Le Fiabe Della Mamma yyj

Grazia Leocata

Le fiabe della mamma

1° volume

Youcanprint Self-Publishing

Copyright © 2012 Youcanprint Self-Publishing Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE) Tel. 0832.1836509 Fax. 0832.1836533 [email protected] www.youcanprint.it

Titolo | Le fiabe della mamma - 1° volume Autore | Grazia Leocata Immagine copertina |© matamu - Fotolia.it ISBN | 9788867517633 Prima edizione digitale 2012

Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941

Le fiabe della mamma

Questo libro è dedicato ai miei figli Diego e Laura, miei primi lettori e critici, e a mio marito Antonio per avermi sostenuto. Un particolare ringraziamento ai miei genitori Salvo e Nuccia che hanno sempre creduto in me facendomi conoscere ed apprezzare i veri valori della vita.

INDICE

INTRODUZIONE

SMITH E WISH

IL TESORO DI BOR E BIR

IL BIANCO RISVEGLIO

LA FORZA DI SLAM

IL CONTADINO FELICE

IL FANTASMA STUZZICHINO

LO SCOIATTOLO VIAGGIATORE

LA VECCHIA FALDA

GEMMA E I SUOI NUOVI AMICI

IL VECCHIO RUGGY

IL TESORO DI “ CAMBU’ “

IL NUOVO MONDO

LA ZUCCHINA

IL CAPITANO E LA SUA CIURMA

IL CINGHIALE INNAMORATO

GLI INSEPARABILI AMICI

LA BELLEZZA DI ADA

LA COCCINELLA GIOCHERELLONA

FAVOLOTOPOLANDIA

BEO E IL SUO DONO

IL PICCOLO CAMALEONTE

L’ ELEFANTINO INNAMORATO

IL VIAGGIO DI CIAP E CLIP

QUELLA SERA

LA ZUCCHINA E IL PEPERONE

LA PAPERELLA E I SUOI AMICI

IL RICCO - POVERO

LEON ED ELE

LA PICCOLA TATI

LA FABBRICA DI GOMMA

Introduzione

Grazia Leocata vive a Siracusa con il marito e i suoi due figli.

Alla cura della sua famiglia affianca da molti anni la ione per la pittura e la creazione di fiabe e racconti per bambini.

Questo suo libro d’esordio raccoglie alcune fiabe che raccontava ai suoi figli e che ne hanno accompagnato e accarezzato l'infanzia, trasmettendo al tempo stesso semplici ma chiari messaggi di amore, solidarietà, speranza. Proprio i suoi bambini, ormai cresciuti, sono stati i suoi primi sostenitori che l’hanno incoraggiata a realizzare questo lavoro dedicato a tutti i bambini del mondo.

Ogni fiaba è preceduta da un’illustrazione a colori appositamente disegnata dall’autrice.

Il piano completo dell’opera raccoglie, oltre a questo primo volume, altri due volumi in corso di preparazione e di prossima pubblicazione.

Eventuali segnalazioni e comunicazioni all’autrice posso essere trasmesse all’indirizzo mail: [email protected]

Smith e Wish

SMITH E WISH

In una fattoria vivevano dei topolini, tra cui uno basso e cicciottello che si chiamava Smith Nilsol, cattivo e dispettoso, detto lo “sparviero” e l’altro, secco e spilungone, che si chiamava George Wish, detto lo “sciupafemmine”. Qui i due vivevano bene e, fra letame e concime per animali, il cibo non mancava mai, anzi era sempre in gran quantità. Anche se avevano due caratteri opposti i due erano sempre insieme (come si dice.... due poli contrari si attraggono). Erano uniti da un legame fortissimo e diventarono due amici per la pelle. Quasi tutto facevano insieme ma avevano due ioni e comportamenti diversissimi: Wish amava dipingere e l’altro amava rubare, che brutta ione! Con le belle giornate Wish s’ispirava e ritraeva tutto ciò che lo colpiva e lo faceva stare bene; Smith, invece, approfittava che qualcuno uscisse di casa, dalle fattorie o dalle tane di qualche animale per rubare gioielli, soldi, pietre preziose e così via..... Egli inizialmente non si creava scrupoli, anche se poi era il suo caro amico Wish a farglieli venire sino a convincerlo a restituire la maggior parte della refurtiva, con gran gioia di chi la recuperava. Wish aveva deciso che d’ora in poi la sua difficilissima missione sarebbe stata quella di redimere il suo amico per farlo diventare un bravo “topolone”. Egli si mise d’accordo con due carissimi amici, Jim e Tom, e attentamente studiarono un piano d’azione. In tarda serata seguirono Smith che, come al solito ignaro di tutto, si travestiva, partiva e pensava tra sé e sé: -con questo colpo oggi diventerò ricco-. Stava per mettere piede in una tana di ghiri quando improvvisamente sentì gridare: “al ladro, al ladro è lì...”. Per la paura di essere catturato (e portato nelle fogne) il topo scappò a gambe levate come un leprotto e diceva quasi sussurrando: - aiutooooooooo......... aiuto...Se ne ritornò a casa con le lacrime agli occhi, giurando a sé stesso di cambiare quella vitaccia che gli aveva anche fatto sciogliere almeno sette chili di pancetta.

Dopo arrivò Wish che, facendo finta di niente, gli chiese: -perché sei così stanco? – E l’altro, senza dar soddisfazione all’amico che tante volte gli aveva raccomandato di cambiar vita, gli rispose: -Oh, niente! Ho fatto una eggiata e mi sono stancato L’amico ancora disse: - devi fare una dieta!-Hai ragione- rispose e mentre parlava pensava tra sé: -altro che dieta, qua mi stavano facendo la pelle......-. Wish, voltandosi senza farsi notare, a gran fatica si mantenne serio mentre gli amici che videro tutto da una finestrella si sganasciarono dalle risate. Dopo un po’ tornarono a casa felici perché erano finalmente riusciti nel loro intento. Da quel giorno Smith diventò un topone esemplare e rispettato da tutti, grazie all’inaspettato aiuto dei suoi veri e cari amici.

Il tesoro di Bor e Bir

IL TESORO DI BOR E BIR

Un giorno due fratellini di nome Bor e Bir giocavano a nascondino con i loro compagnetti. Andarono dietro ad una siepe e notarono un buco scavato nella roccia nel quale subito s’infilarono, spinti da un’indomabile curiosità. Notarono che c’era una galleria ed iniziarono a percorrerla per qualche metro, ma ad un tratto Bir si fermò bruscamente gridando: -ah...ah!!-. La mano di uno scheletro si era poggiata sulla sua spalla! Udito l’urlo del fratellino, Bor di scatto si voltò e si accorse che quell’ orrida mano portava un anello antico. I due, spaventati e terrorizzati, ammutolirono senza sapere se scappare o continuare a vedere cosa si nascondesse alla fine della galleria. Bor, allora, che tra i due era il più coraggioso, tolse la mano scheletrita da Bir che esclamò: mamma mia quant’è secco!-. -Per forza- rispose Bor che aggiunse: -non facciamoci impressionare, chissà cosa ci sarà più in là?I due ripresero a camminare in preda alla paura e videro che sul muro erano impressi alcuni strani segni. Bor, che da tempo si apionava alla storia delle civiltà antiche, intuì che si trattava di geroglifici e cominciò a decifrarli con l’aiuto di un vecchio libro regalatogli dal nonno. Quand’ebbe finito ottenne questa traduzione: -DAL GRANDE RE PRENDI L’ANELLO E INCASTONALO QUA CHE UN QUALCOSA DI PIU’ PREZIOSO TI DARA’ -. I due, allora, infilarono l’anello nel muro e d’un tratto il suolo iniziò a tremare ed il muro di fronte si alzò. Entrarono e videro una grande stanza con al centro una navicella spaziale tappezzata di diamanti e pietre preziose. -Ma non è possibile!- esclamarono i due. Si avvicinarono, salirono sulla scaletta esterna della navicella e vi entrarono. Ma quando Bor si sedette, la navicella di colpo si avviò, il portellone si chiuse e Bir, affiancatosi al fratello, urlò: -ho paura... ho paura...!-. La strana astronave iniziò a muoversi e velocemente entrò in un buco sottoterra, da cui subito fuoruscì schizzando verso il cielo ad una velocità supersonica. Non ebbero nemmeno il tempo di guardarsi in viso che già avevano ato la

Luna, visto Giove, Venere, Saturno e tanti altri pianeti, finché la navicella si fermò su uno strano pianeta a forma di diamante. Scesero e si accorsero che quel mondo era tutto un tesoro stracolmo di gioielli di ogni genere. I due fratellini, allora, presero qualche pietra preziosa ma subito dopo tornarono sulla navicella e questa velocemente li riportò da dove erano partiti. Appena scesi, la navicella si sbriciolò istantaneamente ed ogni suo frammento scomparve nel nulla. Da allora i due fratelli, che conoscevano bene la povertà e la fame, ritornarono nella loro vecchia capanna ricchi e felici di non dover più chiedere l’elemosina per un tozzo di pane. E anzi da quel giorno aiutarono tutti i bimbi bisognosi. Essi avevano ricevuto tutto gratuitamente e ora tutto volevano donare per condividere con gli altri bambini la loro stessa felicità.

Il bianco risveglio

IL BIANCO RISVEGLIO

Drin...driiin... La sveglia del mattino suonava capricciosa e Carolina, Maya e Ron si svegliarono subito al suo richiamo. Alzatasi dal suo lettino, Carolina si affacciò alla finestra e all’istante rimase ammutolita osservando davanti a sé un ambiente nuovo. Vide un mondo bianco e soffice che copriva tutto ed esclamò: -è fantastico!Quasi urlando iniziò a chiamare gli altri: -venite, venite... guardate fuori-. Tutti si precipitarono e alla vista di quel meraviglioso spettacolo esclamarono in coro: wow....usciamo fuori- . Poi si catapultarono all’ingresso, spinsero la porta per aprire e, finalmente, usciti fuori per tuffarsi su quella che sembrava fosse panna montata alta quasi un metro, si sentirono un tutt’uno con essa. Altri bimbi grandi e piccini non potendo uscire dalla porta sgattaiolarono dalle finestre mentre tanti adulti salirono sui tetti a spalare la neve. Quel giorno nessuno di loro andò a scuola, ma rimasero lì a divertirsi come non mai. In quella rigida mattinata si vedevano tanti bimbi in pigiama ma nessuno di loro sembrava infreddolito da quell’aria gelida che si infiltrava dappertutto; anzi, le loro guanciotte rosse sembravano molto calde. Con la neve iniziarono a costruire tanti oggetti. Carolina e Maya plasmarono un bellissimo pupazzo di neve proprio davanti la loro casa. Poi Maya disse: -ora per ultimare il nostro capolavoro ci vuole una bella scopa -. Carolina rispose: -non ti preoccupare ci penso io-. Andò vicino ad un albero e staccò un rametto che fece “CRAC”. All’istante le cadde addosso un po’ di neve ed esclamò: - che bello, come fiocca forte- . Soddisfatta, ritornò e completò l’opera: quel pupazzo fu ammirato da tutti; era talmente bello e vero che sembrava volersi staccare da terra per giocare con loro mentre il fratellino Ron tirava delle grosse palle di neve ai bimbi vicini. Si sentiva - SPLASH SPLASH, TI HO PRESO...-

E, divertiti, se la ridevano a crepapelle godendosi appieno quella bellissima ed unica giornata. Purtroppo, mentre i bimbi si divertivano qualcuno si intrufolò in casa loro rubando tutte le loro squisite merendine. Maya, che per prima si accorse di ciò correndo fuori, disse: -ragazzi non bisogna mai abbassare la guardia ci hanno rubato tutte le merendine!- . -Oh no!-, rispose Ron, -proprio ora che mi era venuta fame!- . -E’ anche colpa nostra quello che è successo - riprese Maya -perché sbadatamente abbiamo lasciato la porta aperta- . Detto ciò Maya ritornò dentro casa e all’improvviso notò in dispensa un po’ di neve quasi sciolta, della farina a terra e delle orme impresse dalle zampette di un animale, mentre più in là scorse delle tracce di cacca che portavano fin sotto la scala. Le seguì e arrivata al capolinea Maya sbuffò a ridere a più non posso vedendo una piccola puzzola che gustava indisturbata la merendina tra le zampette. Maya disse: -ehi.. tu, ridammi la merendina!- E il ladruncolo, ormai scoperto in flagranza di reato, si voltò, soffiò una “puzzetta” e frettolosamente se la svignò con la refurtiva. Per il gran fetore Maya scappò fuori, ridendo talmente tanto da non riuscire nemmeno a parlare per raccontare l’accaduto. Appena ci riuscì anche gli altri la seguirono nei loro racconti allietando ancor di più quella magica atmosfera. Quel giorno s’udirono solo gli schiamazzi e le risate dei bambini, finché non arrivò la sera e tutti rientrarono nelle loro calde casette con la certezza che quei momenti non sarebbero mai più ritornati e che ogni attimo è fuggente. Rimasero lì fino a tardi dietro a quelle bianche finestre per contemplare ciò che la natura aveva loro regalato.

