Chieda a suo figlio’, disse Lock, facendo un gesto in direzione di Stafford. Poi si chinò, fino a portare gli occhi all’altezza di quelli di Josh. ‘Che ne dici se ti porto fuori di qui e poi torno dentro a occuparmi di tuo padre? Ti farebbe sentire meglio?’ La testa di Josh espresse un ‘no’ dondolandosi avanti e indietro. Toccava a Richard. ‘Per favore Josh. Io starò bene...davvero.’ Lock staccò Josh da suo padre un ditino alla volta. ‘D’accordo?’ chiese, alla fine. Josh corse di nuovo da suo padre e lo abbracciò. ‘Pronto?’ chiese Lock con una mano sulla spalla del bambino. Josh deglutì a fatica. Annuì. Lasciò scivolare una mano in quella di Lock e si avviarono fuori dalla sala di controllo. Nicholas Van Straten si voltò verso Stafford. ‘Sei una vergogna!’ ‘Ho fatto ciò che andava fatto. La mamma avrebbe capito.’ ‘Tua madre era una stronza dal cuore di pietra.’ ‘Meglio quello, che essere uno smidollato.’ Mareta osservò lo scambio con disprezzo. ‘Darò ad entrambi modo di dimostrare la vostra virilità molto presto’, disse loro. Stafford e suo padre smisero di discutere e si scambiarono un’occhiata preoccupata. ‘Non crederete che vi abbia portato qui solo per uccidervi, vero?’
Settantotto
Incorniciato dal riflettore di un elicottero del Distretto di Polizia di New York, dalla mano di Lock sventolava un fazzoletto bianco. L’altra racchiudeva con fermezza quella di Josh mentre lo conduceva verso il cancello del perimetro, parte del quale penzolava da un cardine. Contò almeno due tiratori con il mirino puntato su di loro. Vista la recente propensione dei terroristi ad utilizzare sé stessi e, in alcuni casi, civili come o per ordigni esplosivi improvvisati, la cosa non lo sorprendeva. ‘Josh, mi faresti il piacere di toglierti la giacca?’ ‘Ma fa freddo.’ ‘Solo per un momento.’ ‘Perché?’ Guardando il bambino negli occhi, capì che non l’avrebbe fatto senza ottenere una spiegazione, prima. ‘Perché potresti nascondere una bomba, lì sotto.’ ‘Non essere sciocco. I ragazzini piccoli non possono portare bombe.’ ‘No, di solito no.’ ‘A volte sì?’ gli chiese Josh. Lock una volta aveva visto una ragazzina di dodici anni con la sindrome di Down avviarsi verso una squadra di militari che presidiavano un checkpoint sulla Route Irish a Bagdad, stringere la mano al soldato e poi farsi esplodere. ‘In realtà no’, rispose, ‘ma vorrei comunque che tu lo fi.’ Josh faticò a togliersi la giacca. Lock sollevò per un momento la maglia di Josh, in modo da mostrare la pancia. ‘D’accordo, ora puoi rimetterla.’
I tiratori corressero il tiro di una frazione. Immaginò che a quel punto mirassero entrambi su di lui. Uno alla testa. Uno al torso. Lock si slacciò il giaccone e sollevò la camicia compiendo un giro di trecentosessanta gradi, le mani spalancate ai lati del corpo. I cecchini mantennero i fucili puntati su di lui. A una ventina di metri dal cancello, lasciò la presa sulla mano di Josh. ‘Va’ avanti.’ Il piccolo fece un o in avanti, poi si voltò a guardare Lock. ‘Torno dentro, Josh. Devo prendermi cura di tuo padre, ricordi?’ Josh riuscì quasi a produrre un sorriso prima di alzare i tacchi e correre. Accanto a quanto restava del cancello lo aspettava un agente della JTTF con indosso una tuta anticontaminazione. L’agente si avvicinò al bambino lentamente e lo circondò con le braccia, tastandolo lungo il corpo mentre lo faceva. ‘Lock!’ Lock si lanciò un’occhiata alle spalle e vide Frisk. Gli faceva cenno di avvicinarsi. Lock alzò il pollice in direzione del complesso. Frisk uscì dai ranghi, avventurandosi nella terra di nessuno. Lock si mosse rapidamente mettendosi tra lui e l’edificio. Un colpo a Frisk da parte degli ex prigionieri, e per entrambi sarebbe stata la fine. ‘Che sta succedendo là dentro?’ chiese, senza fiato dopo il breve scatto. ‘Non lasceranno andare Hulme.’ ‘E che c’entrano Van Straten e Stafford?’ ‘Li ha visti, eh?’ ‘È stata segnalata la loro scomparsa circa mezzora dopo che il tuo amico è andato a prenderli.’ Bene, pensò Lock. Croft doveva aver deciso di regalare a Ty un po’ di vantaggio.
‘Ho dato ai fuggitivi quello che volevano.’ ‘Ovvero?’ ‘I responsabili di questo casino.’ ‘Intendi i Van Straten?’ Lock annuì. ‘E cosa otteniamo in cambio?’ gli chiese Frisk. ‘Ne usciamo tutti vivi.’ ‘E tu credi a quella puttana impazzita? ‘Senti, Frisk, non abbiamo molta scelta in questo momento.’ ‘Ma già che ci siamo, che c’entra la tua ragazza?’ Lock ò in rassegna il circo attorno al perimetro, registrando la stampa e il personale di emergenza che si muovevano come falene attirate dalla fiamma. ‘A proposito, che state raccontando ai media?’ ‘Una violazione della sicurezza non specificata.’ ‘Questa roba reggerà per meno di due secondi.’ ‘Ecco perché è importante che risolviamo questa faccenda il prima possibile’, disse Frisk. ‘In un modo o nell’altro.’ ‘Niente da ridire in proposito.’ Appena prima di voltarsi di nuovo verso l’edificio, Lock vide Josh, circondato da una coperta dello stesso genere di quelle fornite al termine di una maratona, che veniva aiutato a salire sul retro di un’ambulanza da due persone in tuta anticontaminazione. Almeno lui è salvo, si disse. Quello valeva pur qualcosa. ‘Aspetta. Non vorrai tornare dentro?’ chiese Frisk, con una smorfia. Lock continuò a camminare. Aspettò che Frisk cominciasse a seguirlo. Che qualcuno cercasse di fermarlo. Ma non lo fece nessuno.
Settantanove
Nudi fino alla cintola, ammanettati e con i ceppi alle caviglie, Nicholas e Stafford Van Straten stavano sull’attenti assieme alle guardie rimaste che erano state catturate dai fuggitivi. Mareta percorse la fila zoppicando, un pennarello Sharpie nero nella mano destra. Si fermò davanti a Nicholas e con il pennarello gli disegnò il numero uno sul petto. Stafford fu marcato con il numero due. Proprio come se si trattasse di bestiame. Quando raggiunse il terzo uomo, una delle guardie, Lock prese la parola. ‘Questa è una stronzata. Loro sono solo dipendenti. E ciò che stai facendo tu non è migliore di quanto loro volevano fare a te.’ ‘Ad eccezione del fatto che noi non siamo terroristi’, si intromise Stafford. Lei li ignorò entrambi e tracciò il numero tre sul petto dell’uomo. Dopo aver numerato tutti, Mareta fece un o all’indietro contemplando il suo operato. ‘Ora, cominciamo.’ Due dei fuggiaschi si fermarono ai lati di Nicholas Van Straten e lo scortarono fuori dalla stanza. Tutti gli altri si raccolsero dietro al divisorio in vetro, Mareta, Lock, Ty, gli altri terroristi e le guardie e, al centro del gruppo, con lo stesso sguardo interessato che aveva riservato a Lock, Stafford. ‘Finalmente qualcuno ha trovato il modo di rendere utile il vecchio’, osservò. Lock gli lanciò un’occhiata mentre Richard, che aveva indossato una tuta anticontaminazione, comparve dall’altro lato del divisorio e si avvicinò a Nicholas. ‘Non ti preoccupare, Stafford’, gli disse, ‘il tuo turno arriverà a momenti.’ ‘Ti sembro preoccupato?’ Lock doveva concedere a Stafford che era molto più composto di quanto avrebbe
immaginato. Sicuramente, più di quanto lo fosse la notte in cui Lock l’aveva portato sul tetto. ‘Non dimenticare che io ho visto tutti i dati’, continuò Stafford. ‘Il vaccino funzionerà.’ ‘Se questa cosa funziona, costituirà una prova dannatamente consistente per l’approvazione’, disse Ty, mentre dall’altro lato del vetro Richard apriva con cautela il contenitore e riempiva una siringa da una delle fiale. Aveva le mani che tremavano. ‘Voglio che lei sappia che glielo sto somministrando contro la mia volontà’, disse, mentre premeva lo stantuffo immettendo il liquido nel flusso sanguigno di Nicholas Van Straten. Pochi minuti dopo, mentre Nicholas veniva condotto fuori, fu portato dentro Stafford. Nicholas tenne lo sguardo fisso davanti a sé, ignorando suo figlio. Aveva il viso pallido e le labbra contornate di bianco. ‘Per l’amor di Dio, è solo un vaccino’, disse Stafford. ‘È già stato somministrato ai soggetti da laboratorio e loro non hanno mostrato alcun effetto patologico.’ Ruotò il collo, come a sciogliere qualche muscolo irrigidito da una partita di tennis particolarmente intensa, mentre due degli uomini di Mareta lo spingevano giù sulla barella. ‘Rimango in piedi, grazie.’ I due uomini lo costrinsero a stendersi sulla lettiga e lo legarono mentre Lock e Ty si scambiavano un’occhiata sorpresa. ‘Ehi, sarebbe potuta andargli peggio’, disse Ty, ‘almeno non è a faccia in giù. Allora sì che si metterebbe a gridare invocando la mamma.’ ‘Non è uno spettacolo che pagherei per vedere’, disse Lock. Dietro di Stafford, Richard si diresse verso un ampio frigorifero, aprì lo sportello, ed estrasse da un grosso contenitore frigo bianco sul secondo scaffale una fiala di acciaio inossidabile, chiusa da un tappo di gomma. In quel momento, mentre tirava fuori una siringa nuova dalla confezione sterile, le sue mani erano ferme. ‘Andiamo Hulme, vediamo di farla finita’, lo schernì Stafford.
‘Sì, procediamo’, disse Richard da sotto il casco della tuta mentre riempiva la siringa. Stafford sollevò la testa più in alto che poté e fissò, sprezzante, lo schermo. ‘Cioè, a tutti loro è stato somministrato il vaccino, e non hanno manifestato alcuna patologia.’ ‘Giusto’, confermò Richard mentre svuotava il contenuto della siringa nel sangue di Stafford. ‘Allora di cosa dovrei preoccuparmi? Di nulla, giusto?’ Richard rimase in silenzio per un momento. ‘Assolutamente di nulla, a parte il fatto che ti ho appena iniettato la variante viva dell’Ebola.’
