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sco Andrea Massari

LACRIME RUBINO

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Fantasy:

- Forze Ancestrali (Mondo 1.1) di Andrea Zanotti

- La Regina Nulla (Mondo 1.2) di Andrea Zanotti

- I Pretoriani Bianchi (Mondo 1.3) di Andrea Zanotti

- Il Nuovo Quarto (Mondo 2.1) di Andrea Zanotti

- Qilana la Pura (Mondo 2.2) di Andrea Zanotti

- La Città degli Automi di sco Bertolino

- La Forgia del Destino di sco Bertolino

- La Fiamma Eterna di sco Bertolino

- L’Eredità di Ys di sco Bertolino

- Le Sabbie Nere di sco Bertolino

Fantascienza:

- Mutation di Irene Grazzini

- Pre-Mutation di Irene Grazzini

- Siamo la Promessa (Saga di Promise Vol.1) di Federico Negri

- Cuori d’Acciaio (Saga di Promise Vol.2) di Federico Negri

- Il Pianeta Ostile (Saga di Promise Vol.3) di Federico Negri

Raccolte di racconti:

- Mondi in divenire di Andrea Zanotti

1

Un'occhiata al cielo cupo e minaccioso sopra la mia testa dovrebbe esser sufficiente a farmi desistere, spingendomi lontano dalla cima, verso il sentiero dalla quale provengo. Il o è sempre più stentato e le scarpe affondano nel terreno, come se persino il fango volesse trattenermi dall'andare oltre. Eppure, incespicando, le mie gambe continuano la loro inesorabile marcia verso la sommità della collina, ai piedi dell'Albero Rosso…

La città di Killorglin è conosciuta nel resto del Paese per una sola attrazione: la “Puck Fair”. La Puck Fair è una stupida festa locale che si celebra ogni anno il dieci agosto, terminando poi la notte del dodici. Prende spunto da una leggenda popolare vecchia di ottocento anni, e Dio solo sa quale mente malata possa averla concepita. Parafrasando i libri di storia, una limpida notte d'estate gli inglesi tentarono di invaderci. Non era certo la prima volta, s'intende, ma fino ad allora gli attacchi dell'esercito di Sua Maestà si erano limitati alla costa orientale dell'isola. Con un astuto stratagemma, invece, i sudditi attraccarono sulla costa occidentale, a poche miglia da Killorglin. L'esercito inglese, tuttavia, non aveva considerato che la nostra amata terra, a differenza della loro, pullula di sagaci animaletti del bosco. Un caprone selvatico, il “Puck” di cui sopra, si mise a belare contro l'invasore, portando l'allarme in tutta la cittadella, che non credette ai propri occhi quando vide un manipolo di soldati bardati di croci rosse avanzare nell'entroterra. La questione si risolse in poche ore: gli inglesi vennero sconfitti e rispediti al

mittente, ed il nostro caro caprone fu eletto Re di Killorglin… Difficile confutare tutta la faccenda, ne convengo io stesso; ma da quel giorno, ogni anno, viene celebrato l'insano rituale di incoronazione del Re. Il tutto inizia la notte del nove agosto, quando gli uomini della città, obnubilati dall'alcol, si cimentano nella caccia al caprone selvatico vagando per i boschi circostanti. I baldi cacciatori ritornano poi verso l'alba con l'animale, vivo, legato ed imbavagliato come un vero prigioniero di guerra. Il poveretto viene quindi scortato nella piazza principale della città, dove il giorno seguente avverrà l'investitura della “Regina”, altro guizzo romantico tutto nostro, scelta solitamente tra le ragazze dell'ultimo anno di scuole superiori. Badate bene, ora, al compito che rivestirà la ragazza: la Regina, infatti, ha un ruolo chiave in tutto questo delirio, perché è colei che pone una corona, a volte di legno, altre in ferro battuto, sul capo dell'animale, eleggendolo a suo Re e consorte. Celebrato il matrimonio, in barba a qualsiasi legge del buon gusto, i successivi due giorni e tre notti sono dediti all'alcol e ai festeggiamenti, senza particolari restrizioni o fiscalismi da parte della Garde Sìochàna. La Puck Fair attira migliaia di persone da tutto il Paese, ed è un'ottima occasione di guadagno per chi, come mio padre, gestisce un pub fatiscente. Alcol, baldoria e matrimoni misti: cosa potrebbe attizzare maggiormente le folle? Da qualche anno a questa parte, inoltre, la festività richiama a sé decine di giostrai da tutta Europa e persino numerosi clan di pavee; questo ha sì aumentato il flusso di visitatori, ma anche di furti e raggiri. Zingari e Italiani vanno a nozze con il Diavolo, diceva sempre mia nonna. Un'affermazione un po' razzista, forse, ma assolutamente vera da queste parti.

Esiste però una seconda attrazione a Killorglin, pressoché sconosciuta al di fuori dei confini cittadini fino ad un anno fa; ed è molto più interessante della prima a

mio avviso: la collina Morrigan ed il suo Albero Rosso!

La salita si fa impervia, il fango è sempre più viscoso e i pochi ciuffi d'erba che sporgono dal terreno sono umidi e inafferrabili. Cado sulle ginocchia e sui gomiti diverse volte, ma l'Albero è di fronte a me ormai, ne vedo la chioma spuntare all'orizzonte ed inconsciamente mi sorprendo ad aumentare il o; non mollerò proprio adesso. I piedi perdono improvvisamente l'appoggio, seguiti dalla mano destra che graffia il terriccio. L'altra agguanta per un soffio la sporgenza di una roccia, impedendomi di ruzzolare verso il basso. Il respiro si accorcia in un lampo e l'adrenalina circola nelle vene, finché le punte delle sneakers trovano un appiglio sufficientemente solido per permettermi di continuare la scalata. Gli ultimi metri li faccio strisciando, ricoperto dalla testa ai piedi di sporcizia e petali di nigella. Crollo al suolo esausto, con le tempie che pulsano ed il fiatone. Il mio ultimo, immane, sforzo è quello di sdraiarmi a pancia in su, col viso rivolto verso il cielo plumbeo di questo pomeriggio. «Ehi, che fai lì sdraiato?» Il sorriso smagliante di Ksenia fa capolino nel mio campo visivo. «Sono stanco…» borbotto ansimando. Lei gira attorno alla mia spalla, scavalca il braccio disteso e si siede su di me come nulla fosse. Abbiamo percorso lo stesso sentiero fangoso, ma a differenza del sottoscritto i suoi vestiti sono intonsi, come appena usciti dall'armadio di camera sua. Mi domando come faccia ad avere quell'andatura tanto goffa e non caracollare ad ogni o! «Sai, avevi proprio ragione…» dice arrotolandosi le maniche della felpa, «Oggi l'Albero sembra più rosso del solito.»

«Te l'avevo detto, Key.» rispondo con uno sbuffo. «È l'effetto della pioggia di ieri?» Punta i gomiti sulle ginocchia e le mani sotto il mento, senza curarsi del petulante divano riccioluto che ha sotto il sedere. «Può darsi, non lo so… Ora potresti alzarti? Non sei leggera come credi!» «AH!» esclama divertita, saltellandomi sulla pancia. «Non sono io quella sovrappeso!» Si rialza schiacciandomi l'addome, per poi porgermi le mani e aiutarmi ad uscire dalla pozzanghera melmosa nella quale mi sono rotolato. Sono contento di averle fatto da seggiolino, dico davvero, ma il fango è penetrato fin dentro le maniche della felpa e i risvolti dei pantaloni, raggiungendo luoghi meno nobili. Il nostro o si fa incerto a qualche metro dal nostro obiettivo, e i nostri sguardi vengono rapiti dai suoi colori sovrannaturali. Ksenia mi precede di qualche metro, ciondolando sino ai piedi delle radici, col naso all'insù e le spalle inarcate.