La forza di Slam

LA FORZA DI SLAM

C’era una volta Slam, un ragazzo benestante che a causa di un brutto incidente era rimasto da solo ed in una condizione di assoluta povertà. Non ò molto tempo che la voce si sparse in paese e la maggior parte dei bambini lo prendeva in giro per il suo nuovo stato; persino i suoi più cari amici si allontanarono da lui e anzi gli dicevano: - ci fai ridere, sei ridicolo -. E lui rispondeva: -voi mi fate ridere ancor più. - Perché ?- chiese il compagno. Essere poveri non è un disonore – aggiunse Slam- e poi guardati: -sei elegante e ricco ma anche tanto ignorante perché non vedi oltre il tuo naso.A tale risposta quelli rimasero ammutoliti e come tanti stupidi si allontanarono. Ringraziando il cielo Slam non si perse d’animo, era un ragazzo molto intelligente e con quel poco che al giorno riusciva a racimolare continuò a studiare da solo comprandosi poco alla volta dei libri. Quel ragazzo era diventato un giovanotto di buona volontà e, anche se con qualche anno di ritardo e dopo enormi sacrifici, riuscì a laurearsi in Medicina con il massimo dei voti e, così, diventò il “Dottor Slam”. La sua vita cambiò radicalmente lasciandosi alle spalle quel triste ato fatto di sputi e di insulti ingiustificati. Slam decise di dedicare la sua vita agli altri, ai più poveri tra i poveri e decise di andare in Africa a fare del volontariato. In quella terra così povera aveva l’impressione di rivivere il suo ato, ma stavolta come protagonista che aiutava e regalava sorrisi e carezze a tutti senza alcuna distinzione. Quelle umili persone gli erano grate perché egli aveva portato gioia, cure, conforto e speranze. Molte volte gli si inginocchiavano e gli baciavano le mani in segno di gratitudine. Slam, a tale manifestazione d’affetto, diceva: “la carità e l’umiltà non sono perfette se non ano dal Padre al prossimo. Pregate Dio affinchè risplenda sempre il sole nell’anima nostra e non dimenticate mai che la più grande sapienza è l’umiltà”.

Appena Slam aveva del tempo libero riuniva i bimbi del villaggio e con l’aiuto di altri volontari insegnava loro a leggere e a scrivere. Un giorno uno dei piccoli rivolgendosi al dottor Slam disse: - tu per me e per tutti noi sei come un papà.- Slam si commosse, lo abbracciò amorevolmente e rispose: - voi tutti siete come miei figli.Slam era diventato il loro punto di riferimento e con responsabilità e impegno spesso diceva loro: - dovete sempre cogliere la vita nella sua novità assoluta. La “pietra viva” è dentro ognuno di noi e dobbiamo sempre conservare il bambino che c’è in noi.- E il piccolo Ben ancora disse: - non dobbiamo avere paura? E lui rispose: - no, mai, dobbiamo temere solo Dio.- E poi aggiunse: - si deve vivere in sintonia e portare sempre la fiaccola della fede, della pace e trasmetterla a coloro che verranno dopo di noi. Solo aprendo le nostre porte a Dio, troveremo la vera felicità.- Il piccolo aggiunse: - e tu l’hai trovata? - Ora sì- rispose Slam. Subito partì un forte applauso, lo attorniarono e se lo abbracciarono affettuosamente. Finalmente in quel posto aleggiava l’amore e quei bimbi, crescendo, a loro volta continuarono ciò che Slam aveva iniziato, nella speranza che la forza dell’amore potesse arrivare sino agli estremi confini della Terra. E così tutti vissero sani e felici.

Il contadino felice

IL CONTADINO FELICE

C’era una volta Manas, detto Nascolino, un contadino che ogni mattina si alzava presto per andare a lavorare nei campi. Quell’umile uomo conosceva tutto della natura, dal giorno alla notte. Ogni mattina, tempo permettendo, vedeva spuntare quel magnifico sole che usciva dalla montagna con i suoi splendidi colori: dall’arancione al giallo, dal verde al blu; era veramente uno spettacolo per poi alzarsi lassù nel cielo e farsi ammirare da tutti. Il contadino iniziava la sua giornata cantando “ lalalala....” , poi zappava la terra, creava dei solchi per spargervi dei semi di girasole, mentre più in là curava un orto di zucche belle grosse e rotonde con cui la moglie preparava delle squisite torte, frittate, e tante altre delicatezze. Mentre zappava il contadino parlava spesso alle sue piantine, ma un giorno sentì una vocina. Il contadino si voltò e vide con grande stupore una piantina che timidamente gli sussurrò: -oh.... bel contadino!- Io?!- domandò con stupore il contadino. -Sì-, rispose la piantina, -dico proprio a te Nascolino, tutti noi ti ringraziamo del bene che ci vuoi. In te non c’è né superbia né malvagità, sei un uomo vero e puro e noi ti ricambieremo donandoti i nostri frutti-. - Grazie -, rispose lusingato il contadino. Subito dopo Nascolino pensò di aver sognato , ma nel profondo del suo cuore sapeva che ciò era veramente accaduto. Dopo, ultimato il suo lavoro, mentre il sole stava per tramontare, il contadino tutto contento ritornò a casa ad abbracciare sua moglie e i suoi figli, stanco ma felice. Nel suo piccolo, questo contadino si sentiva fortunato perché nella vita pur non avendo nessuna ricchezza economica era ricco d’amore e ringraziava ogni giorno ciò che Dio gli aveva donato, la vera “ fe-li-cità ”.

Il fantasma Stuzzichino

IL FANTASMA STUZZICHINO

C’era una volta un bambino chiamato Stuzzichino. Era bianco come un latticino e magro al pari di uno stecchino. Sua mamma gli diceva di mangiare di più per diventare un po’ più in carne, ma Stuzzichino si nutriva quasi sempre di formaggio e di un grissino. Nelle vicinanze della sua casa c’era un palazzetto disabitato che tutti dicevano fosse popolato dai fantasmi. Stuzzichino, coraggioso al pari della sua curiosità, un giorno decise di esplorare quella casa. Puntualmente, allo scoccare della mezzanotte, Stuzzichino armato con l’aspirapolvere (per risucchiare i fantasmi) ed il bastone, si intrufolò senza difficoltà dal pertugio di una piccolissima finestra e dopo essere entrato dentro esclamò: - oohh.... che vecchiume! Quante ragnatele! Quanta polvere!- Tuttavia, con grande stupore, non trovò nulla che somigliasse ad un fantasma. Erano solo dicerie che il proprietario del palazzetto si era inventato per allontanare chiunque dal suo immobile. Stuzzichino, allora, decise di fargliela pagare. Sapendo che quell’uomo sarebbe venuto una volta alla settimana per controllare la casa decise di fargli prendere un grande spavento. Stuzzichino pensava tra sé e sé: - ora ci penso io a te! Mi divertirò alle tue spalle-. Era mezzanotte ed un minuto; il proprietario aveva posteggiato la macchina nel cortile del palazzettofantasma quando, all’improvviso, da lontano l’uomo notò che nella sua casa c’ èra qualcosa di strano. A tratti vide una luce intermittente. Mah!-, esclamò, -sarà un guasto! Non è possibile, cosa sarà?!- Subito dopo sentì un rauco lamento provenire da lì: -Uh! uh!...- e l’uomo cominciò a tremare e poi a balbettare: -ma... che...cos’è? - (iniziava a sentirsi un odore sgradevole...). Mentre si accingeva a superare la soglia della porta vide are dalla finestra un enorme fantasma e, all’istante, sconfitto dalla paura si mise ad urlare: aaahhhh.... i fantasmi... aiuto...- e scappò via a gambe levate. Intanto Stuzzichino rideva a più non posso e soddisfatto sussurrava: -così impari!-. Da quel giorno il proprietario non mise più piede in quella casa ed imparò a non dire più bugie. Stuzzichino, invece, divenne il “ Fantasma Stuzzichino “ e questo

misterioso spettro indisturbato se la rideva ogni sera in quel palazzetto, ormai prescelto quale suo rifugio preferito.

Lo scoiattolo viaggiatore

LO SCOIATTOLO VIAGGIATORE

Nei pressi di un piccolo paesino chiamato Paperlandia c’era un bellissimo boschetto dove vivevano felici tantissimi animali. L’uomo, infatti, non si azzardava mai ad entrare in quel bosco tanto selvaggio e impraticabile quanto paradisiaco per i molti animaletti, tra cui anche tantissimi scoiattoli. Un giorno uno scoiattolino ancora inesperto del mondo, senza dire nulla alla sua mamma, si addentrò nella fitta boscaglia. La sua sete di conoscenza lo portava sempre più lontano e a furia di zampettare qua e là scoprì tante meraviglie, tante cose che sconosceva; era abbagliato e ammirato da questa sua nuova esperienza. Improvvisamente si mise a piovigginare e lo scoiattolino iniziò a correre a più non posso, cercando riparo sotto qualche foglia per poi riprendere il suo cammino di esploratore. Mentre aspettava che finisse di piovere vide tanti animaletti affacciati a guardare quello sconosciuto invasore del proprio habitat. Anche loro erano curiosi e tanti gli sorridevano facendo finta di scappare, ma lo scoiattolino, con aria tranquilla ed amichevole, disse: -non abbiate paura! Io sono vostro amico! Non farò mai niente che possa nuocervi-. Nell’udire queste parole una bellissima farfallina si posò dolcemente sulla coda e gli disse:- ma quanto sei carino! A nome di tutti ti dico che siamo contenti di avere la tua amicizia-. -Urrà!!!-, esclamò lo scoiattolino che, alzando gli occhi, rimase incantato: vide su nel cielo e poi attaccata alla terra una bellissima striscia variopinta, L’ARCOBALENO, che appariva talmente vicino da potersi afferrare. Non appena smise di piovere lo scoiattolino si mise a cercare l’arcobaleno perché voleva salirci, scivolarci sopra ed infine atterrare in un posto pieno di cose buone, come nelle favole che gli raccontava la mamma. Dopo alcune ore di cammino finalmente trovò l’ingresso dell’arcobaleno. -Che bello! E’ meraviglioso!-, esclamò. Poi salì e ci scivolò di sopra. E ridendo e cantando arrivò in un bellissimo posto tutto verde e pieno di cose buone, tra cui

tantissime zucchine, di cui era molto ghiotto. Gli sembrava proprio di vivere una bellissima favola! Poi iniziò a correre, a danzare e, soprattutto, ad abbuffarsi mangiando così tanto, ma così tanto che subito dopo sprofondò in un sonno tranquillo e beato. Dopo alcune ore lo scoiattolino sentì: -slack, slack!- -Oh oh! Che cos’è?!esclamò toccandosi il viso. -Oh... no... che puzza ! E’ cacca!- Un piccione dispettoso gli aveva donato un regalino... -Oh no povero me! come farò a pulirmi? Mamma! Mamma! A quest’ora la mia mamma sarà preoccupatissima. Io, come al solito disubbidiente, non le ho chiesto il permesso di allontanarmi e adesso sarà distrutta dal dolore -. In effetti la sua mamma lo cercava da ore chiedendo informazioni a tutti senza mai ottenere alcuna risposta. Sopraffatta dall’ansia e dal gran senso di vuoto, lo chiamava insistentemente: - Cioppino mio, tesorino mio, dove sei? Vieni dalla mamma ! Cioppi! Cioppi! Lo scoiattolino tornò nel punto in cui prima era sceso dall’arcobaleno e si accorse che questo era scomparso nel nulla mentre lui era rimasto lì intrappolato dalla sua curiosità e, come se non bastasse, tutto sporco di cacca. Pianse a dirotto e, come per incanto, ricominciò a piovere; lo scoiattolo voltò il capo e vide ch’era riapparsa la coda dell’arcobaleno. L’acchiappò velocemente e scivolò di nuovo dall’altra parte del mondo dove gli animaletti del bosco lo stavano aspettando. Tutti applaudirono al suo ritorno e dopo averlo salutato lo accompagnarono fuori dal bosco. Da lontano sentì la voce della sua mamma che lo chiamava: -Cioppino, Cioppino- e il piccolo, con un gran balzo si rifugiò tra le zampette della sua dolce mamma che subito lo perdonò. Da quel giorno le promise che non l’avrebbe mai più lasciata da sola perché lei era davvero tutto il suo mondo.