Ottanta
Lo stomaco di Stafford si contrasse per la paura. Sapeva che il virus Ebola svuotava il corpo da entrambe le estremità. E quando non c’erano più vomito né feci da espellere, e si aveva la sensazione che le cose non sarebbero potute andare peggio, era in quel momento che cominciavano le emorragie. Dalle orecchie, dal naso, dalla bocca, dall’ano. Era un sollievo quando sopraggiungevano l’insufficienza organica multisistemica o lo shock ipovolemico a interrompere la tortura. Ma il processo non era istantaneo. Tutt’altro. Il virus si prendeva il suo tempo per insediarsi nel corpo, per instillarsi nelle cellule, rimanendo in attesa, dandoti tutto il tempo di pensare a quello che ti aspettava. E mentre fissava dal basso i tratti del viso di Richard, irremovibili sotto la tuta, Stafford avrebbe giurato di avvertire la sensazione della variante dell’Ebola che si faceva strada nel suo corpo, accovacciandosi per prepararsi ad attaccare. ‘Dammi il vaccino, Richard’, lo pregò. ‘Dammi una ragione per cui dovrei farlo.’ ‘Sei un medico. Hai fatto un giuramento!’ ‘Vero. È così. Ma voglio una cosa da te, in cambio.’ ‘Quello che vuoi. Basta che lo dici. Senti, se questa cosa funziona, la Meditech potrebbe essere la prima azienda biotecnologica da un trilione di dollari. Io raddoppierò le tue opzioni di acquisto. Le triplicherò. Basta che tu dica una cifra.’ ‘Non voglio soldi. Voglio che tu dica al mondo come hai portato qui queste persone – fece un gesto circolare nella stanza a includere Mareta e i suoi compagni – nel nostro paese per usarli come animali, e mettendo a rischio la vita di milioni di americani, solo perché tu potessi smettere di vivere nell’ombra della tua famiglia.’
‘Certo, certo. Non c’è problema. Non appena avrò il vaccino.’ ‘No. Prima la confessione, poi l’assoluzione.’ ‘Ma questa roba è già dentro di me! Più tempo si impiega a somministrare il vaccino, minori saranno le mie possibilità di guarire! Lo sai questo!’ ‘Allora faremmo meglio a sbrigarci, non credi?’ Dietro la parete divisoria, Mareta stava diventando irrequieta. Essendo collegata ad una quantità tale di esplosivo da portarseli via tutti, Lock immaginava che quella non fosse una buona cosa. ‘Di che parlano?’ chiese lei. ‘Vado a scoprirlo.’ Prima che raggiungesse la porta, questa si aprì e Richard fece la sua apparizione. Si tolse il casco di protezione. Il volto arrossato, si scansò una ciocca di capelli che gli si era appiccicata alla fronte sudata. ‘Gli ho dato un ultimatum. Farà una confessione in diretta televisiva.’ ‘Qual era l’ultimatum?’ chiese Lock. ‘Gli ho appena iniettato il virus Ebola. Se mantiene la sua parte dell’accordo, avrà il vaccino.’ ‘E come pensi di portare in tv uno che è un vettore vivo del virus?’ ‘La tua amica è una giornalista.’ ‘Niente da fare. Troppo rischioso. Carrie non metterà piede qui dentro.’ ‘Ma così la gente saprà la verità.’ ‘La verità? La verità è che chiunque decida di importare dei terroristi da usare come cavie nell’esperimento mirato a neutralizzare le capacità biologiche delle loro armi, riceverebbe una parata con tanto di coriandoli lanciati in aria in ogni stato del Paese.’ ‘A parte forse nel Vermont’, intervenne Ty. ‘Là sono comunisti.’ Mareta batté le
mani. ‘Basta. Non ho chiesto a nessuno di intercedere per la mia vita. Ma questo nuovo metodo’ – si voltò verso Richard – ‘questo mi piace. Portate dentro il prossimo soggetto, date anche a lui l’agente attivo. Così vedremo se questo vaccino funziona davvero.’
Ottantuno
Mareta era seduta su una sedia, la gamba ferita appoggiata al pannello di controllo. A entrambi i Van Straten e alle guardie rimaste era stata somministrata la variante dell’Ebola ed erano stati riportati in cella. Mareta aveva decretato che avrebbe dovuto are un’ora prima che gli fosse iniettato il vaccino. Nicholas Van Straten, avendo ricevuto sia il vaccino che il virus, avrebbe agito come una sorta di “controllo intermedio”, con Lock e gli altri ex prigionieri all’altro lato dello spettro. Solo Richard, Ty e Mareta erano completamente incontaminati. ‘Avrei dovuto portarmi delle carte da gioco’, disse Ty a nessuno in particolare, mentre guardavano i monitor della sicurezza oscurarsi all’improvviso. Khalid, che era seduto accanto al pannello di controllo, provò a battere su uno degli schermi, prima con la mano e poi con la punta di un M-16. ‘Ehi, Fonzie, non funziona così. Ci hanno tolto la corrente’, disse Lock. Mareta si strinse nelle spalle, imperturbata. Un attimo dopo, andò via la luce. L’oscurità era assoluta. Poi il fascio di una torcia Maglite si spostò, illuminando uno dopo l’altro il volto dei presenti, a parte quello di Mareta. Ci fu uno scambio di battute tra Mareta e Khalid, poi la luce si spense di nuovo e la porta sbatté. ‘Chi c’è qui?’ chiese Lock spostandosi di due i verso destra. ‘Ehi!’ gridò Ty. ‘Io’, rispose Richard. ‘Ok, Ty e Richard. Chi altro?’ Niente. Si mise di nuovo in ascolto, con l’oscurità che li avvolgeva in un manto di paranoia. ‘Se ne sono andati?’ Era Richard a parlare. La risposta arrivò sotto forma di un altro fascio di luce accecante proveniente dal
pannello di controllo. Khalid stava puntando la luce dritta addosso a Lock. ‘Ascolta, non possiamo restare qui. Lo capisci?’ Khalid non rispose. Probabilmente non parlava inglese, anche se vista l’esperienza con Mareta, Lock non avrebbe corso il rischio. ‘Se ci capisci, Khalid, dì qualcosa, stupido mammone molestatore di cammelli’, rincarò la dose Ty. Niente. Il ragazzo non aveva nemmeno imparato un paio di frasi chiave da qualche pezzo rap. ‘Non credo che parli inglese, Ryan.’ ‘Grazie per avermi chiarito questo punto, Tyrone.’ ‘Prego. Sei ancora armato?’ ‘Sì.’ ‘Io pure. Il nostro amico è in svantaggio numerico.’ ‘È quello che stavo pensando anch’io. Richard?’ ‘Sì?’ ‘Hai mai giocato all’assassino al buio quando eri piccolo?’ ‘A volte, con i miei cugini. Vincevano sempre loro.’ Fantastico, pensò Lock. ‘Bene, tra un attimo avrò bisogno che tu ti muova. Quando lo fai, cerca di fare un po’ di rumore. E sta’ giù.’ ‘Non posso.’ ‘E perché?’ ‘Ho paura.’ ‘Ti aiuterebbe sapere che ce l’ho anch’io?’
‘Non esattamente.’ Si sentirono degli spari provenire dall’esterno. Poi il boato di quello che Lock suppose essere l’esplosione di un tuono. O un po’ di C4 in avanzo. Di qualunque cosa si trattasse, sicuro come la morte non era il rumore prodotto dalla penna del Presidente che firmava delle garanzie. La voce di Richard: ‘Lock?’ ‘Sì?’ ‘Sono pronto adesso.’ ‘Va bene, quando vuoi.’ La sedia di Richard si mosse sul pavimento. Il fascio di luce si spostò dalla faccia di Lock verso destra. Dove avrebbe dovuto esserci Richard, Khalid trovò soltanto la parete di vetro. Lock fece la sua mossa, lanciandosi attraverso la stanza lungo la diagonale che Khalid aveva disegnato un attimo prima con la torcia. Il momento era cruciale, come un attimo prima di lanciarsi nel vuoto. Lock urtò con l’addome il calcio dell’M-16, ma lo slancio lo proiettò in avanti, sollevando Khalid dalla sedia. Quando il calcio del fucile lo colpì di nuovo, stavolta in faccia, fu investito da un’ondata di dolore accecante. Cercò di non cadere, di rimanere il più vicino possibile. Portò indietro la mano destra e colpì Khalid con un pugno ravvicinato che, deviato da una sporgenza ossea incontrò quella che, dall’ansito improvviso, intuì essere la trachea. Poi continuò a ripetere il gesto, ancora e ancora, finché gli ansiti non si interruppero del tutto. Si scrollò di dosso il corpo afflosciato di Khalid e afferrò la torcia. La usò per localizzare l’M-16, finito a poca distanza da lui. Continuò ad agitare la luce fino a individuare Ty, che lo teneva sotto tiro con la pistola, e Richard, raggomitolato a palla in un angolo della stanza. Richard stava sbirciando da una fessura tra le dita quando la stanza venne investita dall’onda d’urto di un’esplosione all’esterno. Mareta? Lock ne dubitava. Non uscivi da tutte le situazioni da cui era sfuggita lei andandotene docilmente al Creatore quando c’era ancora una possibilità di fuga.
Lock attraversò la stanza e aiutò Richard a rimettersi in piedi. Gli diede una pacca sulla schiena. ‘Ben fatto. Ora usciamo da qui.’ ‘Aspetta.’ Richard si avvicinò a Lock. ‘Dammela’, disse, prendendo la torcia. La orientò verso Khalid, disteso a terra. ‘È morto?’ ‘Lo spero proprio’, disse Lock. ‘Ora, muoviamoci.’
