SANGUINAVO MA AMAVO!
di
BASILE NICOLA
Titolo | Sanguinavo ma amavo Autore | Nicola Basile Copertina a cura dell’autore ISBN | 9788891112811 Prima edizione digitale 2013
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INDICE
Introduzione
Cap 1 – Sanguinavo ma amavo!
Cap 2 – L’effetto dei miei brividi che nascono dai tuoi baci
Cap 3 – Tra me e me
Cap 4 – Figlio del rifiuto
Cap 5 - Agire al di fuori della realtà
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PRESENTAZIONE
Ciao e grazie a tutti di cuore. Spero e mi auguro che ciò che troverai in questi miei pensieri, qualcuno sarà di tuo alto gradimento. Ti auguro un buon proseguimento di lettura e lascio a te il giudizio per poter giudicare
Questo è un libro profondo e come tale va interpretato
Ci tengo a precisare che questo libro non è stato editato volutamente, lasciando la naturale espressione di ciò che sono, senza dare importanza alla forma… ma dandone al contenuto!
Sanguinavo ma amavo!
Queste mie parole, che navigano nella commozione mentre le scrivo, narrano un racconto, un ritratto, un dipinto della mia identità, che scorre tra le righe veloci di un segreto vissuto tra la luce e le ombre, con tutti i rispettivi alti e bassi, simili a delle intense pennellate di sofferenze, ma anche di una ione indomabile. Perché, in questi giorni dopo tanta Storia alle spalle, rifletto molto sui ricordi di quel che fu. Mi brucia dentro, di quando son caduto in una sorta di vero e proprio dimenticatoio, del quale sto scrivendo ora e lo faccio per introdurre un argomento molto forte e trascurato da tutti, quasi fosse un dogma accettato. Come sapranno molti consumatori e sostenitori, il che è persino più grave, parlo di Storia, quella conosciuta ai più, che piace tanto, che è venerata come fosse una dea. E, guarda caso, s’impadronisce del portafoglio e della borsa senza che l’altro se ne accorga, per offrirgli ogni tipo di sofferenza, perché mira a rasentare l'essere. Scendendo in profondità, ossia, nel suo reale significato, squarciando con un leggero sollievo il mio e il silenzio che regna sulla disperazione di tante persone, compresi giovani minorenni. Non c’è nulla al dì sopra di lei. In lei c’è sempre molta paura, com’è noto, genera mostri perché si arrampica soprattutto sull’entusiasmo dei giovani e li brucia facendoli restare immobili e sedati. Essa si espande e ti spinge più in là delle tue capacità di osservazione. Tutto ciò che gli sta sotto, o di fianco, o da altre parti è minore di essa. È una forza sempre in movimento, in continua espansione, decide per te davanti ad ogni scelta, ma non è un'entità vivente, non possiede neanche una coscienza e tanto meno possiede "l'anima". Inoltre non ti guarda in faccia, perché non ha occhi e non rispetta regole fisiche, e come se non bastasse, non riporta alcun tipo di etichetta, perché non ama dichiarare i suoi maledetti ingredienti. E’ un involucro che quando il malcapitato estrae il suo cibo, essa s’impadronisce senza chiedere il permesso. E in breve tempo, il malcapitato, udendo il richiamo di una voce che trascende la morte stessa, obbedisce al suo minimo richiamo, come se fosse un ordine al quale non si può sottrarre, diventando così uno strumento degno di essere da essa adoperato. Questo è il guaio! Il suo segno d’immortalità è la sua costante ripetizione, che strazia e devasta una piccola fetta di generazione, una dietro l'altra. Partendo da un dato di fatto inconfutabile, che non è coperta da alcun tipo di copyright, oltre che, se è impossibile comprare del pane a tarda ora, invece, essa è sempre disponibile a qualsiasi ora, sembra che sia stata progettata di
proposito. E non finisce mica qui, perché come molti sapranno, finora resiste ai tentativi di chi la vuole debellare. Questa vecchia merce, schifosa e orrenda, ha una domanda costante da parte di molti consumatori, in cerca di nuovi e antichi sapori, dando a ciascun di loro un caloroso benvenuto nel luogo della nonlibertà. Ogni giorno, colpisce e uccide volutamente o involontariamente migliaia di persone, nel disinteresse generale, dal quale non saprei dire nulla di certo riguardo a quante persone riusciranno a cavarsela. A molti, per colpa sua e con tante di bestemmie impronunciabili, capita di vedersi ritirare la patente, di essere costretti a dei controlli periodici sanitari e psicologici per diversi anni, oppure a farsi qualche giorno di carcere, o un lungo soggiorno in comunità di recupero. Premetto che cadendo, è poi riemerso dopo aver afferrato la sua lunga storia senza un’anima e senza una logica, tutto ciò che racconto, dopo una dura battaglia è sacrosanto vero. Perché per me il mondo non è il Male, nonostante essa riaffiora come un demonio senza che tu lo voglia. Il suo effetto, anche se si è in età adulta, o meglio per tutto l’arco della tua vita, non scompare mai, per farti ricordare il rispetto che gli è dovuto. Tutti i sacri giorni, alcuni o molti, a buon mercato, diventa una combinazione letale perché odia Dio, te e me. Questo è ciò che mi sconvolge di più, mi fa stare male e alla fine non mi resta che piangere. E peggio ancora, nessun ente governativo è in grado di regolare o controllare la sua forza, perché è una legge a sé, non risponde a nessuno, se non a se stessa. Chiunque entra in contatto con Essa, in buona fede o in male fede, da quel momento in poi, gli sequestra la coscienza, per scaraventarlo brutalmente nella disperazione, lo dico da testimone oculare, in molti affrontano la crisi imbottendosi di pericolosi psicofarmaci, dai quali, molti medici e psicologi, si aspettano grandi risultati a basso costo. Voglio precisare: se alcune cose, in questo enorme ritratto da me descritto, saranno considerate fantasiose o un’esagerazione, mi è del tutto indifferente!!!. Nel mio caso lo scopo non è Il salto verso un traguardo più in alto, ma il tentativo di far risalire chi patisce la dipendenza, perché sono proprio loro che hanno più bisogno. Postovi questo primo assaggino, comincio con un altro assaggino, ma più denso. Lontano dal Divino anni luce, preparavo da paranoico tutto l’occorrente che mi serviva per l’incantesimo, un effetto che in un sol balzo mi trascinava in uno stato di trance profondo. La mia mente, dopo la velenosa iniezione che, talvolta come un peso sullo stomaco, per rimettermi in salute, ma non l’ho era, vomitavo, svanivo in un batter ciglia come un puntino nel nulla. Mi piazzavo in una comoda posizione per ammazzare quotidianamente e incoscientemente sia il mio corpo, che l’anima mia con una pericolosissima dose di eroina amara e bruciante nelle mie calde vene. E così facendo, con un amaro nauseante a secondo del
calore o della pressione, che inzuppava l’animo e il cervello, nutrivo energie basse, assetate di dolore. Anzi divenivo nell'Impero oscuro, in una dimensione di tenebre, un marchio assorbito dalla Bestia, svuotato dal mio reale contenuto e autonomia, ed esposto con il mio viso irriconoscibile ma riconoscibile, in bella vista al pubblico ante, oltre ad essere una risorsa per i trafficanti, che tuttora dimostrano in maniera inequivocabile: il mercato dei Frankenstein funziona davvero! Mi soffermo per un attimo, per sottolineare alcuni importantissimi aspetti: Lei, l’eroina, svincolata dalla coscienza e dalla moralità, diffonde una vasta gamma di rischi per la salute, che includono danni al fegato, disordini mentali, distrugge quasi del tutto il senso dell’olfatto e i sapori diventano insipidi, e per questo motivo si mangia di meno rispetto a quelli sani e si muore prima del dovuto. Inoltre, include ansietà, invecchiamento accelerato, che sotto il peso degli anni senti le ossa scricchiolare, facendoti sentire come una vecchia carcassa. Per non parlare delle infezioni gravi che in alcuni casi porta al suicidio sia interiore, fisico e mentale, per la disperazione. Potrei continuare ancora, e ancora ma mi limito a fermarmi qui. Riguardo al sottoscritto, testimone di un miglior recupero di energia vitale, di una qualità del sonno migliorata, di una migliore resistenza agli sforzi, una migliore luminosità e tono del cervello e della pelle, e un umore migliorato. A ben pensarci, non sono mai andato a sparare per ammazzare pesci, delfini, capodogli e tartarughe in mare. Purtroppo agendo da sciocco e imbecille trattavo il mio corpo e la mia anima come se poi fossi autorizzato a scaricare il veleno mostruoso e micidiale dell’eroina nelle vene, nonostante sentivo fra gli alti e bassi un rallentamento della mia frequenza cardiaca, che rischiava di divenire un infarto pieno, in qualsiasi momento. Proseguendo in mezzo alla mia follia e alla mia incalcolabile ignoranza, e tra i sudori ghiacciati, che a volte avevo la sensazione che si trattasse di un enorme gioco, per fortuna non ho subito l’ulteriore umiliazione da parte dei miei famigliari, di essere portato in un reparto psichiatrico, per un buono e lungo riposo a base di potenti psicofarmaci (più pericolosi delle droghe comuni, ma non sanzionati dal codice penale ), usati su soggetti sani per danneggiare con conseguenze quasi irreparabili l’inconscio umano. Dove tutti i medici esperti, si fa per dire, sono rigorosamente auto-referenziati e autorizzati a stilare pagelline di valutazione per stabilire, in una scarica di stronzate, chi è il più minchione. Il che, non vuol dire un insulto e neanche una bestemmia uscita male nei loro percorsi neuronici preconfezionati. E’ soltanto che in tale vicenda rimango allibito, perché si tratta di cure con un fumoso sonnifero che ti stordisce, non di guarigione. La psicanalisi dei conigli bianchi, dopo aver diviso la coscienza con false concezioni, pretende pure di curarla. Stilando la mia torbida vicenda, che qui vi illustro apertamente con un pizzico di disagio e fatiche, e che, in una sorta
di "morte cerebrale" in cui ronzolavo, sono "miracolosamente" ritornato in vita, prima di essere sacrificato dalla falsa scienza. Non fraintendetemi, nel senso che sto esagerando, anzi sono decisivamente ringalluzzito perché noto che alcuni di loro sono ridotti, per l'insoddisfazione di esistere e per l'esistenza del mondo, come androidi. Dico queste cose sulla base che se gli studi di una persona lo conducano nei profondi e lunghi sentieri umani: fatto sta che è da "Dentro" scoprire una ricchezza che è nelle profondità dell'individuo. Lì dentro è un’altra storia, è un’altra musica è una sinfonia perfetta. Che per fortuna e per sfortuna altrui, in questo momento che scrivo, mi tocca ridiscendere anche al costo di farmi sanguinare le mani pur di aprirgli la porta del suo paradiso interiore. Perché il tossicodipendente di eroina è una creatura senza capo né coda. Dal quale potrò estrargli, con delicatezza e poi spiaccicarglieli sul tavolo, i suoi maledetti condizionamenti, che sono ficcati di proposito nello spirito, in modo tale che lui abbia tanta, ma tanta paura del mondo interiore ed esteriore; a tal punto che regredendo, raggiunge una forma infantile, che versa ingiustificate lacrime e addirittura invoca, implora pietà. Egli sentendosi rifiutato o odiato, trascurato o abbandonato, soffocato o oppresso, giudicato e svalorizzato, tradito e umiliato nei propri sentimenti…Tutte queste esperienze bloccano la spontanea affermazione di sé, mettendo in discussione il diritto di esistere come individuo. Tutto ciò suscita frustrazione e invidia, le quali danno vita ad atteggiamenti distruttivi, verso di sé e (peggio ancora) verso il mondo intero. Le loro storie e i loro casi sono semplicemente al buio, dimenticati e al massimo ripescati da qualche fattaccio di cronaca nera eclatante. Ripartire dalle persone in carne e ossa non significa abbandonarsi a romanticherie inattuabili, ma vuole dire qualcosa di molto più concreto. Proprio per questo motivo che adesso Io, oggi, sono qui presente, per restituire a ciascun di loro la loro ricca e preziosa medaglia, per non farli più vivere sotto shock il proprio dramma. Che finora nessun generale si è fatto vedere e nemmeno ha voluto chiedere il perché, forse gli applausi si sono improvvisamente esauriti, e in questo caso si apre in me l’era dei fischi. E che sia ben chiaro, con questo non sto esprimendo giudizi acidi e negativi, anzi, ne ho con me una pesante e uggiosissima sfilza di critiche, ma solo riflessioni. Per il resto, le risposte, ciascuno di noi potrà cercarle nell'intimo della propria sensibilità. In attesa di qualche rimpianto, per gli addetti ai lavori, ossia dal mio punto di vista, come esperienza diretta, che me la sono annusata e leccata per molti anni, per la quale devi per forza attraversare l’arco dell’inferno che tutt’ora è spalancato a chiunque, muori o quasi. Ed io non solo l’ho toccato e varcato, ma c’ho scavato fino ad arrivare al marcio. E dato che, ho la conferma di aver visto, vissuto e violentato i demoni in sembianze umane, che spadroneggiano in quell’abisso per non farti evolvere mai, oggi questa
esperienza la considero una tecnologia avanzata. Nonostante non c'è in giro nemmeno un piccolo giornalista che voglia farmi un'intervista, ma è ciò che mi ha fatto stare meglio nel momento in cui l'ho scritto, tantomeno smetterei di scrivere per la delusione di non essere diventato una celebrità, così come non smetterei per un eventuale cambio di vita. Inoltre, dubito fortemente, perché puzza di mistificazione, ma solo per riportare un elemento fiabesco, del fatto che formule e rituali di qualsiasi tipo possano guarire. Ho mille e più esperienze su questo dramma sociale in corso, che sfocia con un incredibile numero di vittime dal quale nessuna innocente bara è mai stata accolta con il tappeto rosso, anzi sono diffamati e isolati. Che tristezza che provo quando penso che Io, tu, noi, belle anime ingannate, a vederci divorato ogni giorno il fegato e bruciate come mosche nei corridoi isolati… che a volte uccide, è considerato l'ultimo grattacapo per le autorità sanitarie. Su tale aspetto, non è neppure il caso di elencare né le nefandezze né le idee predatorie, ma l'errore potrebbe non essere dovuto a ignoranza, ma a comportamenti tattici. Ma non voglio rinfacciare niente ai dottori, in fondo, nella mia ex categoria, c’è sovrabbondanza di pazienti e carenza di medici. Tralasciando leggermente questo misto scontro fra l’ignoranza, virtù e malafede, come si fa da decenni, che non si accetta che qualcuno possa dare lezioni di corretto comportamento, ma che è ciò che distingue i veri medici, psicologi e psichiatri dai fanfaroni e farlocchi che leggono le istruzioni sul foglio, per tappare un buco in fondo al cuore a furia di pasticche o iniezioni! In questo modo è come curare una pianta dalle foglie invece che partire dalle radici. Perciò, non gettiamo vergogna su di loro e su noi stessi dimostrandoci indegni, si è colpiti da coincidenze che il gioco delle probabilità non prevede, e gli esempi potrebbero proseguire a non finire. E d’unque, in questo momento che scrivo, non ho tempo per questi giochi, seguiti da tanti polli che si credono aquile. Perché, se non si trattasse di un gravissimo fatto, nel quale molti perdono la vita, la vicenda somiglierebbe sempre più ad un romanzo di fantascienza. In attesa di dire la sua al mondo intero dopo essersi liberato, di colui che patisce la dipendenza e che permette un incantevole vista sul cielo stellato. E da cui nasce tra i pianti e gli strazi la mia scelta di estendere pubblicamente una confessione intima della mia esistenza, con un senso di sincera soddisfazione e non per vanità. Tra l’altro si tratta di un lontano ricordo, di perdita di anni e fior di quattrini. Quindi ho sentito viva la necessità, senno i silenzi sarebbero stati accenni che denotano malafede, oppure possono essere segni di una futura demenza. In sostanza, ho atteso per molti anni, lavorando in silenzio nel sottosuolo della mia coscienza, quindi a testa bassa la mia missione è guidare coloro che hanno “orecchi per udire”.
Posto questo, ora o al nocciolo del racconto prima che vi annoiate. Entrai innocentemente in rapporto con essa, perché scorre nel sistema senza aver bisogno di pompe. Fu’ un tuffo nell'imprevisto con tutti i rischi connessi, in cui ci trovai frammenti di altre realtà. Cosicché conducevo una vita ed eventi che sono difficile da descrivere, dei quali non potevo parlare con nessuno. Sapevo che la mia storia era senza speranza e ridicolmente incredibile, ero troppo giovane e senza esperienza, ma dopo pochissimo tempo ero già troppo grande, con troppa esperienza e troppi titoli. In uno stile di vita fuori dalla griglia, di giorno in giorno, gli squilibri aumentavano ulteriormente, non ero sicuro di niente, diventavo sempre più ignorante, arrogante e selvaggio, a tal punto che detestavo pure mia madre. Più precisamente ero ansioso di liberarmi della mia stessa incomoda presenza, che tra l’altro non occorreva un’astuzia eccezionale per applicare alla lettera la mia domanda. Cosicché in un lontano tempo, in cui ero in uno stato di completo abbandono: tutti i sacri giorni m’iniettavo nelle vene l’eroina, dalla quale è meglio girare alla larga, ed emergevano in un lampo nel mio cervello immagini, voci e suoni che mi rapivano, e dopo alcuni secondi, mi vedevo murato vivo in un abisso, dove udivo qualcuno imboscato maschio o femmina che sia, che urlava con un’ascia in mano. Poi di notte, nel sonno mi russava fastidiosamente, sia a destra e a sinistra, nelle orecchie. Dopo alcuni minuti, mi trasportava in una specie di nuvola d’idrogeno freddo e pian piano sentivo come se stessi bruciando, accompagnato da suoni stridenti. Ed è lì, che vedevo come un’ingenua pedina di uno stupido gioco, scorrere nei tuoni e dove non c’era alcun colore, il mio sangue impunemente. Vedevo la carne del mio corpo agitarsi perché pativa nei fondali della mia anima, senza accorgermi che ero io stesso a spingerlo innanzi a me, quel demone. Mi appariva indomabile e insaziabile, tant’è vero che, alcune volte, contavo gli ultimi attimi che mi rimanevano da vivere in questo nuovo imperdibile corso. In preda al panico, come se fossi inchiodato sotto una cappa di afa soffocante, spesso mi chiedevo quand’è che finirà questo incubo?!, o se non sono io che debbo oppormi per mettere fine?!, perché mi rendevo conto, malgrado la mia condotta, che una spada, un coltello o una pistola non erano di grande aiuto. In un estremo tentativo mi domandai se esistesse una forza immensa, in modo da impedirmi di poter trarre delle giuste conclusioni, volevo intercettarlo e magari immobilizzarlo, ma non mi riuscì mai di beccarlo. Talvolta mi sembrava di essere rimasto intrappolato in mezzo a degli incattiviti crateri fumanti, e intorno c’erano delle rape rosse, per tutta la durata dell’effetto violento ed elettrizzante dell’eroina. Forse le rape rosse, qualcuno ce le ha messe di proposito, o forse le ha appositamente piantate in anteprima, ben sapendo che prima o poi sarei arrivato lì, per salvarmi la vita, visto che sono le uniche che non assorbono
radiazioni. Tant’è vero, che una volta, con il cuore gonfio, per uscirmene da una simile stronzata o da un evento che va oltre l’immaginazione, volevo prendere il surf o il parapendio per superare il trauma o l’allucinazione. Ancora più agghiacciante, svegliandomi all’indomani, in preda ancora al disorientamento e allo stordimento, mi sembrava di essere seduto e con il mio nome impresso sul casco, all’interno di un velivolo che entravo e sparivo gioiosamente all’istante, nell’atmosfera terrestre. Poi inspiegabilmente, ero esploso a mezz’aria, colando a picco su una spiaggia piena di coyote e scoiattoli rossi, sparpagliati sopra ad un piccolo batiscafo che mi venivano incontro gracchiando. Inizialmente, nella mia mente tutto ciò ebbe senso, a quel punto era solo e nei guai, già di prima mattutina, ma inspiegabilmente e soprattutto fortunatamente, nessuna organizzazione militare, terroristica o servizi segreti si fece avanti per reclamarne la mia irresponsabilità. Isolato in me stesso e immancabilmente accompagnato dalla mia instancabile fragilità, per quanto remota, riaffiorava una freddezza che mi fece correre come un forsennato fuori, per sentire nei polmoni l’aria fresca e pura del buon mattino, accanto ad un fiore giallo estivo (non conosco il nome). Riacquistai lucidità riportandomi indietro tra i vivi e dopo alcuni minuti, fuori dal buio, in piena luce, mi scrollai di dosso senza graffiarmi, una quantità incalcolabile di filamenti di ogni tipo, di origine a me sconosciuta, su tutto il corpo. Parevano come dei virus impazziti o formichine disperate o animaletti carnivori o spilli o spine o forse era la lordura corrotta e corruttrice dell’eroina, che si sprigiona da sé stessa per espandersi all’esterno e all’interno del corpo. Fatto sta, che già mi pareva di aver risolto un sacco di problemi, ma solo dopo avermi accertato che l'indebolimento del mio corpo non era più instabile. Prima invece, alimentava l’imprevedibile nervosismo, facendomi così precipitare dentro una crisi di astinenza dagli effetti catastrofici, e come se non bastasse, in ogni secondo. Non perde tempo per punirti, perché è una delle più geniali, architettata ad arte da Satana in persona, per costringerti all’assunzione di dosi sempre più massicce, in modo che tu possa entrare in contatto con lui, per squagliarti o ridurti l’anima a pezzettini. Per brevi istanti, di fronte ad una condizione insostenibile, mi chiesi se ero un suo pericolosissimo rivale. Da questi piccoli pezzettini d’informazioni, ipotizzavo se fosse un pregio o un difetto. Di primo acchito, non riuscivo a decifrare i confini di questo inganno o autoinganno, arrivando a bestemmiare quest’immagine così nera. Talmente realistica che mi sembrava di essere incatenato e abbandonato in un sotterraneo, posto in una sperduta galassia, lontana anni luce, in attesa del mio inevitabile annientamento. Poi, quando la macchia del male si faceva sempre di più evidente, volevo prendere le sembianze di un uccello per scappare e andarmene in qualche altro mondo in santa pace. In un panico perpetuo, da cui mi sembrava
