Nell'incertezza Del Domani 2e2ks

Titolo|Nell’incertezza del domani Autore|Elisabetta R Brizzi Impostazione grafica della copertina a cura di youcanprint.it. La foto è stata realizzata da Antonio Battista che me ne ha concesso l’utilizzo. È possibile visionare i suoi splendidi scatti sulla sua pagina facebook.

Elisabetta R Brizzi

Nell’incertezza del domani

Sempre c'è un domani e la vita ci dà un'altra possibilità per fare le cose bene, ma se mi sbagliassi e oggi fosse tutto ciò che ci rimane, mi piacerebbe dirti quanto ti amo, che mai ti dimenticherò. (Gabriel Garcià Màrquez)

A mia madre, che mi ha insegnato a sognare.

1.

«Spaziani ha la faccia da topo! Spaziani ha la faccia da topo!» «Smettila Giovanni!» «Sei un topo grasso!» «Non è vero!» «Ma ti sei visto?» Emanuele Spaziani non riesce più a ribattere alla canzonatura del compagno di scuola. Le lacrime gli appannano la vista, il muco gli cola dal naso e gli bagna le labbra. Giovanni fa una smorfia. «Sei un frignone!» Gli dà una spinta e lo fa cadere a terra, di fronte al resto degli studenti ammassati nel cortile scolastico. «E magari pure frocio!» Lo colpisce allo stomaco con un calcio, spezzandogli il fiato. Emanuele si protegge la pancia con le braccia. Trema. Vorrebbe sparire. Intorno a lui le risate dei presenti. La polvere si aggrappa sulla sua pelle. Gli finisce nei capelli e nella bocca. Giovanni gli sputa addosso. Si accovaccia con l’intenzione di afferrarlo per il bavero della camicia, ma viene tirato via. Stupito si volta di scatto. Una ragazzina bionda, dalle guance coperte di lentiggini, lo tiene per il colletto della

maglia. I suoi occhi caffellatte sono pieni d’ira. «Lascialo perdere!» gli dice con aria minacciosa. Il bambino si scosta, mettendosi in piedi. «E tu chi caspita sei?» «Quella che ti mena se non te ne vai!» «Tu? Con quelle quattro ossa che ti ritrovi?» La compagna aggrotta la fronte. Dà un’occhiata a Emanuele, ancora sdraiato e impaurito. Assesta un pugno sul viso del bulletto. Giovanni lancia un urlo, coprendosi il naso sanguinante. «Tu sei tutta scema! Mi hai rotto il naso!» «Ti avevo avvertito!» Il ragazzino indietreggia e corre nell’edificio scolastico. Gli studenti tacciono sconcertati. La bambina si china su Emanuele. «Stai bene?» Lui si mette seduto senza dire niente. Si asciuga gli occhi, celesti quanto il cielo, con la manica della camicia. Timido e impacciato solleva appena lo sguardo su di lei. «Grazie» sussurra. «Di niente! Odio i bulli.» La bimba gli porge la mano e un sorriso allegro si apre sul suo volto latte. «Io sono Asia!» Emanuele si alza, pulendosi gli abiti sporchi di terra. Raccoglie la merenda, finita in un angolo del cortile. Sospira deluso. Non può certo mangiarla adesso. Tante formiche camminano sopra il pane e il prosciutto. La getta nel cestino a

malincuore. Asia Rinaldi si guarda per un momento le dita, poi fruga nelle tasche del suo giacchetto. Tira fuori una brioche e la mostra all’altro. «Facciamo a metà, vuoi?» «Davvero?» «Certo, non puoi mica stare a stomaco vuoto.» Stavolta è Emanuele a sorridere. Accetta di buon grado la gentilezza e si siede con Asia sulla scalinata d’ingresso. «Dici che la professoressa ti fa sospendere?» domanda mangiando un pezzo di dolce. La ragazzina alza le spalle. «Se sospende me allora a Giovanni lo deve buttare fuori dalla scuola!» «Comunque sei proprio forte.» Asia scoppia a ridere divertita. «Tutto merito di mio fratello!» La camla suona. Gli alunni iniziano a rientrare nel complesso scolastico. Asia ed Emanuele divorano gli ultimi pezzetti di merendina. Si alzano e insieme si accodano al resto degli studenti pronti a rientrare nelle loro classi.

Il ricordo di quel giorno di ottobre dipinse sul volto di Asia un sorriso incerto. Appoggiata alla credenza della cucina sorseggiava il cappuccino rivolta alla finestra. Il giardino risplendeva di sole. Le bocche di leone ondeggiavano scosse dal vento e il loro giallo emergeva dal verde del prato. Si fece accigliata. Suo fratello Cristiano varcò la soglia della proprietà con la sorella Michela. Lasciò la tazza nel lavandino e andò ad aprire la porta. Si sporse

fuori, sul portico. «Che ci fate qui di prima mattina?» «Siamo venuti a rapirti!» rispose Michela. Asia scosse la testa rientrando in casa. «Non esiste! Vi ho già detto come la penso!» «Abbiamo parlato con Emanuele e lui è d’accordo con noi!» replicò la sorella, buttando sul divano la propria borsa. Cristiano aprì il mobile della cucina e prese una scatola di biscotti. Moro, a differenza delle donne, s’imponeva su entrambe per l’altezza. «Non ti puoi sposare senza un degno addio al nubilato.» «Devo lavorare, non posso permettermi di partire.» «Oh dai, Asia! Lunedì sarai di nuovo in ufficio.» Michela indicò la camera con un cenno della mano. «Forza, vai a fare le valigie. Approfitteremo del viaggio anche per farti trovare questo benedetto vestito da sposa!» Asia arrotolò una ciocca intorno alle dita, muta. Il fratello morse un frollino. «Qual è il problema Asia?» «Nessuno, è solo che sono impegnata.» «Anche per comprarti l’abito nuziale? Lo sa Emanuele che a meno di due settimane dalle nozze sei ancora nuda?» «Non è affar suo.» «Sì che lo è se hai cambiato idea.»

«Non essere assurdo. Ti pare che potrei fargli una cosa simile?» Michela, prima di parlare, si scambiò un’occhiata con Cristiano. «Asia, pace se non vuoi fare la festa di addio al nubilato ma è un po’ strano che non ti importi né del vestito né di come mamma stia organizzando le tue nozze.» Asia alzò le braccia stizzita. «Fatela finita di pressarmi!» Il suo cellulare squillò e la voce di Elisa emerse nel silenzio. La ragazza esitò un istante poi prese il telefonino dal tavolo, aprendo la chiamata. «Manu…» Emanuele, accomodato sulla poltrona del suo studio legale, sorrise. Si ò una mano tra i capelli bruni, ben pettinati. Le basette mettevano in evidenza i tratti morbidi del suo viso. «Buongiorno. Sono arrivati Cristiano e Michela?» «Sì, qualche minuto fa.» «Ti hanno convinta finalmente?» «Ma perché sei così fissato con questa storia dell’addio al nubilato?» «Non lo so, è una tradizione e poi io avrò il mio addio al celibato.» Il giovane arricciò il naso, accavallando le gambe. «Non mi sembra equo se festeggio solo io.» Asia rise divertita. «Cos’è? Hai intenzione di darti a una serata tutta alcol e spogliarelliste?» «No, lo sai che non sono il tipo.» A quell’affermazione la ragazza tornò seria. Si morse la lingua senza ribattere.

Emanuele prese una penna e iniziò a giocherellarci, aprendola e chiudendola. «Asia, sei sicura che va tutto bene? Mi sembri così strana da un po’ di tempo.» «Non ho niente. È solo l’agitazione per il matrimonio.» Asia fece un sospiro. «Sai che ti dico? Ora preparo la borsa e parto per questo cavolo di fine settimana.» Emanuele si appoggiò allo schienale della poltrona. «Non devi partire per forza, se non ti va.» «Mi va, mi va. Tranquillo, ci sentiamo più tardi.» Asia riagganciò e andò nella sua camera. Prese il trolley dall’armadio e lo riempì delle cose essenziali. Michela si versò il caffè rimasto in una tazzina. «Allora hai deciso di venire?» «Sì, non hai sentito? Siete di una petulanza unica!» «E comprerai anche l’abito, vero? Ho preso appuntamento con uno dei più noti atelier fiorentini!» Asia chiuse la valigia. Sfilò da una stampella un paio di jeans e una canottiera. «Certo, farò tutto quello che volete!» Corse in bagno. Lasciò i vestiti su un mobile e si spogliò. Aprì l’acqua della doccia. Appena la sentì calda, s’infilò sotto di essa. Reclinò la testa indietro e chiuse gli occhi.