Ottantadue
Troppo presto. Quelle parole si erano insinuate nel suo cervello e si rifiutavano di andarsene. Non era per il fatto che sarebbe morto da solo. O in agonia. No, il lato peggiore di tutta la faccenda, l’estrema ignominia, era che la sua morte sarebbe stata solo una nota a piè di pagina. Poi, con un forte boato che scosse le pareti attorno a lui, ecco arrivargli un segno che forse non tutto era perduto. La luce si spense. Uno sbuffo di polvere gli penetrò giù per la gola e lo fece tossire. Altre particole gli si infilarono su per le narici. Si abbassò sul pavimento e si mosse carponi nella direzione in cui pensava potesse essere la porta mentre un’altra esplosione scuoteva il pavimento di cemento. La mano che lo sosteneva gli scivolò e lui cadde a faccia in giù. Gli ci volle un momento per raddrizzarsi, poi cominciò a muoversi di nuovo usando i polpastrelli nel tentativo di orientarsi. Metallo freddo. La porta. Tracciò il percorso lungo il bordo con i polpastrelli. L’angolazione suggeriva che fosse socchiusa. Riusciva a infilarci la mano. Più della mano. Il braccio. Tutte e due le braccia. Si strizzò nell’apertura e raggiunse il corridoio. La polvere aveva cominciato a posarsi a terra. La porta all’estremità opposta era aperta e lasciava penetrare la luce. Cautamente, si alzò in piedi. Anche la porta accanto alla sua cella era stata danneggiata e staccata dai cardini. La spinse facendola cadere verso l’interno. Per poco non la seguì a terra. Riusciva ad individuare la figura di un uomo disteso a letto. Stafford Van Straten fece un o verso l’interno e abbassò lo sguardo su suo padre. Due tagli profondi si intersecavano sul viso del vecchio formando una croce sanguinolenta.
‘Stafford?’ Suo padre tese una mano, ma Stafford decise di ignorarla. ‘Il vaccino. Devi trovare il vaccino’, mormorò. ‘E poi?’ Nicholas cercò di sollevare la testa, ma lo sforzo era eccessivo. ‘Se non lo fai, morirai.’ ‘Morirò in prigione, vorrai dire?’ Osservò suo padre mentre tentava di pulirsi il sangue che gli stava colando nell’occhio destro. ‘Allora vattene da qui.’ ‘Come un codardo?’ sputò fuori Stafford. ‘Per dimostrare una volta per tutte che cazzone io sia?’ ‘Di che parli?’ ‘Non capirai mai, vero? Non si tratta dei soldi. Non si è mai trattato dei soldi.’ Stafford si inginocchiò fino a trovarsi all’altezza dello sguardo di suo padre. Dall’esterno, sentiva provenire l’eco degli spari attorno al complesso. ‘Si tratta della storia, e del posto che vi occupa la nostra famiglia. Del posto che vi occupo io.’
Ottantatré
Caffrey aveva appena infilzato il suo burrito Holy Moly con una forchetta di plastica, quando vide la donna che avanzava a fatica nella sua direzione, una stampella sotto un braccio, una borsa termica nell’altra. ‘Merda.’ Uscì dalla sua auto di pattuglia, estrasse l’arma, una Smith and Wesson 64 in acciaio della vecchia scuola, e la sollevò puntandogliela in mezzo al petto. ‘Si fermi.’ Lei continuò ad avanzare. Aveva sentito parlare di una donna durante uno dei briefing. Sapeva che era straniera. Qualcuno aveva accennato al fatto che non parlasse inglese. O al fatto che lo parlava? Dannazione. Avrebbe dovuto fare più attenzione invece di mandare un messaggio ad uno dei suoi agenti di pattuglia, chiedendogli di fermarsi da Burritoville. ‘Signora, si fermi subito.’ Si guardò attorno in cerca di o, ma sembrava che si stessero riversando tutti attraverso i cancelli, in direzione dell’edificio, come mosche attirate dal letame. Lei continuò ad avanzare. Del tutto calma. Non c’era alcun segno sul suo viso che mostrasse di aver notato la pistola. Una donna. Appena sbarcata nel Paese. Che magari non capiva quello che le stava dicendo. Poi lei si fermò. A circa tre metri di distanza. Forse meno. Senza mai interrompere il contatto visivo. Senza mai abbassare lo sguardo sulla pistola. Senza nemmeno calcolarla. ‘Ok, così va bene. Adesso resti lì e non si muova.’ Ma lei si mosse eccome, appoggiando a terra la borsa frigo. Poi spostò una mano
lungo il busto. ‘Ho detto di non muoversi.’ Indossava un giaccone da sci imbottito da uomo, o per lo meno così sembrava a Caffrey. Strattonò la cerniera con la mano. Lui avrebbe dovuto aspettare di vedere un’arma. Non poteva sparare a qualcuno solo per essersi slacciato la giacca. ‘Ok, la cosa è andata troppo oltre.’ Lei continuò, tirando bruscamente la zip fino in fondo. ‘Signora, non ho tempo per questi giochetti.’ ‘Nemmeno noi.’ Un uomo emerse dalle ombre. Bianco. Giovane. Coperto di un sottile strato di polvere grigia che lo faceva sembrare una di quelle statue umane che bazzicavano Midtown spillando soldi ai turisti. ‘Avanti’, disse l’uomo. ‘Fagli vedere.’ Con lentezza, deliberatamente, la donna tirò la giacca di lato, e la mano che reggeva la pistola di Caffrey smise di funzionare. La Smith and Wesson cadde a terra. Ventiquattro anni di saltatori, taccheggiatori, aggressori armati di coltello, lapidatori, stupratori, recidivi, baby killer e gente fatta di crack. Ventiquattro anni ati ad assistere a quelli che spesso erano i momenti più bassi della vita di un individuo. Ancora e ancora. Una ripetizione infinita di fallimenti umani, che occasionalmente si tingevano di malvagità. Caffrey era certo di aver visto, odorato, gustato, ascoltato, toccato e, già, persino capito, tutto. Ma quello, quello era qualcosa che andava oltre. Lei tenne la giacca aperta, con il gesto plateale di un mago da palcoscenico, mentre Caffrey rimaneva lì, quasi in attesa di un inchino da parte sua. Ma l’unica cosa che accadde fu che l’uomo alle sue spalle si lanciò in avanti a raccogliere la pistola d’ordinanza di Caffrey. Ancora pietrificato, Caffrey non cercò di fermarlo. ‘Il tuo cellulare?’
‘Cosa?’ chiese Caffrey. Il giovane gli puntò la pistola addosso. Caffrey a malapena se ne accorse. ‘Hai un cellulare?’ ripeté l’uomo. ‘Nell’auto.’ ‘Va’ a prenderlo’, gli ordinò. ‘Mi serve il numero.’
Ottantaquattro Volute di fumo si sollevavano da ogni edifico del complesso. In due di essi, il fuoco ardeva ancora. Apparentemente, la schiuma spruzzata in quella direzione dai vigili del fuoco, protetti da respiratori e tute anticontaminazione, faceva ben poco per smorzare le fiamme. La superficie tra gli edifici era disseminata di corpi. I prigionieri ce l’avevano messa tutta per resistere all’attacco, portando con loro almeno mezza dozzina di membri del JTTF e altri agenti. Nel caravan del Centro per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie, Lock stava perdendo la pazienza mentre aspettava i risultati delle sue analisi. ‘Quante volte devo dirvelo? In questo momento potrei essere una della persone più protette di tutta l’America.’ Le sue argomentazioni non sortirono alcun effetto. C’era una procedura, e l’avrebbero seguita. Dall’esterno proveniva il brusio delle conversazioni via radio che, più che diminuire, stava aumentando. Non era un buon segno dopo un attacco. Poi, mentre uno dei tecnici del Centro stava svolgendo i controlli finali, sentì Ty che copriva di insulti qualcuno, proprio fuori dalla porta. ‘L’avete persa? Che bastardi!’ Ecco cos’era. Lock si alzò in piedi e uscì, spingendo da parte con il palmo della mano l’idiota dal collo taurino piazzato davanti alla porta. L’uomo lo seguì all’esterno estraendo l’arma. ‘Signore, torni dentro.’ ‘Ho incontrato delle addette ai parchimetri con un aspetto più intimidatorio del tuo, amico, quindi metti via la pistola adesso che le mani ti funzionano ancora.’ Il confronto fu interrotto dal tecnico del Centro. ‘Va bene, Brad, è pulito.’ Lock raggiunse Ty. ‘Il Fantasma l’ha fatto di nuovo?’ ‘A quanto pare.’ Lock portò lo sguardo sulle rovine fumanti mentre un bulldozer della Squadra Artificieri del Dipartimento di New York li superava. ‘Dannazione, probabilmente a quest’ora sarà a metà strada per il Sud America con quello che
rimane della fortuna di famiglia. Che ne è di tutti gli altri?’ ‘Richard è al sicuro insieme a suo figlio. Ehi, abbiamo fatto quello che ci eravamo ripromessi di fare. Ci sono solo un paio di cose in sospeso da sistemare.’ ‘Non definirei esattamente una stronza impazzita collegata a due chili di C4 come un paio di cose in sospeso.’ ‘È cecena. Credevo che ce l’avessero su con i Russi, non con noi.’ ‘Infatti era così, fino ad ora’, disse Frisk, spuntando all’improvviso dietro di loro. ‘E lei non è l’unico elemento che manca all’appello.’ ‘Ti dispiace spiegarti?’ ‘È sparita anche l’intera scorta di variante dell’Ebola.’
Ottantacinque
In alto, sopra lo skyline di Manhattan, il cielo notturno e un cumulo di nubi a rullo invernali rendevano invisibili quattro Air Force F-15 mentre compivano un ampio giro attorno all’isola. Sotto di loro, il cielo era sgombro, ad eccezione della flotta di sette elicotteri del Distretto di New York che ronzava veloce in circolo sopra Midtown. Tutti gli altri velivoli commerciali erano stati trattenuti a terra, il Kennedy era stato chiuso; stesso dicasi per il La Guardia e Newark. Sotto di loro, i piloti degli elicotteri riuscivano a scorgere la scia rossa formata dalle luci degli stop che serpeggiava lungo tutta la superficie dei ponti di Brooklyn, Manhattan e Williamsburg. Seduti accanto ai piloti, i tiratori, pronti a dispensare il castigo dall’alto, ricontrollavano ossessivamente le loro armi in attesa della chiamata. Gli stessi puntini rossi erano visibili anche a distanza sul Queensboro Bridge e all’entrata del Queens Midtown Tunnel. Dall’altro lato dell’isola, il traffico in attesa di accedere al Lincoln Tunnel sembrava risalire a qualche lontana rampa di uscita del New Jersey, di cui nemmeno Springsteen aveva sentito parlare. Dall’alto dei cieli, la città sembrava godersi un improvviso picco di notorietà, proprio nel momento in cui raggiungeva la sua massima capacità di contenere altri esseri umani. Anche il cielo, in fin dei conti, sembrava avere un limite. Sotto terra la realtà era diversa. Quattrocento eggeri erano seduti nelle carrozze dell’A-Train, immobili. Tesi. In silenzio. Più giù lungo il tragitto, la gente veniva scortata dalle banchine di nuovo in strada. Inferriate metalliche venivano tirate a sbarrare i varchi. I vasi sanguigni della città venivano chiusi uno dopo l’altro. La stessa storia valeva per l’Holland Tunnel. La stessa storia per ogni tunnel che portasse in citta. Motori delle auto spenti. Guidatori infuriati che scambiavano ben più che carinerie con poliziotti dalla faccia di pietra. ‘Devo andare a prendere mia figlia a una festa. Mi ha chiamato un’ora fa. Era in lacrime.’