La vecchia falda

LA VECCHIA FALDA

Era inverno. Aveva appena finito di piovere e le strade erano bagnate. I bambini uscivano fuori tutti imbacuccati con cappotto, cappellino, sciarpa e stivali, e andavano quasi tutti a giocare e a specchiarsi nelle buche stracolme d’acqua. Un giorno Falda, una vecchietta bruttina ma buona d’animo, ando da una stradetta notò che in un angolino s’accucciava un piccolo cagnolino tutto bagnato e tremante. Il cagnolino diceva “uuuuuuuu” e pensava: -che freddo, oh povero me che paura mi fa questo tempo qua...Impaurito, il cagnolino si fece prendere da quella donna senza esitare; anzi la coda cominciò a scodinzolare. Con lo scialle lei lo coprì con cura e di gran corsa lo portò a casa. Subito lo asciugò e cercò di capire se appartenesse a qualcuno, ma addosso non aveva niente e nessuno in quei freddi giorni lo aveva cercato. Il cagnolino, per sua fortuna, restò per sempre con la vecchietta che lo chiamò Romoletto. Falda lo trattava come un bambino: lo coccolava, lo accarezzava, lo curava e il piccolo la ripagava standole sempre accanto. Ogni sera si accovacciava sui suoi ormai fragili piedi, li riscaldava e poi con lei a letto andava. Tutto questo donava a Falda tanta felicità. Finalmente non era una donna sola perché aveva l’affetto di un piccolo animaletto. Spesso gli diceva: -oh..! quanta felicità mi dai o mio bel Romoletto- e questo con un timido latrato la ringraziava e le stava accanto. Da allora Falda sembrava essere ringiovanita e tutti in paese notavano il suo cambiamento: era diventata come una mamma premurosa per il suo bambino. Tanta gente capì di aver sbagliato a giudicarla solo per il suo aspetto esteriore perché dietro quella vecchia bruttina aveva notato lo splendore di quella buona donna. Lei finalmente era felice e aveva qualcuno a cui riversare tutto il suo amore. La vecchietta capì e fece capire come un animaletto potesse cambiare in meglio la vita di una persona facendola stare bene con sé stessa e con gli altri. Da allora

i due vissero sempre insieme le loro giornate donandosi reciprocamente tanto affetto e tanto amore.

Gemma e i suoi nuovi amici

GEMMA E I SUOI NUOVI AMICI

Era una mattina d’inverno e i proprietari di un’enorme vigna avevano deciso che l’indomani sarebbero andati a vendemmiare. La loro figlia, Gemma, aveva quattro anni, era molto felice di andarci insieme con il fratellino di due anni, Still. Il gran giorno finalmente arrivò e la famigliola si alzò all’alba. La bimba fu la prima a svegliarsi e si vestì subito; il secondo fu papà Geo e dopo la mamma Dorotea che andò a svegliare dolcemente il piccolino sussurrandogli: -svegliati tesorino, è il grande giorno-. Still, subito si svegliò e disse: - mamma, uva-. -Sì, tesorino mio-, rispose la mamma. Lo vestì e dopo aver fatto una bella colazione la famigliola salì a bordo di una vecchia automobile che faceva un gran rumore “splash”, “splum”, e strombazzando con un clacson assordante si addentrò sulla collina, verso quella florida vigna. Appena arrivarono Gemma disse: -andiamo Still-, lo prese per la manina, portò con sé un paniere e insieme s’immersero in quella bellissima vigna che li avvolgeva e, felici, iniziarono a raccogliere l’uva. Intanto la bimba cantava allegramente e andava canticchiando: -Oh che bello vendemmiar... a prender l’uva e poi pigiar... larallallalalla-. Quella delicata vocina echeggiava da collina in collina fino a sera, mentre Still dopo essersi seduto per terra, raccolse qualche chicco d’uva e iniziò a succhiarla. Evidentemente era più gustosa del suo amato ciuccio che prima di allora non aveva mai mollato i e, rivolto alla sorellina, disse: -uh... che buona quest’uva qua!- Gemma gli rispose: -bravo Still, ma non mangiarne troppo; finalmente hai buttato via quel brutto ciuccio che ti copriva metà viso! Ora sei anche più carino.- Still le fece un sorrisetto ed apparve quasi brillo. Poi corse dai suoi genitori e li aiutò a tenere il paniere ricevendo i complimenti di tutti. Intanto il tempo s’imbruttiva e iniziò a piovigginare; tutti andarono a ripararsi, mentre la bambina che era più distante dagli altri si rifugiò in una piccola grotta poco lontana da lei. Entrò, trovò un sasso e vi si sedette per riposarsi un po’.

Mentre si stava appisolando sentì qualcosa poggiarsi sulle sue ginocchia. Aprì per un istante gli occhi e vide un buffo esserino che la osservava; lei incredula richiuse gli occhi e pensò: -che brutti scherzi mi sta giocando la stanchezza!-. Dopo li riaprì e vedendolo sempre lì disse: - sbaglio o sto vedendo un minuscolo bambino alto come il mio pollicino?- E quello le rispose: -ciao, io son vero e vegeto, mi chiamo Friz e abito da queste parti; sono stato attratto dal tuo dolce canto e.... tu chi sei? – - Io mi chiamo Gemma -, rispose la bimba -e questa proprietà è mia.- Ma io non voglio rubartela- rispose Friz aggiungendo: -se vuoi me ne vado!- No- disse Gemma, -per me puoi rimanere quanto vuoi, non amo stare da sola, anzi mi piace la tua compagnia-!. I due iniziarono a parlare e fecero amicizia finché dopo un po’ arrivò la compagna di questo minuscolo esserino, la signorina Efi che facendo capolino da una foglietta d’uva disse timidamente: -Friz, andiamo, cosa stai facendo? Sai che non ci è permesso parlare con gli umani!- -Ma...ma lei è particolare-, obiettò Friz, -ci sa apprezzare ed amare, per fortuna ora so che non tutte le persone sono uguali. – Dopo di che Friz saltò su un chicco d’uva ed esclamò: - a presto mia dolce Gemma!- La bimbetta era talmente presa dai suoi nuovi amici che non si era nemmeno accorta che da un bel po’ non pioveva più e che era ritornato di nuovo il ciel sereno. Gemma corse subito felice verso i suoi genitori che la stavano chiamando per andare via. Quel giorno la bambina non solo si divertì ma trovò due piccoli, buoni amici che erano sempre lì pronti ad ascoltarla. Dopo tutti salirono in quella rumorosa macchina e quando partì Gemma, voltandosi indietro, continuò a salutare con la sua manina.

Il vecchio Ruggy

IL VECCHIO RUGGY

In una tribù vicino Maribù nacque una bella bambina di nome Zaira. Col tempo i suoi genitori si accorsero che la loro era una bimba speciale perché sapeva parlare con gli animali. Tra i suoi amici si contavano più animali che bimbi: cavalli, zebre, rinoceronti, elefanti e altri ancora la trattavano come una regina, la loro regina bellissima e irrefrenabile. Al richiamo di qualche animale correva subito da loro più veloce del vento. Da qualche giorno Zaira stava in ansia perché non vedeva più l’anziano leone Ruggy con cui aveva trascorso tutta la sua infanzia e che le aveva rivelato i segreti della giungla. Era il re leone più saggio e più buono di quella zona e lei lo amava come una figlia ama il proprio padre. Quel papà-leone l’aveva aiutata e tolta dai pericoli tantissime volte. Armatasi di gran coraggio un giorno Zaira montò in groppa ad una zebra e partì alla ricerca di Ruggy finché dopo qualche ora lo trovò in una zona solitaria. Gli si avvicinò e chiese: -ciao Ruggy come stai?-Bene mia regina-, rispose, -sono qui da molti giorni perché mi sto prendendo cura di un cucciolo di cerbiatto rimasto solo senza nessuno che possa accudirlo-. -Non preoccuparti-, replicò Zaira, -mio buon re mi prenderò io cura di lui come tu hai fatto con me. -So di poter sempre contare su di te-, rispose Ruggy. Poi Zaira rivolgendosi al cerbiatto disse: - sii sereno piccolino, ti farò io da mamma e da papà e da oggi in poi Bay ti chiamerai- . Zaira lo allevò con tanto amore e appena il cerbiatto crebbe iniziò da solo il suo cammino verso quella giungla selvaggia. Zaira lo lasciò libero di andare ma gli disse: -ricordati che se avrai bisogno io sarò sempre qua pronto ad aiutarti-. E poi lo salutò. Ma un brutto giorno il cerbiatto in un guaio si cacciò: venne inseguito da una

pantera nera che aveva deciso di farne la sua cena. Il poverino cominciò a scappare, ma le sue zampette non erano molto veloci e urlava : -aiuto.... mi vuole mangiare-. All’improvviso quando ogni speranza di salvezza era svanita si udì un forte ruggito che fece tremare persino la terra e la pantera nera di scatto si fermò, sbiancò e scappò morta di paura. Bay, terrorizzato, aprì gli occhi e con grande stupore vide il suo re leone che se lo abbracciò affettuosamente. - TU SEI IL MIO ANGELO CUSTODE-, lo ringraziò il cerbiatto; -ANCHE A QUESTO SERVONO I PADRI!-, gli rispose Ruggy. Dopo qualche anno il cerbiatto trovò una splendida cerbiattina che sposò con la benedizione del re leone. In seguito nacquero dei bellissimi baby cerbiatti che con i loro salti e la loro vivacità allietavano le giornate. Bay e la moglie Soa non li lasciarono mai da soli e con tanta attenzione e premura li accudirono sino a quando non diventarono adulti. L’esperienza vissuta da Bay lo aveva portato a conoscere i veri valori della famiglia; Ruggy e Zaira nel vedere questo erano felici. Ma un giorno il buon vecchio Ruggy si alzò di buon mattino, andò da Zaira e accarezzandola dolcemente disse con voce calma: - ora io devo andare perché tanti altri devo aiutare. Vivete sempre liberi e felici e soprattutto aiutatevi reciprocamente -. E con un dolce sorriso se ne andò. Talvolta, in mezzo al silenzio della sera, si sentiva un ruggito tuonare da molto lontano e tutti quanti con un pizzico di nostalgia pensavano al loro amato e buon re.

Il tesoro di Cambù

IL TESORO DI “ CAMBU’ “

C’era una volta Cobi, un bambino che aveva ricevuto in dono dal suo vecchissimo nonno, soprannominato “lupo di mare”, una strana bottiglia con un sigillo reale ed una misteriosa pergamena all’interno, da aprire non prima che egli avesse compiuto 18 anni. Un giorno Cobi chiese al nonno: -ma come l’hai avuta?- E il nonno raccontò: -un giorno mentre ero al largo con la mia vecchia barchetta, vidi galleggiare una bottiglia chiusa da un sigillo reale. Incuriosito la presi, l’aprii e dentro vidi ciò che un giorno tu scoprirai e che a nessuno dovrai rivelare-. Cobi rispose: -va bene te lo prometto-. All’alba del suo diciottesimo compleanno il primo pensiero di Cobi fu quello di leggere la pergamena racchiusa in quella bottiglia sigillata. Con grande stupore vide che si trattava di una preziosissima mappa che oltre a localizzare esattamente un enorme tesoro recava, a tergo, una scritta misteriosa: “ QUESTO TESORO SARA’ SOLO DI CHI LO TROVERA’ ”. Allora Cobi senza dir nulla a nessuno rimise a nuovo la vecchissima barca del nonno, portò con sé alcune provviste e dopo partì per la meta prestabilita. Quei giorni in barca sembravano interminabili finché, il settimo giorno, vide da lontano l’isoletta che cercava ed esclamò: - è quella!- Approdato all’isola ormeggiò la barchetta nella riva, poi prese la mappa e cominciò a cercare il più maestoso albero di quercia. Entrò nella fitta vegetazione e improvvisamente udì delle urla schiamazzanti, si nascose nell’erba alta e ascoltò. Capì subito che si trattava di pirati, gente senza scrupoli che, come lui, cercava il tesoro. Cobi aspettò che i pirati si allontanassero per continuare la sua ricerca e quando finalmente trovò la quercia secolare iniziò a scavare a mani nude. Dopo un pò iniziò a toccare qualcosa di durissimo, e vide che c’era un grande baule! Ma non ebbe neanche il tempo di gioire che una mano proditoria lo colpì in testa facendolo cadere a terra. I pirati si erano impossessati di quella cassa portandola a bordo della loro nave.