Il sole sfiora la superficie del mare in pennellate ocra. Le onde si spengono sul bagnasciuga e tra i piedi di Asia ed Emanuele seduti in prossimità della riva. I

loro sedici anni sono impressi a fuoco nei corpi sottili, negli sguardi vivaci, nelle mani incerte strette sul grembo. Emanuele non riesce e distogliere gli occhi dall’amica. Segue il contorno del suo viso, la bocca appena velata da un lucidalabbra. Deglutisce. Il sudore gli imperla la fronte. Respira a fondo e il profumo della salsedine arriva quasi a stordirlo. «Asia, senti…» dice, ma si blocca subito arrossendo. «Che c’è?» «Io… io…» Asia osserva il giovane in attesa e, quando lo fa, lui ha la sensazione di essere nudo. Il cuore inizia a battergli nel petto, intenzionato ad esplodere. Afferra il polso della ragazza. «A me non sta bene quello che hai detto ieri!» «A che ti riferisci?» «A tutta quella storia sugli amici, sul fatto che non possono stare insieme, quella roba lì insomma.» «Ci hai pensato ieri notte? Mi sembrava fossi d’accordo visto che non hai fiatato?!» «Be’ hai… hai… hai capito male!» «Datti una calmata.» «Sono… sono calmi…calmis…simo.» «Non è vero, quando ti agiti balbetti e adesso stai balbettando.» Emanuele sbuffa. Sa che ha ragione. Si alza, cammina da una parte all’altra, affondando ogni o nella sabbia. Gesticola. «Mettila come ti… ti pare! Però… però…»

«Manu…» «No, fammi par…parlare!» Asia si accosta a Emanuele. Lo guarda decisa e gli prende il viso tra le mani. Il ragazzo si immobilizza. Pensa che da lì a qualche secondo morirà dalla vergogna. «Mi stai dicendo che ti piaccio, Manu?» La domanda lo lascia senza fiato. La gola si prosciuga di ogni parola. Lentamente, annuisce. «E non potevi dirmelo ieri?» «Non…non ne…ne ho avuto il… il coraggio… poi… poi boh tu… tu se… sembravi così con…convinta e… e allora…» «Sei il solito scemo» dice Asia in un sospiro. Lo bacia. Emanuele non si muove, incredulo. Dopo, sciolto di emozione, ricambia la ragazza. Il suo primo bacio. Il loro primo bacio. “Sa di caramella mou” pensa e soffoca dentro di sé un riso divertito.

Asia riaprì gli occhi, toccandosi le labbra con le dita. Il sapore della bocca di Emanuele era impresso in ogni fibra di sé. I ricordi la tormentavano. Erano una cantilena del cuore. Si strizzò i capelli. Afferrò l’accappatoio dalla parete accanto e l’indossò. Il vapore aveva invaso l’ambiente. Pulì lo specchio appannato e restò ferma ad osservarsi. In quella se stessa adulta ritrovò tracce della propria adolescenza. Le efelidi, la carnagione pallida, la luce vivida in fondo alle iridi. Si accarezzò una guancia.

C’era sempre stato Emanuele con lei. Percorse, con le dita, una ciocca miele in tutta la sua lunghezza. Come i suoi capelli. Erano le sue certezze. «Asia, ti sbrighi?» La voce di Michela interruppe il flusso dei suoi pensieri. «Vengo!» rispose. Si asciugò in fretta la testa con l’asciugacapelli e si vestì. Quindi, tornò in camera, recuperò il trolley e si riunì alla sorella e al fratello in attesa vicino all’uscita. Cristiano prese la sua valigia e la trascinò con sé, fuori casa. «Dovresti insegnare anche a Michela che quando si viaggia non bisogna portarsi dietro l’intero guardaroba.» La caricò nel portabagagli e salì a bordo. Michela si mise al suo fianco, borbottando contrariata. Asia prese posto sul sedile posteriore. Cristiano partì, immettendosi nel giro di poco sulla strada Litoranea deserta e rovente per il calore del sole. Dai finestrini abbassati il vento scompigliava i loro capelli, lasciando su nasi e bocche un odore di erba e terra bagnata. Sabaudia, con le sue palazzine squadrate e di pochi piani, lasciò presto spazio al Parco Nazionale del Circeo. Eucalipti, lecci e rovi erano ben visibili a destra, oltre la rete metallica eretta per delimitare i confini dell’area boschiva. Cristiano appoggiò il gomito sul finestrino e guardò Asia dallo specchietto retrovisore. «Che faccia allegra, sorellina.» L’esternazione non fu accompagnata da nessun tipo di replica. «Ci dici cosa ti a per la testa, finalmente?»

Asia tacque ancora per diversi minuti. Poi sprofondò nel sedile, sollevando lo sguardo verso l’alto. «Chi mi dice che Manu sia davvero la persona giusta per me?» Michela si legò i capelli in una coda alta. Iniziò a sventolarsi con un ventaglio. «La tua è solo paura, è normale. Ti erà.» «Non è questo, Michela. Chi mi dice che da qualche parte nel mondo non ci sia la mia vera anima gemella?» «A parte che ‘sta storia dell’anima gemella è una cazzata, perché Emanuele non dovrebbe esserlo?» ribatté il fratello. «Perché ho sempre avuto solo lui! Cosa ne so io di che c’è là fuori?» Asia si staccò una pellicina dal pollice, continuando a parlare. «E poi ci conosciamo così bene che… che non c’è scoperta. Non c’è più niente da sapere. Sembriamo sposati già da chissà quanto.» Cristiano cambiò marcia accelerando. «Vedrai che appena sarai in chiesa e lo vedrai all’altare tutti questi dubbi svaniranno!» Michela sorrise con dolcezza. «Un attacco di sano panico capita a tutti. Fidati, tesoro. È successo anche a me.» Asia si voltò al finestrino, alla strada che ora attraversava un piccolo borgo. Gruppi di anziani se ne stavano accomodati su seggiole di legno all’ombra della tettoia di un bar, giocando a carte. Una piega amara le increspò gli angoli del viso.

2.

I titoli di coda scorrono sullo schermo televisivo. Casa Spaziani è immersa in una parziale oscurità. La lampada accesa, in un angolo della sala, crea giochi di ombre sui volti di Emanuele e Asia. La ragazza, sdraiata accanto al fidanzato, si sporge sul tavolino, scansa i libri di scuola messi alla rinfusa là sopra e prende il telecomando. Spegne la TV. «È stato carino il film, vero?» «Sì, pensavo fosse mieloso e invece no.» Asia ride divertita mettendosi seduta. «Come se a te non piero certi film.» «Che vorresti insinuare?» «Niente…» Il giovane accenna a un sorriso. «Sei terribile.» Asia gli fa una boccaccia, poi tace abbassando lo sguardo. Accavalla le gambe e inizia a giocherellare con un lembo della sua camicetta. La quiete della stanza le fa percepire con forza i battiti del suo cuore. Guarda Emanuele con la coda dell’occhio, come se aspettasse un suo gesto, un suo movimento ma lui se ne resta fermo con il viso alla televisione. L’unico segno di vitalità è dato da un leggero rossore sulle sue guance. Asia prende un paio di grossi respiri e si decide a parlare.

«Manu…» Emanuele non fiata, rigido nella sua posizione. «Manu…» «Che… che… che c’è?» Asia esita, dà un’occhiata al suo orologio e ricomincia il discorso. «Quando tornano i tuoi?» «Non… non… boh.» «Secondo me fanno tardi.» «Può… può es… essere.» «E quindi…» «E… e qui… quindi?» Asia sbuffa. Si volta verso Emanuele incrociando le dita con le sue. Lo costringe a girarsi nella sua direzione. Gli stampa un lungo bacio sulle labbra fino a dischiuderle e a sentire la lingua dell’altro muoversi nel suo palato, in una danza che non vuole fermare. Si tira su in ginocchio, senza scostarsi e si sfila la camicia, benedicendo la comodità dei bottoni. Fa lo stesso con il reggiseno. Porta le mani del giovane sui suoi seni. Emanuele avverte il sudore bagnargli il collo e il desiderio crescere e salire. L’accarezza rapito. Quel contatto gli incendia il sangue e annebbia la vista. Offusca i pensieri. D’istinto, trascina le dita di lei sulla sua intimità. All’unisono, in una perfetta assonanza di respiri, si sdraiano sul divano togliendosi ogni indumento. Niente conta adesso, se non loro.

La campagna laziale aveva lasciato il posto al caos metropolitano di Firenze.

Piazza della stazione era gremita di turisti, auto e pullman di linea. I palazzi, dalla tipica architettura barocca, s’inseguivano l’uno dietro l’altro perdendosi nel fondo di vie secondarie. Cristiano s’introdusse in una stradina sbuffando. «Che casino.» Pochi metri dopo, un albergo dalle grandi vetrate s’impose sul paesaggio. L’insegna con il nome “Rispoli” brillava alla luce del sole. Il giovane parcheggiò nello spazio riservato alla clientela. Scaricò i bagagli ed entrò nell’hotel con le sorelle. La hall era arredata in stile moderno. Un camino elettrico dominava un angolo della sala insieme a un divano e due poltrone. L’illuminazione soffusa conferiva all’intero ambiente un aspetto raccolto e familiare. L’addetto alla reception li accolse con il tipico accento fiorentino. «Benvenuti.» «Grazie, siamo i Rinaldi, abbiamo prenotato due camere» disse Michela. L’uomo annuì, digitò sul computer il cognome e poi mise le chiavi sul bancone. «Primo piano, stanze 22 e 23. Ai bagagli ci pensiamo noi.» «Perfetto, siete gentilissimi.» «Prima di andare dovreste cortesemente lasciarmi i vostri documenti.» Le due ragazze frugarono nelle borse e tirarono fuori le carte d’identità, porgendole all’albergatore. Il fratello fece lo stesso. Tutti e tre insieme raggiunsero le loro stanze. Cristiano infilò la chiave nella propria, guardando le sorelle. «Allora ci vediamo nella hall tra venti minuti?» Asia aprì la porta della camera.