di non poter mai uscire, si accese senza un centesimo l'ira e l’odio dal mio corpo agile e sano. Dopodiché avvolto in una splendida realtà, o fantasia o in una meravigliosa illusione, comincia a viaggiare nell’infinito cosmo luminoso ma con angoli bui, osservando a portata di mano e su ogni lato, stelle, pianeti, gemme, perle, lastre di ferro, rocce, minerali e metalli. In uno spettacolo così esaltante e commovente, mi ero illuso di essere arrivato fresco e brillante in un tempo in cui la legge è uguale per tutti. Ma dopo un paio d’ore, durante le quali canticchiavo e fischiettavo allegramente, che tra l’altro non ho visto nessun tipo di macchinario moderno e ingegnoso che faceva ruotare la terra, alcune minuscole schegge di metalli oleastri e scintille arancioni, si conficcarono fra capo e collo a tradimento. E a quel punto, come un animale specializzato, dovetti per forza scendere sulla Terra, non mi riuscì di trovare alcun posto, e magari caldo, al di fuori della terra, in quell’infinito, mentre brancolavo disperatamente in uno stato di tensione. E dopo essermi liberato da una pozza di sostanze semiliquide, accanto ad una parete di calcestruzzo, macchiando svariati bulloni, defecai in abbondanza questo misto calderone di parole, un po’ ironiche e un po’ disincantate, o un po’sentimentali, o un po’ moralistiche, dove neanche gli amici più ingannevoli possono farmi dimenticare questa verità. Ebbi modo di verificare che il cuore, il cervello e il sedere furono un po’rovinati, per aver sperimentato un luogo quasi letale. Esaurita la spinta, scesi da buon consumatore, con una varietà di immagini nel cervello, da quella dimensione ridotto al ridicolo. Al momento attuale, per specificare l’origine, tipo e identità, le mie prove su di essa, erano poche e frammentarie. E nell’impossibilità di poter condurre un’esistenza degna, ero in uno stato di totale abbandono, volevo morire, non tanto per rivendicare i miei diritti, ma pensavo, che così facendo, scoprissi se l’eroina, con tutta la sua diavoleria, fosse solo un semplice o un brutto assassino. Poiché inglobato e trascinato aspramente per incapacità o sventura, svanita l’illusione dopo il risveglio, Il rimorso più grande che mi faceva stare male, là dov’è più radicata e sostanziosa nel profondo, e che non avevo il coraggio di guardare fino in fondo, di conoscere con esattezza il mio stato, di prendere una soluzione veramente forte e leale. I pensieri più folli mi abbagliavano rapidi, temporeggiavo per salvarmi con sotterfugi, mi nascondevo, avevo paura del dolore e di soffrire, invece che affrontare a viso aperto la battaglia. Ero debole, fragile e facile da sopraffare, mentre il mio ospite era potente e pericolosissimo, ed era in questo modo che in mezzo agli altri mi fingevo quello che non ero, pur di non intervenire immediatamente per stroncarlo. Davanti ad ogni scelta, tentennavo, indugiavo così a lungo, che alla fine chi mi era accanto, spazientito, decideva per me. Ancora più avvilente, in questa situazione così complicata che gravava sulle spalle e che, continuavo,
ostinatamente, a negare che ci siano altre vie, altri modi di vivere. A casa scaraventai, in breve tempo, un paio di sedie contro il muro, fermandomi soltanto quando si erano esaurite tutte le mie piccole energie, di quel momento che possedevo. Diedi di matto ancora più del solito. Sorvolando su quante me ne cantò mia madre al suo rientro, andai in chiesa e m’inginocchiai innanzi al prete, con aria compunta a prendere l’ostia, con la consapevolezza di avere ancora un corpo e un’anima. E mentre lo facevo, in attesa di un risveglio, perché dove c’è un sacerdote o una suora, c’è una potenziale fonte d’informazioni preziose, sentì delle voci orrende nella testa, non avevo la minima idea di chi fossero, inoltre mi vedo su tutto il corpo larve, vermi e insetti, e in aggiunta con il loro ronzio, andai incontro quasi a un esaurimento, per lo spavento. E senza ingoiare un cucchiaio di sciroppo ricostituente, com’è vero Iddio, scoppiai subito fuori in lacrime andando a sedermi sopra i gradini e dicevo ripetutamente: “ Io Amo GESU’“. Sconvolto da questo evento, portavo con me, in tasca, tutti i sacri giorni, un fazzoletto in cui sotto e sopra c’era scritto GESU’ non ti scordar di me. Me lo feci cucire di proposito da mia madre con ago e filo, abbracciandola con affetto, dicendole grazie con un bacio sulla fronte. Pur vivendo ancora a casa di mia madre, ero completamente indipendente, padrone di ogni ora della mia giornata, e prima di bucarmi, simile ad una flebo che succhia al contrario, nella mia stanza con le mani giunte, pregavo. Parlavo, o cercavo di parlare, con qualcuno che supponevo stare più in alto della mia testa e dicevo: “Signore se questa è la mia vita, aiutami a sopportarla!”, a tal punto da ripeterle più volte, e in alcuni casi a voce alta, ma solo quando l’effetto dell’inferno chimico iniziava velocemente a manipolare la percezione dei miei sensi, facendomi credere di essere nel paradiso. Ero in un mare di merda, così grande, da non scorgerne i confini. Una merda con la quale mi alimentavo ogni santo giorno, senza batter ciglio, come un verme inginocchiato sbavavo, leccavo i suoi alluci. Perché i suoi 30, 40, 50 o 60 gradi irresistibili e illegali, che non tardano mai a innescarsi, dominavano la mia mente come un padrone, o un possessore, nonostante mi faceva sempre vomitare, accompagnandomi con un insopportabile prurito, come se avessi una malattia pruriginosa della pelle, nella quale giorno per giorno, mi mostrava le rughe, le macchie e la miseria. E quando essa non si esibiva, mi toccava restar seduto a guardarmi, preoccupato, il corpo. Dentro questo caos quotidiano di una vita frenetica, e senza scopo, esplosi in una collera incontrollata, tra l'altro provocato ad hoc, non dalla legge, ma dalla mia volontà da buffone patentato. Dalla mia bocca uscivano solo folate di aria tiepida che insieme a un esercito di amici rincoglioniti, facevamo a gara tra di noi per chi sparava la cazzata più grossa. Seguivamo qualsiasi percorso, su e giù, avanti e indietro, che talvolta non venivamo interrotti nemmeno dalla presenza della polizia, salvo essere inseguiti,
accerchiati o presi a sberle e subire una serie di perquisizioni con insulti umilianti e, peggio ancora, sbattuti contro l’auto o contro un muro o a terra, manco fossimo dei malavitosi. Soffermandomi lievemente su questi ricordi di gioventù, che illuminano il lato nascosto della cultura in cui sono stato allevato, colpire i soggetti sbagliati e disarmati, e voglia di fare male, vuol dire essere proprio carogne, aspramente esaltati, comportamenti inquietanti e quasi inspiegabili di certi personaggi delle forze dell’ordine. Dico questo, non sulla base di un aspro risentimento, è solo una reale costatazione!. Tornando sull’argomento di cui sopra citato: pur di comprare il nostro tempo a poco prezzo, superavamo, come un esercito fragile, qualsiasi tipo di ostacolo, con fatica, a stenti, scavalcavamo cancelli, muretti e pozzanghere di fango o di merda, in cui c’era sempre qualcuno che inciampava per assaggiarla pure, essendo che non aveva l’agilità e l’energia di certi graziosi animaletti. E una volta giunti, con un malessere generale, fino a far scoppiare, tutti in fila e senza discutere, con le belle banconote in mano, stese e in bella vista, da esperti acciuffavamo al volo l’involucro velenoso come fosse una fortuna ma non prima di aver superato l’angoscia dell’attesa mentre eravamo tutti incolonnati ordinatamente. Poi a transazione avvenuta, chiaramente a buon fine, come lepri, si correva euforici, per immergerci, entusiasti, in un abisso senza Dio, o in purgatorio nero come la pece, dove voli via come se niente fosse. Finora, in vita mia, in un esempio peggiore dell’altro, non sono stato mai testimone di una tale idiozia, dalla quale, …ODDIO!!!, ho visto molti uomini nel fiore dell’età che ci rimanevano sotto. Il significato di ciò è molto semplice e chiaro: Si trattava di una preparazione al suicidio. Non c’è argomentazione opponibile su quest’oggettività. E lo dico con tanto di rosario in mano!. Ho conosciuto, in questa specie di club di cadaveri, talmente tanta gente in vita mia, che non potrei nemmeno osare contarli. Si consumavano drammi disumani, da renderli quasi irriconoscibili, bastava avvicinarsi per accorgersi cosa la Morte gli ha lasciato su tutto il corpo. In queste scene, simile a un brutto film di Hollywood, tranne che è tutto vero. …Cristo!!! Alcuni li ho visti cadere a terra e su di me morire, mentre smorivo nel guardarlo, mi leccavo il polsino, che sapeva d’amaro, e per fare questo mi macchiavo altrove di sangue. Assaggiavo me stesso, SANGUINAVO MA AMAVO, nonostante fossi, in quel momento, con l’aria di una farfalla triste, abbattuto, scoraggiato e demoralizzato che volteggia qua e là. Se tu fossi stato lì, certamente ti saresti impressionato, sono fatti spinosi, dove non c’è limpidezza se non quella artificiale. Ognuno eseguiva la distruzione della propria identità, imboscato in un triste degrado marcio: qualsiasi buco, foro, una vecchia baracca arrugginita, o un’apertura di una piccola caverna sotterranea, bastava che fosse un po’ illuminata. Ci rintanavamo, dove ci trovavi di tutto, polvere, bidoni, cavi,
detriti e vetro rotto finissimo, sparso dappertutto, e come se non bastasse, si aggiungevano immancabilmente insetti sgargianti di ogni tipo e specie che pungevano sul volto e sul collo. Era un piccolo regno, che offriva un panorama che spaventava i polmoni, al limite dello schifo, che neanche un buon amaro riusciva a liberarti lo stomaco. Immunizzati, su questo sgradevole scenario, che sembrava essere un luogo molto fertile per lo sviluppo di nuovi virus, c’era sempre, o quasi, qualcuno che versava, tracciava a terra, sul terriccio, sul cartone o sul marciapiede su cui moriva, chiazze di sangue, diffondendo un’angoscia pungente dentro di me, che non riuscivo ad allungare le mani e le gambe. Per quanto mi sforzavo, per trovare un punto su cui stare in piedi, in piedi non ci potevo proprio stare. Restavo paralizzato, sul punto di svenire. E quelli che la scampavano non erano certo in buone condizioni. D’altronde come si sa’, è un meccanismo collegato al battito cardiaco e che lancia segnale ROSSO se si PECCA. Per essere un po’ più precisi, sentii la porzione salire, come una schiuma di fuoco frizzante, dentro ai vasi sanguigni e con una certa abilità filtra nel nocciolo cerebrale, in cui pioggia, nebbia, vento forte, neve o addirittura tempeste, non la fanno da padrone. Da questo punto in poi, incominci una disperata lotta, dagli attacchi diretti, da interferenze ostili che ti possono fulminare all’istante o spegnere il circuito nervoso, facendoti schiantare silenziosamente al suolo. Volendo giocare un po’ con le regole della logica, ovviamente se me lo permettete, in questi assurdi aghi, attaccati alle braccia, devi essere dotato di un buon fegato, per affrontare una simile bestia, e non è mica da tutti! Da ex-prestigiatore, che è stato un sentimento che ho sentito più e più volte, dovremmo dar loro una targa di MERITO, a scansi di equivoci, detto ironicamente. Eravamo troppo fragili, ognuno di noi era debole e diviso all’interno, senza volto e senza identità, ridotti fra le chiacchere per dare aria ai denti, al ruolo di un ingranaggio infernale, che lo consideravamo un gioiello tecnologico veloce e super. E data l’ottusità o in una stronzaggine incalcolabile, sceglievo la compagnia di anime morte per sentirmi vivo. Provavo repulsioni nei confronti di chi non mi assomigliava, di chi non la pensava come me, che poi, alla fine, non avrei fatto paura nemmeno se una persona fosse legata, facevo la parte del duro consumato. Ero solo una piccola pulce, ingigantita dalla reazione chimica. Ecco perché, tutte le persone normali, con sguardo infastidito, mi consideravano spazzatura, fatico io a crederci, che l’eroina affossava quasi tutto di me, espropriava ogni mia autonomia, senza neanche un’accennata resistenza. Ero consapevole, che ogni aspetto di quel male era attaccabile, ma Il livello d’indebolimento, era tale, che restavo sempre col finire un’ euforico spettatore o speranzoso aspirante concorrente, alla riscoperta della mia irriducibile individualità. Sfogliando questo lontano e agonizzante archivio, e
soffermandomi su una leccata vergognosa, con uno strano sapore diffuso all’interno del corpo, che insieme alla terra, che mi girava intorno a destra e a sinistra e in alto, come se stessi soffocando, ma era solo un pericoloso rigetto, gran parte di quelle sensazioni non le scorderò mai. Scontroso e irritatissimo, sin dal primo mattino, e con il corpo che era pelle e nient'altro che pelle, il quale era un segno visibile di un aggio infernale, apparivo con il sorriso sulle labbra, ma solo per nascondere il mio stato ai miei genitori, per superare, con occhi infuocati, le ardue sfide quotidiane. Mi rifugiavo, in un mondo da me inventato, perché dentro di me, quasi ogni parte era morta, come un prato dopo un incendio, tutto era nero e carbonizzato. Lei, l’eroina che sembra condannarti alla sconfitta personale, viveva in me, sotto qualunque aspetto, mentre fuori tutto mi sembrava insopportabile, mi colpì forte la sua magia, nella mia malinconia, che trasformava ogni cosa e scoprivo in modo rapido nuove cose. Con il corpo che ardeva e le orecchie che mi fischiavano, in quei penosi viaggi, ha secondo degli sbalzi di pressione, ogni volta che sul letto, sul divano, seduto su una sedia, nascosto, seminascosto dietro a un angolo o affianco ad un pilastro di un ponte, in meno di un secondo, mi ingigantiva e mi sentivo, con aria colpevole, un uomo anch’io. Poi, quando l’effetto della spinta propulsiva, di quel miscuglio di miscela chimica, finiva, mi donava il lusso di aver sempre più paura, nonostante fe decisamente caldo, ero costretto a riscaldarmi accanto alla stufa, con una raffica di dolori inarrestabili. Dopo di che, applicava alla lettera il suo antico motto, simile a un giustiziere o un killer accurato, che segue i ritmi di un sicario professionista e infallibile. Inizia a scaldarti il corpo, come se fosse amore, MA E’ MORTE!. Qui è tutta una confusione, un caos di dolori selvaggi, dovuto al suo cattivo funzionamento, l’unico organo che senti, vivo e duro a non morire, è il cuore, ma sia ben chiaro: anche lui è molto terrorizzato! Lo senti come se qualcuno te lo sta scorticando lentamente, mentre sei impotente, pietrificato e pensi che stai per sparire per sempre dalla faccia della terra. Addentrandomi in questo mio vissuto, incorporato biologicamente, che fa tremare, dapprima ansimavo poi a poco a poco, iniziavo a sentirmi sempre più teso, con la fronte imperlata di piccole goccioline calde e fredde e contemporaneamente simile a un duro colpo preso allo stomaco, il fiato si fa improvvisamente faticoso, stentato, accompagnato da una strana inquietudine di perdita e di abbandono, che crolli in un sol soffio. Le ore del mattino poi, appena stropicciavo gli occhi, erano penosamente le più terribili, stavo fermo e pieno di brividi per via di una nausea, che pian piano, più ava il tempo, saliva dal petto e spingeva sempre di più, come un turbo, per farmi vomitare ininterrottamente. E contemporaneamente, mi raggiungevano, come una maledizione, ai reni, alle gambe e alla spina dorsale, dolori in una varietà di modi, come se si auto replicassero, quindi dolorosamente
insostenibili. In queste condizioni ti senti un organismo posseduto dalla malvagità. In un’orrenda e scomposta sofferenza, avvertivo una strana sensazione, come se qualcuno o qualcosa di misterioso, stesse assaporando il profumo della mia sofferenza e ne gioisse. Totalmente fuso, con le guance scavate, denti rotti e alcuni pezzettini frastagliati, avevo tutta l’aria di essere sottoposto a un’autopsia, per stabilire la presenza di qualche tipo di tumore. Sinceramente, in un quadro di tal genere, con coliche orrende e diarrea, vertigini e vomito, che tra l’altro nemmeno la decenza si salvava, e forse, neanche tutti i detersivi, che aveva mia madre in casa, non sarebbero bastati a bonificare la mia camera. Così combinato, credevo che fossi un traditore della vita, non onorandola, ma contro cambiandola con la mia invivibilità, e come tale, non meritavo alcun posto, né in cielo né in terra. E chissà in quest’amara distruggitrice, quante persone, come me sensibili, si sono allontanate dalla salvezza, grazie a episodi come questo, per il senso d’impotenza, che scivola come se fosse una rasoiata sul collo e moltiplica le ansie, con degli effetti psicologici potenzialmente devastanti. E’ ovvio che l’essere umano è pieno di debolezze (chi lo ha mai negato?) Senza occhi da rapace, senza barba e con un leggero sollievo, appoggiato in modo sgangherato, di buon ora, alla balconata, con la biancheria stesa ad asciugare, mentre mia madre metteva dei fiori sul balcone, fissavo sotto di me gente vigorosa e amante della vita. Mi è bastato un po’ di pazienza e un po’ di logica per collegare tutto, cioè nessuno di loro aveva quel vuoto profondo che avevo io. Poi arrivava il momento più toccante, una voce strafottente, all’improvviso, che non so da dove sbucava mi diceva: “Che t’importa?! Che stai aspettando!? Lei ti rende felice!”. Son rimasto indeciso fino all’ultimo momento, ho provato persino a cambiare discorso, prima di scendere di corsa, scoppiato in una delle strade più pericolose della città, con il pericolo di essere beccato. Invece, tanto ha detto e tanto ha fatto, che alla fine ho mandato tutti a quel paese, a nulla sono valse se non a continui rinvii, che hanno prolungato un’assurda agonia. Evitare di farsi coinvolgere era impossibile, una necessità irresistibile, un appetito che non ha mai fine, morde e ti fa sentire uno straccio vecchio, un abbattersi cieco e selvaggio, come se il mio tempo fosse rallentato, lei mi scavalcava per appropriarsi ogni momento della mia vita e la cambiava in un clic. Ti proietta al primo colpo, in una dimensione in cui ci trovi forme, immagini, suoni e rumori, che vanno al di là di qualsiasi logica, per le quali non vuoi più tornare indietro, ma quando torni indietro, ti fa sentire come un morto. Prosegui per un desiderio o una necessità, ti rendi conto di non poterne farne a meno e vuoi seguirlo, anche se ti atterrisce e causa dolore. E’ una separazione netta tra buoni e dannati. C’ho provato tante volte, ho tentato di dimenticare, per ritornare a essere quello che ero, ma venivo sempre travolto o
ingoiato da un immenso disagio verso il mondo esterno, che invece di decrescere, continuava ad aumentare inesorabilmente, con orridi sentimenti. E peggio ancora, avevo paura di attirarmi condanne e giudizi impietosi addosso, forse ero un topo e nemmeno dei migliori, tornavo a casa sempre più sgradevole, incerto e confuso e così mi ripetevo. Ho lasciato che mi guidasse e plasmasse, per poi scavare un precipizio dentro, in cui mi ci ha buttato inaspettatamente e selvaggiamente. L’ho capito troppo tardi in quale guaio mi sono cacciato, te lo ritrovi, esattamente un secondo dopo che cominci a rifletterci o solo quando i denti traballano e non possono più masticare, triturare, ma solo rimodellare il boccone. Le mani e gli occhi non sono più quelli di un tempo, tremano, sbagliano, modellano male, non convincono più. Lei, l’eroina, di color giallo paglierino, è un’invincibile oscura libidine che solleva l’odio, la vanità e la prepotenza, per poi rendere dolorosa l’anima di una persona. E peggio ancora, non puoi imparare l’essenziale, per non morire quando ti immergi in essa, perché lampeggia d’improvviso il pensiero della morte o d’una infezione, che ti avvelena e ti riempie d’orrori l’anima, per sempre. E mentre questo processo prosegue, disordinatamente, perché gli abiti li classifichi secondari, poco importanti, sei sempre di più, impegnato a costruire la propria leggenda nera, annerendo e bruciacchiando la tua identità, che è l’elemento più insopportabile, per comporre una “creatura” senza capo né coda. E via scorrendo ogni giorno, ti ritrovi a fare i conti con gli orchi mangioni che esercitano il dolore della morte, provenienti chissà da quale ignoto, perché hanno tutta l’aria di infliggerti la stoccata mortale. Ti svuota, ti devasta la creatività, e infine come se non bastasse, divora, l’energia vitale del corpo e dello spirito. Con assoluta serenità d’animo, scorrendo su questa dolorosa raccolta, sfido chicchessia a dimostrare che non è vero. Ho dovuto sopportare la soglia del dolore, il limite, soprattutto fisico, non oso raccontarvi quante volte sbattevo la fronte contro le mattonelle del bagno. Ma ora, per cortesia, parliamo d’altro, essendo stati da me vissuti, indipendentemente non posso sottrarmi e riviverli attraverso il mio cervello che proietta immagini e pensieri i quali sono lacrime, sangue e sudori che urtano nel profondo per indicarmi l’inutilità del mio essere di una volta. E’ molto difficile ignorare l’essenza stessa, con l’amarezza che mi viene a gran voce, non vorrei, che la bruttezza della sua intensità, mi fratturasse ancora di più in questo momento che scrivo. Con una piccola pausa e riacquistata la forza, mentre sorseggiavo un buon caffè, per continuare a scrivere questo racconto e uscendo fuori da questa ironia. Con l’ormai giovinezza spezzata, mentre perdevo ancora tempo e salute, mi fermai e poco dopo salivo in una carrozza lasciata marcire sui binari, era vecchia e fatiscente, lurida e piena di zecche e pulci da tutte le parti. Ma, decisi di stare al gioco, diciamo così, visto la mia ruotine quotidiana. Mi
recai lì, per salutare un vecchio amico che aveva perso la moglie e i genitori. Sicché, mentre ispezionavo con il cuore in gola tutti gli angoli, per scansarmi l’offensiva dei Microrganismi velenosi e tossici, mi avvicino all’incubo annunciato. In un’immagine terrificante, con un malessere crescente, di fronte ad un terribile spettacolo chiaro e dettagliato, giaceva morto a terra il mio caro amico, stroncato, con l’insulina agganciata ancora al braccio. In quel momento una forza trainante, che colpì il mio cuore, gridava: “E’ un’ingiustizia!”. Ci volle più di una mezzoretta per riprendermi, fu una scena, che tuttora, è scolpita nella memoria. Stentai a riconoscerlo, un viso giallo e gli occhi dilatati nel delirio del vuoto, per lui c’era poco da fare. Quando mi calmai, avevo perduto ogni forza, notai, che accanto a lui, c’era una lettera per me, in cui mi diceva: “In ogni caso se mai non ci riuscirò a smettere, Nicola, ti chiedo di sconfiggere questo maledettissimo male, che miete vittime di giorno in giorno e gode senza disturbo, te lo auguro con una buona dose di fortuna e genialità”. Quelle parole scritte, oltre che commoventi, furono come un pungiglione, che resta conficcato tuttora nel corpo, nessun capolavoro al mondo lascia nell’animo un’impressione così forte!. Turbato da questa tragedia, fin nel profondo, in modo insostenibile, vado nel parco abbandonato e mi siedo su un vecchio sedile, dopo aver superato cianfrusaglie di ogni tipo. Guardo, muto, ascolto intenerito, lasciando entrare il misterioso tesoro della felicità, che finora non avevo, quasi mai, trovato piacere da desiderarlo. Dio mio, con la testa addolorata, tante voci di creature umane, fantasmi, allucinazioni, la goduria di uno spirito maligno o un serpente nero attaccato ai calcagni, per trascinarmi nel sottosuolo, in me chiamavano, imploravano aiuto per salvarmi dalla morte. La colpevolezza, la falsità, l’ambiguità, l’ipocrisia e tutte le forme della menzogna, si radunavano nel mio cervello per prenderlo a martellate. Da cui sfociava un’unica e terribile immagine, in cui giaceva straziato il mio corpo su un piccolo materasso da quattro soldi. Insomma, dal veleno prodotto, cosa può germogliare?! oppure esistono creature che non muoiono mai e attendono per sbranarti senza pietà?! Fatto sta, che ansimavo come un pazzo e per un attimo credevo che mi venisse un infarto. Non mai, come in quel momento, avevo bisogno di un conforto, di un sostegno, di una voce, di una mano amichevole o paterna. In quell’orribile incubo, che morde il cuore e attanaglia lo stomaco, anche altre persone hanno lasciato la vita nell'ultimo anno e mi mancano, quando il mio senso di appartenenza si soffermava su di loro, che forse hanno capito troppo tardi in quale guaio si sono cacciati, era come se stavo guardando l'effetto pompaggio + profezia, come si vuol dire, magari per guadagnarsi l’aldilà. Perché gli uomini innocenti, quelli più stupidi e spesso ingannati, ma pur sempre, nobilmente aggrappati a un sogno, sono cascati in una spirale senza uscita, perché, basta una