‘Ma il mio appartamento si è allagato. Mi ha chiamato il portiere. Mi sono dovuto fare tutta la strada fin qui dal Maine.’ ‘Che cambierà mai a far are una macchina, agente?’ Qualsiasi supplica, esortazione, o tentativo di corruzione si scontrava con la stessa risposta. Non se ne parla. La città è chiusa. Nessuno entra e nessuno esce. Manhattan è sotto sequestro.
Ottantasei
‘Allora, secondo te chi si prenderà tutti i meriti?’ chiese Ty mentre l’elicottero si abbassava e virava a sinistra, attraversando l’East River in direzione di Manhattan. ‘Di che diavolo parli? Quali meriti?’ chiese Lock, sforzandosi di farsi sentire sopra i tonfi delle pale del rotore. ‘Il Giorno del Giudizio, scemo. Gli Ebrei credono di essere la tribù perduta, giusto? E poi ci sono i Protestanti. Loro sono gli eletti. Stesso dicasi per i Cattolici. I Mormoni pensano di essere loro. I Musulmani. Dannazione, non sarebbe un calcio tra le palle dopo tutta la merda che ci hanno tirato di recente? Gli Indù? Non ce li vedo. I testimoni di Geova? Mmm, si sono dati al lobbismo pesante. Bisogna considerarlo. I Buddisti pensano che torneranno sotto forma di farfalle o altre cagate del genere. Ma va da sé che non possono avere tutti ragione. Vuoi sapere qual è il mio cavallo vincente?’ ‘Lo Stato Islamico?’ ‘Nah, che andassero al diavolo, non sono più gli stessi da quando hanno perso Farrakhan. Io punto sugli Irlandesi.’ ‘Essere irlandese non è una religione.’ ‘Prova a dirlo a loro. No, qualcosa di grosso come il Giorno del Giudizio sarà tutta questione di fortuna cieca. E non troverai nessuno più cieco o fortunato di un irlandese.’ Ty tornò ad appoggiarsi allo schienale del sedile, apparentemente soddisfatto di aver dato uno schiaffo in faccia a tutte le principali religioni del mondo, nonché alla patria di almeno un decimo della popolazione del paese, in una volta sola. Frisk si voltò sul sedile. ‘Si comporta sempre così?’ gridò a Lock. ‘Sfortunatamente, sì. Poi ci si abitua.’
‘Non credi che sia un po’ irrispettoso?’ Ty sembrò ferito. ‘Quando ti viene in mente un momento più appropriato per fare una domanda del genere fammelo sapere. Oh, e prima di immergerti in un cazzo di viaggio nel senso di colpa per l’11 settembre, lascia che ti dica che ho perso un fratello nella Torre Due.’ Il fratello di Ty faceva parte dei Vigili del Fuoco, era uno di quelli che saliva, mentre tutti gli altri stavano scendendo. Lui e Ty erano uniti. Ty, per reazione, si era arruolato nei Marines, decidendo che agire sarebbe stato più produttivo di restare lì a soffrire portando il lutto. In quel momento, nel retro di un elicottero, raggiungendo in volo una città da cui qualunque persona dotata di buon senso sarebbe volata via, Lock sperò che la storia non fosse sul punto di ripetersi. ‘Dunque, potremmo tornare al problema attuale?’ chiese Frisk mentre l’elicottero compiva l’ultima manovra approcciando la pista di atterraggio. ‘Procediamo’, disse Lock, mentre il pilota dava il segnale di restare seduti nei secondi successivi. ‘Se il tuo presentimento è quello giusto, e noi non l’abbiamo bloccata mentre faceva breccia nel cordone, avrà intenzione di dirigersi dove può causare i maggiori danni collaterali.’ ‘Che, nella sua testa, sarà qui’, disse Lock mentre si slacciavano le cinture, uscivano, e venivano rimpiazzati a bordo da due tiratori scelti del JTTF. Lock si avviò verso il perimetro dell’edificio con Ty alle calcagna, entrambi che rientravano nei rispettivi ruoli di capo del team e secondo in comando. ‘Allora quante persone abbiamo, qui sotto?’ chiese Lock, raggiungendo un cornicione in cemento di un metro d’altezza che marcava la separazione tra il tetto e il vuoto. ‘Direi approssimativamente ottocentomila.’ ‘No, non in città, intendo nella piazza’, scattò Lock. ‘Guarda tu stesso se non mi credi.’
Lock si sporse, mentre un’improvvisa stretta al cuore lo faceva finire quasi oltre il bordo, la mente sopraffatta dall’immagine davanti a sé. Ty lo afferrò per la giacca, strattonandolo all’indietro. Lock continuò a fissare la scena. Frisk non stava mentendo. Times Square era stipata di una massa di persone tale da estendersi fin dove arrivava lo sguardo. ‘Che diavolo ci fa qui questa gente?’ Times Square fremeva di attività la sera tardi, era sempre stato così, anche dopo che i residenti della peggior risma erano stati cacciati via, ma quella era roba da pazzi. Non si trattava solo dei marciapiedi, era occupato ogni singolo centimetro a disposizione. Frisk gli lanciò un’occhiata perplessa. ‘Non lo sai?’ ‘Non lo chiederei, altrimenti.’ ‘E non sai che giorno è?’ Lock non lo sapeva. E poi, fissando la gigantesca palla di cristallo pronta a fare la sua discesa dalla cima del palazzo numero uno di Times Square e le gru televisive con i loro puntini castani a evidenziare i presentatori famosi, distinguibili dalla massa persino a quell’altezza, capì. Sapeva esattamente che giorno fosse. O meglio, che notte. ‘È la notte di Capodanno.’
Ottantasette
‘Quanta gente hai detto che c’è?’ I tre uomini erano in piedi sul basamento di cemento, Ty che teneva la mano sulla schiena di Lock per timore che il suo amico fosse colto da un mancamento. ‘Nelle immediate vicinanze, le stime dicono ottocentomila’, rispose Frisk. ‘Farli evacuare?’ chiese Ty. ‘Non è un’opzione praticabile.’ ‘Perché no?’ ‘Se vuoi dire a poco meno di un milione di persone che una dei terroristi più famosi del mondo è a piede libero con un mucchio di esplosivo attaccato al petto, fa pure. Con ogni probabilità ne perderemmo alcune migliaia solo nella calca.’ Lock sapeva che Frisk aveva ragione. Quello era il sogno erotico di ogni jihadista fatto realtà. Perfetto per un attacco suicida. Migliaia e migliaia di persone, ammassate in uno spazio ristretto. Oltre a ciò, c’era ampio spazio di manovra per creare del panico. E, come aveva appena evidenziato Frisk, il panico avrebbe potuto far fuori persino più gente della bomba. Infatti, se Mareta era lì da qualche parte e si faceva esplodere, il panico avrebbe agito alla grande da ordigno secondario. ‘La gente è abituata a vedere un dispiegamento di forza pubblica di questo genere la vigilia di Capodanno,’ rimarcò Frisk. ‘E a proposito della chiusura dei ponti e dei tunnel?’ ‘Siamo rimasti sul vago il più possibile, e finora quelli dei notiziari ci stanno aiutando a mantenere il riserbo.’ Il pensiero di Lock volò improvvisamente a Carrie. Gli tornò in mente quello che
aveva detto Brand, il fatto che fosse stata investita da un SUV, e quanto si fosse sentito sollevato quando Ty gli aveva detto che era viva e che stava bene. ‘Credi che Mareta sia qui?’ chiese Frisk. Lock scese dal cornicione, poi si sporse per dare un’ultima occhiata alla folla accalcata sotto di lui. ‘Sì, è qui’, disse, voltandosi e dirigendosi verso le scale.
Ottantotto
Zuppo di sudore, Stafford emerse dall’autopattuglia, si spostò sul retro del veicolo e aprì il bagagliaio. Indietreggiò, il revolver di Caffrey in mano, e con un cenno ordinò a Mareta di scendere. Lei ne uscì rigidamente, mentre la giacca si sollevava a mostrare un telefono cellulare infilato, come il microfono di una radio, sul retro della sua cintura. Dei fili partivano dal telefono e le si arrampicavano su per la schiena, fino a sparire dalla vista. ‘È il momento del tuo appuntamento col destino, chiappette d’oro.’ ‘Sono pronta’, gli rispose. ‘Allora dillo con più convinzione. Non dai l’impressione di una che voglia cementare la sua posizione nei libri di storia. Credevo che fosse questo, quello che cerca la gente come voi.’ Quando si era imbattuto in Mareta tra le macerie fumanti del complesso, una volta liberatosi della sua scorta armata, Stafford si era improvvisamente reso conto di quale fosse il segreto del successo di Mareta. Lei aveva la capacità di abbracciare l’idea del martirio per gli altri, senza però cogliere l’opportunità per sé. Il Fantasma. Già, proprio. La Madre di tutti i Codardi sarebbe stato più adatto. Altro che colpisci e terrorizza. Stavolta, però, si sarebbe assicurato che il Fantasma se ne andasse con un botto. Avendo saltato, chissà come, il modulo 101 ‘Come costruire un ordigno esplosivo improvvisato collegato a una persona’ quando era a Darmouth, Stafford fu felice di appurare che Mareta si era già occupata della maggior parte del lavoro per conto suo. A lui non era rimasto altro da fare che glassare la torta e accendere le candeline. ‘Pensi che i tuoi bambini ti staranno aspettando quando li raggiungerai, Mareta?’ ‘Non parlare dei miei figli’, disse lei, muovendo un o nella sua direzione.
Lui fece scivolare la pistola lungo il fianco, indietreggiò, ed estrasse il Blackberry dalla tasca. Un numero era pronto, già digitato, sullo schermo. Spostò il pollice in alto, sopra il pulsante di chiamata. ‘Ehi, ehi, noi non vogliamo essere prematuri, sei d’accordo?’ La spinse in avanti. Alle loro spalle, Caffrey giaceva scomposto sul sedile posteriore dell’autopattuglia, la bocca aperta e il sangue che gli colava dagli occhi.