«Sì, giusto il tempo di darci una sistemata» Varcò la soglia seguita da Michela. Lo squillo del suo cellulare proruppe nella quiete. Lo prese e sedé sul letto senza decidersi a rispondere. «Be’ che fai?» le domandò la sorella accigliata. Asia rimase in silenzio a fissare il nome di Emanuele lampeggiare sullo schermo. Si morse un labbro e rifiutò la chiamata. «Chi era?» Si sdraiò supina ignorando la domanda. Bussarono. «Sarà il cameriere con le valigie» disse con lo sguardo al soffitto. Michela, infastidita dall’atteggiamento, andò ad aprire. Un ragazzo la salutò con un sorriso educato e lasciò le valigie nella stanza. Quando furono di nuovo sole, si accovacciò ad aprire il proprio trolley. «Ti stai fissando su una cosa assurda, Asia.» Alzò davanti a sé un abito a fiorellini. «Emanuele è la persona giusta per te. Lo è sempre stata e credimi, se butti all’aria tutto fai l’errore più grande della tua vita.» Tornò dritta e iniziò a spogliarsi. Asia piegò le braccia sotto la nuca, senza replicare.

3.

Un crepuscolo rosso fuoco colò su Firenze specchiandosi nelle acque placide dell’Arno e negli occhi degli ambulanti. I palazzi del centro storico salivano verso il cielo con i loro intarsi tipici. La cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore spiccava sulla città in tutta la sua superba magnificenza. Le boutique in piazza del Duomo accoglievano turisti di ogni nazionalità. In mezzo ad un marasma di persone, Cristiano, Michela e Asia s’introdussero in un negozio per abiti nuziali. All’interno, ogni rumore svanì sostituito dalla delicata nenia di un pianoforte. I modelli dei vestiti da sposa, esposti in ogni angolo, carpirono subito l’attenzione di Asia. Una commessa si avvicinò. «Buonasera, siete…?» «I Rinaldi! Ci perdoni per il ritardo ma siamo ati prima a posare i bagagli in hotel.» Fu Michela a rispondere. «Non importa. Allora, chi è la sposa?» Asia abbozzò un sorriso. Si sentiva la gola secca e lo stomaco in subbuglio. «Io, mi chiamo Asia.» «Lieta di conoscerla.» Cristiano inarcò le sopracciglia. «Speriamo che lei riesca a fare il miracolo di trovarle un vestito!» «Quanti ne ha provati fino ad oggi?»

«Nessuno, il problema è proprio questo senza contare che si sposa tra un paio di settimane.» «Ah be’, allora dobbiamo proprio sbrigarci.» La donna condusse i ragazzi nella zona dei camerini. All’esterno di questi c’erano alcune poltroncine. Si rivolse ad Asia. «Per caso ha un’idea particolare per il vestito?» «No, nessuna.» «Va bene, allora ci penso io.» La ragazza osservò la commessa allontanarsi, poi ricominciò a guardarsi intorno, a studiare i dettagli dei vestiti. La testa le girò. Tutto il negozio le sembrò ruotare su se stesso. I lustrini, le balze, i corpetti s’intrecciarono davanti ai suoi occhi, stordendola. Si appoggiò al bracciolo di una sedia. Le mancava l’aria. Michela le strinse una spalla. «Calmati, se ti agiti già ora quando troverai il vestito che farai?» Asia prese più volte aria. Lentamente ogni cosa si placò e il cuore diminuì i battiti. L’addetta tornò con alcuni abiti. La invitò ad entrare nello spogliatoio. «Venga.» Dentro, le porse un vestito dal corpetto aderente e dalla gonna morbida, ben lavorata e leggera. Sembrava fatta di petali. «Provi questo, secondo me è perfetto.» La ragazza accarezzò la stoffa di un bianco accecante. Indossò il modello. Un profumo di lavanda e naftalina la invase. Chiuse gli occhi di fronte allo specchio e, dopo un momento, li riaprì piano piano. L’abito sembrava cucito su misura per lei. La gonna le accarezzava la siluette accentuandone le forme senza eccessi. Gli strass delle decorazioni creavano

giochi di luce sulla carnagione. La commessa aprì la tenda del camerino. Michela e Cristiano restarono senza fiato. «Sei splendida» bisbigliò la sorella in un moto di commozione. «Possiamo dire che abbiamo trovato il vestito oppure vuole vedere qualche altro modello?» disse l’addetta. Asia continuò a non parlare. ò le dita sul corpino. Le serrò a pugno sul petto. Una lacrima le rigò una guancia, sgretolandosi sul collo. Si chiuse nello spogliatoio, sconcertando tutti. Si tolse l’abito e si rivestì in fretta. Corse fuori dal negozio. Michela la seguì allarmata. «Asia ma che ti prende? Dove vai?» Ma non fece in tempo a raggiungerla. Nel giro di un attimo, la perse di vista. «È impazzita» borbottò Cristiano affiancandola. «Non posso crederci che abbia sul serio cambiato idea.» Il cellulare di Michela squillò. Lei rispose subito. «Asia!» Dall’altro lato, ci fu un momento di silenzio e poi, nel caos fiorentino, sentì la voce di Emanuele. «Michela?» Michela si portò una mano sulla fronte. «Oddio, Emanuele sei tu. Scusa, ho risposto senza guardare chi fosse.» Il giovane, accomodato sul divano della sala nel suo appartamento, assunse un’espressione contratta.

«Si può sapere che succede? Ho provato a chiamare Asia prima ma non mi ha risposto.» La donna tentennò. Non sapeva cosa dire. «Michela, allora? Perché pensavi fosse Asia al telefono? Non è con voi?» «No, non c’è.» «E dove è andata, scusa?» Di nuovo Michela si trovò in difficoltà. Tacque, facendosi aria con la mano libera. Gocce di sudore le scorrevano sulla pelle. Emanuele si spostò sul bordo del divano. «Dov’è?» ripeté con una certa ansia nella voce. «Non lo so.» «Che… che… significa?» «È scappata, Emanuele. È scappata e non sappiamo dove cercarla.» Il ragazzo spalancò gli occhi incredulo. Non disse niente per un lungo istante. Alla fine, si alzò, riprendendo a parlare. «Vengo là.» «No, non serve. Ci pensiamo noi.» «Vengo là.» Emanuele riattaccò e si precipitò in camera. Michela rimise il cellulare in borsa. «Ha detto che viene.» Cristiano non ribatté. Si limitò a mettere un braccio intorno alla vita della sorella incamminandosi con lei in Piazza del Duomo.

4.

Lo stereo diffonde nella sala una musica per pianoforte. La tavola è apparecchiata per due e al centro di essa campeggia un candeliere. Emanuele esce dalla cucina con una bottiglia di birra e un paio di calici. Posa tutto sulla tovaglia di un bianco immacolato. Controlla l’orario dal pendolo appeso accanto alla porta d’ingresso e tira fuori dalla giacca una scatolina. La guarda con emozione, le dita traballano un po’. Fa scattare la chiusura e il coperchio si apre rivelando la presenza, su un cuscinetto di stoffa grigia, di due anelli di fidanzamento. Zaffiri di un blu intenso riflettono la luce delle lampade. Prende la fede più piccola e la inserisce in un calice. Poi ci versa della birra. Il camlo suona. Ripone il bicchiere al proprio posto, nasconde in tasca la confezione e va ad aprire. Sorride vedendo Asia. La saluta con un bacio sulle labbra. «Sei stata puntuale.» La ragazza entra sfilandosi il cappotto. Lo butta sul divano. «Ogni tanto capita anche a me.» Annusa l’aria. «Mmh… che hai cucinato di buono? Si sente un profumo fantastico.» «Niente di che, arrosto e patate.» Asia si avvicina al tavolo. «Come mai tutta questa cura?»

Si fa spiazzata. «Oddio non dirmi che mi sono dimenticata qualche anniversario…» «No, tranquilla.» «Ah meno male… mi era venuto quasi un colpo.» Emanuele si accosta alla fidanzata e le porge il calice. Solleva il proprio per brindare. «A noi.» «A noi.» Asia ridacchia. «Brindare con la birra è alquanto originale.» «È vero… ma a te non piace nessun altro alcolico?!» La ragazza si porta il bicchiere alle labbra, osservata dall’altro con trepidazione. Beve di un fiato. Emanuele sgrana gli occhi. «No, aspe…» Si sporge su di lei nel tentativo di sfilarle il calice ma non fa in tempo. Asia si porta una mano alla gola. Deglutisce più volte. «Che diavolo…» Fa una smorfia. «Che diavolo c’era dentro?» Il giovane si copre il viso disperato. «Emanuele?»