volta sola che abbocchi all’amo, diventa quasi impossibile uscirne. Ma, è anche pur vero, che quando si va a scavare nel profondo, molti non riescono a fare altro che sfociare in un discorso che si basa su gusti e pareri personali. Per citare solo un esempio: ti risponde con una vocetta impaurita “A me piace questo e a te quest’altro” oppure ti dice “Lasciami perdere” sono un caso disperato” che in verità vuol dire ho una paura tremenda e irremovibile. Condividendo con loro la mia esperienza e quello che, tramite essa, ho compreso, sviluppiamo l’empatia, incolpandoci a vicenda, spesso in questi momenti, così delicati, capita un finale beffardo: si mette fine al rapporto. Talvolta, meglio non mettere un dito, conosco benissimo la sensazione, posso solo stare a guardare gli altri che soffrono su un involucro di plastica, le cui proprietà chimiche sono idonee alle esigenze. Su tale aspetto, non voglio continuare a pensare, perché non ne vengo fuori, spero che mi capiate, cari lettori, la mia tenerezza s’impregna di amaro e l’ossigeno è scarso, bisogna solo pregare Dio, che faccia un miracolo e risparmi loro. ando da un discorso all’altro, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti dello spacciatore, perché approfitta del dolore altrui, il cui unico scopo, è quello di distrarti quotidianamente, attraverso le illusioni, che consiste in suoni, rumori, immagini e sensazioni, che gli altri non vedono e non sentono. Ma, quelle sensazioni, che non posso dire di essermeli fatti sfuggire, possono uccidere, sono squarci che si aprono e si chiudono e lì, non c’è nessuna sicurezza, diciamo che sei come una cellula impazzita, nella quale, non sei utile né all’Ombra né alla Luce. Quindi, l’idea che si è fatto lo spacciatore, della tua malattia e della tua infinita idiozia, è una certezza per lui, soprattutto adora ripulire i portafogli, quelli più squisiti, di diversi artisti della porta accanto. D’altronde per chi è affetto, o meglio, ostaggio di questa cultura, è pur vero che è anche un aggio fondamentale, per costruire un buon rapporto di fiducia, ossia, per farsi Infinocchiare, da chi ha la frenesia del profitto. Siccome pochi hanno inteso che il sapere spesso non procede per gradi, ma per salti. Quello che voglio dire e lo dirò, fino all’ultimo giorno della mia vita, perché la mia volontà è in allineamento con la solidarietà, lo scambio, la condivisione, lo stare insieme, imparare, costruire, scoprire, inventare, creare e giocare. Si tratta di un problema noto, per cui ho imparato ad avvertire le persone, in modo che possano scegliere, se intendano trovarsi o meno, nel flusso di lacrime causate dalla eccessiva vicinanza maligna. Denunciate e segnalate, alle forze dell’ordine, gli spacciatori. Sarebbe fuori luogo, che mi addentrassi in questo tema, anche se molti altri aspetti meriterebbero di essere almeno sfiorati, ma quello che mi preme, ancor di più, ovviamente parlo a titolo personale, Io ho preso la siringa quando l’eccitazione indotta dalla marijuana non mi bastava più. Ti viene un tremendo
bisogno di evadere dalla realtà, perché fa parte della maledetta cultura della droga o può essere descritto nel modo più semplice, come un danno al sistema frenante del cervello. Con questo, non trovo parole migliori, per darvi l’idea di quanto appena affermato, simile a un monumento simbolico, alzato per la gloria della Verità. Chi invece asserisce diversamente, innanzi alle schiaccianti prove, ignorando il problema, è un traditore. Come ultima cosa, vogliate perdonarmi, cari lettori, desidero soffermarmi solo per un attimo, sui miei genitori, è doveroso da parte mia!. In quanto, non sono mai riuscito a parlare con loro, di questo terrificante male, ma non era mancanza di fiducia, anzi, con la mela cotta al miele, col suo biscotto della fortuna o al cornetto mattutino insieme al bicchiere di latte e caffè, mia madre, sicuramente, mi avrebbe detto che in me c’è troppa bellezza per mollare e probabilmente aveva ragione. Purtroppo, ero già sotto il ricatto dell’eroina, avevo già venduto anelli e collanine, mentre inzuppavo il biscotto temendo di andare a finire a dormire sotto una stazione, mendicando o in coda per un piatto di minestra alla mensa dei poveri. Quando guardavo il volto di mia madre, scappavo e me ne andavo a piangere sotto gli alberi, altre volte invece, solitario e senza pace piangevo al cielo alto sopra di me e pieno di stelle, con quell’ombra che stava sempre lì, affianco a me, mi spiava, mi tormentava e alla fine, riusciva sempre ad azzannarmi, a catturarmi o inghiottirmi nella sua rete. E poi, c’erano, sempre, quei sensi di colpa che mi spolpavano vivo, i quali mi facevano morire di amarezze. Posta questa sintesi affettuosa nei confronti dei miei genitori che equivale come a un gran sospiro di sollievo. Un bel giorno accadde, che dopo una lite andata avanti per qualche ora, tra me e me, sfociatasi in disperati pianti, anziché di andarmene a mangiare una scaloppina, una piadina o un bel filetto al pepe verde, e magari rimanere alzato fino a notte fonda, a discutere sul senso dell’esistenza, da solo, o con qualcuno, m’iniettai, nella piena consapevolezza, una maggior dose di eroina, in modo tale, da rimanerci sotto. E’ quando la disperazione giunge al culmine e genera tale impulso. In quel tragico momento, la classificai l’idea giusta, con la totale incapacità di interrogarmi. Avevo troppo merda in corpo, mi ero bruciato da solo, la desideravo tutto il giorno e ciò che facevo, erano solo pratiche per l’inferno e andrò all’inferno o forse ci sono già: è questo che pensavo!. Ogni sacro giorno, avevo l’angoscia, la tensione, attacchi di panico per non avere abbastanza soldi, per proteggere il mio corpo dall’astinenza ed era proprio questo il punto chiave: diventava proibitivo smettere!. Al sol pensiero di smettere, mi assaliva un qualcosa di SOTTILMENTE STRANO, che mi gettava, ad alta velocità, in un terrificante terrore, facendomi sentire, come se stessi smantellando, pezzo per pezzo o a
chilo, l’anima mia. La voglia di far sentire la mia voce, l’orgoglio di affermare tutto il significato della mia esistenza, non esisteva dentro di me. Sprofondavo in mezzo alla confusione, come un’abitudine, e peggio ancora, con urli terrificanti, senza mai decifrarli. Ho cercato spiegazioni, più di una volta, ma non vi sono mai riuscito, crollavo sempre sotto il peso di me stesso, simile alla furia di un cataclisma: inutile dirvi il seguito… Posto questo, ora, cari lettori, possiamo scendere verso un segreto, che forse, o solo, la peggiore tortura è in grado di estorcere. Come già detto, sopra citato, consapevole dell'assurdità del gesto, dopo aver bevuto le mie stesse lacrime, sentii delle fitte pungenti, che mi attraversarono in tutto il corpo, simili a dei lampi elettrici, mischiati al dolore, fino a giungere alle corde vocali. Nel tentativo di darvi una precisa spiegazione, è la reazione mostruosa chimica dell’eroina, che ti fa sputare gli atomi della tua carne, svuotandotela. Spento tale processo, come una fiammella quando non c’è più cera da bruciare. Uscivo fuori dal corpo e mi vedevo lì, fermo, seduto e leggermente disteso su quel vecchio sedile abbondonato nel parco, in cui mi recavo come d’abitudine. Per un istante, restai sospeso nell'aria, sgusciai via dal corpo, nell’immediato, feci uno sragionamento, definendolo segno di infinita idiozia. Si ha, talora, la sensazione di vivere in un sogno, un’illusione, visioni ingannevoli. Invece, non ho nemmeno il tempo di riflettere, che succede all’insaputa, inavvertitamente o colpevolmente, un episodio nuovo, inspiegabile, casuale, o meglio, allora lo credevo, oggi invece, lo definisco guidato. Inspiegabilmente m’inghiottiva una misteriosa forza o un’energia, in cui, non sai, se stai precipitando o innalzandoti: è quando sei dentro di essa. Nella quale, i polmoni respirano correttamente, ma non percepisci nessuna sensazione, neanche un sentimento o un'emozione di essere deviato da qualche parte. Gli occhi e i sensi, non percepiscono nulla di pericoloso, di strano, di spaventoso o diabolico, né uno spauracchio, un turbamento o di un'assurda, fuggevole gioia, di un impulso sensibilissimo, di un soffio, né di un brivido o un’ urto che possa scuoterti. Inoltre, non sai se stai percorrendo dritto, storto o sbilanciato in una galleria, in una fessura o dentro a dei ristretti cunicoli freddi, umidi e bui, intravedi solo un lampo luminoso, entri ed esci senza un benvenuto e senza un arrivederci. Ragionare su di essa, equivale a un camminare sul vuoto. Poco importa, quanto nobile sia, essa non offre alcun appiglio, ma solo sospetti alla coscienza, proprio per tentare di portarla alla luce. Per quanto mi potrei sforzare, anche se può apparire paradossale, non riuscirò mai a spiegare il vero significato di questa transazione, o processo. Ciò che riporto, senza timori o pregiudizi, è solo qualche infinitesimo frammento, colto nell’intimità, in fondo alla coscienza,
in cui ci sono più domande che risposte, così tante che ci si annega. Ma, questo fa parte del mistero della vita e tutto ciò, m’impone rispetto e riflessioni, intese per chiarezza, perché sarebbe assai arduo pronunciarsi sulla sua origine e natura. Se poi non è abbastanza per il vostro palato, beh allora rivolgetevi, o affidatevi ai comunicati ufficiali della N.A.S.A. Loro sanno spiegare, con ardue speculazioni teoriche e rispettabili, per quello che è, tutte le rappresentazioni, gli enigmi e i paradossi soprannaturali di un universo multidimensionale. Chissà quale sconvolgente rivelazione…?! Non mi stupirei se la coscienza si riducesse al cervello. Son fin troppo fedele alla mia stella, per non poter esprimere un giudizio, o meglio, un’opinione, perché ripongo nella natura e nel suo Creatore una fiducia senza limiti… fino ad oggi non sono mai stato tradito, e quindi non ho motivo di revocargliela. Ma, andiamo avanti con la mia torbida vicenda e piena di carrellate di avvenimenti vari che vi illustro. Dicevo, catturato da quell’energia, o da una misteriosa forza, come una specie di rapimento all’istante, in cui non sei per niente lanciato trionfalmente, schizzai come una scintilla, chissà per dove…?! Poi, nel momento in cui, tutto in un colpo, caddi stralunato a terra, mi ritrovai in mezzo a una specie di rettilineo, con due pareti, una di fronte all’altra, due facce uguali, popolata da mattoni di color rossastro scuro, per niente bello!. In tal panorama, in quel momento, pensai di essere impazzito. E’ COME QUANDO PERDI L'ORIENTAMENTO E TI TROVI IN UN POSTO, non sapendo perché sei lì, ed è difficile arrivare subito a cogliere il senso. Dal prodotto del mio disagio liquido, immaginai, essendo un buon conoscitore della sua puntualità cronometrica, che fosse solo una montatura dell’eroina. E’ l’effetto-istantaneo che sfocia in un’interconnessione di qualsiasi cosa, di tuttifenomeni immaginabili. Stordito e pietosamente indispettito, esclamai: “Che cos’è, un nuovo progetto dell’eroina?! Sono io a muovermi o è l’illusione a scorrere?!”. Lo spavento fu grande! Negli attimi di lucente silenzio, mi guardo intorno e cerco di percepire qualcosa, ovviamente, non bastò, nulla m’invade e nulla mi inonda. Poi, ai alcuni minuti a tentare di vedere i particolari, per testare l’autenticità, ma, dagli occhi lucidi, che non sembravano mai chiudersi, la visione non mi andava proprio a genio. “Che cosa vorrà significare?!”, mi domandai. Tenendo un'attenzione prolungata: ecco sorgere una vibrazione seguita da uno squarcio, simile al rumore di una vecchia e arrugginita porta che si apre, o più esattamente, come un ronzio di una motosega, che si estende nella pancia e lungo la spina dorsale, fino a salire al cervello, per farmi archiviare rapidamente il caso, per poi pormi la domanda chi fossi un'ora fa. L’insorgere della visione, che a mano a mano si schiariva di fronte agli occhi, per la sua lapidaria chiarezza, dava conferma, che non era un’illusione nell’illusione. Toccai una realtà scioccante, ristretta, ma anche super-intensiva, piena di episodi
e di grandi commozioni, che si è conclusa come un ESPLOSIVO, ma anche con degli scrolloni troppo improvvisi. Di primo acchito, entrando in questo quadro illuminante, mi sono limitato bene a toccare qualcosa, mi è sorta una certa preoccupazione, chi lo sa… forse per la presunta origine maligna!? O forse si trattava dell’inizio di una vita diversa, più ricca, più profonda, più in sintonia col mio vero sentire!? C'era tanta calma, io non sapevo che fare, non ci stavo con la mente, ma ero presente in carne ed ossa. In seguito, scandagliando l’area, ma solo con gli occhi e fin dove essi potevano arrivare, in uno stato inoffensivo, purtroppo, dedussi, con una certa facilità, che non si trattava neanche del Regno della Luce. Sennò, in quest’ottica, i malanni fisici e mentali, che sembravano di avere sempre qualcosa di sbagliato, simile alle mie scarpe scucite, dovevano guarire, o almeno in parte, invece, erano sempre stabili, e quindi, come una prova scientifica, dalla quale c’è ben poco da replicare, non godevo di nessuna tutela. Mi permetto di aggiungere, che qualunque sia la sua origine, lontana o qui accanto, è un luogo ignoto, o forse è tra i tanti, oppure è un messaggio nuovo o antico, ma di sicuro, neanche la droga riesce a fartelo assaporare. Credo, che sia un punto interrogativo, sospeso su tutta la nostra civiltà. Tra l’altro, usando tutta la mia gradevole gentilezza, essendo che non sono un abile maestro. Ma solo, dopo avermi accertato al rallentatore, tengo a precisare, che qui, in questo luogo, non ci sono: villaggi, metropoli, chiese, templi, geroglifici, statuette d’oro, manufatti, sui quali è inciso un alfabeto antico, né simboli, né carri o sagome tipo alla Polifemo, né alcun disegno di dischi volanti, né descrizioni di alieni che indossano maschere, o presunti esempi di scrittura. Né reperti di qualche extraterrestre, né mostri da braccia squamose, o un’intera legione di diavoli, e neppur un’orda di cannibali. Per chiudere e tracciare delicatamente questa carrellata, non esiste neanche alcun tipo di animale selvaggio che abbaia furioso, perché il silenzio non aveva bisogno di essere ristabilito, nemmeno per la sua monotonia, nessun cinguettio di un uccello, alcun pesce acquatico, neanche una chiazza di palude con dei vecchi bidoni accanto o nei suoi paraggi, né una roccia, né un fiore col suo color affettuoso, e neppur delle primizie vegetali di cui potersi saziare o spaziare letteralmente. Posta questa sintesi, nella quale il panorama non svelava alcun mistero speciale o prezioso, diciamo, che a tratti, offriva qualche momento non disprezzabile, nulla più. Percepivo solo una quiete inviolabile, inoltre, il suolo, era privo di buche o spaccature e non riporta alcun dislivello. Venendo al dunque, al nocciolo, dei successivi i di questo racconto, ciò che realmente mi sorprese, durante lo strappo-viaggio, simile ad un’immagine che svanisce e ne subentra subito un‘altra, incredibile a dirsi, sembrava che avessi bevuto una botte di tisane, non è neppure un’analisi sbrigativa, anzi, è un sapore istantaneamente sperimentato nel tessuto della
carne, di quando fui risucchiato da quel raggio. Chissà, può essere che serva per non far crepare il cuore?! O per non farmi tormentare da una sete atroce?! Sputare non era proprio il caso, perché arono, uno, due, tre minuti, e mi sentivo come una botte piena. E più ne gustavo, e più sentivo una sensazione diversa, nuova, che si tramutava in contentezza, fin nelle viscere dell’animo. In seguito, per quanto mi sembrasse illogico, inverosimile, in cui tutto taceva, in una scelta chiara o coraggiosa, mi son messo a cantare, con una certa spensieratezza, come una rockstar, da spaccone, senza alcun timore di imbattermi in un gigantesco pericolo, come se fosse un'esperienza positiva. Non fu un lampo di gioia sfociatosi nel mio sé più oscuro, dato che non ero all’inferno o al purgatorio, perché l’ho già masticato, digerito ed evacuato, nel mondo in cui vivevo. Mi gettai in quel labirinto, come se fosse una gara, leggero con la mente sgombra, e pieno d’entusiasmo, non avvertii alcun peso, né uno sconquasso, non provai nessuna inquietudine e nemmeno mi sentivo smarrito, irritato, e neppur tirai a indovinare. Fu, come se stessi in un momento di singolare armonia con me stesso, in cui i veri occhi si aprirono per cercar la salvezza. Il dolore, la colpa, la paura e l’agitazione per l’apparente caos, non ebbero alcun effetto su di me. C’era un senso di dovere, di appagamento e di piacere che brulicavano in me. Pareva che già, incominciavo a individuare certi miei difetti, che tra l’altro, non mi è mai capitato negli anni precedenti, o meglio, mai. Come se avessi, inspiegabilmente, trovato una specie di accordo, col mio veleno mentale ed emozionale. Tutto ciò, sembrava beneaugurante, in aggiunta, anche il fatto che nei paraggi non s’intravedeva alcun tipo di pericolo, come si vuol dire, non incespicai in nessun ostacolo insidioso. Fermo, ancora con i piedi inchiodati a terra, volgo sguardi con brevi scambi di parole, non provo nessun imbarazzo, procedo come se fossi spinto da un atteggiamento, dettato da un rispetto profondo verso tutto ciò che sta dietro il regno umano. Vado avanti, senza esitare, ma in modo lento, e convinto di scoprire qualcosa, mentre in ogni istante, mi accompagnava, in gola, quel piacevole sapore. Faccio una ventina di i, a o corto, e senza sorridere, tutto sembra andare bene. Ora, fin qui, per quanto vedevo, con un facile entusiasmo infantile o forse animato solo da impulsi di natura neuronale, queste due pareti rossastre, poste in questa specie di rettilineo infinito, le considerai come un intrattenimento piacevole, quasi godibile, come se aspettassero me, per essere inaugurate, in dato momento, fu questa l’unica sensazione che mi assalì. A rendermi ancor di più tranquillo, nessuna pioggia, o venti forti, freddi, gelidi e neppur un acuto dolore abusò di me, in questi minuti di piena libertà e con lo sguardo rivolto in ogni dove, strada facendo e spinto da una virtù la cui lasciava intendere di sciogliere tal dilemma, purtroppo, dopo un centinaio di metri, ho visto, ahimè, la mia sicurezza
infrangersi contro la triste realtà, probabilmente qualcosa, a me sconosciuta, e senza tanti complimenti, era in netto ritardo all’appuntamento. D’improvviso, mutai…mi assalì un selvaggio input, come un vero e proprio agguato, si è impossessato, con una tale foga, delle mie braccia, in grado di stupire me stesso, nonostante, visibilmente, non soffrivo. Ho tentato, come un babbuino, di arrampicarmi, per scavalcare le pareti, mi è ato per la testa di squagliarmela, senza riuscire a capacitarmi. Poiché, così facendo innumerevoli volte, sia di qua, e sia di là, scivolavo e cadevo, riportando, ogni qualvolta che riprendevo l’iniziativa, acciacchi su tutto il corpo, sorvolando gli atroci dolori, insieme alle mani scorticate, non fu una buona idea, perché a prima vista, non sembravano alte, ma quando cercai di scavalcarle, erano tremendamente lisce e dure, inoltre non mi riuscì neanche di scorgerne i confini del soffitto, gli occhi si persero, quando li lanciai in alto. Non si capiva, neppur se era giorno o notte, né troppo scuro né troppo chiaro, in aggiunta, non esisteva alcun tipo di particolare, nessuna sfumatura, e tutto sommato, ovvero, in base al presentimento, incitava alla prudenza. Peraltro, su tal panorama sopra alla mia testa, non mi dannai più di tanto, nel senso, di scoprire la sua origine. In me, non suscitò alcun timore e nemmeno un pizzico di curiosità. Ritornando al punto sopra a quest’ultima riga citata, dopo aver preso fiato, in un pallido silenzio, simile ad un drammatico litigio, e sentirsi lontani, nel tentativo di darmi una spiegazione, su quel anomalo input nato improvvisamente. Sorgeva in me un pensiero non da poco e non potevo assolutamente sbagliarmi, esclamai: “Com’è possibile che ho voglia di scappare da qui dentro, mentre prima oppresso da una grave angoscia profonda, desideravo, invocavo, imploravo la morte, pur di mettere fine ai miei fardelli insostenibili?” Su tale aspetto, fui abbandonato da qualsiasi speranza, non trovai alcuna risposta sodisfacente, pur soffermandomi per un bel po’ di tempo. Ma più che altro, dopo aver accantonato, l’anomalo, l’ignoto input che mi diede ciecamente il comando di scavalcare le pareti, non suscitò alcun raccapricciante sconcerto in me, perché sembrava che ero avviato a vincere ma non sapevo come e su che cosa e perché. Può sembrare illogico, banale o insensato, eppure, tra il non sapere e la frenesia di conoscere qualcosa, sembrava che ci fosse qualcosa di generoso, la cui origine a me sconosciuta, che mi entrasse nell’animo e la volesse ricompensare. Per rimanere, per un solo istante, su quest’ambito di raccoglimento interiore, la considerai, come se fosse uscita una sorta di gran bella giornata. Con le valvole percettive aperte, diedi un’occhiata in giro, in un’espressione arzilla, non c’era nessuno, mi sento meglio ancora più di prima e convinto di essere al sicuro da brutti incontri. Procedo e vado avanti, mi allungo abbondantemente in tal cammino, ma nel giro di dieci minuti, qui ci risiamo… venivo stranamente sconvolto, troncato, all’improvviso da certi pensieri