L'Albero Rosso si staglia contro il cielo, macchiando di punti scarlatti la monocromia delle nuvole; secondo la leggenda, qui risiedono l'anima ed il corpo della dea Morrigan. Morrigan, o La Morrigan, a seconda delle translitterazioni, è stata madre e carnefice di ogni regno celtico, sin dalla notte dei tempi. Protagonista nei versi del Ciclo di Ulster, era la donna dai capelli di fuoco e le vesti in fiamme, colei che brandiva l'ascia da guerra – per sterminare chi minacciava i figli d'Irlanda – ed al tempo stesso portava la vita: laddove il sangue macchiava la terra, infatti, il suo splendido sguardo smeraldo si posava. I corpi si tramutavano in alberi, le lacrime divenivano pioggia. La leggenda vuole che Morrigan, dopo aver attraversato un campo di battaglia al culmine dello scontro, aprisse finalmente gli occhi sulla crudeltà e l'odio insiti nel genere umano. Capì che lo stesso sangue versato dal mondo era macchiato

della sua impronta di divinità terrena. Inorridita e sgomenta, scelse di venir meno al proprio destino di Madre delle anime mortali e trovò rifugio sulla sommità di una collina, dove pianse per giorni e giorni; incapace di morire perché immortale, incapace di vivere in quanto prosciugata di ogni sentimento. Giunta allo stremo delle forze e attanagliata dal dolore, la dea Erìu, sorella maggiore della povera Morrigan e Madre del Tutto, le concesse sì la morte, ma nel modo più cruento possibile: piangere ogni singola goccia di sangue. Quando il suo corpo ormai stremato cedette fu assorbito dalla terra, e nel luogo in cui si tolse la vita fiorì un albero. Un albero unico nel suo genere, per aspetto e longevità, con una corteccia pallida e liscia ricoperta di migliaia di macchioline scure simili a lentiggini e radici talmente possenti e voraci da affondare fino al centro dell'altura. A sormontare il tutto, una rigogliosa e lucente chioma dalle foglie scarlatte risplende di luce propria, visibile da lontano persino di notte, come se le fiamme l'avvolgessero. L'Albero Rosso non ha mai perso una foglia dacché si ha memoria; nemmeno d'inverno, quando la temperatura scende sotto lo zero ed il gelo è così intenso da spezzare le ossa. Le sue tinte sono sempre ben visibili, anche con la nebbia portata dal fiume Laune. La chioma scarlatta non sfiorisce… E quando il vento scuote i rami più alti, è come se Morrigan scuotesse i suoi capelli.

«Ora?» la voce di Ksenia mi riporta alla realtà. «Come?» «No, dico… e adesso?» sussurra lei slacciandosi la felpa fino a mostrarmi la curva del seno.

Le o di fianco, sedendomi sulla radice più sporgente. «E adesso siamo qua…» dico appoggiandomi al tronco. Ksenia si lascia sfuggire uno sguardo deluso, «Pensavo volessi fare sesso.» Scoppio a ridere, indicandole i miei vestiti, «Come faccio ad aver voglia di fare sesso con tutto questo fango addosso? Mi hai forse preso per una lottatrice in bikini?!» Lei mette il broncio, sedendomisi in grembo. «L'Albero Rosso…» dice con uno sbuffo. «Così ti sporcherai anche tu!» gracchio, mentre dalla manica gronda acqua sporca. «…ed il suo rosso fogliame.» replica indifferente. La stringo al petto, con rumori sinistri che escono dalle pieghe dei vestiti inzaccherati. «L'aria quassù ha un profumo diverso… è come se tutti i fiori del Kerry fossero rivolti verso questa collina.» esclama inspirando a fondo. Un refolo di vento le solletica il viso, facendo scivolare sugli occhi zaffiro una ciocca di capelli color rame; lei ci gioca per un po', prima di arlo dietro l'orecchio, con tanta grazia da lasciarmi senza fiato. Non c'è bisogno di parlare. Rimaniamo in silenzio, cullati dal fruscio delle foglie e dal fischio timido dell'aria, gli occhi rivolti all'orizzonte, dove le collinette più lontane si uniscono a nuvoloni grigi carichi di pioggia. L'estate è a metà del suo corso, ma le numerose precipitazioni degli ultimi giorni hanno contribuito ad abbassare le temperature. Il risultato è questo pomeriggio dall'aspetto autunnale e lo spirito primaverile, un perfetto pascolo per caproni. Se i ragazzi saranno fortunati, la caccia non durerà molto.

«Pensi che Maddy ci stia guardando?» chiede Ksenia all'improvviso. La domanda mi coglie del tutto impreparato; così, prendo qualche secondo per pensare ad una risposta vagamente credibile, mentre lei poggia la testa sulla mia spalla appiccicaticcia e alza lo sguardo verso le foglie più basse. Le scosto i lunghi capelli per non sporcarli ulteriormente e la stringo ancor più forte a me, baciandole una guancia. «Sì, credo di sì.» È curioso come la mia voce assuma sfumature più acute quando altero la realtà dei miei pensieri; anche se, in questo caso, si tratta di una falsa verità, detta a fin di bene per giunta. Ksenia sorride, lasciandosi cullare dal mio abbraccio. «È già trascorso un anno…» Prendo la sua mano e lei tira la mia verso le labbra, baciando il dorso. «Il tempo è volato in un attimo.» convengo. «Già… ti ricordi la nostra ultima festa, proprio qui? Sembrava così felice…» «Eravamo tutti felici!» esclamo, pronto a cambiare argomento. «Bright si era addormentato a testa in giù sul prato e lo abbiamo portato fino in città a piedi, per poi mollarlo in groppa alla statua del Puck!» Il mio sorriso va malamente a vuoto, così come il tentativo di cambiare discorso. «Chissà cosa ha provato in quei momenti.» sussurra appena. Gli occhi diventano inespressivi e capisco che la sua mente sta tornando a quella fatidica notte. La scrollo, cingendole le spalle. «Ehi.» «Avrei dovuto capirlo, no?» dice soffocando l'emozione. Le bacio il collo, abbandonando la testa sulla sua spalla. «Non hai colpe.» le rispondo con tono dimesso.

La sua risata è amara, lontana anni luce. «Non l'ho capito…» Le tremano le mani. «Ne abbiamo già parlato, piccola. Nessuno di noi poteva aspettarsi una cosa simile.»

Madeline “Maddy” O'Sullivan era una stronza di prima categoria, ci tengo a precisarlo fin da subito! So che dovrei portare rispetto per una persona che ora non c'è più e altre amenità intellettuali simili, ma non l'ho mai sopportata quand'era in vita e non la sopporto nemmeno adesso da morta! La sua stupida faccia, i suoi stupidi atteggiamenti da principessina e la sua stupida vocetta stridula mandavano in bestia chiunque avesse la sventura di frequentarla, sempre pronta ad ergersi a paladina di chissà quale legge superiore. Fanculo! L'unico motivo di cordoglio, per quanto mi riguarda, era la profonda amicizia che legava Ksenia a quella spocchiosa rompi scatole. Il ché rese anche il sottoscritto una “vittima” del suo drammatico suicidio. Per sei mesi, dopo la sua dipartita, io e Ksenia fummo costretti dal preside della nostra scuola a frequentare un dannato psicologo dalla parlantina cantilenante, il cui unico scopo era un'insensata e perenne ricerca del vero male che affligge i giovani d'oggi e sciocchezze di ogni genere. Fanculo!

«Brian mi ha detto che durante la cerimonia d'apertura farà un discorso in suo onore.» dice Ksenia, soffiandosi il naso nel fazzoletto che le ho porto. La smorfia dipinta sul mio volto parla da sé, ma fortunatamente non può vederla. «Credo sia giusto così… no?!» rispondo ipocritamente.