«Asia… Asia scu… scusami… io… io…» «Manu che diavolo c’era?» Il fidanzato le stringe una spalla. «È meglio… è meglio che… che ti… ti rimetti il… il cappotto.» «Perché?» «Dobbiamo… dobbiamo andare… al… al pronto so… soccorso.» Asia impallidisce. «Hai… hai appena ingoiato… il… il tuo… tuo anello di… di fidanzamento» aggiunge Emanuele mortificato. La ragazza rimane senza parole. Con gesti meccanici indossa il soprabito, aiutata dal compagno. Lascia l’appartamento con lui.

Firenze era una distesa di luci, suoni e colori notturni. La luna, impressa su un cielo nero pece, riversava i suoi riflessi sul parabrezza della Mercedes di Emanuele. Il giovane, al cellulare, mise la freccia e svoltò in una stradina secondaria. «Marco non posso farci niente se l’addio al celibato salta.» Contrasse la fronte rallentando. A pochi metri da lui c’era l’albergo Rispoli. «Devo capire che sta succedendo. Asia…» Parcheggiò. Si ò una mano sul volto, angosciato. «Asia ha qualcosa che non va.» Si appoggiò con la testa allo schienale. Chiuse gli occhi. La bocca tremò, curvandosi nel dispiacere. «Ti chiamo appena so qualcosa, ciao.»

Interruppe la telefonata. Restò qualche attimo fermo, nel tentativo di raccogliere i pensieri. Poi scese dalla macchina ed entrò nell’hotel. Accanto al bancone della reception, lo aspettavano Michela e Cristiano. Andò loro incontro. «Allora? Ci sono novità?» «No, niente» rispose Cristiano. Emanuele serrò un pugno sul fianco. «Voglio sapere cosa c’è che non va.» I fratelli si scambiarono un’occhiata preoccupata. Poi, la donna prese il giovane sottobraccio. «Parliamone nella mia stanza, vieni.» Emanuele si strattonò irritato. «No, voglio saperlo adesso!» Michela rimase in silenzio, incapace di trovare qualcosa di decente da dire. «Asia è un po’ confusa» intervenne Cristiano. Emanuele si ò le dita tra i capelli avanti e indietro, spettinandoli. «Manu non fare così. Vedrai che si rimette tutto a posto» disse Michela. Il giovane si avvicinò alle poltrone della sala relax e si lasciò cadere seduto su una di esse. Piegò il busto in avanti, adagiando le braccia sulle cosce. Puntò lo sguardo al pavimento coperto dal parquet. Non parlò per minuti che assunsero la consistenza di ore, di giorni persi. Davanti agli occhi il viso di Asia, nelle orecchie la sua voce. Respirò a fondo, più volte.

«Di… ditemi co… come stanno le… le co… cose» disse a fatica. Sollevò il volto al camino spento. Incrociò le dita e le strinse.

È seduto con la schiena contro una parete della sua casa Emanuele. Una gamba è piegata al petto, l’altra è distesa. Preoccupato, gira il viso alla porta del bagno, accanto a lui. «Come procede?» Si sente terribilmente in colpa per come è andata a finire la serata. Nella sua immaginazione, a quest’ora, doveva stare in camera da letto insieme ad Asia a coronare il fidanzamento. «Niente… resterò qua dentro per il resto della mia vita!» La voce della ragazza gli arriva smorzata da uno sbuffo contrariato. «Devi pazientare, il medico ha detto che il lassativo ci mette un po’ a fare effetto!» Nessuna replica. Il giovane bussa contro lo stipite. «Ehi hai sentito?» Dall’interno della stanza, Asia, sul gabinetto, agita le braccia in un gesto di esasperazione. «Sì, sì ho sentito! Però dico io, come ti è saltato in mente di farmi uno scherzo del genere?» Urta con il gomito contro il contenitore della scopetta del water rovesciandolo a terra. L’acqua al suo interno si sparge sul pavimento. Incredula, scuote il capo. «Non potevi farmi la proposta come tutte le persone normali di questo mondo?» «Non volevo essere banale.»

«Di sicuro non lo sei stato, visto che adesso dovremo ripescare l’anello dalla mia cacca.» Emanuele alza il viso al soffitto, si mordicchia un labbro osservando le ombre create dal lampadario, una sequenza di forme indistinte aggrappate tra mura e quadri. «Asia…» Si blocca, incapace di proseguire. Il cuore lo sente correre, un cavallo imbizzarrito. «Che c’è?» «Senti… però, a parte il casino, non mi hai risposto.» Asia ammutolisce, senza distogliere lo sguardo dalla porta. Può immaginarselo Emanuele anche se non lo vede. È come se ce l’avesse di fronte con i suoi occhi grandi e blu, la fronte corrucciata e le labbra strette d’emozione. In fondo, gli piace pensare di svegliarsi la mattina e di vederlo accanto a sé, di percepire il suo profumo ovunque, di sentirlo respirare nel silenzio della notte. «Tu non mi hai fatto nessuna domanda» dice, rapita da un senso di stordimento. Il ragazzo avvampa di rossore. Giocherella con un lembo della sua maglia. Prende più volte aria e alla fine, appena sente di avere sufficiente coraggio, parla. «Vuoi sposarmi?» Asia è travolta da un’ondata di calore. Strappa pezzi di carta igienica, sparpagliandoli ai suoi piedi. Si ferma. «Sì» bisbiglia. Posa l'attenzione sulle piastrelle, diventate una pozza di acqua e carta bianca. «Mi sposi anche se ho fatto un macello qua dentro?» Emanuele annuisce.

«Sì, ti sposerei anche se mi avessi allagato il bagno.» Piega la bocca in un sorriso intriso di dolcezza.

5.

Aveva camminato a lungo Asia, senza neanche guardare la gente. I viottoli del centro storico, le bancarelle degli ambulanti sospese nella notte erano immagini opache. Una folata di vento le sferzò il viso: portava con sé l’odore salmastro dell’Arno. Prese dalla borsa il cellulare. Lo schermo segnalava diverse chiamate di Michela, Cristiano ed Emanuele. Selezionò dalla rubrica il numero del fidanzato. Gli occhi le bruciarono di lacrime. La mano tremò. Gettò di nuovo il telefonino nella tasca anteriore. Tirò su con il naso. «Vigliacca.» Rallentò l'andatura e si bloccò in mezzo alla strada. Da un locale, a pochi metri da lei, sentì il suono di una chitarra acustica e una voce roca e calda. Si voltò verso di esso. Parecchie persone erano raccolte sulla soglia e all’interno. Alcune battevano le mani al ritmo del brano. Le ginocchia vacillarono, quasi fossero diventate di marzapane. Fece qualche o avanti e, incerta, s'introdusse nel pub. In fondo alla sala, su un palchetto, un ragazzo si esibiva. Lo sguardo s’incollò d’istinto su di lui, sul suo viso incorniciato da una barba incolta, sui capelli castani un po’ mossi, sugli occhi color cioccolato, una notte di primavera, la sua notte di primavera. Quella che le aveva tolto ogni certezza. «Federico» disse in un fiato.

Si sente un profumo invitante nella sala del ristorante scelto per il futuro matrimonio. Asia ne ha le narici pregne. Seduta ad un tavolo accanto ad Emanuele, osserva, muta, i suoi genitori e quelli del fidanzato. Adele, sua madre, parla con un sorriso aperto e cordiale. Ha i capelli del suo

stesso biondo miele. «Domani andiamo a vedere le bomboniere. Ne ho viste un paio davvero, davvero carine.» Maria, la suocera, si versa dell’acqua e quando lo fa il nugolo di braccialetti sul suo polso destro tintinna. «Ottimo, se non ci si muove d’anticipo in queste cose poi si resta fregati.» «Infatti, è quello che cerco di far capire ad Asia.» Asia alza gli occhi al soffitto, in un moto di fastidio. Emanuele le dà un colpetto su una gamba. «E dai, pazienta» le dice a bassa voce. «È un assillo, non puoi capire.» «Okay, però non ha tutti i torti. Non possiamo fare tutto all’ultimo.» «Mancano due mesi.» «E ti sembra tanto?» La ragazza prende un bicchiere d’acqua e fa qualche sorso, dando un’occhiata alla sala circondata da grandi finestre e scaldata da luci arancio. All’esterno, un giardino tagliato all’inglese si perde tra le ombre della notte. Vittorio, suo padre, incrocia le mani a tavola e si rivolge a Emanuele. «E per la casa? Siete andati a vedere quella villetta?» «Non ancora, Asia è stata impegnata con il lavoro.» «E quando ci andate, allora?» «Ho pensato di portarcela nel weekend.» Emanuele fa una carezza alla compagna sulla coscia. La guarda con dolcezza.