demoniaci, i quali mi sembravano che apparivano fin sul petto che tacendo, parevano che mi sollevassero da terra. Per darvi un’idea ben precisa, costoro, si erano insinuati all’interno del pensiero, a mia insaputa. E alla fine, ho eseguito i loro ordini, ho ceduto, mi sono arreso, e più che altro, contro ogni volere, abbandonai il mio stato d’animo pieno di contentezza. Ora, in tal momento, bersagliato e poi assorbito da quei pensieri maligni, in queste pareti cieche, dapprima mi hanno mortificato duramente, facendomi credere di essere l’incarnazione di un tiranno. E le conseguenze, peraltro furono in un modo inspiegabile: sbandavo, arretravo, inciampavo e straparlavo, sembrava di trovarmi in una situazione demenziale. Come se i pensieri fossero clinicamente morti. E per giunta, istillarono, nella mia mente, l'idea di essere in un luogo pericoloso, ostile e senza scrupoli. Inoltre, rimanendo sotto l’urto di quei pensieri spaventevoli, alla lunga, ha generato un’immagine, talmente tanto, da diventare assurda e forse persino comica, di cui non c’è un disperato bisogno in tal racconto. Essa, la visione, l’immagine, era che mi aprivano le vene per mostrarmi la sporcizia e i germi di tutte le infezioni della mia identità. Assorto, o meglio, inzuppato, in questi sovraumani pensieri, trattengo per qualche secondo il respiro e scuoto la testa tristemente, perché intuisco che è un vero e proprio tabù, che sconvolge dalle viscere al più profondo dell’animo. Continuando In tal maligni e sovraumani pensieri, che non paiano avere né una sede fisica, né una sede spirituale. Rimango nel se, e nel ma, nel dubbio assoluto, e comincio a pensare il peggio, per il quale mi si gelò il sangue. Ingrovigliato nei miei perdenti cagadubbi, cercai di riflettere in meglio, sulla causa di questo regolamento maligno prescritto chissà da chi , simile a un dio malvagio che trangugia compiaciuto il sangue. Per prima cosa, mi guardai sia davanti e sia alle spalle, con uno sguardo eloquente, una via di mezzo tra la rilassatezza e il disagio, ma non intravedevo alcun tipo di trappola e neppur un piccolo serpentello che potesse mettere in qualche modo in pericolo la mia vita. Poi, a distanza di qualche minuto, più di una volta, gridai e contemporaneamente mi girai e mi rigirai, avanti e indietro, gettando sguardi in alto e in basso. Ma ne ricavai solo la coreografia del silenzio, per commentare che, evidentemente, neanche dopo la morte, i vecchi pensieri che mi hanno condannato al fallimento, possono essere contrastati!? Ho forse apparivano, seppur in modo dirompente, per farmi capire qualcosa, o è un atto di rimprovero!? O forse sarà il clima?! Una coincidenza? Furono domande, in cui cercai di illustrarmi in tutti i miei elementi, anche questa è una possibilità, come si vuol dire, una sorta di prova, o misurare alcuni aspetti della tua autenticità. Di seguito, e sempre aggrovigliato in tali rigide domande, me ne sto fermo, ascolto e penso in silenzio, poi mi guardo con sguardi prudenti intorno nella speranza di captare qualcosa, niente, mi prolungo
ma in effetti, non toccavo alcuna spiacevole sensazione, né in bene e né in male. Temporeggiai ancora chiudendo gli occhi, contando fino a trentotto, ma fu inutile lo stesso, battevo sul nulla, rimasi sempre vuoto, non seppi andare oltre. D’altronde questi erano i miei limiti mentali o di consapevolezza, che dir si voglia. La sapienza non mi apparteneva o meglio era evaporata, e non poteva essere una casualità, ero abituato a una facile formuletta. Senza assumere né ceppi né petali di rose nere, costoro ti permettono, tramite le loro agognanti allucinazioni, di bazzicare nelle fogne di Balzebù, a furia di spronarmi, mi son perso alla mia maniera, cioè, ipotizzai e senza tener conto che magari fosse un’esagerazione, che stavo crepando bene, nonostante non esistesse, fisicamente, nessuna capacità estranea e raffinata da imbrogliarmi le idee o nutrirmi di odio. In questo quadro illuminante, avevo sempre la consapevolezza di essere un umano, e quindi, anche se non esistevano prove certe, della sua reale provenienza, diedi per scontato che prima o dopo la morte sarebbe venuta a prendermi. Per sottrarmi da quest’assurdità insignificante, perché la buona fede non mi è mai mancata, con dei supplichevoli sentimenti, volsi lo sguardo in alto, in basso, poi a destra e a sinistra, pronunciando svariate volte: ”Per favore, Gesù, non starò mica sognando? Aiutami, ti prego!“ Rimasi tutto sospeso e aspettando palpitante, con mille diverse espressioni, per un eventuale contatto miracoloso, ma fui completamente ignorato. Poi, di nuovo, mi gettai nella conversazione, con una vivacità maggiore, ripetendo le stesse parole, a tal punto che si levò in me, l’ombra debole e amabile di un innocente bambino. Per ore andai avanti e resistetti, pur di non credere di essere solo. Colando, innocentemente, a fondo, su tale esercizio, mi crogiolai in maniera irresistibile, proprio come se fossi in una culla, volevo dargli un bacio, accarezzarlo, scrivergli una poesia, o raccontargli una barzelletta divertente. Mi ò per la testa di tutto, nella speranza di strappare un brandello di significato su questo ignoto, di uscirmene da questo inganno o illusione. Purtroppo, rimanendo amaramente sdegnato e tradito su una probabile presenza divina, s’innalzò in me, una tal fiamma infuocata di commozione, mischiata con degli orribili lampi, che agghiacciavano l’anima, caddi a terra e scoppiai in raggianti lacrime. E dopo essermi ripreso, in uno stato furibondo, potei drasticamente costatare, che le occhiaie non erano dovute a una notte di sonno cattivo o dalla stagione dei pollini e neppure associate ad episodi di aggressione. Preso atto, da tale disgrazia, immediatamente, come per incanto, entrai in conflitto con me stesso, un conflitto nel conflitto, in grado di generare follia, attacchi psicotici, sensazioni negative e altre svariate diavolerie. In una, in particolare, fu come se qualcuno, con una dose di schiaffi, mi diceva ripetutamente mentre ero tutto intronato: “Ucciditi!”. E che strazio crudele ho sentito…, simile a un animale quando è chiuso negli artigli d’un falco. Pieno di
paure, sospiro forte nel profondo, per intenderlo, per cercare il motivo su quale soglia maligna proibitiva ho varcato. Invece, nel prolungarmi, in questa investigazione supernaturale, non faccio altro che peggiorare la situazione, toccai il punto culmine. Nella mia mente, l’unico urlo che usciva costantemente tossico e impazzito, è che desideravo solo di avere una degna sepoltura. Sotto gli urti incessanti, di questa specie di ipnosi maligna, capace di farti esplodere la testa, la classificai una specie di riconciliazione con i miei fardelli interiori, mi vidi senza speranza, fra l’altro, chissà, poteva anche essere un modo come un altro, in cui tutti gli errori possano essere riscattati. Questo mi faceva essere leggermente felice, anche per il fatto che ripensavo, che in ogni mia azione, in modo pacifico e amichevole, quando l’occasione si presentava, ho sempre aiutato la vecchietta ad attraversare la strada, una volta sono intervenuto a sedare persino una rissa fra ubriachi, che è molto pericoloso, anche se poi alla fine scoppiai a ridere sguaiatamente. Senz’altro, si sa, che non sono azioni da farti compiere dei grandi salti di qualità, in termini di reputazione, ma nessuno, me la potrà mai negare questa pepita di verità. Ad ogni modo, sotto tal grave oscuramento interiore, restai radicalmente convinto, di portare a termine questo piccolo desiderio. Cosicché, m’incammino a o corto, con un brutto umore appiccicato addosso e difficile da decifrare, in cerca di un posto che si addice alla mia bassa statura. Ne scelgo uno, poi un altro e un altro ancora, e di qua e di là, da cui arono minuti, ore, non avevo un orologio, ma tutti necessitano di una pala e un piccone. Sprovvisto di attrezzi e nonostante vedevo un po’ dappertutto sfocato, più tardi, preso dalla mania, come un contagio, ci riprovò: ma, ancora una volta, senza esito. La superficie, in cui poggiavano i miei piedi, era più dura del diamante, la cui natura era a me ignota. Mai, in vita mia, come in quel momento, in uno stato di nervosità terribile, ho invidiato, con lo sguardo di un randagio, così tanto, un muratore. Forse, avevo bisogno di una sigaretta, perché mi sentivo talmente confuso e tremendamente avvilito, per non aver potuto realizzare questo piccolo desiderio, che alla fine cedo e mi accascio accanto ad una delle due pareti. Fui preso da una tale ansietà che non vidi più nulla. Un vuoto smisurato, che avrei voluto colmare, uno scompiglio psicologico che non sai come e perché, non voleva mollare la presa. Fu un carico troppo traumatico da sopportare, dilaniato da dolori, rimorsi, incertezze, nei quali rimpiangevo il destino in cui mi ero cacciato. C’era un qualcosa dentro di me, che ha sempre mandato a fanculo tutto e tutti, solo per sfizio e superficialità, forse ingenuamente o da canaglia, ma ogni scusa era buona, per scaricare le tensioni e i timori. Poi l'arresto cardiaco, il cuore impazzito, il terrore negli occhi e con la bava alla bocca, è finita nel peggiore dei modi: con la morte. Con quei rimpianti enormi del ato, i quali fecero scoccare l’ora della mia morte
rapidamente, per più di dieci minuti, vomitai svisceratamente. Non sapevo nemmeno di cosa si trattava, ma sembravo un anziano con la bronchite e sempre più inclinato ad attacchi di cuore. E chissà, in quale pattumiera vado a finire, se non direttamente sgozzato sopra ad un altare, è questo che pensai in quell’istante, perché anche qui, come nel mondo, mi sentivo figlio del rifiuto. Abbandonando l’idea d’aver una degna sepoltura, per via del suolo durissimo e facendo esperienza di ciò che mi trovavo di fronte, in cui si poteva realizzare una beffarda profezia a carico mio, sbocciò il fior del pensiero, di lasciare un segno della mia presenza, sul fronte della parete, prima che fi una brutta fine. Preso atto, di essere libero di spostarmi ovunque, senza il freno di un persecutore, dappertutto getto sguardi da indagatore, lucido ed inquieto al tempo stesso, in cerca di palline di sterco, altre possibilità non c’erano. Per quanto spiacevole, è pur essa ricca, in tal caso, erano le uniche a cui attribuire le proprie disgrazie, ecco, giusto per darvi un’idea. Qui, penosamente, Il risultato fu nullo, dopo aver camminato incazzato più di un’ora nella direzione che più mi pareva giusta. Neppur un moscerino, né un’ insetto ho visto svolazzare, da acchiapparlo e spiaccicarlo gioiosamente, in modo da rendere felice il mio ego. In fin dei conti, non mi aspettavo di riuscire a comporre un granché con uno di questi, ma preso atto delle difficoltà, anche uno scarabocchio o un sol schizzo, già lo consideravo una piccola soddisfazione. Macinando pensieri e giochi di fantasia, nei quali, a priori esclusi un’ipotesi insensata, la quale riguardava che le pareti non potrebbero essere state costruite con agenti chimici che nemmeno la muffa li attaccherebbe. Era un aspetto che in me sfociava in un’idea abbastanza gradevole. E superata la diffidenza, c’ho provato con le unghie a graffiarla, sgranarla, rastrellarla, insomma, come meglio potevo. Purtroppo, quasi subito, mi son messo a frignare, un male tremendo all’indice destro, fino a farmi scoprire la radice dell'infelicità, come se poi la causa fosse stata dell’uso prolungato. A scanso di altre eventuali perdite, mi son riposato per circa dieci minuti, avvolto nel più penoso silenzio, ripetendo a pappagallo che non avrei mai più osato a muovere un dito. Per chiudere la parentesi, su tale aspetto, Indipendentemente dai miei sforzi, non c’è stato mai un recupero completo. ando da un’opinione all’altra, in questa specie di rettilineo stretto, con le due pareti popolata da mattoni di color rossastro scuro, che non tenevano alcun conto degli eventi della mia vicenda, pur desiderandone ardentemente una felice, poco dopo, ho avuto l’infausta idea, la cui origine da dove mi sia uscita non saprei proprio dirlo, di frugare nelle tasche dei jeans, e c’ho trovato uno stuzzicadenti. Con un pezzo in mano del mio ato, in quell’istante, l’eccitazione fu così forte che presi la decisione di conficcarmi la punta dello stuzzicadenti dentro la carne del mio corpo, pur di sottrarmi a questo malessere irragionevole che
sorgeva chissà da quale profondità. E mentre sto per attingermi la punta dello stuzzicadenti nella carne, non so quale sia stata la vera ragione, ossia, da un’ istinto conscio o fu solo un gioco della mia stessa coscienza, per richiamare ricordi ed emozioni o forse necessitavo urgentemente di una coccola affettuosa, avendo già sofferto abbastanza, abbandonai frettolosamente quest’assurda idea. Non vedevo mai da quale spirito ero spinto. Dopo essermi sottratto da questo furioso istinto animale, dovetti agganciare un’aspra battaglia con quelle due pareti, composte solamente di mattoni rossastri, issate chissà da chi. Ognuno dei mattoni era liscio e duro, simile all’acciaio. Ho dovuto sballottare avanti e indietro, per svariate ore, con un misto di determinazione e coraggio. Per fortuna, a lungo andare ma non prima d’imparare quasi a memoria la forma e la disposizione di tutti quei mattoni, trovai uno spazio di trenta o quaranta centimetri di mattoni lievemente secchi e increspati, quindi facilmente più malleabile. Per la felicità, andai in preda a un'emozione intima, profonda, ma non si trattava di “diventare” questo o quello, bensì, di svelare l’Essere che si E’. Mi sentivo un mostro?! Lo ero?! Non lo so... Probabilmente si… ma non me lo meritavo… ero solo un ragazzo ingenuo e sbadato. Tutto bla bla dentro in un paio di jeans attillatissimi, col quale sparavo fuori il mio “sé” più oscuro a torso nudo o seminudo. Era come se avessi dei ganci pesanti attaccati all’inconscio che mi facevano sprofondare e che, non avendo la minima idea di come fermare o anche solo di frenare, talvolta, con una certa aggressività, mi scaricavo contro un albero o un oggetto, oppure appiccavo un incendio o tiravo pietre. In un episodio, ho ammaccato perfino una macchina, mentre impugnavo una birra o un brandy, ma rimanendo sempre un bravo ragazzo, nonostante l’assenza di un lavoro, di un futuro e l’abbandono scolastico. Tra i buoni e i cattivi, chi le vittime e chi i carnefici, non mi sono mai spinto ad entrare nelle bande e premere il grilletto per terrorizzare la popolazione. ato questo sfogo, e come ben sapete, che ero a corto di pennelli, astucci, quaderni, penne, matite e colori, che tra l’altro codesti taccuini tendevo a dimenticarli in ogni dove, inizio con estrema cautela a comporre, con la punta dello stuzzicadenti, il mio volto in quei trenta o quaranta centimetri malleabili. E fin qui, tutto bene: l’ipotesi auspicata sembrava possibile. Invece, per la seconda volta, vengo colto di sorpresa da un attacco di acidità di stomaco. A muso duro, trattenendo il respiro e scuotendo la testa, provo a sedermi a terra con le spalle appoggiate in una delle due pareti. E come un’altra vittoria del male, lo stomaco premeva, schiacciava, e alla fine, dovetti scansarmi tristemente dalla perturbazione gastrica, prima che mi macchiassi dappertutto. Sbiadito come un aglio biondo, restai in silenzio, inutile urlare o appellarsi con volgari insulti… A che serve? Tanto nessuno poteva sentirmi…! Ero catalogato nella categoria dei fessi che subiscono. Con le
ripercussioni fisiche, mal di testa, vertigini, bruciore agli occhi, nausea e affaticamento respiratorio, subissato in quelle infinite paure, non ero più in grado neanche di difendere le folli idee. Sottoposto da quell'interrogatorio, verde, giallo e violaceo, senza poter far nulla e senza un minimo di assistenza, dalla quale, necessitavo solo di qualche pannicello caldo e un po’ di brodo di pollo, invocai aiuti spirituali che derivano dallo Spirito Santo, chiedendogli: “Perché questo fallimento?”, “Quali fini ha?”, “ Oppure è questo il modo e il luogo donde la mia morte diviene seconda vita?” Purtroppo non ci fu, né per mano né per voce, nessuna risposta salvifica, neppur per una spinta per agire. Caduta ormai la mia capacità reattiva, come una perdita irrimediabile che mi dava torture, insorge in me una dolce malinconia, come per stare in compagnia o per avere un po’ di pace. Ma, per fare questo, dovetti per forza ridiscendere nella giovanissima età, altri modi non c’erano. Quelli si, ch’erano altri gusti inimitabili! Sprofondai, come se fossi svenuto, nei ricordi di quando ero un innocente bambino che giocavo con le macchinine e i soldatini; a quando m’impappinavo con i giocattoli, asciugandomi il muco fra il sorriso e la timidezza, insieme al colorito delle guance; a quando andavo in bicicletta macinando metri e dicevo, fiero e ad alta voce, al mio amichetto accanto: “Guarda come sono bravo… senza mani!”; a quando raccoglievo sulla spiaggia quel sassolino screziato che scagliandolo di piatto sulla superficie del mare, formava le linee blu celesti, e ancora e poi ancora…e di nuovo ancora. Come se quel giovinetto fosse il mio primo amore, umile e puro, fin nel profondo, come se nel corpo il sangue si fosse arrestato, per far emergere un tesoro dell'infanzia. Con quei caldi brividi addosso, catturai quegli attimi bellissimi, stupendi, ma il senso colto, purtroppo, assomigliava all'ultima fiammata della mia vita. Ho dovuto trattenermi per non scoppiare in lacrime dalla commozione, pareva che l’anima mia, accompagnata da una strana spensieratezza, già sapeva di morte e pronta a non amare più. E’ probabile, che anch’essa portasse i segni della lotta e temeva che si sciogliesse, si disperdesse per sempre, in quest’ignoto indecifrabile e soprannaturale. Perché, senza trovare alcun rimedio e con gli occhi pietrificati nel nulla, che non saprei dire per quanto tempo è durato, un minuto, dieci minuti o per un tempo più lungo ancora, IO e l’anima mia, l’unica cosa di meglio che siamo riusciti a fare, in questo tragico momento, è odiarci reciprocamente. E mentre, da impotenti ed entrambi perdenti, questo processo proseguiva con tutto il dolore che si addensa nella testa, accadde che, senza saperlo e senza intravedere qualcosa che si smuovesse, che mi pedinasse, che fi una promessa, un giuramento di fedeltà o di aver risolto un rebus, che su quest’ultimo sono stato sempre scarso, per la prima volta, ci fu’ un imprevisto, apparve una luce, ma subito scomparve come un flash, mentre ero accasciato a
terra. Spaesato e con le vene ai polsi che tremavano, mi girai e mi rigirai sbirciando con frequenza tutt’attorno, ma non c’era niente e nessuno. “Cos’è stato?” mi domandai. Sbuffando, cercai di capire, di farmi un’idea in quella strana situazione anomala. Nel frattempo non dico una sola parola, rimango cauto ma non ho una tattica, lasciai posto alla curiosità e pronto a sparire, o meglio, a squagliarmela al primo segno o gesto di minaccia. Nel gelo dell’assenza, con una prontezza fulminea, meditavo pensieri amari, son stato più di un minuto a farmi il segno della croce, con una certa abilità. Ero nell’ansia perenne, tant’è vero che anziché diminuirla, la moltiplicavo e, a lungo andare, ho ceduto ai miei attacchi di panico, che mi hanno ringraziato e hanno continuato a fare i loro comodi, come se niente fosse. Come un pazzo visionario, son stato ad emettere, per più di dieci minuti, forti gridi di paura. Calmatomi un pochino, innanzi a questo pericolo o fortuna, incomincio a macinare pensieri, ma non prima di essermi accertato che non ho sentito e ne visto un botto, lampi di raggi gamma, brillamenti magnetici o un faro puntato addosso. Cosicché, con qualche rimasuglio di sana riflessione, abbracciai l’idea che, probabilmente, in quel processo così profondamente emotivo ho parlato da solo e mi sono confuso. Non del tutto convinto, per un bel pezzo, tra me e me, è nato uno di quei colloqui silenziosi e durevoli, come se fosse un’infinità, senza però udire altre parole, in modo tale da svelare cosa realmente sia successo. Sempre in bilico sul non-senso e sul baratro della disperazione, sbucò di nuovo fuori quella luce spettacolare. Bianco lucente. Poi, in una specie di presa in giro, di nuovo non l’ho più vista. Sparita di colpo. Ma, la sensazione non era spiacevole, mentre restai fermo, sedato, ma cosciente di quanto accadeva. Nella gioia di vedere, all’apparenza, una cosa bella, avanzai un sospetto, con un pizzico di mala fede, dovuto dal fatto che ho letto troppi fumetti di favole e spettri: che cos’è!? L'inizio del mio tempo divino o Il punto del non ritorno? Che cosa intende rappresentare l'ignoto e abile artista!? Le ipotesi non mi mancavano. Quell’apparizione, non si limitò a indicarmi, bene o male che sia, nessuna teoria. E in fin dei conti, non sapevo cosa mi aspettasse. Francamente parlando, simili apparizioni, senza aver la benché minima idea di che cosa potessero essere, possono voler dire molte cose; nel peggiore dei casi esprime malafede, la quale - se non vado errato - non rientrava tra le specialità di Gesù Cristo che incarna la comione per tutte le creature sofferenti. Sviscerando tutte le ipotesi, cercai di tendere l'arco del pensiero verso l’alto, per scoccare l'intuizione, cogliere l'intenzionalità. Più esattamente, scialacquavo qualche moneta di consapevolezza, d’altronde, ero sprovvisto di una laurea in astrofisica, e peggio ancora, non ero neanche un maestro, col suo arcaico registro alto e più nascosto, che entra in attività di fronte alla provocazione dell’ignoto. D’unque, focalizzandomi su alcuni punti, quelle
più apparentemente folli, che forse non offrono alcuna chance alla crescita, iniziai così: E se essa sia, semplicemente una delle tante divinità proiettate dall'io che fa apparire un immagine inafferrabile!? O magari l’io comincia a far sentire la propria presenza!? E se si, può darsi anche che in esso è contenuto un messaggio o uno splendido dono allo stato puro!? Oppure, è un tremendo inganno, innescato da una molteplicità dell’io, proponendomi una falsa immaginazione di speranza!?.Se non m’inganno, qualche segnale, lo lascerebbe supporre, ma da qui ad averne la certezza, ce ne a. Tutto ciò è comprensibile, ma allo stato brado non esiste. Qui è l’osservazione fisica che parla. Da un punto di vista psicologico, l’immagine, per le sue caratteristiche, presentava inesattezze, non s’incastrava in nessuna spiegazione logica. Per andare a scardinarlo in senso realistico, mi soffermo sull’Io come un esagerato coinvolgimento, è l’aggrapparsi a un Se. O più semplicemente, fu anche un’occasione di sfruttare l’elenco vibrazionale dei mie ricordi, che a mio avviso, si ha un maggior vantaggio, ma non è l’unico. Troppe ne ho viste e tante ne ho incontrate, come un secchio in piedi e abbandonato in mezzo alla strada che si riempie quando piove. Tanto per cominciare sono: le paure e le frustrazioni infinite, la sofferenza atroce, poi segue, l’irritazione e l’odio inutile e facile, l’eccessiva arroganza e presunzione. Per quanto brutali essi siano, questo grande bagaglio, che include anche visioni disgustose, simile a un incubo infernale, ti permette di scattare una migliore fotografia dell’Io. Ma ci vogliono anni di lotta con sé stessi, di atroci delusioni, vuoto e disperazione, ripensamenti, cadute, risalite, sfinimenti, scoppiato, illuso fiacco fragile depresso, allucinato con scorribande interiori che si affacciano, con delle spinte e controspinte, simili a spettri e demoni imprendibili che ti assorbono, ti deviano, ti stordiscono e ti stravolgono tutto il tuo essere. E mi fermo qui, perché sono drammi che ho vissuto in prima persona per anni. Dettata questa piccola sintesi, in cui non soffrivo di convulsioni con la bava alla bocca, e facendo alcune considerazioni per ovvi motivi, non escludo che possono essere anche definite delle grandi capacità artistiche. Su quest’ultima sarà pure una mia insostenibile lacuna buonista o magari, sarà il cumulo dell’esperienza che mi rende vecchio alla vita, ma il sudore delizioso, dal quale ne ho tratti moltissimi insegnamenti, è il mio biglietto da visita nei confronti degli scettici, per quanto possono essere forti i loro assalti, o da chi assume comportamenti sapienti. Posta questa parentesi, la quale non è per niente ironia e altrettanto non è intontita da nessun tipo di amaro in bocca ma da una mente estremamente razionale. Stilai una serie di domande, le quali esse erano: ma chi è questo Io? Da dove viene questo Io? E' un’ inganno? Ti mette alla prova? E se si, su che cosa e per che cosa? Ammesso che ne valga la pena! O forse l’io vuole farmi capire e ricordare di quanto sono