Una stronzetta di meno, ve lo posso garantire! «L'Albero non porta più nemmeno i segni della corda…» Sposto gli occhi verso il ramo più grande, studiandone le venature biancastre e le chiazze imbrunite. Il dieci agosto dello scorso anno, trovammo “Maddy” impicciona O'Sullivan proprio qui, a pochi metri dall'abbraccio che mi unisce a Ksenia. Quando in città si sparse la voce della sua scomparsa, io e Key iniziammo a cercarla per tutta la notte. Nessuno la vedeva da quella mattina, poco dopo l'incoronazione, e assecondando i timori di Ksenia allarmammo quanti più conoscenti possibili: Bright, Riley, Sam e Marie furono i primi ad accorrere, seguiti a ruota da Tim Neill, Brian ed altri, che si unirono a noi nella perlustrazione notturna dei boschi. Sembrava che Madeline si fosse volatilizzata nel nulla, senza lasciare traccia. Alla ricerca si aggiunsero persino i turisti ed i giostrai: i primi tramortiti dalla birra, i secondi timorosi di perdere la fonte dei loro profitti. I nostri tentativi di rintracciarla furono un buco nell'acqua colossale, finché il sole spuntò oltre le colline, illuminando le foglie dell'Albero e accendendole come candele. Ricordo che la nebbia si dissolse in pochi minuti, come a volerci spronare ad uscire dalla boscaglia, premendo perché andassimo verso la collina Morrigan. Quando riuscimmo a superare le ultime fronde, il sole aveva infiammato le tinte dell'Albero. Da un ramo pendeva ciò che andavamo cercando; sul capo portava ancora la corona in ferro battuto di Regina della Puck Fair, mentre dagli occhi semichiusi sgorgavano lacrime a graffiarne gli zigomi. Lacrime rubino… Ogni festeggiamento fu cancellato, naturalmente, e la città, con buona pace della tranquilla spensieratezza che da sempre la caratterizza, piombò nel panico. Le TV di tutto il mondo invasero Killorglin in un paio di giorni, gettando scompiglio e facendo domande sempre più inappropriate, inculcando sospetti e

attizzando pregiudizi mal sopiti. La Garde prese di mira tutti quelli che conoscevano Maddy, e date le dimensioni di un piccolo centro come il nostro, anche il capo stesso della Polizia locale fu interrogato… La faccenda non accennò a sgonfiarsi nelle settimane a seguire, e coinvolsero anche chi, nel periodo della Puck Fair, è di aggio. I giostrai e i capi famiglia di quel circo barocco che ogni anno spunta tra le colline di Killorglin ne uscirono definitivamente puliti quando l'autopsia dimostrò che Madeline si era effettivamente suicidata, dissipando ogni dubbio ancora esistente. Il sindaco Laverty chiese pubblicamente perdono per il trattamento riservato ad ogni sospetto, promettendo in cambio una festività particolarmente vivace l'anno seguente. Per onorare la memoria di Maddy, le votazioni per eleggere la Regina della Puck Fair di quest'anno sono state sospese. Ne convengo con voi, qualunque persona sana di mente avrebbe annullato in toto l'intera cerimonia, rimandando a tempi migliori il matrimonio annuale tra la bella e la bestia. Il comitato organizzativo della festa, tuttavia, non ha voluto sentire ragioni, e sotto la sapiente guida del sindaco ha pensato bene di celebrare una festa commemorativa, scegliendo la sposa del caprone tra le migliori amiche di Madeline. Mi sembra più che doveroso fare una precisazione, giunti a questo punto: Madeline O'Sullivan non aveva nessuna dannata amica, eccetto Ksenia… Ancora oggi, gli abitanti di Killorglin evitano di puntare lo sguardo verso l'Albero, sostenendo vi sia una qualche tribale maledizione ad impregnare l'area nei pressi della collina Morrigan. Molti credono che lo stesso spirito della dea abbia scelto la Regina come vittima sacrificale, imbevendo le sue radici nel sangue dell'altra. Ipotesi assecondata da diversi ciarlatani del paranormale e finti pennivendoli da strapazzo. Sono solo fesserie. Eppure, da sei mesi a questa parte nessuno mette più piede sulla collina, eccetto io e Key, tutti pronti a scommettere che la maledizione esista e sia una una

minaccia reale. Nemmeno i nostri amici vogliono più sentir parlare di questo posto, seppur impossibile da non vedere. È come quando in una grande città incontri un senzatetto: sai che c'è, ne vedi gli stracci e ne senti la puzza, ma fai finta di nulla.

Devo essermi leggermente assopito nell'abbraccio di Ksenia, perché il suono di un clacson mi coglie di sorpresa. Lei scuote la testa, indicandomi un punto ad ovest, verso la cittadella. «Stanno arrivando gli ultimi casinisti.» «Perché devono suonare il clacson?» sputo irritato. Ksenia scrolla le spalle, «Si vogliono annunciare alla città, credo.» «Sì, ma prima che i loro trabiccoli siano pronti e funzionanti ci vuole almeno qualche ora… così facendo rompono solo le scatole!» Lei mi batte la testa sul petto come rimprovero, «Vorrà dire che stanno salutando i loro compagni d'avventura. Che male c'è?» «Nulla…» rispondo, gettando uno sguardo alla strada asfaltata. «Solo non sopporto che vengano qui a fare tutto quel casino.» Key inclina la testa per guardarmi negli occhi, «Da quando in qua ti danno così fastidio?» «Da quando strombazzano per annunciarsi!» grugnisco. Lei fa finta di nulla, tornando con il mento all'orizzonte. «Si è fatto tardi.» le dico. «Ancora dieci minuti…» sospira. Le spingo il busto in avanti, spronandola a rialzarsi. «Sono di turno al pub

stasera.» Ksenia sembra scender dalle nuvole, «Devo ancora provarmi il vestito. Vieni da me? Ho bisogno di una mano con la chiusura lampo.» «Non mi stavi ascoltando, vero?» La sua fronte si corruga in piccole pieghe appena accennate. «Devo stare al pub questa sera.» ripeto. «No!» piagnucola, «E come faccio col vestito?!» Allargo le braccia, non sapendo cosa dire. Sul volto di Ksenia però compare la tipica espressione da bambina offesa alla quale non so resistere. «Vieni da me a dormire.» propongo. Lei annuisce energicamente, schioccandomi un bacio in grado di tramortire una statua. «Affare fatto!» Il pensiero di partecipare attivamente alla Puck Fair mi repelle, e non solo per la suddetta edizione della memoria, ma non potrei mai voltare le spalle a Key. So fin troppo bene quanto tenga alla festività di quest'anno. «Adesso sarà meglio andare, ho promesso ai ragazzi che avrei offerto loro una pinta di buon augurio per questa notte. Domani è il tuo grande giorno.» Lei si scosta da me e si rialza, battendo la mano sulla radice. «Già… Domani a quest'ora sarò la Regina della Puck Fair, e dovrò essere la donna di un animale sporco, puzzolente e peloso.» Colgo al balzo l'ironia della sua frase, «Mi stai dando del caprone?!» Ksenia scoppia a ridere, prima di fuggire a gambe levate «Aiuto! Sono la ragazza di un animale! Salvatemi!» strilla divertita.

2

Il rintocco della campana scuote il paese, riecheggiando in ogni vicolo addormentato. L'occhio si apre leggermente, incrociando il numeretto a led impresso sulla sveglia: cazzo, sono le 4 e venti di mattina… Mi metto a sedere, col cervello che fatica a ricostruire lo spazio intorno a sé e le palpebre che si chiudono ad intermittenza. Il primo pensiero è che in camera mia ci sia un caldo continentale, a dispetto della finestra aperta e del fresco venticello che aveva seguito la pioggia nel tardo pomeriggio di ieri. Ksenia dorme profondamente al mio fianco, ignara del fatto che l'intera Killorglin si stia già animando per la sua incoronazione. Le o una mano sulla fronte, scostandole una ciocca di capelli dalla guancia. La via sulla quale affaccia casa si riempie di grida e schiamazzi d'ogni genere: canti, risate e i da elefante sembrano provenire da ogni direzione; così, malvolentieri, scendo dal letto e mi avvicino alla finestra. Trovo le sigarette nella tasca dei jeans, e lasciandomi cadere sulla sporgenza del davanzale ne accendo una, soffiando il fumo verso l'alto. I ragazzi sono tutti per strada, sudici e provati come di ritorno da una guerra, il fango ad appesantire i vestiti ed ettolitri di birra nello stomaco, a giudicare dalle grida. E pensare che quando hanno lasciato l'Hanging sembravano sobri! Brian capeggia la comitiva, reggendo a malapena una torcia da vichingo per illuminare la strada: dovete sapere che durante la Puck Fair ogni aggeggio elettronico viene spento o disattivato, compresa l'illuminazione stradale, riportando l'intera cittadina alla tradizione medievale. Onestamente, ho sempre avuto il sospetto che se non fosse così di moda il