«Io l’ho già vista e secondo me è perfetta.» Le dà un bacio sulla tempia. Vittorio si gratta la barba brizzolata, annuendo. «Lo penso anch’io, ma ha bisogno di qualche intervento di ristrutturazione.» Si volta a Claudio, il genero, accomodato al suo fianco. «Pensi che ci si riesce a far tutto nel giro di un mesetto?» «Certamente, ho anche già contattato quel mio amico costruttore e ci dà piena disponibilità.» Dalla cucina, escono un paio di camerieri con i secondi piatti e i contorni. Servono i commensali. Asia abbassa lo sguardo sul piatto davanti a sé. Prende una forchetta e la rigira nel sugo della carne senza decidersi a mangiare. «Che c’è, non hai più fame?» La domanda del fidanzato le arriva ovattata alle orecchie. Tace e contrae la fronte. «Asia?» Adele alza il viso verso di lei. «Che hai tesoro?» Maria le sorride con aria comprensiva. «Non ti devi preoccupare, riusciremo a fare tutto per tempo, vedrai.» «Ma sì, domani le bomboniere, nel weekend la casa, poi facciamo il progetto di ristrutturazione e c’è anche da pensare al vestito, io t’immagino con uno di quegli abiti vaporosi… uno di quelli stile principessa…» la incalza sua madre, mettendo una frase dietro l’altra, senza concedere a nessuno il tempo d’intervenire.

Asia lascia cadere la posata nel piatto impallidendo. Ha le palpitazioni. Si fa indietro con la sedia, chinando il capo e portandosi una mano al petto. Emanuele le si rivolge con preoccupazione. «Asia, ti senti male?» Lei cerca di parlare ma le manca l’aria. Ansima. «Amore?» Il resto dei presenti le lancia occhiate dense di stupore e ansia. Emanuele interviene, facendola alzare. «Ti accompagno un momento fuori.» Asia prende la sua borsa e lascia la sala con il fidanzato, ammutolita e senza colore. Una volta in giardino, appoggia le braccia sulle gambe piegandosi in avanti. Fa ampi respiri, nel tentativo di riprendere il controllo di sé. Quando finalmente riesce a calmarsi, torna in posizione eretta e si volta verso Emanuele. Ha l’impressione di affogare nel topazio delle iridi di lui. «Stai meglio?» chiede il ragazzo con apprensione. Anche quella domanda si perde nel vuoto. Asia apre una mano. «Le chiavi della macchina, dammele» farfuglia. «Cosa? E dove vuoi andare, scusa?» «Puoi tornare con i tuoi, tu» ribatte Asia, come se parlasse tra sé e sé. «Asia, non ti faccio andare via in queste condizioni.» L’ennesima rimostranza del giovane coglie nel segno. Stavolta, la donna reagisce tirandolo per la giacca. «Manu, per favore. Devo andarmene, ho bisogno di andarmene» supplica quasi

piangendo. Il fidanzato esita ancora, ma alla fine cede e le dà le sue chiavi. «Sta attenta e chiamami più tardi.» Asia annuisce, raggiunge la macchina e sale. Un istante dopo è già diretta all’uscita del ristorante, sul viale d’ingresso costeggiato da file di pini e faggi. Alle sue spalle, una nuvola di polvere sollevata dalle ruote.

Non riusciva più a muoversi Asia. Senza forze, sedé di peso su una sedia libera, in un tavolo occupato da una coppia. Federico posò l’attenzione su di lei, mentre le ultime parole del brano gli scivolavano dalle labbra quasi strozzate. Smise di suonare. Nella sala scrosciò un applauso. «Grazie, grazie a tutti, veramente! Siete fantastici!» disse. Mise la chitarra nella custodia e si alzò. Scambiò qualche battuta con alcune ragazze che si erano avvicinate al palchetto. Dopo si avvicinò ad Asia colta da un eccesso di sorpresa e imbarazzo. «Che ci fai qui?» Prima di rispondere, la donna dovette riaversi dal proprio smarrimento. «Niente, ci sono capitata per caso» biascicò intessendo quella replica un po’ alla rinfusa. Il giovane la squadrò dalla testa ai piedi. Si asciugò, con un lembo della maglietta, la fronte. «Okay, senti visto che sei qui, vieni un secondo con me.» «E dove?»

Federico l’afferrò per un polso e la condusse con sé nel retro del locale, nello spogliatoio. Chiuse la porta. «Ti devo ridare una cosa» spiegò. Si chinò sul suo zaino, ai piedi di una panca. Prese dalla tasca anteriore venti euro e glieli restituì mettendoli sul palmo della sua mano. «Sono tuoi, questi.» Asia guardò i soldi prima stupita e poi mortificata. «Scusami.» «Non serve che ti scusi.» «E invece sì.» Federico incrociò le braccia al petto, appoggiandosi al muro. «Tuo marito dove l'hai lasciato?» «Non sono ancora sposata.» «Ah pensavo fossi in luna di miele.» «No, veramente ero qui per l'addio al nubilato.» Il musicista sogghignò sarcastico. «Fai le cose in grande.» Asia buttò i soldi a terra, irritata. «Smettila con questo atteggiamento! So bene che mi sono comportata da merda, ma più che scusarmi non so che altro fare.» «Ma dai, Asia. Ti stai scusando perché mi hai beccato qua.» «È da parecchio che penso di farlo, invece.»

«Strano, perché a me non è arrivata neanche una chiamata e non usare la scusa del numero. Potevi cercarmi su internet o chiedere a quello del pub.» La ragazza sedé sulla panca. Abbassò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe. «Avevi ragione tu, quella sera.» Giocherellò con l'anello, ruotandolo sull'anulare. «Avrei dovuto chiarirmi subito le idee. E invece...» Tacque, poi riprese a parlare. «Ti ho pensato spesso in questi due mesi.» Federico aggrottò la fronte, affondando le mani nelle tasche dei jeans. «Anch'io.»

Chitarra acustica. Voce di velluto. Applausi. Il pub irlandese è pieno di persone sedute ai tavoli o in piedi, vicino all’ingresso. Al centro della sala, Federico su uno sgabello si esibisce con un pezzo dal sound folk. I presenti battono le mani a tempo. Boccale di birra in una mano, Asia, accomodata al bancone, ascolta e termina di bere. Una ruga di angoscia le incide il centro della fronte. Accavalla le gambe e muove un piede su e giù. Si rigira al barman e gli mostra il bicchiere vuoto. «Me ne dà un’altra per favore?» Dà un’occhiata al cellulare sul bancone. Il display segna diverse chiamate perse. Scrive un messaggio. “Sono in un locale a Latina, ci sentiamo domani. Non preoccuparti, sto bene.” Lo invia a Emanuele. Lo spettacolo termina. Ai ringraziamenti del giovane, seguono fischi di

approvazione e poi, al silenzio sceso nella sala, si sostituisce il brusio dei clienti. Il barman serve l’altra birra. La ragazza la prende e ne beve quasi la metà come se fosse acqua. Un calore improvviso le arrossa le guance. China un po’ il capo. «Ce l’hai un aggio per tornare a casa, dopo?» Una voce la fa voltare di lato. Al suo fianco vede il musicista con le braccia sul banco e lo sguardo su di lei. «Che hai detto?» chiede un po’ confusa. Il ragazzo le indica la birra divertito. «Se bevi a questo ritmo finisci ubriaca nel giro di poco.» «Ah ma no, no mi faccio solo questa.» «Lo dico sempre anch’io e poi mi ritrovo ubriaco.» Fa segno al barista di servirlo. «Una anche per me!» Asia appoggia il viso su una mano. «Sei bravo, lo sai?» «Grazie.» «Dovresti farlo come mestiere.» «L’idea è questa, in effetti.» «Ce l’hai un manager?» Il giovane afferra la sua birra e fa un sorso ridacchiando. «Ti stai proponendo?» La ragazza abbozza un sorriso.

«No, facevo solo conversazione.» «Okay, allora facciamola meglio.» Il cantante le porge la mano. «Federico.» Asia gliela stringe. «Asia Rinaldi, piacere.» «Allora, Asia Rinaldi…» «Mi prendi in giro?» «No, però è buffo che ti sei presentata con nome e cognome.» «Scusa, non sono in me.» «No, perché? È una cosa carina, invece.» Federico si accomoda sullo sgabello. «Com’è che sei qui tutta sola?» «Avevo bisogno di una pausa.» «Una pausa da…?» «Dalla mia vita.» «Mmh… brutto periodo?» «Periodo di merda.» «Ahia.» Asia posa la testa sul bancone. «Non so che devo fare.»

«Ma che ti è successo?» «Dovrei sposarmi tra un paio di mesi.» La ragazza sente la testa pesante, le sembra di avere un macigno sulle spalle. «Ma non so più se voglio farlo.» «E da dove ti viene questo dubbio?» Asia torna dritta. Gesticola e parla in fretta. «Non lo so, non lo so neanche io. Insomma, stasera stavamo tutti alla cena di prova del matrimonio e mamma parlava, parlava, papà parlava, parlavano tutti, parlavano pure i miei suoceri che di solito non parlano mai…» «Be’ sì, che maleducati, parlare durante una cena.» «Il punto è che all’improvviso, mentre tutti parlavano e parlavano io… io mi sono sentita fuori posto. Non so se hai capito che voglio dire.» «Di sicuro ho capito che hai una famiglia di chiacchieroni.» «Grazie, sei di molto aiuto.» «No, dai, scusa. È che sei un po’ brilla, credo.» Federico si protende verso di lei. «Ti sei resa conto che hai fatto un discorso un tantino sconclusionato?» Asia nasconde il viso nelle mani. «Non lo so, mi sta scoppiando la testa.» Federico mette il boccale sul bancone. «Devi schiarirti le idee.» Si alza.