ignorante!? Perché l’io non mi comprende!? Ho qualche rotella fuori posto!? Forse sono tremendamente stupido!? Non conto niente!? In tal caso, crea senza alcun comando un carico di sofferenza che fa nascere le emozioni distruttive. Arrivo alla conclusione che non ho idea di fronte all'inverosimile, all'incredibile, dai tanti perché che l’io racchiude. Non scopro nessun io, non si trova da nessuna parte, non riesco a condividere nulla di esso e ciò avvalora l’ipotesi che forse è solo una percezione di qualcosa che non esiste, non dimostrabile. E’ incomunicabile, non immette nulla nell’apparato cerebrale e neanche nel corpo per renderlo stuzzichevole, che, in tal caso, lo assimilerei, se non direttamente, brilla, m’irradia la sua briciola incontrollabile e ciò farebbe di me, tirannicamente, un suo seguace. O forse l’io recita e recita sempre lunghe e interminabili recitazioni come un abile e astuto parolaio, teme forse di farsi scoprire!? in tal caso, già di mio sono poco sveglio… oppure, sto grattando solamente la sua potentissima superficie!? Allora cosa dovrei pensare, che il mio lavoro manuale in sé non ha virtù per poter trivellare tal superficie!? E se sì, non potrei mai riuscire a vedere, quanto di buono, pulito e giusto l’io racchiude in Sé. Qualunque esso sia il carattere della sua manifestazione dovrei avvertirne un minimo, Dove!? Come trovarlo!? Come definirlo!? Come precisarlo come vita o mentalità!? Oppure, è una proiezione di raggruppamento di molecole sensibili che stabilisce la falsità di tutte le osservazioni, che riguarda il principio che cura il corpo fisico!? Visibilmente non esiste: ecco questa è la realtà. Ma c’è anche da dire che nella filosofia dell’assoluto, ove qui di mio c’è scarsa sapienza, tutto è possibile. Le ipotesi sono talmente ampie e complesse che è impossibile persino riassumerle qui. Frastornato da troppe domande contraddittorie, intricatissime e ben lungi dall'esser sciolte, ma senza cadere nell’estremo nichilismo dell’annullamento, che tra l’altro, quest’ultimo sembra un valore, quando sprofondi in esso. Anche se per alcuni può non sembrare un valore, simile a un tizio che corre storto e cieco in un abisso che divora tutto, giusto per dare un’immagine casareccia e teatrale. Invece, ritengo che su certi aspetti, svolge la sua funzione anche se poi scompare in pochi secondi, dimostra che è morbidissimo al contatto, ha la sua funzione importante, capta, percorre, insegue esclusivamente alcune cose che sono sepolte e arrugginite in te. In parole povere, è simile a una rampa di lancio incandescente, per altre piccole nobili imprese. Riprendendo il cammino sopra quest’ultima riga citata, in cui non mi mette più paura un posto così, avo da un’opinione all’altra senza concedermi attimi di relax. Ad esempio, caddi su un’ipotesi insensata o assurda che consisteva, se l’avessi causata inconsapevolmente, da un forte grido di fronte al riflesso della mia coscienza ed è apparsa casualmente e brevemente un’infinitesima immagine. Poi mi ricordo che sono un po’ miope e subito formulo, pietosamente, l’ipotesi
che probabilmente ho preso una semplice svista, come a volte mi succede. Fin qui, purtroppo, non ho potuto capire altro che il mio nome e starmene fermo a pensare in modo da poter accatastare altre velenose e differenti opinioni. Dopo alcuni minuti, ci riprovo spingendomi oltre il sipario ufficiale della storia, con tutte le sue oscure e vergognose trame, dalle quali dedussi: non saranno mica Demoni!? O Dei, avidi di energie istigandomi a suicidarmi!? E se si, che senso avrebbe per costoro, la resurrezione di un sorprendente spirito maligno!? Su tale ipotesi e salvo rapide ire da parte loro, a furia di prolungarmi, entrai come per incanto nel vivo della fantasia, simile all’eroina, indipendentemente dal senso della parola. L'aspetto più bizzarro, nonostante non ero legato a nessun tipo di rituale per invocarli, era che non potevo escludere sia di fare amicizie e sia di scoprire le lingue degli Dei. Non rientrava tra le mie speranze, soltanto che in un momento così delicato, sono tutte cose su cui non si può sorvolare, magari sarà pure un ragionamento molto infantile, ma molti dicono che hanno la capacità di esaudire i desideri dei mortali, si riuniscono nei luoghi di decadenza, come i cimiteri, entrano e vivono nelle case in cui le persone amano l'odio e la malvagità. Sono storie curiose o montagne di fesserie, in cui rimasi, per un quarto d’ora, perplesso, volto nel pensiero che tutti noi umani lo viviamo, pur senza sentirci particolarmente attirati. Sospesa questa domanda, o meglio, l’ho semplicemente lasciata marcire, per mancanza d’interlocutori e per mancanza di confronti. Me ne sto pazientemente richiuso nel silenzio, in attesa in un’idea, in cui, prolungandomi, mi pareva di non saper dir più nulla. Però, certe volte i silenzi possono essere gravi e fanno molto infastidire, perché si prolungano senza far uscir nulla di buono, e alla fine, è probabile che te esci imbastardito, mi son ben guardato di svuotare il sacco. Ed ecco che incominciai a sciorinare una serie di errori, attraverso l’elenco dei i logici che segue la scia irrinunciabile di denaro e gli orridi tentacoli tecnologici, che è, vagheggiato da scienziati pazzi e da generali megalomani, o da un potente gendarme dai miasmi tossici che abusivamente innesca immagini a piacimento, utilizzando l’energia elettromagnetica. Su tale agghiacciante e realistico aspetto, mi è sorta una terribile preoccupazione che potrebbero esserci generatori di frequenze elettromagnetiche o dispositivi in grado di sparare raggi, installati strategicamente da qualche parte qui dentro. Si è trattato di un interrogativo che m’ ha lasciato assai perplesso, sulla base che l’aria e il cielo nel mondo in cui vivevo, sono intrisi di segnali elettronici ed elettromagnetici. E per darvi un’idea, come un marmocchio idiota, restai, più di una mezz’oretta, in attesa di un’onda elettromagnetica che mi neutralizzasse in silenzio o che colpisce alla cieca e magari, m’avrebbe pure trascinato chissà per dove: per fortuna non arrivò mai… Liberatomi da questo falso allarme, in cui la mia ombra aveva di colpo subìto
una bella lezione, esclusi a priori la possibilità che questo effetto inaspettato sia stato causato da fotogrammi, proiettori di un canale televisivo fuori sintonia, da particelle, neutrini o fotoni emessi dal sole, o da una nana bruna in avvicinamento, c’era una buona ragione per non sospettare. Non fui colpito e nemmeno sfiorato da alcun tipo di particella, fotoni o polvere artificiale, mimetizzata nell’ambiente che in tal caso formano immagini nel cervello, la quale potevo in qualche modo anche collocarla erroneamente fuori di me. Inoltre non era un luogo per lo sviluppo economico, e quindi, con un’improvvisa accelerazione, abortii all’istante frequenze di trasmissioni di un canale televisivo. D’unque, ero al cospetto di un problema complesso, gigantesco, enorme che appesantiva ancora di più l’angoscia e il pensiero. Se la tensione, in cui non si udiva nemmeno un fruscio di frasche, sarebbe durata ancora un po’, sicuramente sarei svenuto. E chissà a chi stuzzicavo appetito e magari voleva pure trascinarmi nell'arena per uccidermi, senza comione e pietà, basandosi solo su parametri di condotta. “A che ora è la mia fine?” E’ questo che pensavo, mentre ascoltavo attentamente il silenzio delle pareti, che non dicono nulla sulla loro natura. Su quella brevissima apparizione di luce, ipotizzavo qualsiasi cosa, come un dentifricio col quale ci si sciacqua la bocca. Serio, serio, mi pronunciai addirittura: “Se si fosse trattato di un androide male intenzionato o di una guardia infame come la morte, munito di un generatore di elettricità che sono usi a proiettare ologrammi!?”, “Oppure, potrebbe essere una sentinella della pace e magari, è solo munito di torcia elettrica, il che potrebbe anche equivalere che abbia voglia di esprimersi in maniera benevola, o protettiva!?” A furia di pensare, l’istinto mi trascinò altrove, senza sosta, verso altre domande, quasi impossibile da porre, come una palude impraticabile, le quali erano: Se è un mago, o un abile stregone, o un consigliere del faraone, o di un sacerdote fanatico appartenente a una religione ottusa e feroce che avvalendosi di conoscenze segretissime, sprigiona energie distruttive!? Anche qui, mi riuscì difficile beccarla o perlomeno di azzeccarla, ma da un lato, tirai dei gran bei sospiri di sollievo, su un’altra spiegazione legata alla mia fantascienza. A questo punto, avendo capito di non essere assolutamente in grado di non saper andare oltre, mi restava, come si vuol dire, meno che niente, potevo soltanto preoccuparmi in silenzio, meno di un pesce che si batte invano dall’amo che l’ha colto. Poiché, ero incallito di dubbi più acuminati sulle oscure pareti rossastre del silenzio, pur di non dar retta alla paura ma alla speranza di catturare una scheggia di senso, su un’ignota apparizione, emerse un lampante suggerimento, chissà da quale radice ancora incontaminata dall’anima… incoraggiandomi a dormire, in modo tale da meditare perché stavo implodendo sotto il mio stesso peso, pur di svelare questo fenomeno. Non sapevo che cosa poteva accadermi o
accadere, se mai accadrà… Erano domande che mi stavano alla gola, in grado di generare in me una voragine di sgomenti e scossoni. L’inquietante fenomeno era lì, aperto e manifesto, non potevo ignorarlo, un attimo di leggerezza e magari mi accoglieva con freddezza e ostilità, ed ero perduto per sempre. Roba da esaurimento nervoso, proprio per farmi iniziare come un ossimoro. Ossia, con quella mentalità acuta-sciocca, più sciocca che acuta, come se poi fosse un valore aggiunto, continuavo a girare in tondo, senza trovare una sola coordinazione alla quale potermi attaccare. In questo bel valzer di ricerche, me ne sono uscito col cervello infiammato e normalmente, una simile situazione mi ha reso sempre molto nervoso. A volte, durava ore e ore e sfociava con dei comportamenti quanto scemo alla Heidi. Appena andavo in difficoltà, la squisitezza della paura, faceva si che si aprissero larghe visioni, in grado di costruire, con una stupenda facilità, un abisso spaventoso e giù in fondo, c’era sempre un gattone agitato che si leccava i baffi. Riacquisito momentaneamente, uno spicchio di equilibrio mentale, mentre procedo, senza arrestarmi, innanzi ad alcun ricordo o idea buffa di gioventù, per far si di ricostruire l’immagine falsa o veritiera creata chissà da chi. Notai che qualcosa giocava a mio vantaggio, ma senza trarne alcun beneficio, in parole povere, fu solo un semplice gioco mentale, pur di farmi un’istante bello, dal fatto, che mica fui mandato per conto di qualcuno in questo posto, per imparare una tecnica o superare un test su come diventare un cittadino dell'Universo o per divenire una scintilla divina. Questo è vero, ma guardando da una prospettiva diversa, l’anima pareva sgonfiarsi per un tal dispiacere, come se stessi commettendo un errore di valutazione, s’identificava. Forse dovuto dal senso di appartenenza o forse sono seduzioni che possono far presa solo su chi è vuoto ed annoiato da una vita insulsa, che alla fine sfocia in aria fritta. In ambedue i casi, lasciai immediatamente perdere, non potevo permettermi di appesantire una situazione già di per sé inguardabile, mi conveniva lasciar spazio, o meglio, andare all’assalto di un’iniziativa o un’idea volta alla soluzione. Tra gli affanni, l’ansia e circondato sempre dalla paura, temevo fortemente che i forconi terreni o divini, ugualmente mi attendessero, senza aver nemmeno avuto la possibilità di spiegare a qualcuno che non ero un bambino da spaventare, ma solo un adulto da motivare. Finché il cuore non crepa, decido di camminare, sperando di non imbattermi in un’altra assurda anomalia, poi chissà, è anche probabile che ci sia qualcosa di vero, magari pure molto, e perché no, magari contiene una tecnica o un’informazione di disintossicazione, oppure mi devo aspettare uno shock ancora più grande. Ero in balìa del caso e talmente imprigionato dai tabù, che per la disperazione mi mettevo a comporre pensieri grotteschi, a gettar paradossi enormi, una sorta di escamotage, per la quale ci si attacca intensamente alla speranza che, come non
mai, ora lo capisco. Mogio, mogio e con l’osso sacro che reclamava un morbido cuscino, vado avanti lo stesso nella speranza di scoprire qualcosa, di impossessarmi di qualche verità ma non vedevo niente, e niente succedeva, tranne di assicurami, di tanto in tanto, se il cuore batteva tranquillo, che insieme alla carne del corpo, testimoniavano la loro umanità. Nei minuti successivi, esasperato, rallentai il o perché incomincia a sudare, come se stessi facendo un grande sforzo. Ero quasi allo stremo delle forze e prima che perdessi l'appoggio per una probabile caduta, mi sedetti a terra col corpo ancora caldo, per cercar di congegnare qualcosa. E nell’intimità e nella profondità, aspettavo… e aspettavo… e ancora aspettavo… sino all’ascesi, all’annullamento di sé, per dar voce all'Idea, ma non facevo altro che reggere il muco sulle mani, in cui non c’era un’ombra di verità, ma solo un indebolimento al sistema del cervello. S’alzava a lampi una presuntuosa luce, illuminava per qualche secondo, ma rapidamente venivo colmato da false presunzioni, rispondeva solo alle risposte dei miei propri orgogli, alla vanità, alle ambizioni, al fanatismo, alla avidità e agli impuri desideri, che sfigurava spietatamente tutto ciò che ricevevo o si ritiravano definitamente dal mio piano diabolico. Pagavo l’ignoranza fin nell’organismo, mi elogiavo per dimostrare a me stesso la cosa più disgustosa, l’abilità di soddisfare velocemente la mia carne e quindi, non riuscivo ad accogliere l’effettiva forza creatrice della Vita, della Verità. Minuti e minuti di prove, ma non riuscivo in alcun modo su come pensarla su quella silenziosa, breve e scarsa visione di luce o ingannatrice, ero incapace di formulare un'ipotesi qualunque. Su questo tabù, incassai bordate di sofferenze, il cui sapore, giunto alla bocca, sapeva di arrugginito, e in seguito a questo, scoppiai in una serie di urli terrificanti dicendo: “Quand’è che basta!?” Mi fermai soltanto quando la gola mi avvisò che stava per bruciare, come un’ustione, lasciandomi inferocito e diffidente. Ora, combinato così, con un rodimento interiore, in cui ci trovavi, odio, amore, buio, luce e abissi pietrosi, mi soffermo sulla mia spiritualità, nonostante, non ci capivo un fico secco, come se mi fosse proibito entrare. Intuivo, che non trovavo carino cedere in questa maniera, pur sapendo che c’è differenza tra essere interiore ed esteriore. Dai respiri pesanti, irregolari e a tratti soffocati, causati da una fame antica che fluiva nelle vene. Poco o niente, bene o male, ma con tante lagne, riuscivo sempre ad auto sottopormi ad alcune domande. E d’unque, mi stuzzico, le cerco, le inseguo, continuo in tal o, niente, allora mi prolungo e incontro un nodo, stavolta non mi rimpicciolisco, lo sciolgo e proseguo ma non trovo alcuna insegna che può indicarmi domande da pormi. Mi fermo, boccheggio per prendere fiato, perché ci credo, ci spero, forse per delirio, riprendo, scavo, e ancora scavo, scrupolosamente, sbiancai per via d’una spinta che mi condusse verso un fuoco che sembrava bruciarmi le idee, ma
in realtà mi rendeva me stesso, e senza pietà, stilai una sfilza di domande, le quali erano: come può provare simpatia la mia spiritualità per la mia confusione!? In tal caso è come colpire un amico. E poi come farà, se faccio fatica a parlare!? L’odierei se gode su tal mia incapacità. Se non faccio progressi, in cambio, non può altro che ricevere la mia ingratitudine!? Sarà mica uno che bada solo ai fatti suoi!? Che cosa sarà che si allontana da me!? Forse non godo della sua stima, fiducia!? Oppure, siamo entrambi ancora degli insicuri e immaturi!? Non è da escluderlo… O forse, è peggio di me, e magari, anche lui ha sbalzi di umore!? Qui le ipotesi pullulano… Infine, non sarà mica che uno dei due è privo di tatto, perché non ho mai sentito niente di genuino per poterlo raccontare, e forse ne ero anche fiero. Avrei voluto dirgli per una volta sola “Parlami, guarda al di là di queste chiacchiere inutili, se hai un ordine preciso allora perché non imponi il tuo marchio e fai di me un uomo nuovo, anziché di assistere ad una scena già ripugnante!”. Forse stavo facendo tanta confusione, in testa avevo un caos tremendo, perché ho fatto una fatica enorme per rispondere a tutte queste domande senza riuscire a chiarirmi un po’ le idee. Immischiandomi, e usando anche un po’ di buon gusto, in tali quesiti, giravo e rigiravo, come un disco rotto senza venirne mai a capo. In cuor mio capii, che ero troppo scadente, e d’unque, con un dolore sincero, lasciai definitivamente perdere. Ho preferito trascorrere tre minuti circa in continuo mutamento, ero cosciente solo ad intervalli e allo stesso tempo per tentare un eventuale capovolgimento della grave situazione. Dopo i tre minuti di mutamento, catturai un’idea, e senza temporeggiare, provai a guardare e a percepire, attraverso le fenditure di quei trenta o quaranta centimetri increspati e malleabili, situati in una delle due pareti, se c’era qualcuno o qualcosa. Irrequieto, rumoroso e pieno di richieste mentre tendevo l’orecchio alla parete, continuavo... e ancora continuavo puntigliosamente… di volta in volta… con degli istinti sanguinari, compievo degli sforzi sovraumani, nei quali sfiorai la sensazione di essere morto. E senza ottenere alcun risultato, ondeggiando da intontito, toccai l’altissima imbecillità, credetti che ci fosse qualcuno dotato di pudore che non voleva rispondermi e né farsi vedere insieme a me per la vergogna. Per sfogare la disperazione, come se poi dovessi mantenere il prestigio e la reputazione, ho pianto con la testa sulle braccia, le ginocchia raccolte sul suolo tutto raggomitolato. E, con un forte singhiozzo, fissavo il basso della parete e per un attimo, mi è sembrato di aver visto delle graziose tartarughine, in mezzo a due vasetti di marmellata, riversati a terra, su cui si attaccarono le sensazioni più profonde, cercai di estrarne un senso, ne gustavo il vago sapore. Poi, acuitasi la sensibilità, la tenerezza s’impregnò di amaro, vedendo l'insorgere della realtà che diveniva sempre più evidente a contatto con la logica. Esse si sbriciolarono e da una fantasia già
atrofizzata, coglievo da quel grazioso spettacolo concluso, la misera visione dell’oscura parete rossastra, con la quale, sentendomi tremendamente avvilito, l’ho presa a pugni senza tener conto, che le mani erano già scorticate. Ma, i problemi paiono non essere finiti qui. Perché, preso ivamente lucidità, come si sollevasse un resto di amarezza, osservavo che le mani erano impastate di sangue che tremavano senza potersi fermare insieme ai denti che battevano da diverse parti, come se abbaiassero innanzi a quell’oscura parete rossastra. Senza parole e senza pace, giacevo nella mia umana insipienza, restando seduto a terra a pensare… e ancora… e ancora istante dopo istante… boccheggiando a intervalli per prendere un soffio d’ossigeno in più. Ansimavo, non respiravo bene, stavo malissimo, la tensione saliva incessantemente, non oso dire i lamenti in tal stato, parolacce orribili o peggiori esemplari che si possano immaginare, che non saprei nemmeno ripeterle, neanche elencarle brevemente. Che a furia di prolungarmi, sconquassò il cervello, subissandolo in una profetica percettività extrasensoriale più di quanto, io stesso, potessi immaginare, anche virtualmente. Tutto in bianco, mi ritrovai istantaneamente collegato in una visione, dove pareva che danzavo, schiena contro schiena, con delle streghe e che avevano due occhi oblunghi da me stesso evocate. Costoro, avevano la pelle ingiallita, vene bianche, linee di colore viola su tutto il corpo e l’ossatura massiccia, le quali provocavano assordanti boati. Poi cerano delle altre ancora, che piangevano e contemporaneamente, suonavano melodie a me incompressibili, su un terreno in cui c’erano sparpagliati funghi e code di serpenti, su degli antichi quadri. Mentre alle mie spalle, dove l’aria non era rarefatta, che in tal caso amplifica le allucinazioni, stava avanzando un cielo che cambiava colore, ando dal verde smeraldo al blu scuro, con dentro strisce argentate, identico a quello della filigrana. E’ stato molto scioccante, ebbi la sensazione che costoro stessero preparando il rogo per bruciarmi l’anima. Di conseguenza in questo esagerato coinvolgimento, faccio fatica a RICORDARMI CHI SONO E DOVE SONO. Per tanto, fra le mille infuocate perplessità, per capire esattamente di cosa si tratti, con un ritmo elevatissimo, stilai una serie di domande, le cui furono: per caso, dovrei apprendere qualcosa da costoro!? O forse rappresentano la storia di un popolo!? Oppure sono io che ho qualche tendenza a fare sogni molto vividi e inspiegabili?!. Tra l’altro in base alla sudorazione, ipotizzai che forse sarà uno squilibrio di carenza di vitamine. L’ultima, invece, riguardava che non ho alcuna tendenza a essere una vittima di rapimenti alieni, l’ho abortita all’istante. In tal scena inverosimile mi concentrai, senza tregua, per disattivarmi da questa visione ingannatrice. Per alcuni istanti o minuti, non ci riesco, lo stato di confusione mi dominava, sembravo d’essere intrappolato. Mi giro indietro timoroso, per assicurami che non ci fosse qualche abile spettatore e male
intenzionato. Colto al volo l’assenza di un nemico, mi accingo e poi insisto caparbiamente, per disattivare l’illusione e involontariamente, così facendo, sforzandomi a più non posso, ove sembrava di cedere da un momento all’altro, sfocia in una bella e profonda riflessione. Essa riguardava che avrei dovuto occuparmi dell’anima e dello spirito, invece che imboccare la via più breve e più facile, quella strada, a senso unico, che porta dritti all’inferno. Questo è quanto si scatenò in me. Penso e ripenso, ora disperato, ora felice, in quest’altalena di alti e bassi, per un istante acquisisco un pizzico di adrenalina, in cui la visione cedeva lentamente facendomi ritornare di nuovo in mezzo alle due pareti. Preso atto, d’istinto chinai subito il capo e mi feci il segno della croce, col pollice destro sulla fronte. E mediante l’uso della logica, sul mio gesto, è probabile che avessi anche disegnato sulla fronte un minuscolo affresco, grazie al mio pollice destro impregnato di sangue. Inoltre, in tal stato euforico, balzava all’evidenza, ossia usufruendo del mio sangue, che nacque finalmente la possibilità di lasciare un segno della mia esistenza sulla parete, ma in quell’istante e nonostante l’irrefrenabile euforia, non possedevo neppure una particella di forza per rialzarmi in piedi. Qui penosamente macchiavo il suolo, tramite lo sgocciolio di sangue che fuoriusciva dalle dita e che si appiccicava al suolo come un materiale irremovibile. Dato che, il suolo era privo di fori, inizio a muovere un dito, poi sentendomi troppo annoiato, perduto, con tutta la mano destra, sguazzavo dentro le lucenti gocce del mio sangue, come un crudele divertimento. E come ne assaggiai un po’, sapeva d’amaro più del papavero. E, dal senso colto nell’intimità, sentendone il gusto e il tatto, fui risucchiato nel vuoto dell’abitudine. E’ quando ti capita una visione, un odore, un sapore o una sensazione tattile, ed è facile che sorga l’attaccamento. Oh mio Dio…! Mi ò per la testa di disegnare una siringa, donde le mie mani si sono sempre prestate, con grande precisione, per tradirmi in quell’oggetto. E poiché i miei sensi sentitisi palpitare ancora a tal contatto, rivivevo il più alto godimento a cui io potessi giungere, solcavo da inesperto e non solo, come se volessi spronarli ad uno a uno, ululavo sopra le mie gioie, i miei sentimenti, l’amore, i piaceri, la profonda ione, i desideri, le aspirazioni, la sfrenata allegria, i fiori, gli alberi, le farfalline, gli uccellini, i profumi, i cuoricini volanti, gli animali, le stelle, le galassie e forse persino l'intero universo. E ancora, e nuovamente ancora, uno dopo l’altro e così facendo, aumentava ancor di più la sensibilità, incorporando automaticamente la dolcezza, l’affettività, l'umiltà e la bontà. Affinché a un certo punto, come se avessi incontrato un limite, ogni due o tre secondi, iniziarono a uscire, e chissà da quali nervi, dei colpetti alle mascelle, le cui a sua volta dimenavano, e rimasi subito nauseato e tramortito nel vedere tutto il mio meraviglioso mondo sciolto, fusosi, disintegrato in un’unica sostanza, che,