Al risveglio Cobi si trovò da solo in quell’isola sconosciuta con un bernoccolo dolorante in testa ed esclamò: -ahi ahi... me la pagheranno!- Il ragazzo si diresse verso la riva e notò che la nave di quei furfanti era rimasta un po’ al largo dell’isola. In tardissima serata raggiunse a nuoto la nave. Senza farsi notare vi salì accorgendosi che moltissimi pirati erano ubriachi, alcuni dormivano e altri ancora giocavano a carte con il baule a lato; ma nessuna sentinella né a poppa né a prua. Il giovane, allora, escogitò come farli allontanare: prese un sassolino e “STUMP!” lo lanciò. Due pirati si alzarono, lasciando incustodita la cassa, e andarono a controllare. Cobi allora saltò subito fuori, forzò la cassa, l’apri e notò che dentro c’era un inestimabile tesoro. Subito riempì il sacco che aveva portato con sé, depose nella cassa delle bottiglie vuote di birra e alcune pietre; chiuse il tutto per bene e velocemente si allontanò. Stanco e stremato ritornò a riva a bordo di una zattera rubata sulla nave dei pirati, depositò il suo carico sulla sua barchetta e partì verso la sua dolce casa. Il capo dei pirati dopo qualche giorno riaprì la cassa e, profondamente adirato, urlò con rabbia: - dov’è? Chi ha rubato il tesoro?- Iniziarono a incolparsi vicendevolmente ma di quel tesoro non si seppe più nulla... Quell’enorme ricchezza era ormai al sicuro tra le mani di un giovane ragazzo che con la sua tenacia era riuscito a recuperare ciò che gli spettava. Egli scoprì in seguito che il sigillo reale apposto sulla bottiglia donatagli dal nonno apparteneva ad un riccone di nome Cambù che volle donare tutti i suoi averi a qualcuno prescelto dal fato. Benchè ricco, Cobi rimase sempre sé stesso, il ragazzo buono e generoso che aiutava tutti senza mai tirarsi indietro.

Il nuovo mondo

IL NUOVO MONDO

Nella fitta foresta dell’Amazzonia vivevano tantissimi animali tra cui vi erano degli enormi gorilla. Un giorno Key, che era uno di loro, andò vicino ad una grandissima cascata e decise di farsi un bagno. Si avvicinò per entrare nell’acqua e accortosi di quanto fosse fredda indietreggiò un po’ ed esclamò: -oh! che fredda!- Una gorillina di nome Pay, vedendo quella scena buffa, gli si avvicinò e disse: -dai andiamo insieme.. non aver paura, buttati, sii coraggioso.- Allora Key, dopo qualche iniziale esitazione, si tuffò in quell’acqua limpida. Si immersero in mezzo a tutta quella schiuma ed entrambi esclamarono: -è proprio bello, ah! come mi rilassa! Poi chio gli occhi e all’improvviso si sentirono accarezzare il corpo da qualcosa di molto liscio. Aprendo gli occhi videro il tentacolo di un polpo; allora Key di scatto si spostò e domandò: -chi sei?- e il polpo rispose: -io sono il custode di questo posto.. a pochi do il benvenuto.. solo chi ha alcune qualità in quest’acqua immergersi potrà- e aggiunse: -non importa come vi chiamate, nei vostri occhi vedo che non c’è malvagità, ma tanta innocenza, pace e verità e perciò vi dico: dovunque andrete mantenete sempre questo gran tesoro che possedete - e ancora rivolgendosi ad entrambi: -se oltre la cascata vi recherete un altro mondo scoprirete-. Incuriositi da tali parole i due gorilla si tuffarono velocemente sott’acqua, dopo un po’ riemersero e si trovarono dentro una grotta chiusa dalla cascata acquea. Alla vista di ciò rimasero a bocca aperta e si convinsero che quel polpo fosse stato davvero speciale... Si guardarono negli occhi, si presero per mano e andarono verso la galleria; all’improvviso Pay esclamò: -guarda c’è un’uscita!.Andarono in fretta verso la luce e con immenso stupore spuntarono in un altro mondo. -Questo e’ il Paradiso! è il più bel dono!- esclamarono. E alla vista di tantissimi alberi di cocco e di banane Pay disse: -qui non c’è bisogno di cercare cibo-. -E’ vero qui c’è tanta abbondanza- rispose Key che subito dopo salì su un albero di banano e mentre stava per strappare il frutto rivolgendo lo sguardo più in là (rimase per un attimo meravigliato) vide una distesa infinita d’acqua e chiamò subito Pay che, dopo aver subito raggiunto l’amico sull’albero, disse

estasiato: - Wow... quello è il mare!-. Da lassù videro anche una bellissima spiaggia bianca piena di fiorellini. Dopo scesero dagli alberi e andarono in riva al mare. Seguiti dalle loro orme si sedettero sulla sabbia e lì rimasero per un bel po’ ad ammirare la bellezza che li circondava ...e con immensa gioia decisero di rimanere per sempre lì in mezzo a quella sana ed incontaminata natura.

La zucchina

LA ZUCCHINA

C’era una volta una bambina di nome Bianchina che era molto ghiotta di zucchine. Un giorno, mentre si recava a scuola, madre natura volle farle uno scherzo: la trasformò in una verde zucchina!! Bianchina, incurante di ciò, continuò a camminare finché non arrivò a scuola e si accorse che tutti la guardavano e ridevano. Dopo un pò s’infastidì e decise di andare in bagno per guardarsi allo specchio: rimase impietrita! Ed esclamò: ma, ma non è possi-bi-le! Sono una zuc-chi-na verde animataLa bimba, allora, chiuse subito la porta del bagno e scoppiò a piangere ininterrottamente per due ore di seguito sino a quando, d’un tratto apparve la fatina delle zucchine che, chiamandola dolcemente, le sussurrò: - Bianchina, zucchina bella, non piangere più; era solo uno scherzo che madre natura ti ha voluto fare per farti capire che la tua alimentazione devi variare se non vuoi per sempre zucchina restare.....Di colpo Bianchina, singhiozzando, rispose: -giuro che da oggi in poi le zucchine solo ogni tanto mangerò-. La fatina, dunque, mossa da profonda commozione, alzò la bacchetta magica e disse: “ ZUCCHIN, ZUCCHINA, ZUCCHETTA, RITRASFORMATI IN BIANCHETTA ” . E in un battibaleno quel saporito ortaggio in Bianchina si trasformò e la fatina sorridendo se ne andò. Come se niente fosse accaduto la bambina se ne tornò in classe e nessuno più la guardò in modo beffardo. Finita la lezione fece ritorno a casa e dopo aver abbracciato la sua dolce mamma con tutta la forza delle sue piccole braccia dolcemente le disse: -mamma oggi ho imparato ciò che sempre mi hai detto! Bisogna mangiare un po’ di tutto per crescere sani e forti- . E la mamma rispose: -sono proprio fiera di te-.

Il capitano e la sua ciurma

IL CAPITANO E LA SUA CIURMA

Un giorno il giovane capitano Stolmi Brams, animato da una gran sete d’avventura, decise di partire con la sua piccola nave dalla riva di Marlenblù insieme con una modesta ciurma di ragazzi che condividevano con lui la ione per la scoperta di posti nuovi e dei loro segreti. Iniziarono a navigare verso i mari senza una meta precisa. Un pomeriggio, però, la nave cominciò a beccheggiare paurosamente; subito un pallore imbiancò i volti di quei giovani ragazzi che pensarono: -ce la faremo o siamo spacciati? Fortunatamente quella disavventura durò per tre interminabili e spaventose ore; ma, dopo, tutto si placò come se niente fosse accaduto e in tutta la ciurma riapparve il sorriso che pareva ormai perduto. Purtroppo capitò che la navigazione si protraesse più del dovuto ed il capitano, che era solito controllare le magre provviste di bordo, ahimè, si accorse che anche l’acqua cominciava a scarseggiare. Finalmente all’alba del 26° giorno videro un’isoletta piena di alberi di cocco e felici gridarono: -siamo salvi......-. Appena toccarono terra i marinai insieme a Brams placarono la loro sete con quel gustoso latte bianco; in quel posto persino i pesci erano decisamente gustosi. Purtroppo anche lì non mancarono episodi spiacevoli: il capitano catturò moltissimi pesci e, ancora non soddisfatto, salì su una roccia ripida e liscia, anzi liscissima quando, improvvisamente, si udì uno “splash...” , seguito da alcuni lamenti. Era finito in acqua con una gamba rotta. Ahi ahi ahi- ripeteva finché qualcuno non venne a soccorrerlo. Solo allora, dopo tante avventure belle e brutte, Brams capì che c’è un momento in cui bisogna fermarsi. Non solo.... Quel giorno tutti i suoi sforzi erano stati inutili perché anche il cestello colmo di pesci era caduto insieme con lui in acqua. E come dice il proverbio: “chi troppo vuole nulla stringe” o “ chi si accontenta gode”. Arrivata la sera, una leggera rugiada accarezzava la loro pelle e quella bianca luna stava quasi a preannunziare un giorno migliore. Ognuno di loro serbava

dentro di sé il desiderio di ritornare a casa, al riparo tra le braccia dei propri cari. Con nostalgia l’indomani, ai primi bagliori dell’alba, tutti salirono sulla nave e salutarono quella graziosa isoletta che li aveva sfamati e protetti quasi come una mamma. -Addio!- , esclamò il capitano e insieme ai marinai l’accarezzarono per l’ultima volta con gli occhi velati dalla tristezza, finché non scomparve dalla loro vista. - Forza! - disse Brams - oggi è un altro giorno e nuove cose ci aspettano- . A queste parole il marinaio più piccolo, Conk, rispose: -sì signor capitano, uniti insieme come una famiglia tutto affronteremo-. E così la nave si allontanò in quell’enorme specchio d’acqua che tutto sembrava inghiottire per affrontare nuove avventure. Dopo alcuni mesi, senza sfidare oltre la buona sorte, ritornarono alla loro terra che da lontano con gioia li vide spuntare. Davvero la provvidenza fu loro amica: erano tutti sani e salvi, con un ricchissimo bagaglio di ricordi e di esperienze da poter raccontare ai propri amici.