«Ti va un giretto al mare?» Asia gli lancia un’occhiata accigliata e poco convinta. Riflette per qualche istante e poi risponde, sollevando il dito indice. «Okay, ma andiamo con la mia macchina e guido io.» «Ma tu sei brilla.» «O così o niente.» Il giovane fa spallucce. «Va bene, fammi solo recuperare le mie cose.» Si allontana, mescolandosi alla folla. La ragazza lascia i soldi delle consumazioni al barman, incrocia le braccia e aspetta che il cantante ritorni.

Federico andò a sedersi accanto ad Asia. «Ci ho fatto una canzone sul nostro incontro.» «Davvero?» «Sì, effetto catartico. Ho pensato mi sarei sentito meno scemo.» «Non sei scemo. La colpa è mia.» «Be' comunque non ha funzionato.» La ragazza gli accarezzò una mano. «Sono stata benissimo quella notte, così bene che... che poi ho avuto paura.» Il musicista incrociò le dita con le sue, la guardò in attesa che proseguisse. «Non credevo di poter sentire per qualcun altro certe sensazioni. È stata una

bomba.» «E allora perché non mi hai cercato?» «Perché non sapevo cosa fare.» Asia adagiò le dita sulla guancia di lui. Il contatto con la sua barba la fece rabbrividire. «Non eri previsto, niente di tutto questo era previsto.» Federico chiuse gli occhi. «E che vuoi fare, allora?» Asia lo abbracciò. «Capire cosa voglio, sul serio.» Lui la strinse a sé, baciandola su una guancia. «Dirai la verità a…» La domanda fu interrotta dallo squillo del cellulare di Asia. La donna si scostò e prese il telefonino. Quando vide lampeggiare il nome del fidanzato, rispose suo malgrado. «Manu...» «Dove sei, Asia?» «Hai sentito Michela e Cristiano?» «Sono a Firenze.» Asia sgranò gli occhi stupita. La gola si chiuse. «Puoi tornare in albergo?» «S...sì» ribatté con un filo di voce e riattaccò.

Si massaggiò la fronte snervata. «Era lui?» chiese il musicista. «Sì, è qui.» «Se non te la senti non ci andare.» «No, a questo punto non posso più rimandare.» Federico le strinse una mano. «Se vuoi ti accompagno.» «Grazie, ma è meglio di no.» Asia guardò il cellulare. «Dammi il tuo numero.» Il giovane sorrise. Glielo dettò. Lei lo registrò in rubrica e uscì dal retrobottega riunendosi alla folla del locale.

Sono ai piedi di un pontile consumato dagli anni Asia e Federico. Di fronte a loro, il mare. La spiaggia e il mare. L’unica fonte d’illuminazione deriva dai lampioni della strada, il resto è buio. «Scendiamo?» esordisce il cantante. Asia tentenna. «E su!» Federico la prende per mano e si avventura sulla sabbia con lei. La ragazza barcolla, i tacchi le rendono precario l’equilibrio. Si regge al braccio di lui per evitare di cadere.

«Dovresti toglierti le scarpe» dice il musicista sbirciandola di traverso. «Non esiste proprio.» «Oh dai, che pensi di beccare?» «Niente, ma non ne ho voglia.» «Certo che te spirito di avventura, uguale a zero.» Asia sbuffa. «Okay, okay siamo qui per rilassarci, fa come vuoi, io però…» Federico si slaccia le scarpe sportive. «Ho voglia di camminare scalzo.» Se le sfila insieme ai calzini appallottolandoli dentro di esse, risvolta i jeans e poi riprende a eggiare portandosele dietro, per i lacci. Sorride. «Non puoi capire che sensazione favolosa.» Asia, senza dire niente, volge l’attenzione al Tirreno. La luna traccia sull’acqua una striscia d’argento. Le onde s’infrangono a riva in un moto lento e regolare. Chiude gli occhi, li riapre e torna a guardare il musicista. «Che altro fai, oltre a suonare?» «Lavoro.» «Cioè?» «Riparo macchine, sto in un’officina durante il giorno. E tu?» «Ingegnere.» «Immaginavo fi qualcosa di simile.» «E perché?»

«Perché mi sembri una pratica.» Federico si ferma sul bagnasciuga. «Scommetto che anche questa storia del matrimonio è uscita fuori perché era una cosa logica.» Un’onda, più forte delle altre, arriva fino a lui, bagnandogli i piedi. «Sbaglio?» Asia non risponde. Si siede in terra, a gambe incrociate. «Stiamo insieme da undici anni io ed Emanuele.» Disegna dei cerchietti sulla sabbia. «Mi sembrava naturale dirgli di sì.» Federico si rivolta alla ragazza. «Come fai a sapere che lui è la persona con cui are il resto della tua vita se non hai conosciuto altro?» «Ci sono persone che non hanno bisogno di conoscere altro, per saperlo.» «Tu sei come quelle persone?» Asia fa un grosso respiro. Prende una manciata di sabbia e la lascia scivolare via dalle dita lentamente. «Credevo di sì.» Federico va a mettersi accanto a lei. Lascia le scarpe al suo fianco e tira una gamba al petto circondandola con le braccia. Posa il mento sul ginocchio. «Forse non ci hai riflettuto abbastanza sulle implicazioni di quel sì.» Asia si sdraia. Solleva la mano con l’anello di fidanzamento davanti agli occhi e poi la chiude a pugno adagiandola sul seno.

«Tu che faresti al mio posto?» «Non ne ho idea, io ho avuto solo storie lampo.» «E perché? » «Perché l’amore mi è sempre scoppiato in faccia.» «Forse non hai mai incontrato la persona giusta.» «No, cioè, diciamo che ogni persona con cui sono stato ho sempre pensato fosse quella giusta, quella adatta a me, insomma.» Federico si distende a terra con le mani sul ventre. Sospira. «Ma ho sempre sbagliato, a quanto pare.» Asia punta lo sguardo al cielo consumato dalle stelle. «Mi dispiace.» «Per cosa?» «Per quello che hai appena detto.» «Grazie. È un pensiero carino.» Federico le sfiora i capelli. «Tu fai e dici cose molto carine.» Asia gira la testa nella sua direzione. «E da dove l’hai dedotto?» Il giovane tace per un po’, esaminandola. Poi, fa scivolare le dita sulla sua guancia. «Da come ti sei presentata nel locale.» Sulla bocca.

«Da come ti sei mossa quando siamo scesi in spiaggia.» Sul petto. «Da quello che hai appena detto.» Si sporge, restando con le labbra a pochi centimetri da quelle di lei. Il suo fiato caldo è un tutt’uno con quello dell’altra. Si avvicina di più fino a sfiorarle la bocca. Non vedendo opposizioni, la bacia facendola mettere di fianco. L’accarezza tra le cosce. Asia infila la mano sotto il maglione. Il contatto con la sua pelle le ruba il fiato. Gli slaccia i jeans e abbassa i boxer toccandolo nella sua intimità. «Sono abbastanza avventurosa, adesso?» bisbiglia, mordicchiandogli un labbro. Il giovane emette un gemito di piacere. Le abbassa slip e pantaloni con frenesia. Si alza un po’ con il busto guardandola con desiderio. Le stringe i seni sulla maglia e ricomincia a baciarla. Il rumore del mare assorbe e cancella i loro sospiri.

6.

La hall dell’albergo era illuminata da luci ocra. Ombre informi piovevano come lacrime su Emanuele ancora in poltrona. Sul divano accanto, Michela e Cristiano tacevano fissando, di tanto di tanto, l'entrata. «Avreste dovuto dirmi tutto subito» disse Emanuele. «Pensavamo fosse solo un momento di panico» ribatté Michela. «Un momento? Solo un momento? Ma se a meno di due settimane dalle nozze non ha neanche un vestito!» «Sì, ma avrebbe dovuto prenderlo oggi.» La porta automatica si spalancò scivolando leggera sui battenti. Tutti si girarono verso di essa. Sulla soglia, c’era Asia. Emanuele si alzò e l’osservò ammutolito. La ragazza ebbe qualche attimo di esitazione, dopo entrò, raggiungendolo. Michela fece per parlare, ma Cristiano le intimò di tacere con un gesto. Quindi, si allontanò con lei lungo il corridoio. Asia abbassò lo sguardo scansandosi i capelli dietro le orecchie. Emanuele si ò le mani sul viso. Le parole gli si agitavano tra bocca e cuore in un vortice. La domanda, l’unica domanda che avrebbe dovuto fare, se ne restava aggrappata al suo palato. Gli ci vollero diversi minuti di attesa per trovare dentro di sé la forza necessaria a pronunciarla.