Ottantanove
Lock non si era mai reso conto che gli esponenti del Quarto Potere fossero così sottomessi. Anche nel bel mezzo di una zona di guerra, si poteva contare sui media perché sdrammatizzassero i momenti più oscuri con un umorismo macabro, tale da far riscoprire anche ai soldati più cinici coinvolti nelle operazioni il proprio senso di correttezza politica. In questo caso era diverso, però. Si erano riuniti in una sala di trasmissione mobile, attrezzata a ricevere ogni contenuto video separatamente. In onda, il pubblico a casa stava vedendo inquadrature della folla dalle festività dell’anno precedente, coordinati con commenti di colore locale. Nessuno aveva chiamato per lamentarsi. O l’America era troppo avanti con i brindisi, o le emittenti avevano davvero bisogno di trovare una nuova angolazione. Lock era seduto accanto a Carrie e ava in rassegna gli schermi, sollecitandola di tanto in tanto, chiedendo se un teleoperatore poteva inquadrare più da vicino una certa porzione della folla. A parte quello, Lock era silenzioso, concentrato. Focalizzato a vedere piuttosto che a guardare e basta. Gli uomini che facevano il lavoro di Lock, e che lo facevano bene, sapevano che perlopiù la gente si aggirava dormendo ad occhi aperti. Sapevano anche che quello era un lusso che loro non potevano permettersi. Carrie si accostò a lui e gli sfiorò la mano. Lui la ritrasse, dicendo solo due parole: ‘Più tardi.’ Poi, per mitigare il tono aspro, aggiunse ‘D’accordo?’ Lei sospirò. ‘D’accordo.’ Dall’altra parte della stanza, Ty stava usando un approccio più rustico con il produttore che lo supervisionava. ‘Non quella, stronzo. Quella lì!’ Anche se breve, il tempo trascorso con Ty aveva lasciato il produttore, un uomo evidentemente più abituato ad abbaiare ordini che a subirli, con gli occhi acquosi e un evidente tremito al labbro inferiore.
‘Adesso, avvicinati. Zuma, tesoro, avvicinati.’ Un attimo dopo l’oggetto del suo interesse si voltò per mostrare un folto pizzetto piazzato sopra un prominente pomo d’Adamo. ‘Dannazione’, grugnì. Frisk percorreva avanti e indietro la moquette dietro di loro. ‘Avete avuto fortuna?’ Lock scosse la testa. ‘Almeno, quando cerchi un ago in un pagliaio, il pagliaio non si muove in continuazione.’ Si sentì una voce provenire dal fondo della sala. ‘Che stronzi.’ Le teste si voltarono in quella direzione e gli occhi corsero al monitor all’angolo opposto della stanza dove scorreva un filmato in diretta della baldoria a Times Square. In primo piano era inquadrato un corrispondente, lo stesso tizio con l’aspetto da membro di una confraternita con cui Carrie si era scontrata alla conferenza stampa di Stokes e Van Straten. Sullo schermo, all’altezza del suo petto, un banner scorreva riportando brutte notizie: Seria falla nella Sicurezza all’impianto di Bioterrorismo...Virus Ebola scomparso...Bersaglio ipotizzato Times Square. Mentre i cellulari si mettevano a squillare, la porta si aprì e Gail Reindl irruppe nel caravan, preceduta da un’ondata di profumo con più potere stordente di qualsiasi arma batteriologica. ‘Ok, Carrie, ormai il gatto è fuori dal sacco, vediamo di piazzarti di fronte a quella telecamera.’ Mentre quelli della tv si dirigevano fuori, lo sguardo di Lock si fissò sui monitor osservando come la notizia cominciava lentamente a filtrare tra la folla. I telefoni incollati alle orecchie, alcuni erano già in marcia e si stavano dirigendo fuori dalla piazza aprendosi, se necessario, un varco a spintoni. Il risultato degli sforzi collettivi di tanti individui che tentavano di sfuggire alla folla, era quello di farla confluire in grossi imbuti di umanità. Sembravano plancton che si riversasse in ogni direzione per sfuggire ad un ignoto predatore. Frisk si piazzò in piedi alle sue spalle. ‘Oh, merda.’ Poi Lock individuò qualcosa. Un’inquadratura più ravvicinata di una piccola
porzione di folla. Alcune figure isolate. Forse due dozzine. Si alzò in piedi, con l’indice puntato sullo schermo. ‘Lì. Il margine in alto a sinistra dell’inquadratura. Avvicinati a lei.’ Uno dei tecnici rimasti mormorò qualcosa al microfono e l’inquadratura dell’immagine si modificò. Qualche secondo dopo, la donna fu ripresa al centro dell’inquadratura. Indossava una giacca da sci super imbottita. Aveva i capelli raccolti in una coda. ‘Più vicino. Il volto. Il volto.’ La donna si girò per metà, e Mareta Yuzik ricambiò il loro sguardo dallo schermo.
Novanta
‘Angolo Sud Est tra la Quarantunesima e la Broadway’, gridò Frisk mentre volavano lungo la Broadway, spingendo da parte chiunque non si levasse dai piedi abbastanza in fretta. Due isolati. ‘Alcuni dei nostri uomini sono lì in questo momento.’ ‘Ok’, gridò Lock, già a corto di fiato. ‘Conoscono la procedura?’ Avere a che fare con quella che in gergo era conosciuta come BBIED, o ordigno esplosivo improvvisato fissato su un corpo, era uguale ad avere a che fare con un comune ordigno esplosivo improvvisato, o con qualsiasi altro tipo di bomba. Conferma. Evacuazione. Cordone. Controllo. A parte per il fatto che, con una bomba collegata ad un essere umano, era coinvolta una variabile altamente imprevedibile: l’essere umano. Quanto più si avvicinavano alla posizione, tanto maggiore era la corrente generata dalle persone che correvano nella direzione opposta. Dai commenti colti qua e là, sembrava che la maggior parte di loro non sapesse perché stesse correndo, ad eccezione del fatto che tutti gli altri lo stavano facendo. Entrava in gioco l’istinto del branco. Un uomo stava spingendo davanti a sé la figlia di dieci anni. Ty la vide inciampare e finire sommersa da un turbinio di piedi. Nessuno si degnò di abbassare lo sguardo per vedere cosa, o chi, stesse calpestando. Il padre fu trascinato lontano da lei. Ty, con la determinazione di un Marine, si fece strada nella sua direzione a gomiti aperti. La tirò di nuovo in piedi, pesta e ammaccata. Piangeva. Gridando al padre di seguirlo, la trascinò fino alla soglia d’ingresso di un negozio dove si ricongiunsero, poi riprese a correre. Lock aveva perso di vista Ty. E Frisk. Ma era quasi arrivato. Non che dovesse controllare i segnali o mettersi alla radio. Lo sapeva perché la folla si stava diradando. E poi, come se fosse ato attraverso un muro di carta, si ritrovò
nel bel mezzo della strada vuota. La donna era in piedi, con la schiena rivolta verso di lui. Era circondata da una schiera di poliziotti ad armi spiegate. Un paio avevano scudi balistici, ma la maggior parte no. ‘Mareta?’ La donna si voltò. Era lei. Fissò Lock con uno sguardo che non tradiva alcuna emozione. Nemmeno se l’avesse riconosciuto oppure no. Uno degli uomini dietro gli scudi gridò verso di lei. ‘Bene, mani in alto dove possiamo vederle!’ Mareta eseguì, allargando le mani verso l’esterno nella posa di un Cristo in croce. ‘Ok, ora voglio che si apra la giacca con la mano destra.’ Lentamente, senza fretta, e senza compiere movimenti improvvisi, la mano raggiunse la cerniera e cominciò ad abbassarla. ‘Che diavolo è quella roba?’ Ty e Frisk li avevano raggiunti, fermandosi accanto a Lock. Vedevano la cintura suicida, ma sul davanti, infilati tra i frammenti, c’erano sei fiale in acciaio. Che lo fero realmente o meno, Lock avvertì distintamente tutti i presenti sulla scena fare un bel o indietro. ‘Pensi anche tu quello che penso io?’ chiese Ty. ‘Potrebbe trattarsi di un bluff’, fece Frisk, serrando e rilassando i pugni. ‘Non è un bluff’, affermò Lock. ‘Secondo Richard quanta gente può far fuori quel quantitativo di materiale biologico?’ ‘L’intera città.’ L’agente della Squadra Artificieri continuò a darle istruzioni, a tradirlo, di tanto in tanto, solo la voce che si spezzava. ‘Ok, continui ad abbassare la zip. Usi una mano sola. Niente mosse improvvise.’
Il cursore della cerniera si impigliò su una delle maglie, Mareta lo strattonò verso il basso, liberandolo, e lo tirò fino in fondo. La giacca era completamente aperta. ‘D’accordo, se la faccia scivolare di dosso’, proseguì l’agente, uscendo per un momento dalla copertura dello scudo per mostrarle cosa voleva che fe. Lei ripeté il movimento alla perfezione. La giacca cadde a terra. ‘Perché sta collaborando?’ chiese Frisk. ‘Non lo so’, fu l’unica risposta che poté offrire Lock. Poi gli occhi gli caddero sulla cintura. ‘Quello lì non va bene per niente’, disse. ‘Cosa?’ chiese Frisk. Attaccato alla vita e tenuto in posizione con del nastro telato, con i fili elettrici che da lì si dipanavano fino alle cariche esplosive, c’era un telefono. ‘Il telefono. L’ultima volta che l’ho vista teneva i fili di contatto in mano. Ora c’è un cellulare.’ ‘Il che significa...’ Lock zittì Ty sollevando una mano. ‘Frisk, chi altri mancava al conto finale giù all’impianto di ricerca?’ ‘Restava fuori uno dei fuggitivi, ma l’abbiamo individuato.’ ‘Chi altro mancava? Pensaci.’ ‘Solo Stafford Van Straten.’
Novantuno
Stafford tirò il Blackberry fuori dalla tasca, scorse lo schermo con il pollice fino all’icona della rubrica, la aprì con un click, e scorse di nuovo fino a fermarsi su un nome: Mareta. Sotto c’era un altro contatto identificato da un’unica parola: Nicholas. Valutò l’idea di fare un’ultima chiamata a suo padre. Ma cos’altro aveva da dirgli, se non addio? Quindi, la banda più scura sullo schermo rimase dov’era, ad appena un click di distanza dalla storia. Una chiamata al telefono fissato alla cintura di Mareta e chiunque, nel raggio di mezzo isolato, sarebbe stato spacciato. I più fortunati sarebbero stati quelli che non fossero stati uccisi dall’onda d’urto o dai frammenti. Le fiale attaccate attorno a lei avrebbero diffuso la variante dell’Ebola in lungo e in largo, mentre le ferite aperte avrebbero assicurato una diffusione efficace e mortale del virus tra i sopravvissuti. Chi poteva sapere quanti sarebbero stati i morti alla fine? Diecimila? Centomila? Un milione tondo tondo? Sorrise. Abbastanza perché si ricordassero di lui. Stafford stava prendendo coraggio, il pollice a pochi millimetri dalla rotellina del Blackberry, quando lo schermo si illuminò per una chiamata in arrivo. ‘Ehi Staff. Sono Tyrone.’ ‘Potrei chiuderti il telefono in faccia, Tyrone.’ ‘So che puoi, Staff. Ma basterà un tiro pulito perché noi la chiudiamo con te.’ ‘Allora buona fortuna. Se sapeste dove sono, l’avreste già sparato.’ ‘Buona argomentazione. Solo un’altra cosa, Staff. Io e Lock non abbiamo mai avuto l’opportunità di discutere i dettagli del nostro trattamento di fine rapporto con la società.’ ‘Tranquillo, me ne occupo subito’, disse Stafford, mettendo fine alla chiamata.