Il cinghiale innamorato

IL CINGHIALE INNAMORATO

Un giorno un riccio di nome Spec disse a un cinghiale di nome Puzz: -cosa ci fai qui in questa zona abitata solo da rane e da grandi ragni?- L’altro rispose: -vado alla ricerca di una buona cenetta. Questa sera ho invitato nella mia casetta una bella cinghialotta e vorrei preparare un buon sughetto di rane con contorno di ragnatela-. -E..... per dolce... cosa preparerai?-, chiese il riccio. Con sorriso beffardo l’altro rispose: - per dolce... ci basto io! Subito dopo iniziarono entrambi a cercare nello stagno, ma le rane non appena sentirono il fetore di Puzz scapparono frettolosamente. Il cinghiale dovette quindi cambiare il suo menù e trovò alcune erbe aromatiche con farro dorato. Prima di andarsene Spec disse al suo amico: -Puzz, tu sai che fai molta puzza e... se vuoi fare colpo d’ora in poi dovrai imparare a lavarti, usa dei profumi a base di alghe e di fiori e vedrai che questo ti aiuterà a conquistarla-. -Ti ringrazio amico mio-, rispose il cinghiale -terrò conto del tuo consiglio- e dopo cordialmente si salutarono. Puzz se ne tornò nella sua accogliente tana e iniziò a preparare la cena; l’odore si sentiva da chilometri e, arrivata finalmente la sera, ascoltò le parole del saggio amico: si lavò, si profumò e si preparò così per bene da sembrare un vero damerino. Puzz, poi, con impazienza aspetto fuori la sua ospite. -Urrà- esclamò all’improvviso, -è qua!-. Lei educatamente lo salutò e lui, da buon cinghialotto, la fece accomodare nella sua accogliente e profumata dimora che non era mai stata così ordinata prima di allora. Quella gentile ospite si chiamava Cleys e gli disse: -oh che bella casetta che hai!E lui rispose: -se tu lo vorrai potrà essere tua- Lei restò in silenzio e iniziarono a cenare. Improvvisamente si sentì un gran tuono e iniziò a piovere a dirotto. Cleys cominciò a preoccuparsi e domandò -come farò a tornare a casa?- E lui rispose: -non preoccuparti, da me potrai rimanere quando vorrai, intanto finiamo di cenare-. Lei gustò quel delicato piatto che Puzz aveva preparato amorevolmente e, con aria soddisfatta e deliziata, disse: -non ho mai assaggiato niente di più buono, queste ragnatele e questo succo d’erbe sono davvero

paradisiaci!- E lui, allora, rispose: -tu sei il mio paradiso...-. All’improvviso si sentì un tuono fortissimo, da brivido, e lei presa dallo spavento si abbracciò forte a lui. Da quel giorno Cleys non tornò più a casa sua, ma rimase per sempre con il suo Puzz che tanto si prodigava per rendere ogni giorno della sua vita sempre più bello ed unico.

Gli inseparabili amici

GLI INSEPARABILI AMICI

C’era una volta Pester, un cane che, a dispetto del suo nome, era molto dolce e aveva un’aria triste e malinconica. La sua padroncina Tanya, una bambina di 7 anni, ava la maggior parte del suo tempo con lui per farlo divertire e lo faceva giocare in tutti i modi, ma tutto questo non bastava. Tanya gli diceva: -Pester prendi la palla-; e lui con scarso entusiasmo ubbidiva. Questa situazione durò per tanti mesi sino a quando un bel giorno, mentre il cane dormiva, gli si avvicinò un curioso anatroccolo che lo guardava. Al risveglio, Pester vide due vispi occhietti che lo fissavano e l’anatroccolo senza paura gli disse: -ben arrusbigghiatu signor cane, iu’ sugnu Pacis e vidu ca abiti ni na zona troppu bbona-¹ e aggiunse : -iu purtroppo sugnu sulu e non sacciu unni iri. Penzi ca ‘ccu ‘ttia pozzu stari?-² Era un anatroccolo molto vivace e parlava un dialetto strano; con lui non ci si annoiava mai! Infatti Pester, dopo averlo osservato un po’, scoppiò a ridere meravigliandosi di quel buffo animale che lo faceva divertire anche solo aprendo il becco, e per come si porgeva nei suoi confronti. -Non ti spaventi di un cane e non hai paura di essere sbranato?- domandò Pester al nuovo amico. - No-, rispose l’anatroccolo sorridendo. -Come no?- ribattè il cane. -No, picchì tu non si ‘n cani come l’autri- ³, gli rispose Pacis. - Perché, cosa ho io di diverso?- disse l’altro con curiosa vanità. - Ma....tu sei bono e buono-. E a queste parole entrambi scoppiarono a ridere. - Ma, mi hai visto bene? - chiese il cane. -Sì, fintroppu...-⁴ Ah ah ah.

Dopo Pacis disse al cane: -e tu comu ti chiami?-⁵ - Io Pester-, gli rispose l’amico. -A ‘ppostu semu- disse l’anatroccolo, aggiungendo -tu metti peste e iu metto pace- . E ridevano a più non posso. Da quel giorno in poi i due diventarono amici inseparabili. Pester era sempre felice perché finalmente aveva incontrato un vero amico. Le giornate avano in fretta poiché stavano sempre insieme a parlare delle loro avventure, sganasciandosi dalle risate. Anche Tanya era molto contenta perché aveva capito che al suo cane era mancata la compagnia di un amico.

¹ “Ben svegliato signor cane, io sono Pacis e vedo che abiti in una zona pregevole”

²“ Io purtroppo sono solo e non so dove andare. Pensi che posso stare con te?”

³ “No, perché tu non sei come gli altri cani”

⁴ “Sì, fin troppo”.

⁵ “E tu come ti chiami?”

Siamo a posto, tu porti discordia e io porto la pace

La bellezza di Ada

LA BELLEZZA DI ADA

In un grazioso laghetto viveva Ada, una bellissima ochetta bianca con dei tratti dorati sulle ali, assai corteggiata da tutti. Un giorno un papero le si avvicinò chiedendole: - posso stare qui con te? - Lei accettò ed il papero iniziò a corteggiarla, ma dopo un po’ se ne andò via. L’indomani Ada era sempre lì e da lontano scorse quel papero che si baciava con un’altra. Provò tanta amarezza perché si era illusa che quel papero fosse venuto per lei, ma purtroppo come sempre accadeva veniva ammirata solo per la sua bellezza. Profondamente delusa, Ada si rivolse ad un pesciolino e gli chiese perché tutti mi vedono per come appaio e non per quello che sono?- Il pesciolino (Remo) rispose: -non temere, un giorno anche per te arriverà qualcuno che non si fermerà solo all’apparenza-. In un giorno d’estate, da quelle parti arono tanti paperi e all’improvviso il più giovane di loro, Aldo, si separò dal gruppo per dissetarsi nel laghetto. Stava per bere quando, all’improvviso, riflesso nell’acqua notò l’ombra di una stupenda ochetta che con i suoi dolci occhi lo guardava. -Oh...!- esclamò il papero -sei vera o sei un miraggio?- Si voltò e vide una creatura bellissima. Lei, credendo che lui fosse come tutti gli altri, stava per andare via. Allora, il papero la prese dolcemente per l’aletta e le disse: -non aver fretta bella ochetta, non ti mordo mica...! - All’udire queste parole lei sbuffò a ridere e gli rispose: -sei un po’ prepotente ma... forse sei diverso da tutta l’altra gente.- Fra i due nacque subito più di una simpatia, un’intesa straordinaria, cosicché dopo un bel po’ lui le disse: -tu non sei solo bella. Hai anche altro (come dice anche il tuo amico pesce), sei vera, profonda e sincera. Per come vedo sei anche decisa e sai anche quello che cerchi. Sai cosa ho sempre cercato io? -No-, rispose lei timidamente. -Una come te. Tu sei l’ochetta che fa per me perché sei l’unica che confidandoti hai creduto in me e hai lasciato che io vedessi dentro di te-. Dopo si baciarono e felici insieme si aggregarono al loro branco.

La coccinella giocherellona

LA COCCINELLA GIOCHERELLONA

In una splendida giornata di primavera, una bimbetta che raccoglieva dei fiorellini di campo incontrò una stupenda coccinella che d’un tratto si posò delicatamente sul suo bel nasino. La bimba d’istinto con la manina la scacciò ma questa, quasi come se volesse giocare o farsi notare, le si poggiava insistentemente sempre nello stesso posto. Molto incuriosita la bimba fissò quell’ esserino che la importunava e vide che si trattava di una bellissima coccinella, tutta rossa, lucente, puntinata di nero. La coccinella, senza esitare, si presentò e con vocina sottile disse: -ciao, sono Alè e tu?La bimba innocentemente rispose: -ciao io sono Zai...... puoi toglierti dal mio nasino? et....ccì- un forte starnuto partì. Immediatamente la coccinella aprì le sue ali leggiadre e delicatamente si poggiò sulle manine della bimba che l’accolsero amorevolmente. I due fecero subito amicizia a tal punto da non volersi più separare. Allora Zai ebbe la favolosa idea - che Alè accolse con entusiamo - di andare a casa sua e restare un po’ lì usando come momentanea dimora quei stupendi fiori appena raccolti e dal profumo inebriante, libera di volare via quando lo avesse voluto. Così fecero. Giunti a casa, Zai mostrò alla sua nuova amica tutto il suo mondo, tra cui il suo adorato cricetino Kuf, un dolcissimo batuffolino tutto bianco che tutto contento per l’ospite esclamò: - che bella fragolina!- , facendo arrossire la coccinella. Senza perdere tempo, tutti insieme iniziarono a giocare, a saltare sul lettino, ad arrampicarsi sull’armadio, arrotolarsi a terra, a cantare e così via. Alè disse: -era da tempo che non mi divertivo così -. -Anche noi- risposero contenti Zai e Kuf. Certamente quella fu una bellissima giornata seguita poi da tante altre. Intanto la luce del giorno lasciava il posto alla sera e Zai era felice perché aveva trovato in

quel piccolo esserino una compagna sincera e leale. E pur sapendo che Alè più tardi sarebbe volata via era ugualmente contenta perché la sapeva “LIBERA”, in quel mondo meraviglioso e colorato ma, soprattutto, perché non l’avrebbe mai dimenticata.

Favolotopolandia

FAVOLOTOPOLANDIA

In un piccolo paesino chiamato Favolotopolandia vivevano delle persone tutte dotate di baffi analoghi a quelli dei topi. Un giorno una bambina triste per questa situazione scappò da casa in lacrime. Si avventurò in aperta campagna e dopo un po’ dovette fermarsi per la stanchezza. Sedutasi su una larga pietra iniziò a riflettere sul perché di quella stranezza. E non si dava pace, anche perché nessuno sapeva il vero motivo o riusciva a dare una valida spiegazione. Ad un tratto il suo sguardo fu catturato da una cosa insolita: notò un buco nel terreno, proprio vicino ai suoi piccoli piedini, da cui apparve un topolino piccolo e carino, dall’aria attenta e vispa con giacchetta gialla, pantaloncini corti rossi e un piccolo ombrellino in mano. Quest’esserino, guardandosi intorno, vide che il cielo era sereno e appena voltatosi notò quella bimba dagli occhi grossi e lucidi che lo fissava un po’ spaventata. Ma il topino, stupefatto, notò che la bambina non scappava. Allora accennando un sorrisino, le fece un inchino e subito dopo le si presentò dicendole con voce allegra: -Ciao bel musetto di angioletto, io sono Romoletto e tu?E la bimba sbigottita nel sentirlo parlare rispose: - io sono Rametta-. E il topolino, incuriosito dalle lacrime che rigavano quel dolce visetto, continuò: - perché piangi? Così mi fai il bagno, in un giorno così bello mi hai fatto aprire l’ombrello.Riuscì quasi a strapparle un sorrisetto quando, subito dopo, la bimba s’incupì in viso e afflitta gli rispose: -piango perché non riesco a liberarmi di questi brutti baffi! Ed egli, sorridendo, aggiunse: -almeno in qualcosa ci somigliamo. Conosci quel

proverbio che dice: “ donna baffuta sempre piaciuta “ ?A quest’ affermazione Rametta scoppiò a ridere, e non solo! Romoletto le raccontò la vera storia di quei baffi che lei tanto detestava. Erano il segno di un’antica e nobile provenienza: tantissimi anni fa il suo era un paese governato da un re e una regina i quali ebbero un figlio che crescendo iniziò ad assumere le sembianze di un topo. Ma i suoi genitori non disperarono perché quello era un bambino speciale dotato di una bontà straordinaria ed era come se quei baffi gli conferissero dei poteri straordinari facendolo amare dal suo popolo. Romoletto rivolgendosi alla bimba disse: -Rametta mia, porta con onore quello che la natura per ora ti ha donato perché arriverà anche un giorno che quando tu fortemente desidererai di non averli più, come per incanto ti sveglierai e.... pouff...... senza di esse ti troverai... Rametta rimase scioccata da tale racconto e con gli occhi gioiosi e speranzosi disse: -oggi tu mi hai reso felice-. L’altro rispose: -sono lieto di averti regalato la voglia di sorridere-; e lei ancora: ti ringrazio tantissimo, stai certo che non ti dimenticherò e ti sono grata per avermi resa fiera dei miei baffetti.Grazie alle parole di quel topolino Rametta aveva capito che il suo era un problema futile e che i problemi - quelli veri - sono ben altri. Detto ciò la bambina lo salutò e tutta contenta se ne tornò a casa.