sapone, oggigiorno, per questa stupida festività proibirebbero persino quello… Dietro a Brian scorgo i volti stralunati di Sammy, Riley, Tim e Connel, che a loro volta reggono sulle spalle un grosso palo di legno dalle estremità piatte, affiancati dalle loro sgraziate e antipatiche fidanzate. Al centro del gruppetto invece, legato come un salame, un caprone dalla pelliccia nera e i riflessi grigiastri bela impazzito, cercando di liberare con tutte le sue forze il corpo e le zampe impacchettate all'asta. Non ho una grande memoria fotografica, lo ammetto, ma ho la netta sensazione che quel povero animale sia lo stesso caprone dell'anno scorso. Alle spalle dei ragazzi ci sono un centinaio di persone, per lo più turisti, eccitati dall'idea di celebrare con gozzoviglie ed ulteriori alcolici la tre giorni di festività. Tra di loro noto molte signore e bambini, il ché mi fa presumere che i relativi mariti abbiano approfittato della gita notturna per svignarsela e andare a bere. Allungo il collo per vedere meglio la massa di persone, ma tra loro non riesco ad individuare Bright e Marie. La loro assenza sospetta darà adito ai pettegolezzi di Ksenia circa una loro relazione clandestina. Brian starnazza a più non posso una canzone dalle parole incomprensibili, quando per un attimo sembra perdere la Trebisonda, svoltando in un vicolo cieco che termina con un muro agghindato di rampicanti. Rispunta qualche secondo dopo, salutando il resto della compagnia come se non li vedesse da mesi, nell'ilarità generale di tutti i presenti. Secondo la tradizione popolare, il primogenito del patriarca cittadino deve condurre la caccia; Brian è il figlio del sindaco Laverty, e in quanto tale ogni anno da cinque anni guida i prodi cacciatori nei boschi circostanti, accompagnando il tutto con cori di incitamento e spirito cameratesco. È un ruolo che gli s'addice quello di capetto, devo dire. La combriccola prosegue verso il centro del paese, dove il caprone verrà messo in gabbia e dove i meno festaioli dormiranno all'aperto in tende di fortuna, assieme al “nostro” futuro Re. I più temerari, quelli con un tasso di spirito ben oltre l'umano raziocinio, eranno invece il resto della nottata oltre il ponte, dove alcuni zingari hanno allestito già da questo pomeriggio chioschi di ogni genere.

Ora che ci penso, è trascorso esattamente un anno dall'ultima occasione in cui la compagnia si trovò riunita, circa ventiquattr'ore prima che Maddy… beh, avete capito. Quella volta un gruppo di italiani ci sfidò ad una partita di calcio, proponendo di annaffiare ogni gol incassato con fiumi di “stout”. Il calcio dalle nostre parti non è mai stato lo sport più popolare, anche se ogni irlandese considera Roy Keane come una leggenda vivente; troppo snob per le nostre ruvide abitudini, troppo inglese per essere preso sul serio. Il match si concluse con un signorile sette a uno per gli spaghetti-boys, con Ksenia e Marie improvvisatesi arbitri e giudici della partita, le quali finirono col lanciare sassi ed insulti vari contro i nostri avversari. Tutto inutile, quella notte fu un genocidio di Beamish! Il ricordo di quella serata è impresso nel mio cuore, così come nella memoria di Key e di tutti gli altri, seppur con diversi buchi temporali causati dalla generale condizione etilica. Dopo il fattaccio, e l'inevitabile crollo psicologico di alcuni di noi, prendemmo strade diverse, allontanandoci irrimediabilmente dagli altri. L'aspetto paradossale di vivere in un piccolo paese in mezzo al nulla però è imbattersi regolarmente con chi non frequenti più. I ragazzi sono sempre al pub, per esempio; e non perché vi sia l'intento comune di ritrovarsi, ma per il loro naturale amore per la birra. In un certo senso, credo che l'augurio di tutti sia che la Puck Fair di quest'anno possa riunirci, dato che fino a quella fatidica notte la compagnia sembrava solida come roccia, ed era la seconda cosa alla quale tenevo maggiormente nella mia vita. La prima, voltandomi verso il letto, dorme con le gambe aperte e la canotta al contrario… Riporto lo sguardo ai ragazzi e aspetto che si allontanino, poi lancio il mozzicone verso la strada ciottolata. Faccio scivolare i piedi sul pavimento tiepido, stiracchiando ogni fibra del mio corpo: alle otto di questa mattina ho promesso a Ksenia che avremmo fatto un giro tra le bancarelle di dolciumi, e la mia dolce metà è riuscita anche a strapparmi la promessa di comprarle un

batuffolo di zucchero filato grande quanto la sua testa. Prima di ributtarmi sul letto, l'occhio incappa in un punto colorato all'orizzonte, oltre i tetti di pietra grezza e mattoni grigio scuro, verso la collinetta più lontana, dove la foschia del fiume Laune non azzarda a distendersi. Migliaia di scintillanti occhi scarlatti sembrano fissarmi, mossi da un vento impercettibile che ne anima la forma e ne riscalda i colori.

Quando la mia mente decifra ciò che gli occhi vedono, un brivido gelido sembra scorticarmi la schiena: ai piedi dell'Albero Rosso, sotto le frasche più basse, c'è qualcosa. All'inizio non riesco a mettere a fuoco, troppa la distanza che mi separa dalla collina Morrigan, ma quel qualcosa rimane fermo immobile, come se stesse aspettando di essere scoperta, restando impalata nella sua posa statuaria. Socchiudo le palpebre e aguzzo la vista il più possibile; un altro brivido mi accappona la pelle: quella non è una semplice ombra, ma una sagoma! Impossibile, nessuno mette piede lassù da un anno, nemmeno chi visita la città per la prima volta. La storia di Maddy ha fatto il giro del mondo, e nessuno oserebbe salire in cima alla collina, soprattutto di notte. Il cuore sembra implodere nel petto ed un nodo mi stringe la gola; non posso fare a meno di guardare, attonito e smarrito. Sotto le fronde dell'Albero Rosso c'è una persona. Anzi no, una ragazza dai lunghi capelli ricci. «Ehi…» biascica Ksenia, «Che fai lì?» Mi giro di scatto verso di lei, pallido come un lenzuolo. «C'è qualcuno sulla collina!» dico con un filo di voce. Lei combatte contro il sonno, pronta a cedere da un momento all'altro. «Davvero? Chi?» chiede dandomi le spalle.

«Non sto scherzando, Key. C'è qualcuno lassù!» bisbiglio allarmato. Il mio sguardo torna all'Albero, pronto a rivedere la sagoma femminile di poco prima. Sulla sommità della collina però non c'è nulla: chiunque fosse sembra essersi dileguata, lasciando le fronde scarlatte danzare nella notte. Che l'abbia solamente immaginata? Ksenia scende dal letto e viene verso di me, sbattendo il mento contro la mia spalla. «Allora?» domanda, ancora con gli occhi chiusi. «Non c'è più…» rispondo costernato. Nella mia mente il germe del dubbio si scontra con ciò che ho appena visto: l'ho vista, dannazione, l'ho vista! «Mi hai fatto alzare per nulla… scemo!» gracchia Key caracollando sul materasso. Rimango alla finestra ancora qualche minuto, fissando vanamente la collina, ai piedi dell'Albero Rosso. Non posso averla sognata, non ad occhi aperti quanto meno! Ho appena visto Madeline O'Sullivan…