Lock era in movimento, una mano sulla spalla di Mareta, mentre la trascinava a tutta velocità lungo la strada verso l’entrata della metropolitana a mezzo isolato di distanza. Un piccolo capannello di persone si era raggruppato in cima ai gradini. Alcuni si spostarono, altri rimasero semplicemente a guardare mentre Lock si precipitava verso di loro spingendo Mareta di fronte a sé. Qualcuno ipotizzò che fosse ferita e che lui stesse cercando di portarla in salvo, ma poi una donna colse il dispositivo attorno al petto di Mareta e cominciò a gridare. ‘Oh mio Dio! È una bomba! Ha una bomba!’ Lock tagliò fuori tutti, la vista annebbiata e ristretta. Ed era davvero troppo stanco per pensare a respirare. Uno strattone, una caduta, e la cintura sarebbe potuta scoppiare. Non c’era bisogno del cellulare per innescarla. ‘Fuori dai piedi!’
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Stafford avanzava a o svelto, parallelo rispetto alla metropolitana, mentre la gente lo superava correndo nella direzione opposta. Nessuno sapeva dove andare mentre la situazione procedeva a una tale velocità da rendere il panico assoluto. Vide Lock farsi strada a spintoni tra la gente riunita vicino all’entrata della metropolitana. Forse erano un centinaio di persone, il tempismo era perfetto. Stafford teneva il Blackberry nel palmo della sua mano. L’intera città, in effetti. ‘Permesso!’ Stafford sollevò lo sguardo un secondo troppo tardi, senza riuscire ad evitare la spallata di un damerino palestrato dal collo taurino con indosso un giubbotto di raso dei Giants e un cappellino coordinato. Sbandò. Ritrovò l’equilibrio e premette sulla rotellina del Blackberry. Un attimo dopo sullo schermo apparve la scritta Mareta, chiamata inoltrata.
Lock sollevò la SIG e tirò Mareta dietro di sé. Forzando la serranda che bloccava i tornelli, spinse Mareta in avanti, attraverso la barriera di sicurezza, mentre la vista della pistola sedava le lamentele di un solitario addetto ai trasporti. Giù per gli scalini. Verso il binario. Ogni o che li portava più in profondità. Più in profondità e, sperava lui, più al sicuro.
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Il numero chiamato non è raggiungibile. Stafford resistette alla tentazione di gettare il Blackberry sul marciapiede. Invece, si lanciò verso l’entrata della metropolitana. Raggiunsero il binario. Lock si fermò a riprendere fiato. All’improvviso fu colpito dall’ironia della situazione. In quel momento era la guardia del corpo di un attentatore suicida. Quello sì che avrebbe dovuto inserirlo nel curriculum. Se fosse sopravvissuto. Un tunnel si apriva ad entrambe le estremità del binario. Sempre più a fondo nelle viscere della terra. Più al sicuro. Niente copertura telefonica nei tunnel. Prese una grossa boccata d’aria e spinse Mareta lungo il binario in quella direzione, allontanandosi dai gradini.
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Stafford se l’era immaginato. Piano B, allora. Non aveva bisogno di chiamare il cellulare. A loro bastava un colpo secco? Lo stesso valeva per lui. Sarebbe bastato un solo colpo in un punto qualsiasi del petto di Mareta. Nel frattempo, aveva raggiunto la cima dei gradini. Una donna di mezza età con l’uniforme dell’Autorità per i Trasporti era ferma in fondo alla scala,
inaspettatamente impegnata a respingere un groviglio di persone che si erano dirette alla metropolitana. Unici responsabili della situazione, la consapevolezza dei propri diritti tipica dei newyorkesi e un cancello aperto. ‘Signori, fatevi indietro. La metropolitana non è aperta.’ Mentre un uomo corpulento in giacca e cravatta chiedeva, ‘Allora perché il cancello è in quella posizione?’ Stafford si fece strada lentamente attraverso la folla. La donna gli piazzò il braccio davanti al torace. ‘La metropolitana è chiusa.’ Stafford tirò fuori la pistola di Caffrey, le sparò un colpo in testa a bruciapelo, poi scavalcò il tornello. Le grida riempirono l’aria, seguite da una folle corsa per guadagnare l’uscita. Guardandosi alle spalle, Stafford vide Ty scendere i gradini dell’ingresso principale tre alla volta, con la pistola spianata e l’aspetto di uno pronto a prendersi la liquidazione che gli spetta. Stafford continuò a correre.
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Fine della banchina per Lock e Mareta. Fetore di urina stantia e un topo morto stecchito tra le rotaie. ‘Che succede se sopravvivo?’ chiese Mareta. ‘Morirai in prigione.’ Lock non aveva le energie per mentire. Mareta sollevò la mano e si liberò, saltando giù sul binario. La rotaia elettrificata era ad appena pochi centimetri di distanza dal suo piede. Il cuore di Lock tremò fin quasi a fermarsi mentre lei si afferrava la gamba ferita, la sollevava per superarlo, e continuava ad avanzare. Lock saltò dietro di lei, lasciando l’appoggio e atterrando in una melmosa pozzanghera marrone. Nel frattempo Mareta si stava tirando su dall’altro lato con un grugnito. Bloccato tra i binari che portavano in centro e quelli in direzione della periferia, Lock sentì uno scalpiccio di i provenire dai gradini in fondo alla banchina. Poi Stafford Van Straten fece la sua comparsa.
Nascosto allo sguardo di Ty ma visibile a Lock, Stafford fece capolino da dietro uno dei sudici pilastri piastrellati di bianco. Stafford individuò Mareta dall’altro lato della banchina e sollevò il revolver in acciaio, seguendo i suoi movimenti con il mirino metallico. Miglior tiratore del ROTC. Quattro anni prima. Lock sollevò la SIG, puntandola in direzione di Stafford con la mano destra. Non prese la mira. Non ce ne fu bisogno, era fermo. Dovette solo premere il grilletto. Il colpo raggiunse Stafford in pieno volto, penetrando nella guancia destra prima di continuare attraverso i molari, frantumando smalto e radici per poi are attraverso lo zigomo e uscire. Prima che Stafford toccasse terra, prima che la pistola cadesse rumorosamente sulla banchina, Lock gli restituì il favore altre due volte. Tap. Nella gola – un pizzico di fortuna quel colpo. Lock era in stato di grazia. Tap. Un ultimo colpo nello sterno. Mentre gli stivali di Ty raggiungevano la banchina, il corpo morto di Stafford Van Straten colpiva il cemento. Mareta aveva preso il volo, tornando di corsa in direzione delle scale. Lock fece per andarle dietro, facendo segno a Ty di are dall’altra parte, per prenderla quando fosse uscita dalla direzione opposta. Mentre Lock faticava a risalire sulla banchina, improvvisamente la distanza tra loro era aumentata, raggiungendo un centinaio di metri, con Mareta che chissà come – pur zoppicando – acquistava velocità. Un velo nero calò davanti agli occhi di Lock. Il suo corpo chiedeva pietà. Troppo tempo ato in modalità allarme rosso. Sentiva Ty gridare il suo nome da quelli che sembravano chilometri di distanza. Confusione. La sua mente che imponeva al suo corpo di continuare a funzionare. Che imponeva a sé stessa di spiegare cosa gli stesse succedendo. Il vaccino. La bomba. Una miriade di possibilità. Poi Mareta cambiò improvvisamente direzione. Si allontanò dai gradini. Dalla
luce. Si diresse verso il tunnel dall’altro capo della banchina. Lock ritornò in sé, riprese il controllo, mentre Mareta scompariva inghiottita dall’oscurità. Determinato a impedire al Fantasma di mettere in scena l’ennesima sparizione, Lock si lanciò lungo il binario.
Novantadue
Una mano calò sulla spalla di Lock. Lui compì un giro su sé stesso. ‘Calma’, disse Ty. ‘Sono io.’ ‘La vedi?’ ‘Non vedo un cazzo quaggiù. Però ho qualche buona notizia.’ ‘Ah sì?’ ‘Hanno tolto la corrente al terzo binario, e abbiamo il JTTF che sta venendo giù dalla Trentaquattresima. Non andrà da nessuna parte.’ ‘Non dimenticare con chi abbiamo a che fare, qui. Hai una torcia?’ ‘Sì, aspetta un attimo.’ Ty prese una Mini-Mag dalla cintura e ruotò la ghiera sul fondo. Diresse la luce ad illuminare il tunnel, ma il fascio si interrompeva dopo una decina di metri. ‘Dovrà bastare’, disse Lock, con assoluta mancanza di convinzione. Ty abbassò il fascio in modo che la luce si raccogliesse ai loro piedi, a malapena sufficiente a distinguere dove li mettevano, scansando rotaie e detriti di ogni genere. Lock si lanciò un’occhiata alle spalle quando delle voci echeggiarono dietro di loro. I rinforzi. Quattro agenti dell’Autorità dei Trasporti. Senza tute anticontaminazione. Nessun dubbio in merito al loro coraggio. Un po’ meno riguardo alla loro capacità di giudizio. La luce proveniente da una delle loro torce colpì Lock dritto negli occhi. Lui sollevò una mano. L’agente in servizio fece cenno al collega di abbassarla. ‘Gesù, metti giù quel dannato affare.’