Beo e il suo dono

BEO E IL SUO DONO

C’era una volta Beo, un bambino che sin dalla nascita aveva un meraviglioso potere: sapeva parlare con tutti gli animali. Un giorno sentì bussare alla sua porta e disse: - chi è?- Ma nessuno rispondeva. Il bambino, allora, aprì la porta, vide che non c’era nessuno e la richiuse. Ma sentì di nuovo bussare: -toc toc-. Stavolta Beo non rispose, si precipitò ad aprire e trovò un bellissimo pettirosso sulla maniglia della porta che gli disse: -ciao Beo, io sono Goa e mi ha mandato da te la civetta Croa perché mi ha detto che tu riesci a capirci e a parlare con noi.- Il bambino rispose: -sì ti capisco perfettamente- e dopo aggiunse: -ma dimmi, che cosa ti ha portato sin qui?- Non riesco a volare bene- rispose Goa, -ho un forte dolore nell’aletta.- Vediamola- disse Beo e Goa subito gliela mostrò. Il pettirosso volando un pò sbilenco si posò sulla sua manina; Beo la visitò e subito le disse: -Goa, non hai niente di grave, soffri solo di reumatismi, semplici dolori alle ossa, e se vuoi guarire per un po’ di tempo dovrai venire da me-. -Con piacere verrò se davvero riuscirai ad alleviare queste sofferenze-, rispose Goa. Detto ciò lo salutò. Intanto Beo andò in campagna a cercare delle erbe rarissime: la “zaimbu”, il “corsù” e la “cinzana” al fine di preparare un impacco speciale, a dir poco miracoloso. Appena ebbe finito di raccogliere tutte le erbe se ne tornò a casa e le mise a macerare. Verso le quattro del mattino seguente sentì qualcuno picchiettare sulla finestra della sua stanzetta. Infastidito da quel rumore Beo si svegliò e si accorse che era arrivato Goa, ancor più dolorante del giorno prima. Il bambino subito si alzò, lo fece entrare e lo fece accomodare sul lettino; in pigiama andò a prendere l’impacco di erbe e dolcemente gli massaggiò l’aletta. Goa gli disse: -ti ringrazio per la pazienza con cui mi stai curando-. Intanto dalla finestra si vedeva la civetta appollaiarsi su di un ramo per ammirare quel dolce bambino che con tanto amore e devozione aiutava chiunque andasse da lui. Subito Goa cominciò a provare un po’ di sollievo e disse: -Beo, già mi sento

meglio- e lui rispose - aspetta qualche altro giorno e il dolore sparirà-. Il erotto, tutto contento, si levò dal lettino e disse: -domani da te ritornerò- e poi spiccò il volo verso quel bellissimo cielo azzurro di primavera. arono due, tre giorni e Goa, ormai guarito, si sentiva proprio bene e non sentiva più alcun dolore. Arrivò così l’ultimo giorno di cura e l’ultimo impacco di erbe; Goa splendidamente in forma ringraziò Beo e con una dolce canzoncina lo salutò dicendogli: -aspettami qui un attimo.- Poi si allontanò qualche minuto e ritornò tenendo un ramoscello d’ulivo nel becco che, prima di partire, donò al bambino con tanta gratitudine. Intanto la civetta dopo aver visto tutta la scenetta, soddisfatta del suo -buon samaritano- gli si poggiò sulla spalla dicendogli -Beo, tu sei un vero amico per tutti noi -. A queste parole il bimbo sorrise e rispose -sono felice e soddisfatto di mettere questo mio dono a disposizione di tutti voi-.

Il piccolo camaleonte

IL PICCOLO CAMALEONTE

Era sera tardi, il buio della notte con i suoi silenzi e le sue ombre rendeva tutto tetro e pauroso. Tra l’erbetta di un cespuglio si aggirava un piccolo camaleonte di nome Cigo che decise di allontanarsi da solo per provare la sensazione che hanno la maggior parte delle galline che si appollaiano sui rami degli alberi per dormire. Il curioso Cigo salì sopra un ramo di un fico e disse: - che aria fresca c’è quassù e..... come si vede piccolo il mondo-. avano le ore e purtroppo Cigo non riusciva ancora a dormire. Si mise a contare le pecorelle, uno... due.... tre........ e così via senza nessun risultato. Allora iniziò a fissare la luna, ma appena questa fu velata da una grande nuvola tutto s’incupì, Cigo fu assalito da un grande sconforto, cominciò a tremare e con un filo di voce sussurrò: - Voglio la mamma, ma chi me l’ha fatto fare...-. Cigo capì che la curiosità non ci è sempre amica... anzi....... Non appena riapparve un debole filo di luce il piccolo camaleonte, impallidito dalla paura, pian pianino senza rumoreggiare scese da quell’albero e si incamminò verso casa in compagnia dell’ultima briciola di coraggio che gli era rimasta. Improvvisamente, quando mancava poco per arrivare, udì un rumore e un’ombra che sfuggiva velocemente. In gran fretta Cigo si nascose nella cavità di un masso e vi rimase immobile per un po’ a guardare con gli occhioni spalancati, come se avesse visto un fantasma, e in compagnia del suo battito di denti... tin... tin... La sua paura si era appena attenuata quando vide aggirarsi un grosso leprotto che indisturbato si intrufolava tra i cespugli in cerca di qualcosa. Il leprotto, di nome Stom, ignaro di essere osservato, si fermò senza accorgersene davanti al camaleonte che con voce tremolante lo salutò. L’altro si voltò di scatto e vedendo quel piccolo camaleonte indifeso gli ricambiò il saluto e gli chiese: - ma cosa fai qua da solo nel buio della notte; non sai che è pericoloso- ?

Cigo rispose: -sì ora lo so e... tu cosa fai in giro? E Stom disse: -aspetta qui ora lo vedrai.Il leprotto con un salto fulmineo si addentrò in un cespuglietto; Cigo rimase lì a guardare, notò l’erba muoversi in modo insolito e udì dei versi: CRI-CRA..... Subito dopo vide quel furbacchione di leprotto che spuntava con del cibo. Questo da lontano lo salutò con un cenno e tutto fiero si allontanò. Quella notte il piccolo camaleonte capì tante cose che lo aiutarono a crescere. Dopo essersi calmato Cigo proseguì il suo cammino verso casa. Non appena arrivò provò un forte sollievo e subito cadde in un sonno profondo. Al suo risveglio si ritrovò insieme ai suoi cari e raggiante di felicità esclamò: - non c’è posto migliore della propria casa dove sei sempre circondato da tanto amore-.

L’elefantino innamorato

L’ ELEFANTINO INNAMORATO

In un villaggio caraibico c’era un volta un elefantino che ogni sera inscenava uno spettacolino. Diventato adolescente Dino - questo il suo nome - notò fra i suoi spettatori un’incantevole ragazza hawaiana, bella come il sole, affascinante come la luna, con due stelle per occhi e una collana di fiori che la adornava come una regina. Allora Dino si fermò davanti a lei e pensò: -ma è vera questa bellissima visione? - Subito dopo le si avvicinò e posò la sua morbida proboscide sulla sua bocca rossa e carnosa. Lei tutta rossa in viso diventò ed esclamò: - cosa fai, sporcaccione?- Un dolce e romantico barrito fu la sua risposta. Dino si era proprio innamorato di quella creatura celestiale e ogni volta che la vedeva non riusciva più a staccarle gli occhi di dosso. Capitava spesso che il suo impresario lo punisse perché l’elefantino innamorato non riusciva mai a finire la sua esibizione. La ragazza seppe interpretare i sentimenti dell’elefantino e così, un bel giorno, finito lo spettacolino lo andò a cercare nel suo recinto. Gli si avvicinò, lo accarezzò e gli disse: -scusami se prima sono stata un po’ brusca ma tu con la tua lunga proboscide mi hai lavato tutto il viso - e poi aggiunse: - Dino tu sei un elefantino speciale e non devi e non puoi amare me, ma una creatura della tua stessa specie.- Dino l’ascoltò attentamente ma non riuscì a dire nemmeno un parola. Allora lei continuò: -appunto perché io ti voglio bene oggi ti aiuterò a scappare, così finalmente potrai andare verso la libertà, vivi la vita, scappa e vai dove veramente potrai trovare l’amore vero e sappi che per me resterai sempre un caro amico.- Poi aggiunse: - ora io andrò via senza chiudere il cancello; abbi cura di te e sii felice.- Dopo, Kensi gli diede un bacio e frettolosamente, senza mai voltarsi, andò via mentre dagli occhi di Dino affiorava lentamente qualche lacrima. Effettivamente quella sera Dino scappò avventurandosi verso la foresta. Purtroppo nei suoi pensieri c’era Kensi, tenero raggio di sole che illuminava il cielo dei Caraibi. Si sentiva svuotato, non aveva più la forza di andare avanti finché un giorno

davanti a sé comparve una giovane elefantessa che, vedendolo, gli fece l’occhiolino. Lui la guardò, in fretta si alzò e da quel momento comprese le parole che Kensi gli aveva detto. Finalmente Dino aveva trovato l’amore, era ritornato a ridere libero e felice grazie alla generosa umanità di quella delicata creatura.

Il viaggio di Ciap e Clip

IL VIAGGIO DI CIAP E CLIP

C’erano una volta due vivacissimi castori, Ciap, amante dei viaggi, e Clip a cui piaceva inventare. Un giorno, mentre stava leggendo una rivista sotto il suo albero di ghiande, Ciap decise di andare a visitare l’America, ma fu subito consapevole che sarebbe stata un’impresa molto pericolosa e faticosa a causa della enorme distanza di quel continente. Andò allora dal suo amico Clip –come sempre immerso nelle sue invenzioni- e gli disse: -domani vuoi venire con me per un lungo viaggio, ma mooolto lungo? Clip rispose: - dove vuoi andare?- Non te lo puoi neanche immaginare, a New York in America dove c’è uno sfrenato divertimento- gli rispose Ciap. -Dove ci sono tante castorine da sballo? -, domandò l’amico, -sì non vedo l’ora!!-. -Allora è deciso- -disse Ciap- -domani presto partiremo; ora andiamo subito a riposare così potremo affrontare il viaggio serenamente-. E così, tutti contenti, i due se ne andarono a dormire. Ai brimi bagliori del mattino, non appena il gallo iniziò a cantare, Ciap e Clip si alzarono, presero delle provviste e subito dopo salirono sul loro jet privato, costruito da Clip, e battezzato “l’aereo vagabondo che gira tutto il mondo”. Clip si mise al volante ed esclamò: -amico si parte!- Ciap entusiasta rispose: andiamo alla scoperta dell’America.- L’aereo cominciò a salire sempre più in alto seguendo la rotta desiderata. Poi Ciap aggiunse: -siamo sulle nuvole, che bello sembra panna montata come vorrei assaggiarla - e Clip, ridendo, gli esclamò: -se vuoi ti lascio qui! - -Ah ah ah... non mi fai ridere –rispose l’amico-, anzi pensandoci bene qui c’è troppo freddo-. -Già- disse Clip. arono diversi giorni e finalmente al settimo videro da lassù l’America.