Il resto della nottata la o con gli occhi sgranati, col terrore persino di sbattere le palpebre. La visione di quella cosa mi perseguita fino alle prime luci dell'alba, quando un timido raggio di sole si insinua tra le tende, troppo insistente per essere ignorato. Sciolgo delicatamente l'abbraccio di Ksenia, avvinghiata al mio petto come un poppante, e mi rialzo. L'aria calda che impregna la camera è opprimente, nonostante la pelle d'oca e le braccia ghiacciate facciano pensare a temperature polari. Non so dove sia finito tutto il sangue del mio corpo, ma in questo momento mi sento a dir poco stordito

ed un cerchio alla testa sembra volermi comprimere le tempie fino a farle esplodere. Dalla via si alzano i primi vocii confusi, ma l'inconfondibile suono del chiavistello arrugginito della porta d'ingresso del pub, sotto la mia finestra, rintocca perentorio tra i rumori di fondo. Un suono vecchio e arrugginito quanto le campane del paese. Il mio vecchio si è alzato di buon ora, a quanto pare. Impegno la mente, ripensando alle faccende che mi aspettano questa mattinata, come il giro con Ksenia fra le bancarelle di dolci, l'incoronazione di oggi pomeriggio e le ore piccole dopo il tramonto. Ad ogni intervallo dei miei pensieri però, i riccioli di Maddy si ripresentano, gettandomi nel torpore e nell'incredulità. Perfino la doccia bollente non dissipa quell'inquietante sensazione di viscido gelido, ed inizio a domandarmi se quella visione non fosse solamente il frutto di un abbaglio. Sapete, un riflesso, o un mero trucco del mio cervello. Ci rifletto per tutto il tempo, restando con la testa appoggiata al braccio che sostiene il soffione della doccia, finché non giungo all'unica conclusione plausibile: ciò che ho visto era irreale. Dev'essere così… no?! Tornando nella mia stanza, trovo Ksenia già vestita e truccata, pronta ad uscire. «Sei ancora nudo? Forza!» strilla infantile, «Ricorda che hai promesso a questa fanciulla dello zucchero filato per colazione!» La guardo di traverso, e solo adesso sembra accorgersi che qualcosa non quadra. «Ehi ma… stai bene?» chiede venendomi incontro. «Credo di sì, perché?» ribatto. Mi volto verso lo schermo della TV, sopra il cassettone e mi ci specchio. La persona di fronte a me sembra essere appena uscita da una centrifuga, trasandata ed arruffata come un vecchio calzino.

«Sì… sto bene.» dico al riflesso di Key nello schermo, «Ho solo dormito male, tutto qui.» Lei storce la bocca in una smorfia, come se il vago ricordo di un avvenimento notturno le stesse riaffiorando alla mente. Un istante dopo scrolla la testa, «Va bene, ma sbrigati, ti aspetto giù. Ho voglia di zucchero filato!» Esce saltellando di tutta fretta, lasciandomi da solo. Se Ksenia non ricorda nulla della scorsa notte, non le dirò ciò che ho visto; in fondo, penso sia più corretto così. Oggi è il giorno della sua incoronazione a Regina e non voglio che le mie sciocche allucinazioni la mettano a disagio. Dopotutto, si è trattato proprio di quello: un'allucinazione. Il motivo per la quale il mio cervello abbia visto quel che ha visto mi sfugge ancora. Per il sottoscritto e mio padre la Puck Fair ha un profondo richiamo affettivo, dovuto al ricordo di mia madre, e non posso escludere che trovandomi a poche ore dalle celebrazioni in onore di Ksenia la sua “ombra” mi abbia emotivamente scombussolato l'inconscio.

L'Hanging è ancora deserto, ad eccezione di mio padre e Ksenia, seduta a cavalcioni su uno sgabello. Il mio vecchio sta prendendo a male parole il piccolo televisore in bianco e nero che tiene all'angolo del bancone: un oggetto anacronistico già nel decennio in cui venne costruito, con due sghembe antennine che nel tempo si sono andate ad ingarbugliare tra loro, migliorando incredibilmente la ricezione. «Alla buon ora!» strilla Ksenia appena mi vede, «Andiamo?» Papà alza gli occhi dalla TV, sorridendo al furetto rosso che rimprovera il suo ragazzo. «Già… alla buon ora!» grida a sua volta, unendosi a lei, «Non si fanno aspettare le signore, non lo sai?» Ksenia annuisce energicamente, «Ben detto Pat.»

Serro le labbra in un sogghigno satanico, fulminandoli con lo sguardo. È del tutto inutile. Ksenia mi ignora, perché intenta a rimettere lo sgabello contro il bancone. Mi dirigo verso la porta, facendo uscire prima la mia dolce metà. «Noi andiamo…» dico rivolto al mio vecchio. «Ehi, ragazzino.» risponde lui, obbligandomi a rimanere sull'attenti. «Prima della cerimonia devi essere qua, il picco dei turisti arriverà per l'ora di pranzo.» «Ok, non farò tardi.» prometto. «E a dai Duff, mentre torni. Jim ha preparato una corona nuova di zecca per Key.» strilla lui mentre chiudo la porta. Quella dell'anno scorso è stata confiscata dalla polizia, penso tra me. La mia risposta di assenso si perde nel tremendo baccano del vicolo. Mi guardo attorno, stupito, e scorgo Ksenia dall'altra parte della strada. Non so come abbia fatto ad allontanarsi così in fretta, ma tra di noi si staglia un'affollata combriccola di turisti dall'accento buffo e le barbe scure. Caratteristica che curiosamente unisce uomini e donne. Per fugare qualunque dubbio: sì, sono scozzesi. Key sta parlottando concitatamente con qualcuno, ma quando penso di aver capito di chi si tratti, un omone dalle fattezze gargantuesche e la canottiera bisunta si para davanti ai miei piedi. «Ehi amico…» dice scrollando il mento peloso, «Puoi dirmi come arrivare alla piazza principale? Io e la mia gente vorremmo vedere il palco prima della festa.» esclama allargando le braccia; ed è tutto un altro sapore. «Sì, è molto semplice: andate dritti fino al prossimo incrocio e girate a destra. Dopodiché svoltate a sinistra e seguite la strada. La piazza si trova poco più avanti.» L'omone sorride, poi mi prende sotto la sua ala – letteralmente – e strilla compiaciuto, «Grazie di cuore, amico!»

Riesco a sciogliermi dalla morsa solo con una manifesta gomitata al suo pancione, «Non c'è di ché.» «A che ora sarà la cerimonia?» domanda una donna dal vestitino a tartan azzurro, non dissimile dall'uomo per modi e fattezze. «Secondo il programma del sindaco, alle quattro in punto. Ma solitamente l'incoronazione vera e propria inizia alle cinque; minuto più, minuto meno…» rispondo. Ksenia mi guarda con disappunto, pregustando lo zucchero filato che le ho promesso. La mandria di scozzesi ringrazia e si allontana a o ciondolante, lasciandomi in pace. «Devi sempre parlare con qualcuno, vero?» chiede lei con aria infantile. L'espressione della mia faccia parla da sé, «Oh andiamo, stavo scherzando!» gracchia sorridente prendendomi il braccio. «Con chi eri poco fa?» «Marie Laverty…» dice Key con malizia, «Lei e Bright sono diventati molto intimi.» Mi limito ad osservare i anti, senza ribattere. Normalmente, le chiacchiere di questo tipo non mi interessano. «Non fare quella faccia. Sono una bella coppia dopotutto.» insiste lei strattonandomi. «Dici?» «Che risposta sarebbe “dici”?» Scrollo il capo, «Non lo so. Cioè… non ho mai pensato a loro due assieme. Tutto qua.» ammetto candidamente. Ksenia si ferma di colpo, scrutandomi così a fondo da mettermi a disagio. «Che… che c'è?»