Ty tornò indietro di corsa per fungere da collegamento. ‘Voi ragazzi dovreste indossare delle tute anticontaminazione, se volete stare qui sotto.’ ‘Le vostre devono essere invisibili’, ironizzò l’agente con la torcia. ‘La nostra situazione è diversa.’ ‘E perché?’ ‘Siamo già stati esposti entrambi’, spiegò Ty. Due degli agenti arretrarono di un o. Quello con la torcia fece del rimanere in posizione una questione di principio. ‘Una dei nostri è stata uccisa stanotte’, disse, mentre la voce gli si spezzava. ‘Una ragione in più per lasciarci fare questa cosa nel modo giusto’, replicò Ty. Uno dei suoi colleghi cominciò a tirarlo via. ‘Andiamo.’ L’agente con la torcia se lo scrollò di dosso, sollevando il fascio di luce e dirigendolo alle spalle di Lock. ‘Allora se tutti quelli quaggiù devono indossare delle tute, forse tu e il tuo amico dovreste dirlo a tutta quella gente.’ Ty si voltò e seguì la luce che finiva a illuminare un treno della metropolitana stipato di gente.
Novantatré
Sei vagoni. Ognuno con una capacità di contenimento complessiva di duecentoquarantasei persone. Più un conducente. Anche ammettendo che potessero essere pieni per due terzi, una cifra arrotondata per difetto nella notte di Capodanno, facevano un migliaio di persone. Completamente sottoterra, in piena oscurità, con Mareta in agguato tra le tenebre che dava un significato completamente nuovo alla definizione di Treno Fantasma. Lock si avvicinò lentamente alla fiancata del primo vagone. Era strapieno. Volti distorti dal vetro del finestrino del vagone; alcuni terrorizzati, altri in attesa, la maggior parte stoici. Lock immaginò che quelli stoici appartenessero ai newyorkesi di nascita. Mentre Lock raggiungeva il vagone di coda, i quattro agenti a cui aveva chiesto di restare indietro, formando un cordone nel caso in cui Mareta avesse tentato di sfuggirgli, si allontanarono lentamente. ‘Dobbiamo portare questa gente fuori di qui’, disse uno di loro. ‘Non dire stronzate, Sherlock’, borbottò Lock mentre faceva cenno a Ty di raggiungerlo dall’altro lato del vagone di coda. ‘Si è nascosta per bene, se poi è ancora qui’, disse Ty. Lock spostò lo sguardo dai vagoni agli agenti del Trasporto. ‘Ci sono altri treni in questo tratto?’ ‘Soltanto questo.’ Chiuse gli occhi per un momento, ripensando alle parole pronunciate da Mareta nella cella quando lui l’aveva sondata riguardo alla sua capacità di eludere la sorveglianza, anche quando le probabilità sembravano inesistenti. Sapeva che non era capace di are attraverso i muri. Ma in qualche modo ci riusciva. Quando loro guardano in basso, io mi tengo alta. Non intendeva letteralmente, ne era sicuro. Lei aveva capito un semplice fatto:
l’arte della fuga si basava in primis sul capire dove avrebbe cercato il tuo nemico. ‘Tutto a posto?’ La voce di Ty riportò Lock al presente. In quel momento, gli agenti del Trasporto stavano ispezionando i vagoni. Lasciò che continuassero e prese Ty da parte. Abbassò la voce in modo che nessuno potesse sentirli. Un attimo dopo misero fine al loro tête à tête. Lock tornò verso gli agenti. ‘Posso prendere un attimo in prestito la torcia?’ Lo stronzo con la Maglite gliela porse come se si trattasse del suo primogenito, e Lock si rivolse all’ufficiale in comando. Quando parlò, fece in modo di usare un tono abbastanza alto da poter essere udito da tutti. ‘Ha ragione, ripristiniamo la corrente e riportiamo questo bestione alla piattaforma. Ma dica al conducente di procedere lentamente. Lei è qui da qualche parte. Deve esserci.’ Mentre l’agente al comando si avvicinava velocemente al conducente per riferire, Lock rimase vicino a Ty. ‘Non appena si ferma alla Quarantaduesima, togli di nuovo la corrente.’ ‘Ricevuto.’ Lock dette istruzioni a Ty perché si muovesse al fianco della carrozza di testa mentre lui si accovacciava accanto al binario diretto a sud. Da lì avrebbe avuto una buona visuale della parte inferiore dei vagoni man mano che gli avano davanti. Qualche minuto dopo, seicento volt di corrente diretta si immisero di nuovo nel terzo binario con un sibilo, e le luci nei vagoni si riaccesero sfarfallando. Non appena l’ultimo vagone lo superò avanzando lentamente, Lock si assicurò di seguirlo fino alla banchina, adeguando il o in modo da rimanere parallelo al terzo vagone. Dopo aver percorso duecento metri, spense la torcia. Altri cento metri dopo, si infilò in una nicchia di servizio che si apriva nella parete del tunnel, nascosta alla vista. Poi attese. Ore di noia, momenti di terrore. Ecco cos’era quel lavoro. Ma laddove le pessime guardie del corpo si concentravano solo su cosa fare durante i momenti di terrore, una buona guardia del corpo si rendeva conto che il lavoro vero si
svolgeva durante le ore di noia. Lock coltivava la capacità di rimanere all’erta. Di guardare e di vedere. Non solo di sentire, ma di ascoltare. Più avanti, lungo i binari, sentiva i eggeri che scendevano dal treno e gli ordini provenienti da uno sciame di agenti del JTTF che si erano uniti all’Autorità dei Trasporti. ‘Rimanga dov’è.’ ‘Metta le mani sopra la testa.’ ‘Bene, ora può venire avanti.’ Quello era ciò che sentiva. Ma non era quello che stava cercando di ascoltare. arono dieci minuti. I suoi occhi cominciarono ad abituarsi all’oscurità mentre le molecole di rodopsina contenute nei bastoncelli della sua retina si riorganizzavano, permettendogli di distinguere lo spazio circostante. Poi lo raggiunse la voce di Ty. Abbastanza alta perché Lock potesse sentirla: ‘Ehi, Frisk, la corrente è spenta adesso?’ Frisk rispose esasperato: ‘Ti ho detto di sì.’ ‘Non avevo sentito.’ La mano destra di Lock si contrasse attorno all’impugnatura della SIG. Non mancava molto perché lei fe la sua mossa. Doveva farlo. Una volta ispezionati tutti i vagoni, quando si fossero resi conto che lei non era lì, si sarebbero riversati giù per il tunnel. Altri uomini. A dozzine. A centinaia, persino. Lock si mosse con cautela, incrociò la mano sinistra sulla destra in modo da appoggiare la torcia sopra il mirino della SIG. Respinse qualunque pensiero relativo alla posta che c’era in gioco. Alle vite che potevano andare perdute. Centinaia di migliaia, potenzialmente. Toglierselo dalla mente gli risultò molto più semplice di quanto avesse immaginato. Un uomo che abbraccia la morte saltando da un grattacielo in fiamme riempie d’orrore. Un milione di persone che muoiono di fame sembrano quello che sono, un numero.
L’unico numero che contava in quel momento era il due. Lui. E lei. Regolò il ritmo della sua respirazione. Escluse i rumori provenienti dalla banchina. Smise di sentire. Cercò di ascoltare. E poi eccolo lì. Il rumore di qualcosa che strisciava. Un topo, forse. Poi ancora, questa volta più forte, più nitido, più simile a qualcuno che trascini un sacco della spazzatura in mezzo ad un mucchio di foglie bagnate. Mareta. Lui chiuse gli occhi, concentrato a distinguerne la provenienza. Sembrava vicino. La sentiva respirare. Per tutto quel tempo non doveva essere rimasta a più di una cinquantina di metri da lui. Con un’unica mossa, compì una rotazione completa su sé stesso. Il rumore si ripeté. Da quanto poteva capire, lei si stava muovendo lungo il tunnel nella direzione opposta alla Quarantaduesima. Si concentrò e accese la torcia, illuminando la parete umida e grigiastra. Abbassò il fascio di luce a quella che ritenne l’altezza della testa e lo spostò verso sinistra. Mareta lo guardò strizzando gli occhi. ‘Mareta, è finita’, disse Lock. Le pupille di lei si ridussero a due spilli. Tentò di sorridere. Debolmente e senza convinzione. ‘Non è mai finita.’ ‘Questa volta è così’, disse lui, muovendo un o verso di lei, il cono di luce che si allargava ai contorni del suo viso man mano che lui si avvicinava. ‘Ti ricordi quello che ho detto?’ ‘Ogni cosa.’ ‘E del fatto che la morte è una via di fuga?’ Un fruscio di tessuto. Non ebbe bisogno di abbassare il fascio di luce sulle sue mani per sapere che le stava spostando verso i contatti metallici che avrebbero fatto detonare l’esplosivo legato attorno al suo corpo. Non aveva sprecato il tempo ato nel tunnel, rimpostando il detonatore attaccato al telefono in
modo da ricollegarlo ai contatti manuali. ‘Questa volta non c’è via di fuga, Mareta.’ Le puntò la luce contro l’addome. Teneva la mano sinistra rigida contro il fianco, con il filo di contatto stretto tra pollice ed indice. La mano destra era chiusa a pugno, e si muoveva un centimetro dopo l’altro verso l’altro filo di contatto che le pendeva dalla vita. ‘Ferma’, disse Lock, con la SIG puntata verso di lei. Lei obbedì. ‘Ok, quella mano, laggiù’ – mosse la torcia ad indicare la mano destra – ‘portala di nuovo in alto.’ Lei cominciò a sollevarla, allontanandola dal filo, tenendo il pugno serrato con tanta forza da avere le nocche bianche. Poi, quando la mano destra arrivò al livello della spalla, mosse improvvisamente il braccio all’indietro e poi verso l’alto. L’acciaio del coltello che celava nella mano produsse un lampo improvviso quando lo lanciò in direzione di Lock. La luce riflessa dalla lama rotante fu sufficiente a distrarlo mentre prendeva la mira. Il suo colpo finì alto e largo, mentre la lama colpiva il bersaglio, penetrandogli in alto nel petto, a qualche centimetro dalla spalla sinistra. Lock inciampò in avanti e cadde, il coltello che affondava di qualche centimetro mentre lui colpiva i binari e la Maglite che gli sfuggiva di mano. Sentì allentarsi la presa sulla SIG. Il dolore al petto era fortissimo. Ogni palpito di agonia più acuto del precedente. Il colpo di pistola provocò delle grida da entrambe le estremità del tunnel. Identificò per primo Ty. ‘Ryan?’ Quando l’eco della domanda non incontrò nessuna risposta, percepì la paura farsi strada nella voce di Ty. ‘Ryan!’