«Non… non mi… mi…» Si colpì una coscia con un pugno. Detestava balbettare. Respirò. «Non… non mi vuoi più… spo…spo… sposare?» Asia sentì le lacrime salirle agli occhi e annebbiarle la vista. «Rimandiamo le nozze» riuscì a dire solo questo. Emanuele restò senza fiato. La sua pelle divenne quasi trasparante per lo shock. Si resse a un bracciolo della poltrona. Deglutì più volte ma non aveva più salivazione. «I…i…io non… non ca… ca… capisco.» Asia tornò a guardarlo. Piangeva. «Perdonami, Manu.» «Mi… mi ha… hai detto di sì!» «Lo so che cosa ti ho detto.» Asia si mise a braccia conserte, stringendosi nelle spalle. «E ti giuro che all'inizio mi sembrava una buona idea. Per mesi mi è sembrata la cosa più giusta da fare. » Chiuse gli occhi, prendendosi una pausa. Li riaprì terminando il discorso. «Ma poi... poi è cambiato tutto.» «Poi? Poi... qua... quando?» «La sera della cena, quella di prova.» «Non... non ci... ci... che... che è cambiato?»

«Tutto. Sono stata presa da mille dubbi.» «Perché me... me lo dici so...solo ora?» «Perché ero convinta fossero sensazioni eggere. E invece, dopo, è diventato tutto sempre più grande e ingestibile e io mi sentivo soffocare e poi...» Il giovane aprì un po' la bocca per respirare. Stava andando in iperventilazione. Asia tenne lo sguardo inchiodato a lui. Avrebbe preferito strapparsi la lingua piuttosto che confessargli tutta la verità ma non poteva continuare a mentire. Quel silenzio le aveva tolto ogni forza, ogni lucidità, ogni sonno. Doveva dire tutto per il bene di entrambi. «Sono stata con un uomo, quella notte.» Emanuele non emise neanche un suono. Nessuna parola, nessun respiro. Niente. Con gesto meccanico si sfilò la fede. Ne studiò i dettagli sul palmo aperto. Gli zaffiri assorbivano le luci delle lampade e le restituivano in riflessi blu. Serrò a pugno la mano, tremando. Gettò addosso ad Asia l’anello e si diresse a i celeri verso l’uscita dell’hotel. La ragazza restò immobile, paralizzata dalla propria ammissione. Non ebbe neanche il coraggio di dire o di fare qualcosa. Dietro di lei, la porta si aprì e si chiuse inglobando Emanuele nel proprio grembo.

È di un rosa pallido l’alba sul lungomare latinense. Inesorabile, annienta le ultime tracce di buio sospese in un angolo del cielo. Le onde lambiscono il bagnasciuga e portano via qualche conchiglia. Con le gambe intrecciate, Asia e Federico dormono stretti l’una all’altro. La ragazza muove le palpebre e dischiude gli occhi. Le ci vuole qualche attimo per abituarsi alla luce. Sbadiglia e trattiene lo sguardo sul musicista. Percorre con le dita la linea regolare del suo viso, la barba, la bocca carnosa. Corruga la fronte. Il suo anello di fidanzamento brilla investito dal sole. Si mette a sedere ricomponendosi.

Federico mugugna. Si stiracchia andosi le mani sul volto e dopo posa l’attenzione su di lei. «Ciao» dice con la bocca impastata di sonno. Asia non risponde, limitandosi a un mezzo sorriso. Afferra la borsa e si alza. Il ragazzo fa lo stesso. Le accarezza una guancia. «Ciao…» ripete. La donna si scosta, stringendosi nelle spalle. «Che ti prende?» le chiede Federico. Asia si avvia al pontile, arrancando sulla sabbia con difficoltà. «Torniamo a casa.» Il giovane prende le scarpe e la segue senza dire niente. Tornati in strada, raggiungono la macchina e salgono a bordo. Asia, al voltante, si scansa indietro i capelli. Batte con fare nervoso le dita sul cruscotto. Si volta al musicista. Prima che possa parlare, lui le sorride con dolcezza. «Mi dai il tuo numero di telefono?» Spiazzata, resta qualche secondo in silenzio, poi scuote la testa. «No, no che non te lo do! Quello che è successo, non doveva succedere. Io non dovevo farlo succedere.» «Ma è successo, però.» «Non importa.» «Asia...» «No, tu non capisci.»

La ragazza scende dall’automobile. Cammina avanti e indietro. «Stiamo insieme da una vita, io e Manu! Le nostre famiglie si conoscono, facciamo le vacanze insieme!» Affonda le mani nei capelli. «Non posso mandare tutto a puttane per… per te che neanche ti conosco!» Federico s’infila le scarpe e senza allacciarle raggiunge Asia. «Non ti sto dicendo che non devi sposarti per me.» «E allora, che cosa vuoi?» «Conoscerti.» «È fuori discussione.» «Non puoi andare all’altare con tutti questi dubbi.» «Sono innamorata di Emanuele.» «Se lo fossi stata, non avresti fatto sesso con me.» La ragazza serra le labbra, irrigidendo la mascella. Tira fuori lo zaino e la chitarra del cantante e li posa sul marciapiede. «Che stai facendo?» Mette in mano al giovane venti euro. Federico guarda i soldi confuso. «E questi che sono? Che ci dovrei fare, scusa?» «Ci chiami un taxi.» «Cosa?» Asia torna in macchina. Mette in moto e senza consentire al musicista di dire

altro o di opporsi si allontana a grande velocità. Federico apre le braccia sconcertato e le rilascia sulle gambe sbattendole.

Un anno dopo

7.

Trasmetteva un pezzo di Federico la radio sul cruscotto della macchina di Asia. Un brano di acuta malinconia. La donna, incastrata nel traffico romano di via Nazionale, sbatté una mano sul volante spazientita. Le auto in fila davanti a lei erano parecchie e procedevano a o d'uomo. Lanciò uno sguardo ai negozi. I cartelli con i primi saldi tempestavano le vetrine. Luglio stava arrivando. La canzone terminò e sulle note di chiusura s'impose la voce del DJ. «Bene, bene, abbiamo ascoltato Ricordi, pezzo che sta riscuotendo un grandissimo successo ma facciamocelo raccontare direttamente da Federico quanto sta piacendo alla gente la sua canzone! Allora, Federico te l'aspettavi tutto questo entusiasmo intorno al tuo primo singolo?» «Sinceramente no, ma non posso certo negare che mi faccia piacere.» «La tua è una canzone d'amore, cosa te l'ha ispirata? Una donna realmente conosciuta?» «Be' sì, tutti i miei pezzi sono "storie vere", più o meno.» «Ah ma senti senti, e chi sarebbe questa misteriosa ragazza dai capelli biondo miele e gli occhi caffellatte?» «Una, nessuno e centomila.» Asia mise la freccia e svoltò a via Parma. Rallentò, facendo attenzione a leggere i numeri civici delle abitazioni presenti in quella via. «Non me lo vuoi dire... deve essere proprio speciale, allora.»

«Ogni persona a cui tengo lo è, a modo suo.» «Grande risposta, Fede» bofonchiò la ragazza parcheggiando. Spense lo stereo e scese dalla macchina. File di platani decoravano il viale, ombreggiandolo. Si fermò nei pressi del portone di un palazzo d'epoca. Controllò che fosse aperto. Sorrise: era solo accostato. Entrò e mentre camminava nell'androne prese il cellulare e spedì un SMS a Federico. “Bell'intervista, ma quel tipo è un impiccione!” S’infilò nell'ascensore, datato anch'esso. Tesa, spinse il pulsante del quarto piano. Un trillo segnalò l'arrivo di un messaggio. Lo lesse. “Grazie, ma ne sono uscito alla grande. Tu... come stai?” La ragazza si appoggiò alla parete, rispondendo. “Nervosa.” Prese aria. Terminò di scrivere. “Ma speriamo in bene. Tu ricordati che faccio il tifo per te.” Inviò. Un tintinnio avvertì che era arrivata a destinazione. Uscì sul pianerottolo. Rimise il telefonino in borsa e restò immobile, a poca distanza da una porta. Su di essa, una targhetta con il cognome Spaziani. Esitò con le dita sul camlo e alla fine si decise a suonare. Qualche istante dopo, Emanuele le aprì. Sul suo viso era impressa un'espressione di assoluto stupore. La sorpresa, però, lasciò subito il posto alla rabbia. «Chi ti ha detto dove abitavo?» «I tuoi ex colleghi.» Il giovane aggrottò la fronte. «Se pensi che abbia voglia di ascoltarti ti sbagli di grosso.»