«Sei geloso per caso?!» Le sue labbra diventano sottili come rasoi, mentre le sopracciglia si alzano ad archetto. «Io… no, piccola!» replico scioccato con voce da usignolo, «Perché dovrei?!» «Non me la racconti, sai?» mi rimbecca con l'indice alzato, «Conosco quell'espressione.» Arretro, commettendo a mia insaputa un errore fatale. È il segnale che Ksenia aspettava per attaccarmi alla gola, «No, ma cosa dici?! Io amo te, lo sai!» «Ah sì?» schiuma Key. Alcuni anti si fermano in mezzo alla strada, bloccando il traffico pur di godersi il siparietto, tra risatine e buffetti d'approvazione nei confronti della mia carnefice. «Piccola, ci stanno guardando…» le bisbiglio, rispondendo alle risa di sconosciuti con cenni indecifrabili. Ksenia è ormai fuori di sé, «Me ne frego di quello che fanno gli altri!» grida autoritaria, aizzando gli spettatori al primo applauso di giubilo. «So benissimo che tu e Marie stavate assieme!» Dal branco di cialtroni si alza un “Oh!” di diniego, come se fossimo una qualche piece teatrale chiamata ad intrattenere il pubblico recitando Shakespeare e i suoi aforismi. «Lei ti piace ancora, ammettilo!» strilla con occhi di ghiaccio. «Ma… piccola cosa dici?» «Ammettilo!» «Piccola, io e Marie ci siamo scambiati un bacio in quarta elementare! Niente di più, te lo giuro!» rispondo ormai sul precipizio, rassegnato all'idea di esser sbranato in pubblica piazza.

Key invece di affondare il colpo si piega sulle ginocchia, cominciando a ridere a crepapelle. «Sei proprio uno scemo, tu!» sghignazza tenendosi la pancia, seguita da tutti i presenti, i quali applaudono e ridono di gran gusto. «Oh, amore mio, sei così ingenuo. Ti amo!» esclama Key venendomi incontro. Senza che possa opporre la benché minima resistenza stringe la mia mano, alzando il nostro pugno verso il cielo, «Signore e signori, grazie per aver partecipato attivamente a questo spettacolino improvvisato. Benvenuti a Killorglin!» La gente radunatasi in cerchio è totalmente alla sua mercé: batte le mani all'unisono, ride, e c'è persino qualcuno che fischietta. Il mio viso a da una carnagione rosea alla più rossa delle tinte, mentre ciò che rimaneva del mio amor proprio si è dileguato da un pezzo. «Ti odio…» le sussurro a denti stretti. Ksenia ringrazia tutti, trovando anche il tempo per rispondermi, tra fischi ed acclamazioni. «No, non è vero.»

Ci spostiamo verso la zona vecchia del villagio, aldilà del ponte in pietra costruito tra le rive del fiume Laune. È lì che i pavee e gli Italiani montano il loro circo delle pulci di solito, con tanto di insegne luminose e musichette stile Nintendo. In fondo alla “Ring”, un paio di ragazzi in giacche dismesse si sbracciano con foga, rivolti ai turisti in automobile, costringendoli a parcheggiare oltre il confine della città, di fianco alle roulotte; in questo modo, chiunque arrivi a Killorglin sarà costretto a are in quella baraccopoli montata ad arte. Non fraintendetemi, non odio gli zingari. Penso solamente che il pub del mio vecchio vedrà meno grana, se tutti i turisti perderanno tempo ad ubriacarsi oltre fiume.

Ksenia sta ticchettando ormai da un pezzo sulla mia spalla quando mi decido ad assecondarla. Il siparietto di poco fa mi ha turbato. «Là, guarda!» indica col la mano tremolante. “Micelli's” recita una scritta nera su sfondo giallo senape, con lampadine fulminate tutt'attorno. «Zucchero filato!» freme Key tirandomi. Il caos è già protagonista: i giostrai gridano ed invitano il pubblico verso le proprie bancarelle, mentre i turisti, per la maggior parte famiglie, non si fanno pregare troppo. Il chiasso è così forte da assordarmi, e la furia con la quale Key mi strattona rende tutto piuttosto confuso. Prima di andare a sbattere contro un tizio, lei mi tira a sé, abbracciandomi. «Ehi, ma sei sicuro che sia tutto a posto?» Le rispondo di sì, anche se vorrei andarmene il prima possibile. Le tempie mi comprimono il cervello come una tenaglia. Un penetrante odore di cipolle fritte e hot-dog contamina l'aria in pochi istanti; Santo Cielo, sono le nove del mattino: chi diavolo vorrebbe mangiare quella roba a quest'ora?! «Ascolta…» dice Ksenia dolcemente, «Se non te la senti di andare da Jimmy Duff ci posso are io. Tu vai pure a casa a riposarti.» Scuoto la testa, «Papà mi metterebbe al bancone. Per lui l'emicrania è una di quelle cose che solo gli yuppie possono permettersi. Quell'uomo è un aguzzino.» Lei sorride, poggiando il palmo della mano sul mio petto. «Non è vero. Pat è una bravissima persona, ed è un padre molto più presente di altri.» La sua è una velata critica ai propri genitori, e non posso far altro che ricambiare l'abbraccio e baciarle la fronte, coccolandola un po'. Mi sento terribilmente in colpa per la mia uscita. I signori Doyle sono rappresentanti di una nota società energetica tedesca con appalti in tutta Europa; una delle loro centrali si trova anche qui, nel Kerry. Il lavoro dei genitori di Key tuttavia consiste nell'accalappiare pezzi grossi della

politica e imprenditori golosi di quattrini facili; perciò viaggiano continuamente, stando lontani da Killorglin per intere settimane. Ksenia ha vissuto a Dublino con la nonna materna fino ai sedici anni, ma dopo la dipartita della signora Cloe è tornata qui, dove i genitori avevano casa. Si è sempre arrangiata nel migliori dei modi, devo dire, ma il vuoto affettivo che cova dentro di sé l'ha segnata, ben più di quanto si possa vedere esteriormente. Con le disavventure di quest'ultimo anno, per di più, il suo mondo è stato rivoltato nuovamente. «Ehi, piccioncini. Se dovete giocare al malato e all'infermiera, andate in un luogo appartato!» Una voce alle nostre spalle scioglie l'incantesimo. Ksenia ed io ci voltiamo esterrefatti, trovandoci a tu per tu con un Brian Laverty in grandissimo spolvero: calzamaglia verde, tunica di raso color panna dai ricami a quadri, anch'essi verdi muschio, ed un cappello ampio di lana che ricade goffamente sulle orecchie. «Ciao Bra'!» esclama Key saltandogli addosso, «Accidenti il tuo costume è sempre bellissimo.» Io rimango in disparte, trattenendo a stento una grassa risata. Vada per la tradizione, ma ogni anno Brian diventa sempre più ridicolo! «Ehi fessacchiotto…» lui sembra leggermi nel pensiero, abbattendo l'ultima parete di buon senso rimastami. Ci stringiamo in un abbraccio fraterno, intervallato dalle mie risate. «Smettila, scemo!» mi rimbrotta Ksenia, «Ti dona molto questo vestito Brian.» «Lo so.» risponde lui con pose da modello, «La sua è tutta invidia.» Il mio sguardo vale più di mille parole, ed è sufficiente a mandarlo su tutte le furie. «Piantala di sogghignare, Jessie.» «E come? Peter-Pan è tornato dall'isola che non c'è!» esclamo.

Kesnia mi rifila una gomitata alla bocca dello stomaco, «Smettila! Stai benissimo Bra'.» Lui gonfia i bicipiti, dandosi arie da gran cavaliere. «Non vedo l'ora di presentarti alla folla. Sei nervosa?» Key resta sulle sue, «Più o meno. Non sono un'esibizionista.» «Ma se hai dato spettacolo poco fa?!» dico. Lei mi colpisce nello stesso punto di prima, dandomi le spalle. «A che ora partiremo con la processione?» chiede indifferente. Brian si volta verso la città, dando un'occhiata al grosso orologio appeso alla chiesetta. «Dunque… adesso sono le nove e mezza. La processione partirà verso le quattro e mezza, ma alle undici abbiamo programmato un incontro con i lettighieri, per dare alcune istruzioni e fare qualche prova. Se ci fossi anche tu sarebbe il massimo, così faremmo alcune prove di portamento con tutti i partecipanti.» Sul viso di Ksenia ricompare l'espressione infantile da bimbetta viziata, «Come faccio a restare vestita tutto il giorno? Il mio abito è strettissimo!» piagnucola. L'altro scuote la mano, tranquillizzandola. «Puoi venire anche così, senza il costume.» risponde, «La lettiga verrà a prenderti a casa questo pomeriggio. Fino ad allora, sei libera di vestirti come vuoi.» Il ragionamento di Brian non fa una grinza, tanto che Key tira un sospiro di sollievo. «Meno male…» sbuffa felice. Lui mi guarda perplesso, trovando manforte nel mio cenno d'assenso. «Bene, ora è meglio che vada. Devo ancora trovare Sammy e Riley. Quei piccoli bastardi hanno preso la mia torcia da vichingo e sono spariti.» dice Brian congedandosi. «A dopo!» saluta Key, mentre il sottoscritto allunga un pugno contro il suo

braccio teso.