finora, è eternamente maledetta. Su tal misero e agghiacciante impatto, sono caduto nel più profondo sconforto. E per giunta, tra le tante tristezze, se ne aggiungeva un’altra. Una fitta gelida che non ho mai sentito né provato prima d’ora, d’improvviso e rapidamente, mi attraversa nelle tempie, come se fosse una forbiciata presa a tradimento. Dalla sensazione che provai, parve che mi avesse scardato qualcosa nel profilo del cervello. Cristo! Che cos’è? Il sintomo, il raggio, o un assaggio della morte? Non osai proferir parola, neanche se poteva essere in qualche modo uno spunto di notevole interesse, mi pronunciai solo su quante mutazioni ci sono in me, senza mai però, generare o produrre scossoni evolutivi. Da questo momento in poi, dopo aver preso atto dall’avvenimento, del suo labirinto d’orrore e a corto di stupefacenti, mi sforzo, m’illudo, voglio illudermi di ricostruire del mio essere qui. Aspetto, più o meno trenta secondi di fila, poi chiudo gli occhi, ascoltando piuttosto distrattamente, e agendo in tal modo non ne ricavai un bel niente. Allora mi prolungo, chiuso dentro, sigillato come un’ostrica, ma non servì a niente lo stesso. Vengo sempre spinto e respinto dal buio che è bilanciato, si autoregola, è sempre integro, poi mi circola attorno, ruota, cresce, si espande, mi assorbe e non fuoriesce mai da qualche parte, in modo da far chiarezza nella mia mente. E’ più misterioso di quanto la mia più fervida fantasia immagina. Poi ho cambiato idea, decido di starmene calmo, per applicare, o meglio, aggrapparmi a quelle pochissime regole della maschilità che fanno di un uomo il vero Uomo, ma non ce la faccio, nonostante sono in tal sentimentalismo, mi sentivo terribilmente punto sul vivo, perché m’imponeva tutt’altre domande, le quali mi proiettavano come un clandestino su altri lidi, alle quali, nell'immediato, non sapevo come rispondere. E allora spinto dalla rabbia, mi mordo le labbra, poi me le tocco quasi per trattenere il pianto, mentre all’improvviso mi veniva da tossire. Cercai di riportare calma alla gola, ma non c’è l’ho fatta, a ogni colpo di tosse, sembrava che mi smaltisse i polmoni. Ero pietosamente a pezzi, non sapevo più cosa fare, e per giunta, mi son dovuto distendermi al suolo, come un vecchio tappeto arrotolato. Non riuscivo più a muovermi, mi sentivo pesantissimo, oppresso da un peso enorme. Barricato a terra e con gli occhi già distesi in alto, con un cielo che non si muoveva mai, come se fosse un’opaca foto scattata male. Cerco di farmi forza, resisto, ma mi sento stressato, affaticato, mi gira la testa, non sudo, però mi sento umido all’interno e mi rendo conto che non potevo farci niente. In tal disarmante situazione, provo a stare regolare, normale, taccio con gli occhi distesi in alto, poi li chiudo e penso… e ancora… per raccogliermi, ascoltarmi su qualcosa che mi ammaglia, m’incanta o mi seduce che finora sembrano tutti non palpabile come una scelta spaventevole ben accurata, che s’insinua nello stomaco, ove spingono mille ansie e timori senza insegne. Sento che non ce la faccio a
contenerli, provavo dolore, allora, per contrastarli, cerco di studiarli con una terribile lucidità di coscienza, e agendo di continuo in tal modo, decido che voglio ingannarmi, voglio smarrirmi, voglio trasognare in un’idea bella o buffa che sia. Penso di mettermi a dormire per sognare, in modo tale da nascondermi in esso, a congiungermi, a fondermi in qualche parte di me o che mi faccia attraversare in una polvere d’oro regalandomi almeno un attimo di contentezza sulle spalle, sul petto, sulle braccia, sul volto, alla mia carne molle assumendo per la sua prima volta fierezza. In semplici atti di saggezza, cerco di sgombrare la mente da qualsiasi pregiudizio e nello stesso momento, racchiudo e saccheggio l’ansia con tutta la mia forza, in modo tale da rilassarmi più profondamente. E così facendo di continuo, per buona parte, riesco ad abbandonarmi. Poco dopo, in tale atto, incomincio a pregustare un sonno, ma non colsi nessuna visione, neanche avventurarmi sul fondo di un abisso e neppur un’ombra soprannaturale o un personaggio misterioso calò su di me con modi raffinati o persistenti per rapirmi, per sfogarsi o per scazzottarmi o insultarmi solamente, per farmi provare odio o i brividi della paura. Neanche uno sguardo, né una forma o un rumore e neppur un suono o un alito cattivo mi scuote… e neppur un’arma dannosa proveniente da una riservata ione. Tutto sembra un enigma, un paradosso, un mistero, un segreto che non si esprime neanche con un simbolo e ciò fa di esso, della segretezza il suo emblema, per lo più non indulge il macabro colpo per porne fine. Ora, con l’istmo doloroso che non è una strada di acquisizione, ma di perdita, si comprende meglio la propria nullità. Incomincio a pregare e a parlare a vanvera, con dentro tanto di bestemmie, simile a un contro veleno, ingannando me stesso pur di catturare qualcosa nel cuore e nel cervello per riconoscere e giudicare l’accadutomi. Andai avanti in questo modo minuti e minuti con gli occhi e la mente ben aperti. Purtroppo come una grandissima e sacra verità, che si ripeteva instancabilmente, non scendeva mai niente: nessuna generosa scintilla, sia nel cervello e sia sul cuore, come se il mio cuore e il mio cervello fossero materia metallica complicata. Mi assalivano più domande che risposte, più paura che speranza, mentre ero paralizzato a terra, come nel letto e sempre più sorpreso. Non so cosa fare. Mi concedo attimi di profondi sospiri, cerco di stare calmo, sereno, poi rifletto e ascolto, con sguardo profondo, fuori e dentro di me, come un atto comunicativo, per l'ottenimento del cambiamento, senza mai però poter interloquire con qualcuno. Brasato in questo terrore, al punto giusto, per l’ennesima volta mi rinchiudo nel silenzio, ma nessuna mutazione e neanche un attimo felice voleva farmi compagnia. In balia di questa ininterrotta sofferenza, di nuovo mi sforzo, insisto, ostinatamente, per concentrarmi esclusivamente a illimpidire il senso. Vedo, ma non tocco, sento e osservo con cuore gonfiato in petto, nella speranza di percepire qualcosa che mi
rasserena, che mi nutre, che mi conforta o che mi collegasse a un’idea: ma nulla m’inonda. Oh mio Dio… non so più che fare! Tranne che, di spostare a furia di soffi, un capello nero che di traverso si era appoggiato sopra la pupilla dell’occhio recandomi fastidio. ano minuti, muto, getto tristezza a quantità industriale, in un profondo mistico restandoci irrigidito. Poi, in tal stato da sepolcro, dalla cui bocca non usciva nemmeno una domanda maligna, in me sorgono ricordi, avanzi o un'esigenza di appagamento personale come se fosse un omaggio. Finivo in una visione, dove mi misi a guardare e a seguire tutte le cose che ho fatto in questi ultimi anni della mia vita. E quanti incubi che c’erano… come una calamita che attira il ferro, altri invece dovuti all’ambiente in cui sono nato e cresciuto: forse qui sta il terribile! Perché, a distanza di tanti anni, suscita in me ancora autentici sentimenti. Questa decisione prevedeva se una colpa esterna esiste sempre. Tralasciando certi illegali comportamenti, simile a un buco nero, da cui nulla sarà più restituito, cerco di punzecchiarmi, di criticarmi, di bruciare le mie scuse in modo cattivo, acido, guardo persino nella fantasia in modo tale da prelevare nuovi campioni. E giunto al capolinea, tutto sembrava intimo, cordiale, pacifico, spartivo tutte le mie cose con gli altri da un forte senso d’inferiorità, ecco come mi vedevo: onesto, semplice, fraterno e tristemente tradito più e più volte. Per giunta, rimasi interiormente attossicato nel prolungarmi in questi ricordi, finiti ingloriosamente, come se la mia onestà si ribellasse ai maestri, ai compagni, ai parenti, ai compaesani, nessuno di loro, nulla sapevano realmente di me: frenai a stento un grido furioso, che emerse dal più profondo, che saliva affianco a un carico di bestemmie le quali parevano invidiose l’una dell’altra e che premevano di follia sul mio povero cervello, già terrorizzato. Nel frattempo che perdo, all’incirca ogni venti minuti, delle goccioline di sangue dalle famose mani scorticate, in un quadro impietoso di tal genere, non so più neanche dire quando tutto è iniziato, né quando finirà: non mi pare vero d’essere qui!!! Intrappolato ancora in tal nullità vibrante, aspetto, prendo tempo… e ancora… coltivo l’aspirazione su ciò che ha valore e agendo di minuti in minuti, in tal modo, apro e riapro il cuore e cerco di ricavarne qualcosa di sensato, di audace… ma non serve a niente! Tutto si nega, nessuna aspirazione, nessuna intuizione, neppur le solite e confortevoli immagini illusionistiche che pullulavano in mille modi, simili a dei piccoli prodigi in cui ci spaziavo come un astro, vuole trasportarmi da qualche parte, non compie il miracolo come fa d’abitudine, per non farmi cogliere le insanabili offese, che dilagavano nell’interiore come un contagio infettivo. Nulla estraggo, nemmeno il padrone di me stesso e neanche il traguardo più importante che desideravo raggiungo, di tal momento: il riposo. Per queste ragioni, insacco e taccio in ogni dignità e ogni impensabili caratteri. Forse in tal ricerca ero troppo stanco di
sensibilità, per comprendere o forse privo di talento che in tal caso, probabilmente, sarebbe stato difficile da conservarlo. Ora, colle labbra vampate, che in tal momento, la sua voracità era in grado di mescolare persino la benzina e trasformala in vapori benigni, in virtù dei suoi strati belli, carnali e indifesi. Mi giro e mi rigiro, piano piano, strusciando a terra, ma non erano movimenti di fuga ma per trovare una comoda posizione per i miei fianchi, ma non la trovo, sento dolore in entrambi i lati e non solo, e come un buon esecutore, senza mutare posizione, mi lamento a volontà. Poi smetto nel momento in cui il mio stato psico-fisico raduna e mi lascia disagiato, turbato, diffidente, nostalgico, scoppiato, confuso e con il sangue che mi pulsava convulsamente nel cranio. Ora, acciambellato in tali ingordi, prima che arrivassi a qualche forma di disturbo comportamentale, tipo schizofrenia, sopporto malamente, restando ammutolito, e ancora… e ancora… indago ristagnando in mezzo ad un puntino di forza d’animo che mi rimane e chissà da dove proveniva, dal quale usci, si sfilò, si accese, s’innescò, che non mi è dato sapere ma ha scelto me, un qualcosa non desiderato. Ricevevo tutto in un colpo una vibrazione, un segnale dal mio cuore generoso, si ricorda di aver visto quella luce brillare per pochi secondi. In tal ricordo, senza riuscire a capire quale fosse il legame, mi lascio andare, muovo subito le mani in una molteplicità di ansie, non faccio alcun progresso. Rimango perplesso, non riesco a crederci, è tale da spaventarmi seriamente, simile a un demone che si propagava nei nervi, facendomi sentire i suoi canini. E dopo aver resistito per molto tempo, in quest’assurda agitazione, ci riprovo di nuovo, come se il mio cuore volesse scippare un suo diritto. Scosso da un sottile filo afrodisiaco, per tal grazia di cuore, finalmente riesco a incrociare le mani sul petto, ma solo dopo averci provato diverse volte, con degli sforzi enormi. Sgrano gli occhi facendomi il segno della croce e subito provo a cantare l’ “Ave Maria”, mi sta a cuore, ma nonostante ero pieno di stimoli e degno su tal nome, mi affatico, e ancora m’affatico, in più punti del corpo. In questo faticoso esercizio, incominciarono a bruciarmi gli occhi, che non riuscivano mai ad evitare il cuore, dicendogli: “Cos’hai dentro di te? Per l’amor di Dio, Io non riesco a liberarmi dalla paura… cos’hai subito, un corto circuito!? Che t’ho fatto!?” Lo invocai gridando e senza giurar vendetta, fino a perdere il conto, mentre giravo la testa di continuo, di qua e di là, insieme ad alcune goccioline di sudore, che scendevano tiepide e salate dalla fronte. E mentre smorivo, in maniera spaventevole in tutto questo, d’un tratto udii sfilarsi dal cuore qualcosa di sconosciuto, non lo vedo, non lo tocco, non risponde e neppur s’affaccia su di me, ma lo sento intensamente. Questa volta mi trovo in una situazione differente. Pareva darmi un saluto, che sapeva di gioiosità, per andarsene all’avvenire. Dall’effetto ottenuto m’ha scaldato il corpo, che se non m’inganno, lasciò in me alcuni
presentimenti: il primo mi sembrava che se ne andasse in una glorificazione futura, l’altro, invece, sembrava che fosse un eccellente siero che portasse via tutto il mio dolore. Mai come in questo momento, in molte esclamazioni, ne trassi una piccola ebrezza, come se il mio dolore avesse pagato l’affitto di quel suolo. Purtroppo, nonostante questa piccola ebrezza, la quale pareva che mi sollevasse, ovviamente non bastò, perché l’aspettazione dolorosa durava fin da troppo tempo, simile alla morte, e al di là di ogni ragione umana, incalzato, incomincia a irritarmi bruscamente sotto il peso di questo castigo umiliante. Sicché, accenno timidamente ad alzare il collo, una volta e ancora, per ben otto volte, ci provo, mi sprono, ma non riesco ad alzarlo. Nell’esercizio di tal funzione, sollevo i pugni in alto, come un segno di bestemmie fu un gesto d’istinto, di ribellione poi le fermo, perché sento che la mia forza è ridotta a un punto. Mi sento pallidissimo, soffocare tenebrosamente e mentre sono perso, perdutamente in tal stato, sento innescarsi un freddo non classificabile che cresce a tal punto, fino a ramificarsi in tutto il corpo, e di sua iniziativa, si arrestò, in modo tale da permettermi di vedere alcune parti del mio corpo tinte di un grigio quasi scuro. Oh mio Dio… pareva che mi stessi trasformando. In tal ennesima sventura, accenno ad alzare lievemente il capo, le guardo e le riguardo con apprensione, vedo che sopra le mani, le braccia e attorno all’ombelico ci son delle macchioline, con punte rivolte in basso, simili al colore delle lentiggini o castagno scuro. In tal visione, rimango agitatissimo, con una marea di pentimenti e ambiguità. Soffro, vacillo, tremo, persisto, m’interrogo, mi accuso, mi rimprovero e mi perdono per non rassegnarmi. In tal fretta operazione, raccolgo qualche briciola mediocre caduta per riassestarmi emotivamente. E da cui, aspetto e riaspetto, per riacquistare calma, serenità, ma finisco in breve, vengo distratto dalle macchioline. D’istinto cercai di contarle, ma non ci riesco, la preoccupazione saliva veloce ad ogni attimo. Allora, decido di cambiare idea, cerco di intenerirmi, di cambiare umore, per attirare, accordarmi, di raccogliere o consultarmi con quel briciolo di buona fede rinchiusa da sempre dentro di me, per contenere l’ansia e la tortura, che sfrecciavano a mille. Da tal scelta, che prevedeva di ottenere l’esclusività sull’energia che sprigiona la buona fede, ove in molti assumono un aspetto rispettabile e rispettato, niente e nulla captai, anzi, rivenivo sempre depositato nell’accumulo del terrore, e come se non bastasse, sempre nello stesso punto, cioè ancorato a terra come un rotolo di carta igienica usata. Ora, in tal stato e aspetto, in cui dominava la mentalità del provvisorio, si è verificato un altro fatto inatteso, d’un tratto, rido, ridacchio come un ebete, avverto un misto tra il solleticare e il prurito, poi, nel giro di qualche minuto, smetto, sento un fastidio che rapidamente si trasforma in un’odiosa irritazione bruciante sulle mani, sulle braccia e sopra alla pancia. Con la punta della lingua,
cercai di inumidire alcune macchioline restando in contrasto, all’incirca per venti secondi, su quale delle due mani scegliere e inumidire per prima. Tra gli esercizi della punta della lingua, su ambedue le mani, comunicandomi echi d’infinito disgusto, attirai i morsi e, con degli impeti d’ira, strillai mostruosamente dicendo: “Che cosa devo fare qui? Qual’ è lo scopo o il mio scopo?” Andai avanti, ripetutamente, in questo modo, per alcuni minuti e in seguito a questo, pregusto una specie d’incontro. Fu come una sorte di mutabilità, ai da uno stato all’altro nel momento in cui la voce non mi giunse più. Avvertii un profondo contatto. Sento le cellule agitarsi, ribollono, poi sorge un tremolio, il quale domina tutta la spina dorsale e sale e va oltre i sensi, oltre la mente, rompe qualsiasi rapporto col cervello, col l’intelletto sopito, per andare oltre, portandomi appresso dei brividi che godevano come dei dannati, in cui, nell’immediatezza, esclamai: “Dove sto andando?” Inaspettatamente, mi ritrovai nudo solo e sconosciuto, inglobato in una costellazione del cosmo: in una dimensione temporale o in un’atmosfera ignota lunga centinaia di chilometri!? Tale da non richiedere alcuna risorsa fisica e mentale. Sorvolando la legittima domanda, su qual reale luogo restai inglobato, perché nessuno dei quali ha un numero di matricola, che in tal caso avrebbe anche un registro, ai e in alcuni tratti ondeggiai, in una polvere sottile, era di un misto di colori: viola, giallo, azzurro, strisce di verde con sfumature di azzurrognolo, poi c’era il rosso o rosato e infine l’arancione e tutte riflettevano la luce. Nella quale persi ogni traccia di dolore. Lì dentro, la mia anima a un livello mai visto e sentito prima d’ora, sembrava ruggire come per dimostrarmi quant’è ricca. Mille, milioni, miliardi di segreti, parve che possedesse, forse perché ho usufruito, se non direttamente, ho fiammeggiato, per un attimo, nella Luce Divina. Abboccando su tale visione, visibile solo al cuore cosciente che sa vedere oltre l’apparente, mi arrecò tanta gioia, in una durata di un battito di ciglia, oppure in un secondo, ne ricavai nel sangue -se non vado errato- come se avessi incrociato una seconda vita, la quale condivideva il mio destino. Ora, sopraffatto dalla commozione e arrestandomi a guardare, senza sosta, su questo fenomeno non artificiale, si aprì una fessura, un barlume di speranza, coglievo un’ispirazione che lasciava presumere un disegno, che andava dalla sorpresa, allo stupore e all’ammirazione. “Che cosa sarà?” Mi domandai. Per caso ho incrociato qualcosa d’ingegnoso!? Poi, dopo un poco di esitazione, dissi: “Ma la verità d’ove!?” Tacendo e di continuo, ipotizzavo se è possibile che ci sia incastrata in essa una ragione. Ad esempio: “C’è qualcosa di là, oltre l’anima mia, che è avvolta, soffocata e oppressa nei rivestimenti esteriori?” E come aprivo la bocca, su cui basare un o di legittima difesa, i pensieri rimanevano sospesi, altri soppiantati, e altri ancora, invece, si smaterializzavano su questi ostacoli insormontabili. Non
riuscivo mai a distinguere niente su quel suolo, il cui volto mi faceva dubitare su qualunque domanda che mi ponevo. Però, nonostante, tali mostruose insidie, che per imporgli un freno è dura, mi ero già fatto la mia idea su un principio , simile ad un magnete che attira la voce del dovere, la quale ti scuote per aprire il cuore e lasciar entrare Cristo. Poiché intesi quest’unico affetto intramontabile, ben sapendo che non scalerò le cupole celesti, non esito un solo istante, per tentare di portarla alla luce. Tento, ci provo, li incito, m’impongo di sciogliermi nel mio vero essere, e di abbandonare ogni orgoglio, ambizione e vanità. Ma qualcosa non va! Ne ricavai un vero e proprio senso di smarrimento, come uno sdegno su questa privilegiata legge, quando ho iniziato le osservazioni in uno spazio profondo, con delle inaspettate espansioni. Ma c’è dell’altro. Perché, mentre mi allungavo, mi estendevo, mi espandevo in tal flusso, come più potevo, un’ombra cruda, amara, furiosa, s’insinuò, tutto in un colpo, nel cuore, mi punse in un modo impercettibile, e così cedevo e smettevo d’indagare. Inoltre, questa volta, l’ombra perfida e spinosa, non si limitò, com’era il suo solito, a lasciarmi nella stupidità, perché incombevano subito su di me, in un tono assai vivo, voci e grida di altre anime, spiriti, demoni o vampiri, voraci e irriconoscibili. E a rendere ancora più amara la situazione, le sentivo come una miscela di porcheria, che entra da una parte e che esce da un’altra parte del corpo, per ben quattro volte. E poiché, l’anima non mi era ancora stata strappata, si arrestarono di colpo e per niente imprudenti, dentro di me. Coi loro denti, si misero a digrignare, come se fossero delle formichine carnivore. Oh mio Dio…! Non sapevano da che parte pigliarmi, mi punzecchiavano dappertutto, peggio di un bruco che rode la mela dall’interno. In tale impatto ed effetto, la sensazione fu come se l’interiore si fosse disgregato in migliaia di pezzettini, smembrato. Cercai di sottrarmi, gridai e sputai fino a perdere il conto, in modo da far uscire qualche avanzo, per alleggerire le sofferenze, ma fu inutile, ero mal messo. Da tante pennellate indomabili di dolore, mi risonava agli occhi, con una voce morente, essendo che non potevo reggere il divorante dolore, la morte, attuando rituali e segreti, aveva capito l’anima mia, perché non voleva proprio smettere di uccidermi. Trepidando, perché sentivo che oramai nulla più poteva sostenermi, tendo d’allungare le ultime parole che si miscelavano nelle lacrime e nei singhiozzi, perché desideravo ardentemente di dire ad alta voce: “Cristo la mia vita è legata a te, tale è e tale resterà… per sempre!”. Mentre cercavo tra gli enormi sforzi di pronunciarmi su tali parole, di cui sopra ho felicemente citato, perché, in tal virtù e in tal arte, si è preparati, non so in che modo, accadde che di nascosto, all’insaputa, inavvertitamente e nemmeno la vedo che mi sfiora, sento come se fossi stato colpito, penetrato silenziosamente da un’aurora di calore meravigliosa, che s’infila teneramente nell’involucro straziato della mia carne.