Subito gioirono e iniziarono a cantare. Il piccolo aereo atterrò sopra un albero maestoso dalle foglie enormi. Dopo aver aperto il portellone Clip disse: scendiamo- e usato l’ombrello a mo’ di paracadute i due castori si lanciarono sul suolo. -E ora che facciamo?-, domandò Clip. E Ciap rispose: -ci divertiamo...-. Subito dopo girarono un bel po’ per quella grande città tutta brulicante di luci, di persone e di macchine sino a quando non trovarono un tombino e vi entrarono. Là sotto, con grande stupore, trovarono una vecchia città abitata da innumerevoli topi, ragni e da qualche anziano castoro. Senza alcuna paura s’avventurarono lungo le fetide gallerie al termine delle quali trovarono un night dove rimasero meravigliati alla vista di tanti topi e castorine in bikini che ballavano, giocavano e tanti altri che si ubriacavano. Erano tutti allegri e sorridenti. Ciap e Clip allora uscirono da quel postaccio un po’ maleodoranti e, mischiandosi nella folla dissero: - questa sì ch’è vita!- Subito dopo anche loro iniziarono a bere e bevendo bevendo anch’essi si ubriacarono, ma sopraffatti dal sonno e dalla stanchezza improvvisamente crollarono a terra. L’indomani, il primo a svegliarsi fu Ciap che, lì per lì, non capì nemmeno dove si trovasse, ma accortosi di non vivere un sogno chiamò l’amico Clip che russava beatamente e gli disse: -Clip, Clip, svegliati!!- e questo con gli occhi chiusi rispose: - lasciami dormire ho sonno-. Ciap, allora, prese un bicchiere d’acqua e gliela versò in quella bella faccina sognante. L’amico di scatto aprì gli occhi tutto infuriato e urlò: -ma cosa mi fai, il bagno?Ciap rispose: -purtroppo con le buone maniere non ti svegliavi ed io ho dovuto così rimediare-. -Sappi che non mi sei più simpatico, borbottò Clip, -per ora è meglio che tu stia lontano da me-. I due per un po’ non si parlarono, tenendosi a distanza l’un l’altro, sino a quando non si riconciliarono e uscirono fuori a eggiare in quella città turbolenta. Ciap, allora, disse: -Clip, amicone, mi hai perdonato per l’acquazzone che ti ho lanciato?-. E l’altro rispose: -sì ma non ci provare mai più-. Intanto il loro pancino cominciava a brontolare, avevano proprio fame e non sapevano cosa fare. Ciap disse: -andiamo a cercare qualcosa da mangiare?- E Clip rispose: -sì ma dove?- E ancora Ciap: -guarda andiamo lì, in quei due

bidoni dell’immondizia, sicuramente troveremo qualcosa da sgranocchiare.- Si avvicinarono e Clip disse: -ma qui c’è puzza di cose marce-. -Tu otturati il naso se non vuoi rimanere all’asciutto-, rispose Ciap. E l’amico: ah ah che idea geniale che hai avuto!Così fecero, andarono dentro e finalmente mangiarono. Poi uscirono dai cassonetti tutti sporchi ma sazi e ben pasciuti cosicché Ciap disse: - ho mangiato troppe cose piccanti, mi mancano le nostre profumate ghiande, quel cibo genuino e fresco.- Detto ciò i due amici si guardarono in faccia e dissero: -sì qua è bello ma è ancor più bella la nostra amata terra che è semplice ma genuina e piena di colori della natura-. Allora i due si diressero verso quell’albero che parcheggiava il loro aereo, lo raggiunsero, salirono su di esso e si sedettero nei loro posti, ma purtroppo quando Clip tentò di avviarlo il motore non partì. -E ora che facciamo?- domandò Ciap. -Non ti preoccupare- rispose Clip -sai che io sono un inventore, il migliore che ci sia.. modestia a parte-. -Sì - disse Ciap ma non esagerare! Come farai senza i pezzi giusti?-Non ti preoccupare- replicò l’amico, -sai che io non viaggio mai senza la mia valigetta, lì ho tutto ciò che mi serve-. Allora Ciap la prese e gliela portò. Clip inventò subito il ricambio per l’aereo sotto gli occhi increduli dell’amico e appena lo montò il jet iniziò di nuovo a rombare: BRUUM.... BRUUM. Ciap allora esclamò: -è proprio vero che gli amici sinceri si riconoscono nel momento del bisogno! I due subito felici partirono e da lontano salutarono quella bella ma caotica città che man mano scompariva sotto i loro occhi. Tornati finalmente a casa baciarono la terra promettendo che lì sarebbero rimasti per sempre perché quella era la vita che volevano, pulita e sana.

Quella sera

QUELLA SERA

Era un cupo giorno d’inverno, la pioggia cadeva a dirotto, fulmini e lampi facevano impallidire ogni cosa. Le piante e gli alberi, tutti fradici, sembravano dire: -basta con quest’acqua, non ne possiamo più-. Intanto Lina la formichina, uscita fuori per prendere della legna da ardere, non poté rincasare a causa del forte vento e preoccupata disse tra sé: -ora come farò senza neanche un ombrello?- Cercò riparo sotto un albero di pino e, tutta bagnata e tremante, si accovacciò su di una foglia e per un po’ aspettò finché non si addormentò. Intanto l’acqua si faceva sempre più alta e durante il sonno, senza che lei se ne accorgesse, la foglia dove riposava cominciò a muoversi trasportandola in un posto lontano. Al suo risveglio Lina non capì dove si trovasse e disperata cominciò a piangere e a singhiozzare. All’improvviso cominciò a sentire un profumino e ad udire un frastuono, ma non era un tuono.... era un suono di pentole e di bambini che ridevano. Lina cercò, ricercò e cercò ancora, ma... lì non c’erano solo che alberi. Infine, stanca, si sedette e all’improvviso poggiandosi sul tronco di una quercia secolare si aprì una porticina. Lina rimase perplessa e disse tra sé: -entro o no?!A facilitare la sua decisione fu un forte tuono che rimbombò in tutta la foresta. Fece infatti un rapido salto ed entrò notando delle lunghe scale che portavano sempre più in giù. -Speriamo bene-ripeteva durante quella discesa mentre il profumino si faceva sempre più intenso. Al termine della scalinata vide una casetta abitata da una famiglia di molluschi. Con voce tremante chiese: -scusate posso entrare?La padrona di casa, signora Purè, con fare materno la guardò e le disse: -sì certo entra pure piccina; ma sei tutta bagnata! - E soggiunse: -vieni ad asciugarti, bevi questo miele caldo, vedrai che dopo ti sentirai meglio- . -Grazie signora- -

rispose Lina – -se non vi avessi incontrato oggi io non so cosa sarebbe stato di me-. Poi cominciò a raccontare che era stata una foglia a condurla là da loro. Lina fece subito amicizia con tutta la famiglia che all’istante l’accolse con tanto amore. Peter, il maggiore dei figli, le cedette persino il suo posto a tavola. Si sentì amata e coccolata come una di loro. Intanto il tempo migliorava e la dolce formichina voleva tornare a casa sua. Ma la signora Purè insistette e la fece dormire con sé. Le riservò la stanza più bella che aveva e Lina si adagiò su un bellissimo lettone di foglie secche e dai morbidi cuscini imbottiti con semi di fiori. Quel giorno spaventoso si trasformò in gioioso; e quella notte pensò di essere stata molto fortunata per aver conosciuto delle persone così gentili e meravigliose. L’indomani Lina si svegliò col sorriso sulle labbra, salutò e ringraziò la signora Purè e i suoi figli dicendo che al più presto sarebbe andata a trovarli e pensando tra sé che essere caritatevoli dona gioia a chi dà e a chi riceve. Il signor Ponci, marito di Lina ed esperto della zona pian pianino l’accompagnò a casa sua felice anche lui di aver conosciuto una formichina così fragile e carina. E subito dopo esclamò : - forse certe cose non accadono mai per caso! -

La zucchina e il peperone

LA ZUCCHINA E IL PEPERONE

C’ era una volta una bellissima piantagione di peperoni e zucchine. Un giorno la zucchina disse a un peperone: -mamma mia quanto sei rosso, ma cosa ti danno da bere? Il vino? -Sì, io sono rosso rosso- –rispose il peperone- -ma tu sei spilungona e verde, verde d’invidia.- Da quel momento in poi i due non si parlarono più. Ma un giorno, dall’alto videro cadere delle fetide goccioline d’acqua arancione. -Oh no! - esclamò la zucchina e rivolta al peperone gli urlò: -svegliati-! -Chi è, io non sento niente - rispose l’altro. -Smettila, non litighiamo più, ci dobbiamo aiutare....- riprese la zucchina, guarda l’uomo come ci sta sporcando, questo serve per farci ingrassare così poi loro ci potranno mangiare e se non vuoi fare una brutta fine dobbiamo andare via al più presto-. -Sì, -disse il peperone-, ma dove andiamo? Fu così che i due si presero per mano e cercarono di scappare ma notarono con grande amarezza che l’intera piantagione era invasa da quegli umani con una pompa a mano, una macchina infernale che spruzzava acqua colorata. Il peperone disse: - Facciamo finta di essere piegati sino a terra così loro ci prenderanno e ci butterano fuori da qui-. -Va bene facciamo così- disse la zucchina. In realtà un uomo ò da lì e vedendo i due ortaggi a terra li prese e li buttò nel cesto. -Oh che buio!- , disse la zucchina; - ma siamo già...... -rispose il peperone, -ma che dici.......zitta- e in men che non si dica qualcuno li scaraventò in un fossato. Là i due si guardarono increduli, erano tutti sporchi ma vivi. Il peperone disse: ora copriamoci con un po’ di foglie in modo che non ci vedano, così quando loro avranno finito potremo scappare-.

E così fecero. Non appena il contadino andò via la zucchina e il peperone si presero per mano e scapparono via. Da quel giorno i due capirono che le litigate, l’invida, le ripicche non servono a nulla, anzi rendono più triste la solitudine. La cosa più importante è stare insieme uniti ed aiutarsi reciprocamente.

La paperella e i suoi amici

LA PAPERELLA E I SUOI AMICI

In un piccolo stagno viveva una bellissima paperella. Era molto speciale perché il suo manto era di tre colori. Di sopra rosso ciliegia, al centro bianca e le zampe verdi. Da piccola diventò la mascotte di quel posto e la chiamarono “Tricolore”, soprannome di cui lei era molto fiera. Un giorno, però, incontrò un mascalzone che voleva catturarla. Lei gridò con gran dolore: - lasciami stare brutto ceffo!- Intanto da quelle parti si aggirava un grosso orso che, udita la voce di Tricolore andò a soccorrerla. Quel tipaccio, nell’intento di prendere la papera non si accorse che alle sue spalle si era fermato un bestione enorme che, di certo, non voleva accarezzarlo. L’uomo sbiancò alla vista dell’orso che minacciosamente gli si avvicinava e, dopo aver gentilmente adagiato per terra la paperella, se ne scappò a gambe levate. Intanto Tricolore e l’eroico orso Giò se la ridevano a più non posso e da quel giorno quel malintenzionato non ritornò mai più in quel posto per evitare di finire nei guai. Dopo aver ringraziato il suo amicone la paperella andò a riposare, ma durante la notte alcune voci disturbarono il suo sonno. Cercò di vedere chi ci fosse e un po’ più in là notò una coppia di pavoni che complottava qualcosa. Purtroppo c’era troppa distanza e non si percepiva granché. Tricolore si avvicinò e, accostatasi ad un alberello di fico, udì che quei tipi erano due ladri desiderosi di arricchirsi con la roba altrui: soldi, gioielli, ecc. Uno di loro, all’improvviso, disse: -Beo ora il piano è perfetto, nessuno mai potrà scoprire cosa ora andremo a fare-. L’altro rispose: -sì Teo andiamo, travestiamoci e partiamo-. La paperella, senza farsi né notare né sentire, andò a trovare l’orso Giò e gli raccontò tutto. Egli allora esclamò: -gliela faremo ricordare noi questa serata!L’orso radunò in quel posto alcuni dei suoi tanti amici: canguri, tigri, pantere..... Appena i malfattori entrarono nella tana prestabilita trovarono tanti gioielli. -Che

bello diceva Teo e Beo, che fortuna che abbiamo avuto!- Intanto riempivano il sacco, ma appena usciti dalla tana il loro sorriso si trasformò in pianto amaro perché con enorme stupore si accorsero che fuori c’erano tanti animali feroci che aspettavano proprio loro! I due ladruncoli, ormai colti in flagrante, implorarono: -pietà, pietà restituiremo tutto se ci lascerete andare e promettiamo di non rubare mai più.- L’orso, mosso da sincera pietà e col consenso di tutti disse: -nudi siamo nati e nudi ve ne andrete-. Teo e Beo si spogliarono e nudi se ne andarono; e da quel giorno mai più rubarono. Tricolore e i suoi amici, probabilmente, avevano dato il loro contributo per un mondo migliore e ... più onesto.