La bancarella Micelli's è circondata da una moltitudine di turisti e bambini urlanti, ma quando le speranze sembrano venir meno, Ksenia ha la brillante idea di rivolgersi direttamente ai due italiani sul retro bancone, saltando la fila come niente fosse. Io le corro appresso, ricevendo occhiatacce ed epiteti da grassi figuri; nel momento in cui un ometto coi baffi ci squadra stralunato, ad ogni modo, lei mette le mani avanti, affermando di essere la Regina della Puck Fair. Gli epiteti svaniscono in un lampo, mentre dal nulla spuntano i primi flash fotografici. Il potere della celebrità! L'ometto ha un accento buffo e maccheronico, ma quando presenta il conto assume la tipica espressione di chi sa esattamente dove andare a parare.

«Otto Euro?!» Ksenia si tuffa a bocca aperta nella sua nuvoletta candita, senza degnarmi di uno sguardo. «Dico… otto Euro!» ripeto. «Che ci vuoi fare…» mastica lei, «Se ne approfittano per via della Fair.» Stiamo percorrendo la stradina che conduce alla sua abitazione, una graziosa casetta ad angolo sulla Laune View. Il quartiere, solitamente silenzioso, è tappezzato qua e là da giostre e altre bancarelle da quattro soldi, obbligando chiunque abiti nei paraggi a girare attorno alla propria casa per farvi ritorno. «Non c'è un minimo di decenza.» dico amaramente guardandomi attorno. Ovunque mi volti, infatti, è pieno di turisti già ubriachi di prima mattina, bottiglie di vetro fracassate contro le staccionate e sporcizia varia. Sapevamo in partenza che la manifestazione di quest'anno avrebbe attirato un numero spropositato di persone, grazie alla pubblicità involontaria ricevuta negli ultimi dodici mesi, ma tutto questo è semplicemente ridicolo.

«Lo vedi?! E non dirmi che non ho ragione quando me la prendo coi pavee!» sbotto, scavalcando una pozzanghera di Dio solo sa cosa. A Ksenia sembra non importare un granché. La sua attenzione è focalizzata su ciuffi bluastri e rosa. «Non lo trovo giusto…» mormoro, strappando una striscia color pesca di zucchero. «Ma che fai?!» grida sgomenta, fissandomi con i suoi grandi occhioni azzurri. «Non vorrai mangiartela da sola?» le dico con tono sarcastico, «Quella palla di zucchero ti renderà iperattiva!» Lei fa il segno della bocca con le dita della mano libera, «Bla bla bla… Questo è solo mio!» Fruga nella borsa senza togliermi gli occhi di dosso, ed una volta trovate le chiavi di casa me le lancia. Ieri sera ha lasciato il suo costume da Regina della Puck Fair nell'armadio, dimenticandosi di portarlo da me. «Non mi fido… stammi davanti.» «Piccola, andiamo…» «AH!» risponde alzando l'indice, «Non ci provare, sai?!» La serratura fa qualche capriccio, ma alla fine è costretta a cedere. Mancano solamente poche ore alla Puck Fair, ma ne ho fin sopra i capelli!

3

Le pietre del ponte che attraversa il fiume Laune sono fredde e umide, proprio come il mio umore. Intendo freddo, non umido… Marie, Rochelle e Sophie si sono impadronite della casa di Key, mettendomi alla porta come una vecchia pezza da piedi. Oddio, data la mia naturale avversità nei loro confronti, non tenevo granché ad esser coinvolto in chiacchiere da parrucchiere di provincia, ma Ksenia ha voluto approfittare della confusione, dandomi in consegna le redini di Plump, il suo sanbernardo taglia extra large. La mia “adorata” metà è andata al municipio con le ragazze per le prove tecniche, insistendo affinché mi occui del suo cerbero. “Poverino, questa notte è rimasto da solo in giardino!” Come possa abbindolarmi ogni volta con il suo tono infantile è davvero stupefacente, gliene do atto. Ciononostante, saperla in compagnia delle altre tre mi rincuora: sono ati mesi dall'ultima volta che sono uscite. Plump si è alzato di scatto, e da qualche secondo fissa con espressione corrucciata un gruppetto di pavee piuttosto strani. Tiro istintivamente il guinzaglio verso di me, così che faccia un o indietro e non mi sfugga all'ultimo secondo. Il gruppetto è formato da due ragazzi sulla ventina, una ragazzina di sedici, forse diciassette anni molto carina ed un bambino dall'aria scarmigliata che non può avere più di dieci, undici anni. eggiano tra la folla, parlottando amabilmente tra di loro. Hanno un aspetto alquanto eccentrico, ma nulla più; non capisco perché Plump fiuti la loro scia con tanta morbosità. Che abbia paura di essere rapito?

Il caso vuole che la combriccola si fermi proprio dinanzi a noi; quello che credo il loro capo si guarda attorno con aria confusa, fino ad incrociare la mia espressione stupita. I suoi occhi hanno un lugubre riflesso violaceo, quasi diabolico, e mi vedo costretto a distogliere lo sguardo per primo, colto da una strana sensazione di panico. Plump abbaia con tutta l'audacia di cui è proprio, ma è evidentemente a disagio, esattamente come il sottoscritto; la coda fra le zampe, il pelo irto sulla schiena. Non so perché, ma quegli occhi mi ricordano l'Albero Rosso! Il ragazzo viene distratto dal più piccolo della comitiva; il quale, dopo aver afferrato la manica corta della camicia, gli indica la sfilza di bancarelle alla fine del ponte. Tutti e quattro riprendono la loro marcia, fino a perdersi tra la folla. Io e Plump li seguiamo circospetti, finché questi non spariscono del tutto. «Per essere grande e grosso, non sei stato molto d'aiuto.» dico al sanbernardo scendendo dal muretto. Lui scrolla il capoccione, imberbe. Le campane mi ricordano la scaletta giornaliera: sono le undici in punto, e mi vedo costretto a riattraversare il ponte con Plump al guinzaglio. La casa dei Duff è a cinque minuti dalla mia, in fondo alla traversa che porta alla piazza principale. Per un attimo penso di mollare il cane all'Hanging, anche perché attraversando Killorglin si voltano tutti ad ammirare il faccione peloso di Plump, mettendomi a disagio. I bambini, in particolare, accorrono ad accarezzargli il pelo a chiazze bianche e marroni. Lui scodinzola e fa feste a chiunque, inclusa una ragazza sbronza e mezza nuda che gli schiocca un bacio sul naso, prima che il suo ragazzo la carichi in spalla e la porti lontano. Alla fine, opto per lasciare Plump nel giardino dietro casa, dandogli qualche istruzione di sopravvivenza durante la mia assenza. «Uno: non fare troppo baccano, sennò finisci nel fiume. Due: evita di grattare alla porta della cucina, perché in casa non c'è nessuno. Tre, e vedi di ascoltarmi: tieni lo sfintere ben serrato! Ci siamo capiti?!»