Da questo preciso momento, niente è più lo stesso. L’effetto di tal piacevole calore, che si miscelava in tutte le mie carni carnali, mi faceva parer d’avere un nodo di fuoco ardente, all’altezza del petto, che pian piano scivolava fin nelle viscere dell'etere, facendomi sentire come se fossi un bastoncino, in cui la luce, composta da ardori piacenti e mai sazi, si trasformava in forma di zucchero filato, e si avvolgeva intorno… laddove è insita la coscienza. E rimasi… infuocatamente ad assaporarla… dentro, qui, nel profondo dell’anima, in cui mi perdevo, mi consumavo, in un qualcosa di superiore. Finito e uscito da tal elisir, dal quale sembravo fossi stato educato in un lusso d’una casa, o per gratitudine o per temperamento, senza fare alcuno sforzo, mi ritrovai in posizione verticale, dritto in piedi e nello stesso momento, in cui non riuscivo a cavarne alcuna informazione sensata, tranne che in un millesimo di secondo di apparizione, vidi e di udii da una Bianca Voce: “Ora puoi cominciare!”, pareva che il mio corpo si stesse allungando di statura, senza provocarmi alcun danno o traumi. E temo di non averla ringraziata, perché, poi di soprassalto, mi svegliai, è quella sensazione che ti fa sembrare di cadere e che ti sveglia di soprassalto. Così giunse l’ora dell’addio. Mi svegliai col corpo caldissimo, dentro al parco, mentre ero seduto su quel vecchio sedile, in cui, d’istinto, alzai gli occhi al cielo biondissimo come per ringraziarla. Per un po’, restai ancora inchiodato sul sedile a riflettere su quella realtà che si affianca al visibile quotidiano, che non è immaginazione, è realtà. Più tardi iniziai, con una tale vivacità, a correre nel parco composto di poca erba ma da tanti pezzi di cartone, chiodi, alcuni ombrelli rotti e pneumatici incendiati, che erano sparpagliati un po’ dappertutto, per dirigermi verso mia madre. A sol scopo di raccontargli la felicità, la tristezza, il brutto, il bello, reale o irreale. Strada facendo, prima che arrivassi a casa, con un alto calore sulla faccia, guadagnavo sapienza che non mi apparteneva, in ogni metro che facevo, mentre correvo, rischiando un capitombolo sull’asfalto, perché mi arrestai di colpo, sembrava che avessi una lingua nuova, limpida, forte che mi forzava, mi spingeva costantemente, minuto dopo minuto, mi faceva sentire tutto accaldato, come per dirmi che ero pronto per iniziare una nuova vita. Fu in questo momento che il mio sguardo cadde finalmente sul sogno che chiudevo nel mio cuore da tanti anni. Oh mio DIO! Pieno com’ero di commozione, da tanto, da tanto tempo o forse mai, ho sentito una tal benevolenza circondarmi! Ero abbondante di sicurezza in me stesso e d’una tal fiducia di vincere che ne avanzava una grossa razione da stanziare in aiuto al mio simile meno dotato. Possedevo una grande fiducia innata, come se fossi uscito eroicamente dalle mani della morte. Per la prima volta, individuai le mie paure, che mi mentivano tutto il giorno, simili ad una marea di mostri abbrutiti e sadici, che vivevano nell'attesa di potermi bastonare duramente e spesso a sproposito, per impedirmi
di rimandare a domani quello che si poteva fare oggi. Le mie paure per decenni mi hanno inquinato l'animo, perché volevano solo guai, la morte. Con gioia riuscivo finalmente a spaziare avanti e indietro, in alto e in basso, su e giù, di fianco e in ogni lato, nel labirinto dell’anima mia per tirar via il sovrappiù in eccesso e di poter rimodellare e dare forma alla mia OPERA D'ARTE chiamata VITA. Giunto da mia madre, nell’ascoltarmi aveva una strana espressione, come di stupore. La vidi bella, solare, luminosa: siamo rimasti muti, l’una accanto all’altro stringendoci le mani con le lacrime che scendevano a goccia a goccia, silenziosamente sul mio ricordo dall’eterno. Dopo un po’, mia madre stringendomi come se fossi oro, mi disse tutta illuminata, con una vena di sangue rosso nelle gengive: “Io non so che darei per poterlo sentire o vedere, tremando come tremo adesso”. E mentre continuavo entusiasta a meravigliarmi, nel guardarla, in questo meraviglioso processo, aggiunse che è la rappresentazione di Gesù Cristo. Ebbene signori miei, non me ne vogliate male, questa prima parte, di questo racconto che ne comprende due, termina qui. Spero e mi auguro di cuore che la bocca di qualche lettore non sia rimasta cruda, dal fatto che l’impazienza dell’attesa sul prossimo libro, lo invade. Nella seconda ed ultima parte, svelo alcuni interrogativi che vi siete posti, i quali, affondano nella vittoria e nell’antico… Grazie di cuore.
Considero arte solo ciò che innalza lo spirito umano e che ci fa stare bene
L’effetto dei miei brividi che nascono dai tuoi baci
Io che non conto niente in quei brividi vivi, che spuntano di volta in volta senza dar a loro alcun comando. Vanno su e giù, ora rapidi ora lenti, DAI TUOI BACI che ano da un profondo silenzio e da questo ai centri sensorici, e da questi al collo, e da questo alla bocca, e da questo agli occhi, che a loro volta si trasformano come due leoncini, fino a raggiungere e inebriare l’anima, che quest’ultima in tal brividi, ove le mani sembrano morte per tal grazia, si lusinga. In tali ardenti brividi, il cui movimento è un alternarsi nelle carni carnali, in cui ognuno incontra la sua personale spinta e li conduce ad uno a uno a solcare il più profondo intimo, ove qui, con la bocca che si apre e si chiude aspirando e sospirando mille enigmi, sembra un’interminabile caldura. Ora, incubato in tal overdose di vibrazioni infuocate, seguita da uno squarcio che si apre dentro, qui, nel profondo, in cui mi sembra di non aver più una goccia di sangue nelle vene, che in tal preciso momento non sento, non tocco, non vedo, non assaporo, non odoro, non nutro, non prego, non pratico e non seduco nulla, ma intuisco, concepisco che sono entrato in un meccanismo oscillatorio, in cui filtro e poi bacio un’anima, e un’ altra ancora, come se fossi un indomabile “portatore di pace", si apre in me una domanda: “Perché avviene questo!? Per scoprire nuove cose nell'anima!?” In tal domanda, che prelude i sensi oltre la mente e che rompe qualsiasi rapporto col cervello per le sensazioni a centinaia che mi arrivano, le quali coprono le ossa, la carne e l’anima, mi rilasso come una vera donna e con uno scatto d’orgoglio o di dignità, con tutte le rughe e i sinceri affanni , cerco l'appiglio, l'approdo, il senso, il fondamento, di catturare la loro forma, di accogliere il loro piacente calore innescato chissà da quale magia nascosta nella natura sua divina ha riposto in te. E poiché, mi compiaccio come se stessi suonando un’arpa con una mano gentile appoggiata sopra la mia, il cui tatto m’incanta all’ondata di splendide sensazioni che vengono dal mondo infinito dei miei sensi, gli dico: “Siate più violenti!”. Perché, in tal momento, in tali istanti interminabili, in cui smuoio e cedo dall’enorme piacere, tremo al sol pensiero, come se fosse diventata per me la questione più vitale, che la loro temperatura si abbassa a dieci gradi, a cinque gradi, a zero gradi, somigliando ad una pietosa cura che spegne, senza il gusto del perdono, questi brividi che sanno scegliere
con maestria i colori e gli abiti dell'anima mia. E prima che mi assale tal brutal raffreddamento, avendo ancora negli occhi un rosso simile a una fiamma che penetra, trafigge, incendia qualunque cosa che incontra in quell’istante sul suo cammino e che corre come un felino, sorge in me un desiderio irrefrenabile di superarli, e andare oltre, e ancora, e poi di nuovo ancora. Perché sotto tal impero energico di eccitazione, che si propaga e mi consuma come se stessi intrappolato in una bomba, il cui scoppio, la bocca assapora l’adrenalina e si leva in me, togliendomi preziosi sospiri, un aspetto armonioso di gloria. La quale, a sua volta, mi spinge nel vuoto oscuro in cui fiuto qualcosa. Ed è qui che mi assilla il quesito più grande della mia vita: di vedere nel mio principio maschile attivo, che mi placa e mi domina l'animo, che nel suo insieme è motivato dall'Amore, che non sono solo… se so guardare… in tal vuoto oscuro, che è incluso e senza alcun consenso, nell'anima mia. Il corpo, la coscienza, l’anima, ove vibro nell’uno e nell’altro, sento e non taccio perché è poesia incontrollabile che vuole giudicare. In tal invisibile dominio nobile e nobilissimo, i quali modellano, formulano, solleticano e poi mi scagliano in tutte le direzioni corporali e mentali, fino al momento più acuto, ove avverto che mi appare qualcuno, in un solo istante nella sua piena presenza e si ritira nel suo nascondino, lasciando in me l’impronta e la sete indomabile e trasmutabile della sua ione d’amore. Ne gusto il vago sapore. Tal vago sapore, aspirandolo gradualmente, richiama il volto dell’anima mia, che a sua volta si dilata, si scioglie, per navigare insieme ai suoi brividi d’amore, che sono al primo posto della sua lista, in tutto l’universo, come pilastri portanti di tutti i Conti. Questo è quanto si scatena e m’inonda nell'intimo mio, che a tratti m’illumina e mi arreca tanta contentezza e tutto il resto, in rapida evoluzione, non conta più. Ecco… amore mio… ora che mi sono accinto a dirti l’effetto che scaturiscono su di me i tuoi baci, ora, come non mai, non smettere di baciarmi, di prolungarmi tal dinamicità, tal appetibilità e tal pacatezza, che aprono in me miliardi di cuori e ognuno di essi scalpita, alcuni tacciono, altri mi scuotono, ma altri invece, senza pronunciare parole, mi strappano dentro, in tal assenza; come se fosse l’unico atto in cui posso agire per celebrare, per tutto l’universo, il mio nome, che al mondo non c’è dipinto che può illustrarmi meglio. Ora, ti prego, amore mio, baciami come solo tu sai fare, per far di me e di te, un Vincente nel cosmo stellato, …anche se costui non ha mai avuto fretta di esserlo. Chissà da quale impunità o magia gode e gli permette di andare avanti all’infinito. Mentre io, invece, con milioni di frivolezze poetiche sparse per tutto il corpo, rimango ammutolito come se fossi sotto la tavola d’un altare, con sopra tutte le meraviglie che si possono desiderare, a guardar tal spettacolo che sprigiona senza sosta, sbalorditive invenzioni.
Entrami dentro, qui, nel profondo e poi scorri o sfogati come un sassolino screziato, formando linee sinuose, che per me rappresentano grande varietà di motivi, di ornamenti, di impeti di piacere, così io cedo, smuoio… e tu vinci!
Tra Me e Me
Senza collera, di giorno in giorno, fra gli innumerevoli capricci e benefici della nobiltà dell’amore, sia in ato e, soprattutto, in questo presente, spesso e volentieri, nell’angolo dov’è situato il mio basso divano, ove sopra ci sono le mie vecchie foto di gioventù attaccate alla parete, pazientemente, mi soffermo per ore, nel modo più composto possibile ad osservarmi, per mettermi, io stesso, al mio stesso servizio. E’ una piccola arte, nell’attimo in cui sono più aperto e sospeso nel tutto e nel nulla, in quell’esistenza invisibile che non conosco, per darvi un’idea più precisa di cosa sto parlando, è una ricerca interiore, a costo zero, di cui ne sono fiero. E a dire il vero, alcune volte, è così precisa che mi viene spontanea, e la utilizzo come se fosse uno strumento, per avere un vero contatto, pelle contro pelle con l’amore della vita che è uno dei miei piaceri più grandi. Ma, i veri confini, per guadagnare qualcosa di positivo, non li ho mai visti, le dimensioni su e giù sono infinite, e data la complessità, la mia mente, ritorna sempre o quasi, a mani vuote, e resto digiuno. A volte, penso: “Chissà… forse son stato colpito da qualche tipo di maledizione a me sconosciuta!?” Però, non penso mai che è impossibile andare oltre, cerco di tenere il o, perciò non mi basta, e a volte pregando, come se fosse un misterioso pilota, gli chiedo di potermi portare e farmi entrare, solo per un minuto, senza domandargli dove andiamo e dove mi porta. Mi basta solo non sentire più quella brutta sensazione, come se mi dicesse: “Stai zitto tu!“, simile ad un bastone gettato brutalmente tra le ruote con una precisione mirabile, mi sento toccato. A quel punto, mi trattengo, rimango intronato e da sciocco cerco di svignarmela con un grido spento. E’ in questo modo, che lui mi sbarra la strada. Poco dopo, rattristato, mi mordo le labbra e poi le dita, perché mi assale il rimpianto per non aver tenuto duro di fronte ad un prototipo d’intimidazione beffarda. Cerco di approntare una difensiva, perché inizio sempre, istintivamente, con tanta energia, ma per niente indebolito, da solo, parlo e parlo, ho troppe cose da domandarmi, simile ad una sorta di caricatura. Del resto è il mio universo… per questo che nelle più riprese, lo inseguo di continuo, si tratta di una rivincita, non a casaccio, ma per interpretarlo in maniera più corretto possibile e magari, uscirmene, seppur per breve durata, trionfante, senza esportare niente, ma solo per raccontarlo a qualcuno prima che arrivi la morte. E a dire il vero, tutto ciò, mi pesa, come un piombo, mi rode dentro, ho la bava alla bocca, sono curioso di vedere chi vive
dentro di me, non l’ho mai visto in viso, magari uno scambio veloce di sguardi, per vedere che cosa è, che cosa fosse esattamente. Al sol pensiero di riuscirci, m’invade all’improvviso un brivido vivo e sensibile, che va su e giù, come se fosse un filo di un pendolo, che, per la sua brevità, mi fa interiorizzare un misto di tremore e di commozione. Lo so, è dura, non lo conosco nemmeno per nome… o forse non mi serve saperlo! Indicato, per sapere dove andare a cercarlo in tal regno mio, ove vi è un’ipersensibilità che corrompe in sé, per sé e con sé, mentre resto inconscio nel praticarla e perdo proporzionalmente la sua essenza. E così, concepisco che la mia intelligenza, in sé, non ha virtù di infondere su questo senso presente, che m’invade potentemente per aver curiosato nei sensibili livelli percettivi interiori. Con un misto d’intenzionalità e di aspirazione, pur di farlo cedere, gli ho offerto del denaro, ma non ha fatto alcuna offerta su tal scelta capricciosa. E siccome ora, so per certo, che non posso corromperlo con dei quattrini, alcune volte, in cui lo stato d’animo è agitato, agisco da sciocco, vorrei catturarlo per rimproverarlo, ma non è nemmeno suscettibile di pensiero. Non c’è dubbio che, fino a quando non lo scoverò, è un personaggio che va rispettato. Tuttavia, però, escludo che sia un personaggio mirabilmente ingegnoso, proveniente da una misteriosa dimensione, solo per applicare dei divieti, per non farmi andare oltre l’abile confine. Oppure, dimostra il suo abile mestiere per tenermi sotto schiaffo e se ciò fosse così, allora, non ho speranza e chissà, magari pensa, in base alla mia strana andatura, che sono un pischello qualsiasi o un simpatico birbantello, se non direttamente, è convinto che io sia un fantoccio privo di laurea, il che, mi rende solo fastidioso ai suoi occhi e quindi vuole distruggermi. Per fortuna, su tale aspetto, non lo sento acido, incattivito, rabbioso o agitatissimo, salire a gran voce come un gigante o come una belva carnivora. Tra l’altro a darmi ancora più sicurezza, sentirei un mostro dentro, che esce, cresce, si espande e mi assorbe. E siccome si vede che non faccio parte di questo gruppo, così esteso e diffuso, che appesta ogni cosa e lascia solo puzzo morale e materiale, allora mi domando: “Forse è un vecchio, che a furia di proteggere i suoi valori o la sua cultura preziosa, lo rende presuntuoso, oppure, pretende di mettermi da parte considerandomi solo un giovane di quelli che non contano niente!?” Se fosse così, allora, mi chiedo: “Tranne la sua parlata incomprensibile, che gioca fortemente a suo vantaggio, che razza di segreto ha da nascondermi quel vecchio!?... visto che mi conosce così bene, e peggio ancora sarebbe, perché sa benissimo… che ho voglia di cambiare le mie abitudini sbagliate” Tante volte, non riesco a crederci che lo sento e non lo vedo, come se stesse in mezzo ai piedi, tra la carne e le ossa, altre volte, invece, è come se mi tenesse stretto da qualche parte nel profondo e poi, in una velocità super luminare, scompare in pochi secondi, lasciandomi addosso
un’ondata di brividi d’ebbrezza, talmente forte, come se avesse piazzato un ordigno nel cervello e si allontanasse senza essere scoperto. Ed ecco, allora, che sorgono in me, le tentazioni forti, tali da farmi sentire troppo vicino a lui, e magari coglierne un dono o di decidere da che parte stare, come se fossi entrato in un altro stato, tale da sentirmi vicino a un'energia, la quale mi fa sembrare di galleggiare nell’illusione di aver conquistato il vero. Cerco di appostarmi, aspetto, resisto nel prolungarmi a causa dei suoi salti improvvisi, poi cambio spesso la posizione, in modo di trovare quella giusta, per scovarlo e magari sorvegliarlo, perché è in grado di procedere avanti e indietro, ma non colgo mai niente, nonostante son ben seminascosto. E fintanto che non si nega e nemmeno mi deride, il che lascia pensare che non ha un’attenzione morbosa nei confronti della vita, tento prudentemente di accostarmi nel modo più corretto possibile, proprio da non far generare incomprensioni o decodificazioni parziali, inesatte, incomplete e riduttive, che sembrano non conoscere fine. Quindi, mi soffermo a discutere, per ore e ore, sulle modalità di tattiche e di strategie, che usa a mia insaputa, in cui mi domando che probabilmente non dispongo di una capacità a sufficienza, in modo tale, da permettermi di comunicare con lui, perché non riesco proprio a capire qual è il legame che ci lega. E per ovvi motivi, di notte, con la testa appoggiata sopra il cuscino, insieme alla sua bella fodera decorata, gli chiedo: “Allora dimmi come si fa!?” E per giunta, subentra un altro quesito, che mi assilla, e per quanto banale possa sembrare, non so nemmeno se si tratti di un'esagerazione o di uno spauracchio: è stato un’ effetto, nel quale son rimasto, per più di dieci minuti, sbigottito di fronte ad un mare di contraddizioni, nonostante abbia macinato milioni di pensieri. E ancora, su tal vana ricerca, nel bel mezzo del silenzio della notte, mi rilasso, lo accolgo col buon senso, cerco di racchiuderlo, ne ricavo, ovviamente a transazione avvenuta, un piccolo giovamento, ma solo per il semplice motivo che non si tratta di una pericolosa illusione diabolica o alla forte spontaneità della mia creazione. ato tal presentimento negativo, per grazia d’un sudore delizioso perché il palato lo sente e lo giudica, a ben pensarci, la creatività emotiva ed intellettuale non mi manca e ciò avvalora l’ipotesi che non è un maestro che pontifica cazzate. E quindi, cosa vorrà significare… che è veramente abile in questa lunga corsa o sfida, in cui è anche probabile -se non vado errato- che alla fine, sto avendo a che fare solo con me stesso!? E se ciò fosse così, vuol dire che mi sto svenando per versare il mio sangue in un colabrodo. A quanto pare, in tal attaccamento, le ipotesi sono vastissime, pullulano, da cui balza all’evidenza, da un ragionamento della interdipendenza, alcune cose da sottolineare, ove qui uso tutta la mia gradevole gentilezza, pronunciando che forse anche lui è condizionato per il timore di non farsi scoprire e magari, sarà per questo motivo che non mostra del tutto il suo
vero volto?! Oppure anche lui è assalito dalla paura per non farsi giudicare o sarà mica, che ha un peso che grava sulla coscienza?! Talvolta, mi assale un profondo disorientamento come se gli organi venissero ingoiati da un angoscia non umana, pensando che mi toccherà pensare qualcosa di diverso, per cercare di trovare una scorza, un frammento, per dargli un senso, un significato. Resto tirannicamente sconsolato, per via della mia pochezza d’intelletto, innanzi a lui, che mi faccio pena, mi fa sentire in colpa, come se avessi commesso un errore madornale e allora sotto questo gioco d’un tal fascino, istintivamente, gli rispondo : “Che cosa vuoi fare della mia vita?... La mia umanità, composta di sangue e carne, non riesce a pescare le tue istruzioni in mezzo al tuo mondo, che non è fatto di beni materiali!”. Purtroppo e nonostante, per tanta dedizione, come una dimostrazione di un po’ di gratitudine e di affetto, ben sapendo che non usa pratiche delle streghe e dei fattucchieri, che in tal caso mi limito solo a spargere sale e pepe, non mi risponde, forse, allora, vorrà dirmi “Non ci pensare… goditi la bellezza della tua gioventù !” O assisti senza opporti, perché non posso escludere in alcun modo, di non godere della sua fiducia!? Oppure sto compiendo indagini frettolose e ambigue, pur di scoprire qualche faccia nel buio del mio interiore per archiviare rapidamente il caso!? Oramai incasinato in tal molteplici perplessità, le quali mi spronano verso un’inchiesta esaustiva, che finora non paga in termini di risultati acquisiti, che però, mi rialzo sempre, il che vuol dire, che non sono così tanto male, non riesco a capire bene se ha voglia di riciclarmi per più di quel che valgo, oppure vuole rammollirmi ancor di più nelle stupidaggini, nelle quali sono tutt’ora immerso. Su quest’ultimo aspetto, per fortuna, perché è l’unico atto in cui non mi liquida, ovvero, sembra che mi guarda come per assicurarsi che stessi bene, chissà, forse avverte che sono sul punto di svenire o prova pietà nel vedermi con la testa scomposta e inclinata all’ingiù e lacrime a stenti trattenute. Pertanto, tenendo sempre occhi e mente ben aperti, i quali mi hanno permesso di non nutrire più dubbi, perché non sto parlando del codice fiscale e nemmeno sto camminando sul vuoto, ho imparato che è una lezione dolorosa, di quanto costa l’autocelebrazione di se stessi. Forse, sarà pure una mia brutta abitudine, su ciò che si estende, ma non si vede e non si tocca, tale da suscitare anche atteggiamenti o sprazzi di profonda impazienza, regalandoti un senso di dolore, ma considerando che ognuno di noi è la legge di se stessi, in fin dei conti è e resta, una grande idea confrontarsi con fatti nuovi. Mi vien d’istinto, lo voglio, lo cerco, lo desidero, c’ho piacere come un monello curioso, è un intenso e focoso pensiero entusiasmante che sta in mezzo all’animo, su ciò che non conosco. E come se si stesse affacciati ad una finestra a grande distanza, si coglie un andamento che lascia presumere un disegno, che a furia di prolungarmi, mi porta a compiere tale atto: penso e ripenso mentre di
tanto in tanto guardo fuori e vedo che il vento si è già alzato e solleva nugoli di polvere, poi cammino per casa, con un po’ di latte in mano e sorseggio e poi gorgheggio con tanto di frenesia, ma nulla si eleva e nemmeno s’invola su tal robusta idea. Per giungere al capolinea di questa carrellata, in cui è anche pur vero che parlare e agire in forma liberatrice, è come rivedere qual è il tuo posto, in termini di chiarezza in sé stessi. So di certo che sto scordando molte cose in questo studiarsi o di questa ione riservata più di qualunque altra, senza aver la certezza di un contatto, il che m’intenerisce nell’intimo più profondo, ove qui però, le lacrime mi fanno ricordare che non ho perduto ancora su tal speranza e su tale urgenza di capire, si tramutano in aspirazione di uno scambio reciproco di doni fra esseri. Allora lo invoco, lo sfido, tento e mi spingo a più riprese e agendo di continuo, per ore e ore, in tal modo, ove la bocca si apre e si chiude, incubando un caldo respiro che irradia la sensibilità, ove costei l’attende un contatto profondo e per il suo fine scopo fa presa su un lampo, il quale m’impregna di frivolezze mischiate al dolore, che mi ano attraverso il corpo come se provenisse da un abisso elettrico, che sotto gli auspici di tal irraggiamento crescente, accetto anche il rischio di un collasso pur di scoprirlo. Finita tal operazione progressiva, come fra il piacere più intenso e il dolore più forte sparpagliato all’interno, simile ad un incubo accaduto troppo in fretta per la stretta relazione tra di loro, ho assaporato la novità. Mi son trovato solo di fronte alla mia finitezza trasmutabile, ove i miei occhi e le miei sensazioni volevano piangere di fronte ad un disegno così tanto lucido. E’ stato uno di quei grandi incontri, simile ad una sfinge che rispondeva ad una domanda, ogni qualvolta che le ponevo una domanda, come se avesse un miliardo di bocche per rispondere, per tappare, arrestare qualsiasi disagio, angoscia e molti altri occulti smarrimenti. Il che prova, “E’ stato un bell’affare!”, ove vibravo con centinaia di sensazione di contentezza che mi arrivavano per un tempo lunghissimo, esclamai che doveva pur esistere un posto speciale in cui ci resti apionatamente! Scopro con un’ebrezza sovrumana che s’avvinghiava nei caldi organi, che ho assaggiato me stesso, come se avessi accostato le labbra nella mia dignità. Ora, giunto con tal fierezza fin qui, ove sembra un nucleo cristallizzato rinchiuso nel profondo, simile ad un alloggio misterioso, incontaminato e indisturbato, ho imparato persino ad usare le scarpe di gomma morbidissima, per non far rumore, in modo che non scappi niente e nessuno. Chissà, non si sa mai... Perché, se mi scappa qualcosa, in tal profondo sentimentalismo, sicuramente non potrei fermarla in tempo, in tal caso, mi assalgono i dubbi e i dubbi contaminano, corrompono i diletti. E d’unque, onde evitare le labbra di essere strizzate per niente elegantemente nei denti che non mi è nuovo in tal ricerca, serpeggiando mi prolungo per ispezionarmi dappertutto, perché oramai c’ho preso gusto come
un frutto sugoso il quale mi fa sentire tutto bagnato dentro, come una creatura appena uscita da un bagno acutamente fresco, per poter decifrare nel modo più saggio, che non c’era niente e nulla di religioso in quell’etica condensabile, che evoca il concetto di sofferenza come premessa per un’elevazione. Invece, in tal ritiro purificatorio d’osservazione, con tanto di spellicciate per essermi slegato da tal dilemma, vige una legge diversa, forse… anche più profonda della coscienza, il cui volto procacciabile mi è ancora sconosciuto. Ma la mia facoltà immaginativa, che ha incubato una vera e propria impregnazione di qualità lontane, nel tempo o nello spazio, mi porta ad arrivare a chiedermi, tra me e me, finora a che punto la qualità della mia esistenza è arrivata e ove potrebbe arrivare in tal pellegrinaggio soprabbondante di pensiero e di sentimento, in cui traggo più a fondo la qualità, la posizione e i dettagli della mia stessa immagine. Ora, irrobustito in tal eco di luce, porgo a me stesso una punizione, per il troppo tempo sprecato nelle stupidaggini e che, sicuramente, come una goccia che cade sempre nello stesso punto, sarei andato avanti e, ancora di nuovo, avrei continuato a fare gli stessi sbagli e forse mi sarei ritrovato già vecchio e sepolto. Ma il ricordo tende a rendermi prudente, come un aroma gradevole non frenante, tale da informarmi che nessuno sarebbe stato uguale all’originale per cercare di capire l’originalità da dove vengo, che appartiene soltanto a me. Se non l’avessi capito prima di andarmene, allora si, che la mia esistenza sarebbe stata un vero fallimento! Adesso, mi sento come un Narratore-Descrittore che con la sua incancellabile responsabilità, scorre di giorno in giorno nella dignità e nel senso del dovere… insomma, quella “robina” che ci distingue dal mondo animale e ci conduce innanzi all’albero della scienza assoluta, in cui, appena trai un alimento, esplodi e vedi i tuoi metalli grezzi sciogliersi nel tuo forno interiore; …ne trai un altro: concepisci di essere incapsulato in un’utero d’oro che è sempre identico a sé stesso; …ne trai un altro ancora: ti proietta una lucida immagine, che quando si ritrae, ti sorride in mezzo alla sua colorazione Bianca; …ne trai un altro ancora: incarni una creazione diretta di te stesso… e …un’altro ancora… qui tocca a te sostare o proseguire nelle origini del messaggio racchiuso, quando lo scriverò, a breve, nel prossimo libro.