Il ricco - povero

IL RICCO - POVERO

Un giorno, per puro caso, due giovani boy scouts, girovagando per i monti norvegesi dopo ore e ore di cammino, fecero un’inaspettata scoperta. Videro che in una grotta ben nascosta viveva un signore trasandato con la barba bianca e lunga, solo in parte coperto da indumenti vecchi e bisunti. I due non crederono ai loro occhi; si nascosero per un po’ tra quella folta vegetazione e, per un attimo, si sentirono quasi come se fossero tornati alla preistoria. Quell’ uomo si comportava come gli antenati (i primi uomini), si cibava con il poco che riusciva a prendere, dormiva disteso a terra ma soprattutto una cosa li lasciò perplessi: lo videro pregare. Jol disse: -però che brav’uomo - e Jam rispose: -da lui c’è solo da imparare-. I due ragazzi decisero quindi uscire allo scoperto e da lontano si fecero notare. Appena li vide l’uomo indietreggiò e subito loro gli dissero: -non aver paura siamo amici!- Allora l’uomo rispose: -se venite in pace avvicinatevi pure e condividete con me quest’umile pranzo.- I due, stupiti da tale nobiltà d’animo, lo ringraziarono. Sedutisi a terra iniziarono da subito a familiarizzare con quello che sembrava un poveraccio mentre, in effetti, di povero non aveva nulla. Jam, incuriosito, gli chiese: -perché lei vive così e lontano da tutti?- E l’altro rispose: -questa è stata una mia scelta che può essere o non essere condivisa... come vedi qui non mi manca nulla e soprattutto ora mi sento “ vivo “, rinato a nuova vita, cosa che non cambierei per niente al mondo- . Jol rispose: -non le manca il calore di una casa vera e il contatto con delle persone che la amano-? Allora l’uomo raccontò: -vedi..... io nella vita ho avuto

tutto, forse fin troppo. Una volta ero l’uomo più ricco della Norvegia, “ Amù”, vivevo nel lusso sfrenato ma nonostante ciò non ero mai felice. Finchè un benedetto giorno ho capito la cosa che mi mancava e che nessuno poteva darmi-. -Cosa? - dissero i due ragazzi. -L’amore, -rispose lui- l’amore interiore. Per la prima volta fui felice quel giorno che donai tutti i miei averi ai poveri; e quella volta che mi rifugiai qui io ritrovai me stesso con la meditazione e la preghiera. Finalmente ora sono veramente appagato e mi sento ricco e traboccante d’amore- . Detto ciò quel saggio uomo li salutò, raccomandando loro di fare del bene senza mai aspettarsi nulla in cambio e subito dopo ritornò in quella piccola grotta, per lui più importante di un castello con tutte le sue comodità. I due ragazzi, soddisfatti di quell’insolito incontro, con gioia ripresero il loro cammino di esploratori con la consapevolezza che amare sé stessi e il prossimo fosse l’unica vera chiave della felicità.

Leon ed Ele

LEON ED ELE

In un bellissimo giorno di primavera un circo molto famoso e rinomato per le diverse specie di animali che possedeva andò a fare i suoi spettacoli in Africa. Una volta arrivati lì, gli animali sentirono il richiamo della giungla che sembrava quasi attirarli a sè. Quel giorno un leone snello e sciupato di nome Leon, disse ad un grosso ed alto elefante di nome Ele: -non senti quest’aria di casa che ci inebria?- Sì, certo, come vorrei essere libero di correre e calpestare la mia terra...- rispose l’altro aggiungendo: -anch’io lo vorrei e non essere più costretto a fare delle noiose esibizioni che fanno ridere solo gli altri e non certo me; io voglio ruggire come un re liberoEle rispose: -hai ragione e poi ci tengono buoni dandoci come contentino lo zuccherino. Anch’io sono stanco di fare questa vitaccia-. I due allora decisero di scappare. In tarda serata, quando faceva buio e il domatore come sempre ava a controllare se tutto andasse bene, Leon ed Ele finsero di dormire. Quello, nel vederli riposare li lasciò stare, non li legò e tranquillo se ne andò a dormire. I due, pian pianino, si alzarono e scavalcarono il recinto. -Stai attento-, disse il leone all’elefante, -perché sei pesante e se ci sentono ci prendono-. Finalmente erano fuori di lì e si addentrarono nella fitta giungla gustando l’amata libertà. Ogni attimo era speciale e Leon esclamò: finalmente! Pensavo che non sarei più tornato qua in questo posto incantevole-. Ele rispose: -anch’io mio amico di viaggio e così per sempre dobbiamo rimanere, mai più nessuno ci dovrà legare siamo nati liberi-. Ed insieme esclamarono: -e liberi dobbiamo stare! - I due sembravano volare in mezzo a quella ritrovata giungla, tra quegli alberi maestosi dove ormai nessuno poteva arrivare. Ele disse: -ora caro Leon le nostre strade si divideranno, chissà forse qua troveremo anche l’amore-.

-Sì sono d’accordo con te – rispose l’altro- ti saluto amico mio e ti auguro tutte le cose che hai sempre sognato fare ed avere-. Dopo un po’ videro dei loro simili ed ognuno si avvicinò al suo. L’elefante fu subito accolto da un’elefantessa che con tanto amore lo accarezzò con la sua proboscide, mentre il leone dovette faticare un pochino ma, infine, riuscì a farsi amare. A loro non sembrava neanche vero che tutto ciò si fosse trasformato in realtà, grazie al loro coraggio ed alla loro audacia e determinazione. Quella sera i due ebbero anche paura di addormentarsi preoccupati che tutto ciò svanisse per poi ritrovarsi di nuovo in quella brutta trappola. Erano, invece, ormai al sicuro a casa, la loro amata casa. Leon ed Ele rimasero per sempre amici ed ogni tanto quando s’incontravano si abbracciavano affettuosamente e festeggiavano correndo liberi in quell’enorme giungla che li avvolgeva e li proteggeva con il suo verde manto.

La piccola Tati

LA PICCOLA TATI

Tantissimi anni fa in svariate parti del mondo vivevano degli esseri piccolini quanto l’unghia di un pollice. Un giorno Tati, la più piccina del gruppo, salì sopra una montagnetta di legna posta sotto la finestra e s’intrufolò nella casa degli uomini, per lei giganti, alla scoperta del loro mondo. Sul davanzale scorse un bellissimo bicchiere colmo d’acqua che rifletteva la sua immagine. Impaurita, indietreggiò ma involontariamente lo sfiorò con il braccio facendolo cadere in un cestino colmo di frutta che stava sopra un enorme tavolo. Tati cercò di uscire dal cesto alla meno peggio ma appena giunse sul bordo del tavolo ebbe paura e disse tra sé: -come farò a scendere da tale altezza?- Si sedette pensierosa a gambe incrociate e notò un chewing gum adagiato su una ciotola poco distante da lei. Si avvicinò con tutte le sue forze, la spinse fino al bordo del tavolo, la fissò per bene e infine vi si aggrappò, mentre si allungava come un elastico, per farsi portare giù. –Wow- disse lei -eppure è stato divertente-. Subito dopo Tati camminando più in là scorse un tubo di media lunghezza fatto di uno strano materiale e, dopo averlo toccato, disse: -chissà cosa sarà?- Quel cilindro che alla sua vista appariva enorme era solo un minuscolo ditalino di pasta dove lei s’intrufolò alla svelta e quando questo improvvisamente iniziò a rotolare da una parte all’altra lei gridò: - ahh ahh mi gira tutto , fermati aiuto!!Per sua fortuna, dopo un metro, quel ditalino si fermò urtando il piede di una sedia, cosicché barcollante e lamentosa Tati poté uscire fuori. Intanto il suo amico Gioi, vedendo che tardava, salì preoccupato sul davanzale ed iniziò a chiamarla: -dove sei? ma cosa fai, vieni! - Lei si voltò e rispose: come faccio a risalire-? -Aspetta qui, ci penso io-disse l’amico per tranquillizzarla. Subito dopo, in suo soccorso spuntò tutta la sua popolazione che per aiutarla formò una scala vivente e la portò via dal quel posto inospitale e pericoloso. Ma alla piccola Tati ciò non importava e dopo alcuni giorni si avvicinò nuovamente

a quella casa che, stavolta, non era vuota ma animata da esseri grandi e più piccoli, mai visti prima di allora, che stuzzicarono ancor di più la sua curiosità. Restò lì nonostante le raccomandazioni della mamma, nascosta tra l’erbetta ad ammirare il comportamento di quegli esseri, quando ad un tratto fu sfiorata da una palla, ed ebbe paura. La paura ebbe il sopravvento quando una bambina si avvicinò per recuperare quella palla e dopo aver fissato la piccola Tati, esclamòe: -che sei carina!-, e sorridendo ritornò a giocare. Benchè pietrificata dallo spavento Tati rimase colpita dal buon comportamento della bimba e ritornò a casa sua situata in mezzo a tanti alberi di castagno. Lì tutti vivevano felici e spensierati e nessun “gigante” avrebbe potuto disturbare quel posto così ben riparato. Stavolta, però, Tati non raccontò nulla a nessuno per paura di essere rimproverata severamente, ma da quell’incontro così ravvicinato e particolare capì che era meglio evitare di correre altri guai.

La fabbrica di gomma

LA FABBRICA DI GOMMA

In un piccolo villaggio poco distante dal Polo Nord viveva una bambina di sette anni di nome Aim. Questa bimba era solita masticare chewing gum dalla mattina alla sera e desiderava scoprirne la formula chimica. A casa faceva tanti intrugli, ma non riusciva mai a creare l’elasticità necessaria e disperarsi, alla fine, non serviva a nulla. Un giorno Aim decise di costruire una barca che potesse reggere il suo peso perché desiderava raggiungere la fabbrica di chewing gum che si trovava dall’altra parte del Polo. Finalmente dopo tanti giorni riuscì a creare una bellissima barchetta. La portò fuori, montò su di essa due tavole per remi; poi vi salì insieme al suo cagnolino Timmy e cominciò a remare. La barca scorreva velocemente, sembrava quasi che sapesse dove andare. -Oh... che meraviglia-, diceva Aim, -mi sento libera come un pesce-. Intanto, da lontano, si cominciava ad intravedere la cima tutta variopinta della fabbrica. Lì Aim si fermò e posteggiò la barca nel vicino ghiacciaio. Cominciò ad avvicinarsi verso la fabbrica con il cane scodinzolante. Arrivata all’ingresso, bussò: - toc toc c’è nessuno?- E il portone si spalancò. La bimba all’istante rimase immobile di fronte a tanta bellezza ed esclamò: -uhhhhh!- ci sono gomme di tutti i gusti dalla fragola ai lamponi, dal cioccolato alla liquirizia..... tutto era talmente profumato da far svenire.... All’improvviso Jacol, l’anzianotto proprietario della fabbrica, le si avvicinò e domandò: -chi sei, bella bambina?- -Io sono Aim-rispose lei- e vengo da molto lontano.-Io so perché tu sei qui – osservò l’anziano signore – solo una ragione può condurre una bimba qui. Tu vuoi visitare la fabbrica di gomma e magari scoprirne qualche ricetta.... E, perché no, assaggiare un po’ di tutto-. Jacol, allora, la portò in giro per tutta la fabbrica, ma alla fine Aim notò una porticina dove non aveva messo piede e domandò che cosa vi fosse dentro. Jacol rispose: -lì è dove avviene il “miracolo”, dove la gomma diventa fluttuante

a molto elastica-. -Posso vedere?- chiese la bambina. -Sì,- rispose l’anziano, -però non dovrai mai a nessuno svelare la pozione magica, perché dall’istante in cui la nostra fiducia tradirai questa fabbrica scomparirà e con lei per sempre tutti i chewing gum del mondo-. Allora Aim giurò solennemente : - mai e poi mai a nessuno e poi mai svelerò la pozione-. Dopo entrò nella stanza e scoprì finalmente ciò che mancava alla sua ricetta: era un’erba speciale che solo il vecchio Jacol possedeva. La bimba rimase meravigliata e dopo aver assaggiato ogni tipo di chewing-gum pensò che fosse arrivato il momento di salutare quella brava persona che l’aveva trattata come una figlia e gli promise che non lo avrebbe mai dimenticato perché le aveva regalato il giorno più bello di tutta la sua vita. Prima che Aim se ne andasse Jacol, impressionato dalla sua bontà e semplicità, decise di farle un regalo. La portò fuori in un cortiletto al riparo dagli sguardi indiscreti, dove c’era una bellissima mongolfiera tutta fatta di gomma di ogni gusto e colore. – E’ bellissima- esclamò la piccina e Jacol disse: -vedi, questa è per te; -adesso torna a casa e tutte le volte che deciderai di venire sappi che noi ti aspetteremo a braccia aperte-. Aim lo ringraziò per quel bellissimi dono, e lo abbracciò affettuosamente. Poi salì sopra quell’enorme pallone volante con il suo fedele Timmy e ritornò a casa felice di aver assistito al miracolo della gomma. Aim capì che una cosa apparentemente impossibile può anche diventare realtà e che nella vita non bisogna arrendersi mai.