Fece per chiudere la porta, ma Asia glielo impedì bloccandola con un piede. «Hai tutte le ragioni per odiarmi ma io ho bisogno di parlarti.» «Io no.» Emanuele la scansò e la chiuse fuori. Asia suonò di nuovo. «Manu, fammi entrare!» Nessuna risposta. Bussò. «Manu, non me ne andrò da qui finché non mi avrai ascoltata!» La sua voce echeggiò da un angolo all'altro del piano. Si sedette vicino all'entrata. Mise i gomiti sulle gambe e adagiò il mento sulle mani incrociate. Spiò la casa. Per diversi minuti, non accadde nulla. Poi la porta si dischiuse ed Emanuele si affacciò dalla soglia. «Hai dieci minuti, non di più.» Asia sorrise. Scattò in piedi e corse nell’appartamento. Il giovane la squadrò. «Ti sei fatta i capelli mossi.» La ragazza si toccò d'istinto una ciocca. «Sì, ma è solo una messa in piega. Vanno via, dopo.» Giocherellò con i manici della borsa. Il cuore gridava, dandole una staffilata di emozione. «Io... io ti amo.» Si morse la lingua. Non era così che voleva iniziare quel discorso. Si era ripetuta

un centinaio di volte le cose da dire, una dopo l'altra, di fronte allo specchio e di fronte a sua sorella e suo fratello. Quella frase doveva essere la chiusa, non certo l'inizio. Emanuele s'irrigidì all'istante. «Hai davvero una bella faccia tosta. Vieni qui, a dirmi che mi ami dopo tutto quello che mi hai fatto? Come se due moine bastassero a cancellare ogni cosa!» Era un fiume in piena il ragazzo. Preso dalla collera, non consentiva ad Asia di aprire bocca. «Cos'è il tuo uomo ti ha mollata e adesso sei tornata da me?» Asia sobbalzò a quell'affermazione ironica. «No, non è...» Di nuovo Emanuele la interruppe, parlandole sopra. «Pensi che io sia scemo fino a questo punto? Pensi che accetterei di essere il ripiego di qualcun altro? Pensi sul serio che ti possa perdonare di essere andata a letto con un altro?» «Fammi spiegare, porca miseria!» urlò la ragazza. Il giovane si azzittì. Il fiato corto per l'agitazione. «Tu hai ragione, ho sbagliato tutto. Tutto, non c'è una cosa che ho fatto come si deve. Ma...» Asia aprì la borsa. Ne estrasse una scatola. «Ma in questi mesi, ho finalmente capito che l'unica persona con cui voglio stare, l'unica persona con cui ho voglia di svegliarmi ogni mattina...» Sollevò il coperchio, mostrando al ragazzo i loro anelli di fidanzamento tenuti insieme da un nastro rosso. «Sei tu, Manu. Tu e nessun altro.»

Il ragazzo tacque, contratto. Abbassò lo sguardo sulle fedi. «E sono disposta ad aspettarti, a concederti tutto il tempo di cui hai bisogno.» Asia posò la confezione su un tavolino, di fronte a un divano bianco. «Non scapperò più.» Guardò il giovane ancora per un momento e dopo si diresse all'uscita. «E quello? Che fine ha fatto quello? L'hai più visto?» chiese Emanuele, senza mutare posizione. Asia si bloccò di fronte alla porta. «L'ho frequentato per un po'...» Si girò al ragazzo. «Ma alla fine, siamo rimasti solo buoni amici.» «Chi è?» Asia fece per rispondere ma Emanuele la bloccò. «No, no ho cambiato idea. Non lo voglio sapere, non m’interessa.» «Okay, come vuoi.» La ragazza mise piede sul pianerottolo. Prima di andarsene, si rivolse ad Emanuele un’ultima volta. «Tu non balbetti più.» Il giovane distolse lo sguardo da lei. «Sì, ho deciso di risolverlo quel problema.» Asia sorrise e andò via. L’ascensore era ancora là. Entrò, spinse terra e mentre scendeva posò la testa contro la parete, facendo un respiro profondo.

8.

L’abbacinante luce del primo mattino inondava la sala di Asia. Le tende, accoccolate agli angoli delle finestre, si muovevano appena sfiorate da un vento caldo. «Si è fatto vivo Emanuele?» Michela, seduta al tavolo della cucina con la sorella e il fratello, fece la domanda addentando una ciambella al cioccolato. Asia, viso adagiato su una mano, girò il cucchiaino nel caffè con aria sconsolata. «No e a questo punto penso abbia scelto di restare sulla sua decisione. Ormai è quasi un mese che aspetto.» Cristiano versò un mucchietto di cereali nella sua tazza e li bagnò con del latte tiepido. «Be’ sorellina, noi te l’avevamo detto però. Emanuele sarà pure un bravo ragazzo ma non è certo un santo.» Michela ingoiò l’ultimo pezzo di dolce, prese un tovagliolo e si pulì le mani. «Se conti che ha preferito trasferirsi a Roma pur di non rischiare di incontrarti, la dice lunga.» Asia bevve il caffè osservando i raggi solari correre da un angolo all’altro della casa, frammentati dalle ombre. Le sembrò quasi di vivere un déjà vù, con l’unica differenza che ora non aveva più Emanuele accanto a sé. E per davvero. Un’assenza alla quale avrebbe dovuto abituarsi. Si alzò e mise la tazzina nel lavello. Aprì l’acqua e restò a fissarla mentre scorreva, lavando via i resti della bevanda e dello zucchero.

«Puoi sempre venire a Londra con noi, questo fine settimana» propose Cristiano masticando. «No, non mi va.» Michela si ravvivò i capelli. «Partire ti farà bene, ti distrai, ti diverti e chiudi con tutta questa storia. Ma che caldo fa, pure oggi?» Asia chiuse il rubinetto e si voltò. «Non è che se lascio l’Italia mi dimentico dell’ultimo anno.» Gonfiò un po’ le guance imbronciata. «Ho fatto solo un gran casino. Mi prenderei a pugni se potessi.» «Eri solo confusa e impaurita, tesoro» disse Michela con atteggiamento materno. «Questo non giustifica quello che ho fatto… insomma… sono andata a letto con un altro!» «Ho capito, ma è inutile starci a rimuginare. Probabilmente avevi bisogno di conoscere Federico per fare chiarezza dentro te stessa.» «Sì, ma alla fine ci ha rimesso pure lui.» «Ma figurati, si starà riprendendo alla grande con il successo che sta avendo» sostenne Cristiano con fastidio. «A te non piace proprio, eh?» replicò Asia con rassegnazione. «Doveva starsene al suo posto.» «Le cose si fanno in due.» «Tu eri confusa e turbata. Ha avuto gioco facile.» Michela alzò le mani.

«Basta, non ricominciate a discutere su questa storia. È roba vecchia.» Asia andò all’ingresso. «Sì, lasciamo perdere che proprio non mi va di litigare.» «Dove vai?» chiese Cristiano. «Ad accendere gli irrigatori.» La ragazza uscì sul portico e, pochi metri dopo, si bloccò di colpo. Sulla strada c’era Emanuele. Una mano infilata nella tasca dei jeans. Gli occhi rivolti ad Asia, l’espressione seria. «Quando sei arrivato?» «Da un po’.» «Perché non hai suonato?» Emanuele alzò le spalle senza rispondere. La ragazza rientrò in casa, aprì il cancello e scese sul vialetto d’ingresso, in attesa. Il giovane fece qualche o avanti, poi, si fermò di nuovo. «Avevo deciso di lasciar perdere.» Soffermò l’attenzione sul viso dell’ex fidanzata percorso da sofferenza, rimorso, pentimento, affetto. Emozioni che poteva riconoscere una ad una. Nella ruga in mezzo alla fronte, nella curvatura della bocca, negli occhi lucidi, nelle spalle strette. Riprese a camminare e si fermò a pochi centimetri da lei. «E lo sono stato fino a pochi minuti fa. Ero venuto solo per restituirti gli anelli.» Mostrò alla ragazza la scatoletta. Asia non emise un suono. Avrebbe voluto dire qualcosa ma si rese conto che le parole le aveva finite tutte. «Poi, però…»

Emanuele sfilò via il coperchio. «Poi, ti ho vista e…» Sciolse le fedi dal nastro. Prese quella di lei e la infilò al suo anulare. Le strinse la mano. «E niente, mi sei mancata, Asia. Non posso pensare di are la mia vita con nessun’altra.» Asia si lasciò vincere dal pianto. Lo abbracciò e chiuse gli occhi, assaporando di nuovo il profumo della sua pelle, dei suoi vestiti, talmente familiare da poterlo riconoscere ovunque, anche tra milioni di altre fragranze. Emanuele la baciò tra i capelli. «Ricominciamo da capo» disse a bassa voce. Asia alzò il viso verso il ragazzo. Adagiò una mano sulla sua guancia e sorrise. Il suo posto non poteva essere che quello.

Ringraziamenti

Se siete arrivati fin qui, significa che avete letto, o almeno avete provato a farlo, questo racconto. È doveroso, per me, ringraziare le mie due editor di fiducia, Valentina e Silvia attentissime a segnalarmi ogni correzione da apportare al testo. Ragazze siete state preziosissime. E un altro grazie va anche a Gabriele, che con pazienza mi ha ascoltata leggere “Nell’incertezza del domani” in un freddo pomeriggio novembrino, dandomi consigli su cosa fosse il caso di cambiare per rendere la vicenda convincente. Non so se sono riuscita nello scopo di divertirvi e farvi un po’ sognare, ma spero, comunque, di non avervi annoiato.

Qualcosa di me

Sono nata a Latina il 5 aprile 1977. La scrittura mi appartiene da sempre e negli anni ho vinto qualche concorso letterario con racconti che sono stati, poi, pubblicati in antologie. Curo un blog personale e un sito web incentrato sulla letteratura, la musica e le arti grafiche. Alcuni dei miei lavori sono stati scelti dalla redazione di Paperblog e inseriti nelle pagine di apertura del portale. Ho collaborato, inoltre, con testate giornalistiche della mia città, nel ruolo di redattrice di cronaca e cultura. Risale al 2011 la mia laurea in lettere, presso l’Università degli studi di Roma Tre. Attualmente scrivo per “Fotovoltaico sul web”, dove mi occupo di energie alternative.

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