Figlio del rifiuto
Ehi… dico a te, cultura della morte, mandria di camaleonti senza volti: …non sei stato tu ad insegnarmi, ne tantomeno a sviluppare le mie capacità. Tu non mi hai mai parlato, non ti sei mai preoccupato di me, non nutri nessun rispetto per me. E’ da circa trentanove anni che subisco la violenza tua e del tuo branco, sulla mia pelle, simile a martellate decise e sapienti. Rischiando, anche di dover pagare le spese di una psicanalisi, per approfondire e chiarire l’insussistenza di ogni reato che coagulava, ingiustamente sulla mia pelle. Ti rivolgi a me da estraneo e continui a fissarmi ancor di più negli occhi, come una creatura incapace di dire no. Voglio solo dirti, che in un recente ato, sentendomi abbandonato da te, oltre a dover sopportare le sofferenze emotive, rivivo ancora oggi, col dolore, alcuni momenti: quando scaraventando sedie, lampadari e tavoli in aria e contro i muri, con volgari insulti e urla terribili. Provando repulsioni, da tutti i pori della pelle, fermandomi solo quando, dalla gola, non usciva alcun respiro di rabbia, a tal punto che non riuscivo a ingoiare nessun alimento, per la tua dannata assurdità che cambiava la mia realtà in un clic, venivo ingoiato dall’immensa tristezza, che invece di decrescere continuava ad aumentare inesorabilmente. Da sciocco, mi concedevo attimi di depressione, sembravo un violento manesco nei confronti degli inferiori, ero sul punto di assaggiare un ictus. Finché, con tempismo e incitato dalla geniale dose dell’osservatore, ho sbollita questa collera in questo semplice malessere, che estendi giorno per giorno. Nel duro tentativo, a cui sono stato sottoposto, tra l’analfabeta e chi sa leggere, oltre a recuperare il terreno perduto, consapevolmente oggi, con un foularino al collo, sono più elegante del solito: con questo voglio semplicemente dirti, che d’ora in avanti, non tollero più la tua maleducazione! Senza esagerare e ne urlare, IO credo fermamente che quelli come te debbano essere curati prontamente in apposite struttura sanitarie, perché estorci agli altri, la propria vita, e come tale, sei un traditore. Per questo, non c’è posto per te, in nessuna parte di me. Tanto per intenderci: Io sono l’autore del mio lavoro e la radice dei miei pensieri, essi si muovono e si sviluppano in miliardi di forme, che finora, ringraziando Dio, proseguono senza sosta per frugare in qualsiasi punto nello spazio. E ben presto, scopro, che c’è un Osservatore rassicurante, che dall’interno, mi tiene stretto e legato, lo fa solo per darmi delle informazioni dolci e facili sulle conoscenze nuove e antiche, che non so da che parte escono, ma di sicuro, sono fisse ed
esistono nella mia profonda anima, talvolta hanno delle improvvise accelerazioni, che sono simili a reazioni termonucleari e in ogni caso possono essere ascoltate gratuitamente. Non c’è, e mai potrebbe esserci, una fila dietro di me per derubarmele, perché sono io il primo cliente, per ottenere il nutrimento gratuito delle primizie, come un lattante eterno, e non viceversa. L’ho eletto IO con il mio voto , non esiste in natura, non c’è nell’ambiente, ma è facilmente usufruibile, o la vita insieme a lui perché mi spiega ciò che devo fare. E’ un Osservatore a me noto, non si sbaglia mai, spesso m’incontra dal vivo e mi saluta, e mi conduce fuori da questo recinto contaminato, che finora è una tecnologia più idonea per osservare il tutto. E ne traggo gioia da tali esperienze e accolgo queste emozioni con grande gratitudine, ottengo sempre un sicuro appoggio come se fosse un’inespugnabile fortezza, ed io mi sento come un re, seduto sul trono. E fin qui, come potrei dargli torto!?... Per questo Io mi fido della vita, è una prova lampante, sono stupito e rapito, abbiamo la stessa taglia perché non si è mai allargata. Perciò, per me, non esiste la gerarchia, al limite, tutto ciò che può causarmi la tua forza di qualità primitiva, è un ininterrotto vomitare, che però la mia purga, col suo talento visivo, incarna tutte le contraddizioni e con furore scarica e lo riversa in un triste cesso di nome Stato. Proprio per la sua capacità di disprezzo e pericolo, che emana sulla vita e si rende ridicolo, tant’è vero che pur coinvolgendo tutti i miei processi emotivi, dolci e gustosi, non esce un inspiegabile sorriso, sento sempre il veleno in tutto ciò che dice, veste dopo veste. E giunto a tale conclusione, perché non tradisce mai le sue sporche attese, comprendo che è un marchio puro d’infamia dentro agli innumerevoli palazzi maligni, in cui, ognuno di esso, è pieno di cumuli di depravati e baldracche, insieme a tante tuniche di vari colori di finta cristianità, che ululano e mi stordiscono. E’ tutto un’ urlio, un mormorio, un rimbombo, e per non sentirle, visto le dosi sempre maggiori di tossine che emanano e causano irritazioni, non c’è altro da fare che infilarmi dei batuffoli di cotone nelle orecchie, in modo da non cadere, insopportabilmente, in un rincoglionimento mistico e appiccicoso, e magari, coagulando pian piano, c’è il serio rischio che può ficcarsi fino alle budella. Che il tal caso, sarei intrappolato e spacciato, strisciando e piagnucolando, insieme ai soliti boiardi nel tempio dello Stato, sotto una falsa coscienza. Detto questo, sulla penosa base della realtà reale, per quello che è e fa: “Amico mio, ritorna nel tuo pianeta preistorico o primitivo… IO, in vita mia, non ho mai maneggiato un’arma… figuriamoci ad usarla… già a pensarlo mi viene un malessere, e forse mi provocherebbe anche una febbre alta!!!” Perciò, tu Stato, riassumendo la tua figura e fotografandoti su carta semplice, non c’è dubbio: sei roba da foro romano, sei un’ antica, malefica ragnatela imbottita di sventure e disgrazie, è come iniziare un dialogo con
vampiri e parassiti, mentre mostri il tuo viso gentile, ma in realtà, procuri nell’animo più profondo, angosce che non possono essere mai tranquillizzate. Senz’altro, ti chiarisco in maniera semplice, che è più opportuno farti capire che ti manca un filosofo, un poeta, un saggio, che ti aiuti a capire, che nel destino di ogni essere umano, esiste qualcosa di più grande. Quella saggezza, che l’esperienza donava agli antichi, senza dubbio, è la mia acclamata filosofia, che fugge da qualsiasi religione e istituzioni. Come potrei fidarmi di voi, quando poi bevete nei calici d’oro?!!! Ed è bene che tu sappia, pur sapendo che la mia forza è debole innanzi alle tue costose e robuste catene, che alla fine ho decodificato la combinazione del lucchetto per mandarti al diavolo, e fin qui, ti occorrerebbe ben altro per ripulire questa tua immonda figura di merda!!!. Perciò, nel frattempo, visto la tua triste abitudine, multami e insultami pure, usa spranghe e manganelli, prenditi la mia libertà: è la parte migliore della mia vita… Ma una cosa è certa: sull’anima mia, quando non sapevo nemmeno di cosa si trattasse, incominciai scettico, ora invece, con una rapidità che m’ha sorpreso, mi reinventa, assaggiando la novità evolutiva, non posso più farla tacere. Mi suggerisce, in un modo artistico e affidabile, al dì sopra di ogni sospetto, di non elemosinare con voce alta un briciolo di sorriso, vincolato dalle tue rigide regole, con poco gusto e tante vaccate. Perciò stanne certo: non mi are a tiro di sputo, ti sporcheresti sicuramente il naso bianco, perché ascolto le parole di chi è più alto della mia testa, le trovo straordinarie, al tal punto, da ripeterle più volte, di giorno in giorno, ad alta voce. Per darti un’idea, s’infilano in me, e si riprendono il loro dovuto spazio pieno di galanteria, senza farmi sentire neanche quella frivolezza, quel fruscio di sensazione di essere graffiato, punzecchiato, rastrellato o squarciato nell’animo. Perché è un Osservatore trasparente: Dio mio… quanto amo quest’essere… che oltreandomi mi sterilizza solo per darmi la verità, e in alcuni punti, distillandomi senza aggiungere alcun listino prezzo, perché sono figlio del vostro rifiuto e come tale, tappo la vostra merda che spruzzate a getto continuo. E nonostante ho le mani sudice, che mi causano nausea, per ripulire lo sgocciolio della vostra merda, in ogni modo sollevano sempre i sensi della mia vita, che tuttora sono in corso e proseguono con il sapore cambiato, indisturbati e in versione integrale nell’area transennata e interdetta a ridosso di voi. Che è un’ottima posizione per sorvegliarvi a distanza con il binocolo agli occhi e le cesoie in mano, scippando come un ladro, questo mio diritto fedele, che continua a brillare con la vita reale, in modo di non essere invischiato nei vostri sfaceli. E che Dio padre YAHUVEH abbia pietà di voi.
Agire al di fuori della realtà
Dentro, qui, nel profondo, chiuso come una creatura malferma, malata, debole, minorata, in cui l’ossigeno è scarso e il freddo è intenso, su una cute già spellata, ove anche l’assurdità si radica in un senso e non offre alcun appiglio o sospetto di sé alla coscienza, la quale non può intuire, capire, praticare, muoversi, crescere e svilupparsi. Muto aspetto, prendo tempo… e ancora… per cercare di estrarne un senso in tal sigillazione, in cui rifletto in continuazione come un insieme di segni geometrici costituiti da caratteri, cifre, sigle, linee, curve e altri segni vari. Poi materializzandomi volgarmente, in tale creatività in esposizione generata da me stesso, getto sguardi dubbi, in cerca di un brivido vivo che mi scuote da tal irreale silenzio, ma nemmeno i piedi affondano in qualche profonda buca o scivolano su un terreno sdrucciolevole. Incubato in tal episodio come se fossi confinato fra un mondo angelico e un’umanità, di cui la chiave vera non mi è ancora stata data sul come essere più tenace e scattante. Fisso negli umori occulti che si riproducono, l’uno nell’altro, alternandosi con impennate furiose senza il mio consenso, li fiuto e non li posso toccare, ma non fermano il mondo dei miei sensi che in dato momento son fiero d’aver tali padroni. Incomincio a macinare molte parole senza dire niente di ragionevole, nessun mutamento reale, neanche una figura in azione verso di me, sembro un miserabile peccatore, che non fa presa neanche su un vento nero terrorizzandomi nel trasportarmi di qua e di là. Tra un vagito e un sussulto simile ad un perno arrugginito, sempre più cigolante, in cui si mischia lo sgomento e che ti sembra d’essere stordito, mi sono limitato a ipotizzare che si tratti di una casuale mutazione genetica. O è solo un intreccio di condizione isolabile che obnubila lo sguardo della mia mente o è un senso di appartenenza al “non essere”, per cui ho un esagerato coinvolgimento. O è un sintomo superiore, che ti fa incespicare in una perdita di controllo oscuro, come un potente allucinogeno. O c’è qualche perfida ombra, una Vivida presenza che non vorrà sentir ragioni, per espellere gli ultimi mali antichi e cronici che mi avvolgono da sempre. In tali osservazioni, sento effetti di un'altra natura, una via che conduce ai cieli o all’inferno profondo, e chissà da dove proviene… forse dalla fonte superiore di ogni squilibrio e pronto a plasmare, a distaccare i veri frammenti delle mie emozioni autocoscienti. Ora come ora mentre urlo e sudo per compiere l’azione giusta, mi è difficile identificare i moduli cerebrali e i loro ruoli, per cui mi chiedo dove sono finiti ”I
Re degli elementi che sono in me”, i quali mi proponevano le più forti sensazione ed emozioni, che dopo la prima, la seconda e la terza infornata, cominciava in me un tale stato, ove sembrava saltassi fossi di universi, fino a bagnarmi di quel nettare vitale che m’illuminava l’anima e rafforzava il cuore, in quell’istante. Conficcato in tal intreccio di dolore e spezzato da tali paradossi abissali, che si dipana come un filo spinato da cui sgocciola il mio sangue umano, scorrono fiumi di parole a cui manca un punto di riferimento in questo momento di grande angoscia. Ecco che qui, sento che ho la lingua e il coraggio paralizzati, i capelli mi si rizzano sulla nuca in tali centri occulti mostruosi e distruttivi. Provo ad ascoltarmi… e ancora… per accendere i fuochi che ristabiliscono gli equilibri, perché so che sono un organo umano e produttore di energie potenti, fino a quelle macrocosmiche che reggono il mio creato, ma tutto si ritira in tal impavido proseguimento, in cui domina la coscienza come un’ostia immonda e comincia la paura. E’ una paura così intensa che arriva a presentarsi sotto la forma più acuta della demenza, per cui mi sento avvilito, smarrito, irritato e sto per piangere, e da questo, nasce una vecchia domanda: “Odio le lacrime, ho paura che si depositano sul cuore e lo paralizzano” Mi spaventano, m’inorridiscono, mi danno fastidio come se mi stessi innamorando di un corpo privo di vita e giacendo insieme a lui cerco l’oblio di me stesso, ove però, evitando gli occhi su tal cuore mio, finiamo entrambi in un silenzio morto. Allora, per distrarmi in questo dipinto, la cui espressione ambigua è una sorta di sorriso a metà tra ghigno e beatitudine, dò un’occhiata nervosa in giro, come una tigre che si agita rinchiusa in gabbia. Poi tendo l’orecchio, chiudo gli occhi e provo ad accendere il mio eros e, per tutta la durata, fermo il pensiero sulla qualità che intendo infondere in questo corpo, per modellarlo, per trasmettere volontà alle molecole, affinché io possa padroneggiare per vedere la mia vera semplicità, ma tutto quello che mi circonda attorno mi indica di tacere, causandomi un tilt momentaneo, una sensazione di Shock elettrico e poi si dissipa nel nulla. Or si or no, in tal sigillazione s’insinua un agile tintinnio nelle orecchie, che è accompagnato da una sensazione di pizzicore e di pressione, dal quale escono i suoi capricci o voleri, che in tale istante, reggono ogni cosa. E di nuovo, or si or no, con il volto segnato dai solchi profondi, occhi spenti, immobili… poi si allontanano, non sorrido non parlo. Le gote ora sono rossastre come dopo una corsa, poi gli occhi ritornano e allora mi spingo…e scavo, sudo ma proseguo… e ancora… e mi prolungo laddove è insita la coscienza, in cui raccolgo qualche briciola caduta, la quale fa presa su un pensiero e costui mi porta, tumultuosamente, su una sensazione clandestina, che, cavalcandola, mi lascio travolgere dalla sua complessità negativa, fino a farmi sentire d’essere morto. Striscio, sbuffo, ma non riesco a prendere velocità per sostenere l’essere
mio e condurlo sulla strada della purezza, sui templi occulti di Dio, nessuna onda emozionale filtra la sua energia e scende in tali caratteri, cifre, sigle, linee, curve e altri segni vari. Mi ritrovo ad aspettare una scusa per farla finita su un terreno che ancora non riesco a vedere, mentre i miei occhi cascano a pezzi come i vetri di una finestra rotta. M’inginocchio e poi mi accuccio in un angolo buio e lurido, quel dolore incommensurabile, che cade su di me e che non ha alcuna intenzione di andarsene, mi depista, mi provoca, mi gonfia, m’irrita e fa scattare dentro una reazione violenta, affinché ci accordiamo attraverso il nostro veleno emozionale da cui sbavo, vomito e come se non bastasse, mi sporco scarpe, camicia e calzoni. Ma nulla, nell’immaginario di tal momento, che è indissolubile e tale rimane, trafigge tal atmosfera, donde il cuor mio si era rifugiato sotto terra, che resta il mistero su cosa o chi possa incarnare in tal sigillazione. Cieco, muto, chiuso con quel sentore di muffa, di stantio, in cui i nervi restano impigliati l’un l’altro e ti colpiscono, con dei colpetti irriconoscibili, per i quali mi esercito con tanto di movimenti umani, simile alla scrollata del cane, per scrollarmeli da dosso. A corpo ancora caldo, prima che s’insinuano echi pungenti e pronti a far presa sulle fauci dell’abisso che mi aspettano sotto, in cui mi occhieggia il demonio per farmi capire quanto sia precario questo istante, spio, studio, sperimento a più riprese, ondeggiando in tal sensibilità percettibile dell'anima, che si fa acuta in tal silenzio sigillato e che a volte lancia segnali, come un'anomalia o un rumore di fondo, del quale non è possibile comprendere la vera natura. Invece, sebbene mostri qualche punto di contatto, come una realtà pronta ad emergere al mio richiamo, mi fa sentire un uomo vecchio, ancora prima di nascere, consumato da un rancore di cui ignoravo l’origine di me stesso, ne registro ogni sfumatura in tale insistenza, in cui mi chiedo se si ameranno, si detesteranno o si sopporteranno tali ombrosi pensieri, ove ci trovi le tele abbellite di figure e paesaggi, silenzi costellati di note, cieli trapunti di astri, che toccano corde radicate nell’animo e le fa vibrare scatenando pulsioni sopite, con l'intento di far risorgere le aspirazioni, per andare nell’Eldorado degli spiriti situati ai confini del buoi, il quale non si misura coi termometri odierni. Poi, scalciando in aria e mormorando, per colpa degli stracci della mia lingua defunta mai decifrata ma sempre eretta e paludata e mai ingioiellata, inquinano tal nobiltà, da cui non riesco nemmeno a raggiungere un accordo per un ampio respiro, proseguo con le mani che si colpiscono piano in testa, come se volessi cacciar via i pensieri. Poi, pian piano, le parole escono e giungono snelle, agili e ricche alle orecchie, e ne deduco, come un compenso stabilito e chissà da chi… che la mia energia, situata in quello spazio intimo, profondo e paradisiaco, è un fuoco straordinario che gira in continuazione. Il cui volto, un tempo, incitava ad affondare i miei piedi nei campi della natura reclamando la loro impronta, che
brillava sotto tal cultura vincente, o vera vita, o mentalità, ove nessuna rorida ombra, con tutti i suoi carcerieri, poteva eclissare tale realtà reale. Condensandomi in una felicità insopprimibile… nella quale, alzavo il capo in alto per osservare poeticamente gli uccellini… e ancora… e di nuovo ancora… ove i piaceri progressivi e concentrati si alternavano l’uno nell’altro, fino a suggerirmi con gusto l’idea di scavare buche artistiche nel terreno e che, in virtù di un principio di difendere tale idea, di giorno in giorno andavo a rivisitarle. E ora, che ancora non si è spento l’eco del suicidio, in un corpo sconosciuto, in cerca d’identità, travolto dalla furia e dalla collera, che non ha mai violato, sfidato e ne ridicolizzato alcuna opera di DIO, torno a chiedermi se c’è al mondo un uomo più sfortunato di me, condannato in questo movimento perpetuo o in un gioco di equilibri, che mi beffa senza sosta, per la mia ingenuità costellata di piccole piscine d'acqua blu, ove qui, incubando caldi respiri e afflosciandomi in silenzio, ho trovato una piccola macchiolina di luce che si adagiò delicatamente su di me… e ho visto… e c’è… L'ORIGINALITA' DELL' AMORE… E CHE ORA… ESPANDE LA MIA COSCIENZA.... E NESSUNO LA SA' FERMARE! Ne annuso la fragranza, come con un fiore appena colto. Nell’attimo in cui non riuscivo ad allungare mani e gambe, sullo sfondo, delle piccole piscine d’acqua blu, sorgeva un cielo viola con riflessi verdi, che proiettava la mia mente in tutti i miei stessi elementi, per esplorarli e rivelarne la loro posizione e ora io li abbozzo sopra a tal foglio come una creazione artistica. Ora si… che capisco quanto è bella la sofferenza… perché è come suonare il suo tamburo daiko.
Finora ho riportato solo una parte del mio Essere, dei miei scritti, in quanto ho sentito viva e forte la necessità di raccontare la mia vicenda, la mia storia, la mia vita… con il capitolo “Sanguinavo ma amavo!” che mi ha occupato molto tempo lasciando poco spazio per gli altri miei profondi scritti.
Nel prossimo libro riporterò argomenti e poesie che scendono nell’amore, nei sentimenti, nelle emozioni, nella soavità, nel candore, nelle nostre fibre sottili che toccano le corde radicate nell’animo, in cui per un’istante si avverte di esplodere fieramente nell’incandescente dell’Amore, incubando, nel cuore, gioia, gratificazione, appagamento che risiedono in ogni Essere…
Caro lettore, ti ringrazio di cuore, con ardori carnali che non saziano e né appagano mai il nostro Essere.