La cavalleria era in marcia. Lock lo sentiva. Ma non era abbastanza vicina da salvarlo. Sentì i i di Mareta avvicinarsi, sollevando lo sguardo giusto in tempo per prendersi il calcio direttamente in faccia. Il suo collo scattò all’indietro. ‘Perché non scappiamo insieme?’ chiese lei, mentre la mano destra si frugava addosso cercando l’altro contatto metallico. ‘Ryan!’ Ancora la voce di Ty, una tra le tante. Lock si chiese perché suonasse sempre più distante, quando Ty invece avrebbe dovuto essere ormai vicino. Lock rafforzò la presa attorno al calcio della SIG mentre la mano di Mareta si abbassava, ricomparendo all’improvviso con l’altro filo di contatto. In quel momento c’erano solo pochi centimetri a separare i due contatti. Il circuito era quasi chiuso. Lui prese un respiro e sollevò la pistola, ruotando il polso verso l’alto per quanto consentito dall’articolazione. Premette il dito sul grilletto. Il rinculo si propagò per il braccio così violentemente da fagli venire le lacrime agli occhi per il dolore che gli attraversò il petto. Il colpo centrò Mareta dritto in faccia, staccandole il naso e frantumandole la cartilagine tra gli zigomi. Lei barcollò all’indietro sugli avampiedi mentre allargava le braccia ai lati del corpo cercando di riprendere l’equilibrio. Cadde sulla schiena e rimase immobile. Non si dimenò. Nessuno spasmo della morte. Le braccia spalancate, le gambe unite, in una posa che ricordava bizzarramente un Cristo. Ty fu il primo a raggiungerla. Non corse rischi, colpendola una volta alla fronte e poi ancora in mezzo alla gola, l’angolazione del proiettile tale da troncare le prime vertebre ma da rimanere lontano dall’esplosivo. Si voltò verso Lock con un ghigno soddisfatto. Lock si rialzò lentamente. Ty fece del suo meglio per spingerlo di nuovo a terra.
‘Aiutami ad alzarmi, brutto stronzo’, grugnì Lock. ‘Sei ferito.’ ‘Già, e tu sei brutto.’ Ty tirò Lock in posizione eretta mentre gli agenti del JTTF sciamavano in tutte le direzioni. ‘Dannazione, tornate indietro per l’amor del cielo! Fate are i ragazzi della squadra artificieri!’ gridò Frisk. Ty diede un’ultima occhiata al corpo senza vita di Mareta senza provare alcuna emozione. ‘Un lavoretto piuttosto pulito.’ Poi vide il colore che abbandonava il viso di Lock. ‘Amico, devi farti dare un’occhiata. Io posso sopravvivere alla bruttezza, ma tu farai fatica a farlo con quel coltello che ti spunta dal corpo.’ Lock si aggrappò al suo amico in cerca di sostegno. ‘C’è ancora una cosa da fare.’ ‘Sono morti entrambi’, disse Ty, esasperato. ‘Noi abbiamo finito.’ Lock riportò lo sguardo all’estremità opposta del tunnel, in direzione delle luci. ‘Un’ultima cosa.’ ‘Non ti fai tutta questa strada la Vigilia di Capodanno per poi perderti questo, no?’ chiese Lock a Ty mentre erano entrambi in piedi al centro del triangolo che formava Times Square. Due paramedici gironzolavano lì attorno. I ripetuti tentativi da parte loro di dare a Lock niente più di un’occhiata superficiale, gli era valso solo un ringhio e la richiesta di un po’ di morfina che lo fe andare avanti ancora un po’. ‘E non quella cagata inutile che mi avete rifilato l’altra volta.’ Nel silenzio, la palla fece la sua discesa da un palo montato sull’edificio al numero uno di Times Square. Fatto salvo il dispiego di forze dell’ordine e di altro personale di soccorso, la piazza era vuota. Smisero tutti di fare quello che stavano facendo per osservare la sua avanzata. Quando l’ammasso di cristallo arrivò alla fine del viaggio, marcando il aggio di un anno e l’inizio di un
altro, Lock crollò addosso alla spalla di Ty, a malapena in grado di reggersi in piedi. ‘Buon anno, fratello.’
Epilogo
Tenendosi al margine del gruppo di congiunti che si erano riuniti per il funerale di Janice Stokes, Lock individuò Carrie. Senza microfono, senza telecamera, era lì solo a testimonianza di una vita vissuta e persa. Lì nelle vicinanze c’erano anche John Frisk e un paio di altri agenti del JTTF. Mentre il feretro di Janice veniva calato nella terra accanto a quelli dei suoi genitori, si allungò a sfiorare la mano di Carrie. Lei si voltò a metà e gli sorrise. ‘Alla fine ti hanno lasciato andare, allora.’ ‘Ho avuto il nulla osta questa mattina’, la rassicurò Lock. In realtà, da quando tutto era finito, aveva trascorso la maggior parte del tempo tra riunioni e interrogatori con di una serie di agenzie governative. Non ci aveva messo molto a capire il motivo per cui ci stava volendo così tanto: volevano essere sicuri che avrebbe mantenuto il silenzio in merito a certe questioni. Non avevano niente da temere. Il bioterrorismo consisteva tanto nell’indurre paura, quanto nella morte, e per come la vedeva Lock, la paura non era qualcosa che faceva difetto alla gente. Non di quei tempi, in ogni caso. Carrie si chinò verso di lui. ‘Va bene se io...?’ ‘Sicuro al cento per cento.’ Lei gli infilò la testa nello spazio tra il collo e le spalle, respirò il suo odore, poi lo baciò dolcemente sulle labbra. Per reazione, il cuore gli sussultò nel petto. Lei intrecciò la mano con la sua. Lui gliela strinse gentilmente e si inclinò avvicinandosi a lei. ‘Non sono sicuro che la gente dovrebbe pomiciare a un funerale. Potrebbe essere ritenuto inappropriato.’ Si voltarono di nuovo verso la fossa, sempre tenendosi per mano. Dall’altro lato della tomba, Lock colse lo sguardo di Don Stokes, stretto a sandwich tra due
massicci agenti penitenziari. Don salutò Lock con un cenno del capo, le manette che gli impedivano qualsiasi gesto con le mani. Don si era dichiarato colpevole per il ruolo che aveva svolto nell’esumazione di Eleanor Van Straten e aveva due anni da scontare. Cody Parker aveva davanti a sé cinque anni di prigione e lo stato di martire assicurato. Nicholas Van Straten non ce l’aveva fatta, ma l’intero consiglio direttivo della Meditech era sotto inchiesta federale e guardava da vicino la prospettiva di dover scontare vent’anni di prigione, visto che in quel momento la pirateria aziendale era vista dal grande pubblico per quello che era sempre stata, rapine in alto mare. Lo sfruttamento dei detenuti aveva suscitato sdegno a livello mondiale. I paesi mediorientali, in particolare, avevano vissuto una giornata campale, per quanto la Russia fosse rimasta stranamente in silenzio. Nemmeno la Cina era intervenuta, immaginando, con la tipica efficienza neocomunista, che alla fin fine quello era un modo produttivo di utilizzare i dissidenti. Il Congresso e il Presidente l’avevano fatto are come la prova definitiva dell’assoluta necessità di una regolamentazione federale che sorvegliasse le imprese private, e nessuno a Wall Street si era azzardato a contraddirli, per paura che venisse fatta luce anche su altre questioni. ‘Devo salutare un paio di persone. Tu aspettami’, disse Lock, scusandosi. ‘Ti ho aspettato per tutto questo tempo, no?’ rispose Carrie, scansandosi una ciocca bionda ribelle dal viso. Lock si avvicinò a Frisk e gli tese la mano. Frisk aveva l’espressione di uno che non sapeva se ringraziare Lock o strangolarlo, quindi la fecero breve. Stavano conducendo di nuovo Don Stokes verso il furgone del Penitenziario, quando Lock lo raggiunse. Lock lanciò un’occhiata alla tomba. ‘Mi dispiace per tua sorella.’ ‘È rimasta fedele ai suoi principi.’ Lock non poteva rispondere nulla che non avrebbe scatenato una discussione. Lui aveva chiuso con le persone. E con i loro principi.
‘Come te la cavi in prigione?’ gli chiese. ‘Non è male come l’avevi dipinta tu.’ ‘Ah davvero?’ ‘È peggio.’ Stava osservando Don mentre veniva caricato nel furgone del penitenziario, quando Carrie lo raggiunse in fondo alla collina. ‘Adesso che si fa?’ gli chiese. Lui si voltò a guardarla. ‘Dimmelo tu.’ L’appartamento di lei gli dava ancora una sensazione di casa. Quando Carrie entrò in cucina e si chiuse la porta alle spalle, lui ò in rassegna le foto nel soggiorno. Paul non era ricomparso. Era più o meno l’unica cosa che l’aveva fatto stare in ansia durante l’isolamento. Carrie lo chiamò dalla cucina. ‘C’è qualcun altro che ha sentito la tua mancanza, qui.’ ‘Tu hai sentito la mia mancanza?’ chiese Lock, incapace di reprimere il sorriso che gli spuntò in faccia. ‘Forse un pochino.’ Entrò in cucina. Angel gli andò incontro sulla soglia, la coda una massa confusa in movimento. Lock le diede una grattatina dietro alle orecchie. Lei colpì il pavimento con una delle zampe posteriori in segno di apprezzamento. ‘Che le hai dato da mangiare? È ingrassata’, commentò Lock, facendo un o indietro e guardandola meglio. Carrie rise. ‘È incinta.’ Lock osservò il cane con attenzione. ‘Immagino che tu non sia poi così angelica, dopotutto.’ ‘Ho parlato con Richard Hulme. Gli ho chiesto se Josh vuole essere il primo a
scegliere un cucciolo.’ ‘Lui che ha detto?’ ‘Ha detto che sarebbe felice di averne uno. Stanno lasciando la città per Washington e ha intenzione di tornare a lavorare per il Centro per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie.’ ‘Non funzionerà mai. Richard ha un senso morale troppo sviluppato per lavorare per il governo.’ ‘Credo che gli farà bene. Anche a Josh. Ci sono troppi brutti ricordi in quel loro appartamento.’ ‘In questo, invece, i ricordi sono piuttosto belli’, fece Lock, guardandosi attorno. ‘A cosa stai pensando, cowboy?’ ‘Ah, niente, lascia stare.’ Lei gli porse una tazza di caffè fumante. ‘Grazie.’ ‘Anche io stavo pensando a qualcosa’, disse Carrie. Lui sentì il cuore balzargli in gola. ‘Ah, sì?’ ‘Stavo pensando che magari ti piacerebbe fermarti un po’ qui. A dare un’occhiata ai nuovi arrivati quando sarà il momento.’ ‘Mi stai chiedendo di fornire un servizio di protezione ravvicinata a una nidiata di bastardini?’ ‘Allora, che ne dici?’ Lock le circondò la vita con le braccia e aggrottò le sopracciglia. ‘Immagino che potrebbe servire a tenermi fuori dai guai.’
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