Lui starnutisce, per poi leccarsi i baffi. «Non sto scherzando… papà dà di matto se qualcuno rovina il prato.» Plump mette il broncio, proprio come la padrona quando è in disaccordo. Per mia fortuna, il cane non ha la stessa eloquenza di Ksenia, e dopo una vivace grattata sul capo si sdraia sbuffando. Faccio il giro della casa per avvertire il mio vecchio, quando incappo in Riley e Sammy. Quest'ultimo, il maggiore dei due, stringe tra le mani la torcia da vichingo di Brian come se fosse una reliquia, mentre l'altro indossa il cappello di lana che Laverty indossava poco fa. «Ehi, guarda chi c'è!» dice Riley sorridendo, «Come va Jessie?» «Meglio che a voi due, a quanto vedo.» rispondo abbracciandolo, «So che Brian vi sta cercando. A proposito: quello non è il suo cappello?» Sammy sfila la berretta dalla testa del fratellino, issandola sull'asta di faggio decorata. «Quel ragazzo non molla mai, accidenti! Ci è corso dietro per tutta la città quando Riley gli ha rubato il cappello.» «Da non credersi…» commento ironico. «Dico davvero.» insiste lui, facendo roteare lo scettro in aria. Riley mi afferra per il collo, senza che possa opporre resistenza. «Ehi, quasi dimenticavo. Oggi sarai ufficialmente cornuto, come ci si sente?!» Tutti e due scoppiano a ridere, in riferimento al matrimonio di questo pomeriggio tra Key ed il caprone. Colgo la palla al balzo, sgusciando dalla sua stretta. «Non saprei… Tu come ti senti?» Sammy è un fiume di risate, mentre il fratellino assume un'espressione meditabonda. «Che intendi?» domanda. L'altro cambia argomento con una smorfia, «Lascia stare Riley, lascia stare…

piuttosto, Jess, hai sentito quanti visitatori si aspettano per la Puck Fair?» Faccio segno di no, accendendo una sigaretta. «Quanti?» «Sessantamila!» esclama Riley, facendomi andare il fumo di traverso. «Sessantamila?!» tossisco. Dove pensano di mettere tutta quella gente? «Credo che il sindaco si sia fumato il cervello…» aggiunge Sammy, «Hai visto cosa hanno messo in piedi gli zingari oltre fiume? È un porcile!» Non posso che convenire con loro: sembra che i Laverty quest'anno vogliano approfittare dell'edizione della memoria per rimpinguare le casse cittadine. «Che dici, andiamo?» chiese il maggiore all'altro, «Brian ci ammazza se non gli ridiamo i suoi cimeli… Ci vediamo Jess.» Alzo la mano, congedandomi, mentre i due prendono la strada per il municipio saltellando tra la folla. Noto con piacere che non sono cambiati di una virgola, almeno loro.

Dopo aver avvisato papà della presenza di Plump nel retro ed aver ricevuto una sonora sfilza di insulti più o meno amorevoli, corro alla casa di Jimmy Duff. Jim è un caro amico del mio vecchio, con una ione smodata per i metalli; potrà sembrarvi scontato, ma è anche il proprietario dell'unica ferramenta di Killorglin. Il suo miglior pregio comunque, è saper modellare il ferro con grande maestria, nello stile dei fabbri medievali. Ogni anno infatti è lui a creare la corona che la Regina indosserà per la Puck Fair, compresa quella appartenuta a Madeline l'anno scorso. Al termine della festività poi, le coroncine vengono gettate dalla regina nel fiume Laune, spezzando simbolicamente il matrimonio. Jim ne soffre sempre, strappando con lacrime da coccodrillo una pinta di rossa al mio vecchio. La casa dei Duff si trova nel mezzo di un complesso anni Quaranta a cento metri dal centro cittadino, tra un appartamento rosa pesca ed uno giallo limone.

Di fianco alla prima abitazione spunta un vicoletto seminascosto, dove mi intrufolo a o svelto. Dal fondo della stradina sale un caldo infernale, a causa della piccola fucina che lo stesso Jim ha costruito anni fa. Se fosse nato ai tempi di Morrigan, sarebbe stato un fabbro di qualche esercito. Il retro è invaso da ferraglia di vario genere, incluso lo scheletro di una lavatrice anni Settanta alla quale hanno strappato il motore e la cesta. Mi aspettavo di vedere il nasone aquilino di Jim, ma di fronte al fuoco vivo della fucina trovo Anna Lee, la sua figliastra, con pinze e guanti da lavoro. Lei si volta quel tanto che basta per riconoscermi e posa una lamina di ferro incandescente sulla brace, togliendosi gli occhialoni di protezione. «Ciao Jess.» esclama, sputando sul fuoco subito dopo, «Sei qui per la corona, vero?» «Ciao Ann. Sì, il mio vecchio ha detto che è pronta…» rispondo, disgustato. Anna Lee ha solo cinque anni più di me e Key; ciononostante, ha in tutto e per tutto l'aspetto di un vecchio soldato di frontiera in pensione: capelli corti dalle tinte sbiadite, pancetta alcolica che straborda dai pantaloncini e mani callose. Se non fosse per l'ingombro del reggiseno sotto la canottiera sporca e sgualcita, nessuno scommetterebbe un centesimo sul suo sesso. «Oh, Jim ha fatto un gran bel lavoro.» dice lei, togliendosi i guantoni imbottiti, «E io ci ho messo lo zampino. Sai, un piccolo tocco femminile, giusto per impreziosirne la trama.» Alzo un dito per dissentire, ma lo abbasso subito dopo; non è il caso di essere inopportuni… Lei gira attorno al banco da lavoro e scompare per un attimo, ricomparendo con un panno rosso tra le mani e la sigaretta tra i denti. «Ksenia l'adorerà.» sorride fiera. Srotolo il panno e lo poso sul bancone, ritrovandomi tra le dita un grosso anello di ferro opaco. Un gambo di rosa corre lungo la silhouette della corona, intrecciandosi con piccoli petali appena abbozzati nella parte frontale. Questi

formano un diadema a raggiera, attorniati da spine e altri petali più elaborati. «Ho pensato di riprodurre il significato della Puck Fair, ovvero l'ingresso per le ragazze nell'età adulta.» dice Anna Lee aspirando il fumo, «Sai, vengono sempre scelte tra le ragazze delle scuole superiori…» «Sì, ho capito.» la interrompo, surclassato dalla nuvola di vodka alla fragola che le esce da ogni poro della pelle. «E quindi…» gesticola lei, tirando su col naso. Rigiro la coroncina tra le dita: è piuttosto pesante, anche se le forme sono eleganti e sinuose; devo ammettere che i Duff hanno fatto un lavoro egregio. I petali, le linee e persino gli intrecci sono splendidi. «Key l'amerà.» esclamo. «Vuoi vedere come sta sul capo di una donzella?» chiede Anna Lee protesa in avanti. La sua proposta mi raggela ed un pugno di vodka dritto nelle narici mi obbliga a declinare l'invito. «No, non è necessario.» rispondo arretrando di un o, «Sono già in ritardo.» Scavalco con un balzo la lavatrice, allontanandomi il più possibile. «Ci vediamo all'incoronazione, Ann. Grazie per la corona, è davvero bella. E dì al tuo vecchio che lo aspettiamo all'Hanging questa sera: papà gli vuole offrire una pinta.» Prima che il cervello alticcio di Anna Lee possa anche solo abbozzare una risposta mi dileguo lungo il vicolo, fuggendo dal caldo opprimente e dal suo fiato da alcolizzata cronica. Quando rivedo la luce del giorno, tiro un lungo sospiro di sollievo, lasciandomi andare contro la parete rosa pesca. Ne approfitto per dare una seconda occhiata alla corona, che sotto i raggi del sole assume sfumature del tutto nuove, ando da un timido verde ad un accesso violetto nel centro del diadema. I Duff ci sanno davvero fare come fabbri, senza dubbio, anche se spero di non rivedere Anna Lee questo pomeriggio. Non so voi, ma mi mette i brividi…

Trovo Ksenia e le altre all'esterno del municipio in compagnia di Brian e Tim Neill. Laverty ha riavuto sia lo scettro da vichingo che il cappello di lana, e si crogiola pomposo sotto i raggi del sole. «Piccola, ho una sorpresa per te.» dico a Key. Lei saltella eccitatissima, «La corona? La mia corona?!» Srotolo il panno davanti agli occhi dei presenti, lasciandoli tutti di stucco: la coroncina, alla luce del giorno, brilla di riflessi accesi, con piccole scaglie argentate che non avevo notato in precedenza. «È… bellissima!» strilla Ksenia con i pugnetti al petto, seguita dai mugolii di assenso delle altre ragazze. «Il vecchio Jimmy quest'anno ha fatto un vero capolavoro.» commenta Brian stringendola fra le mani. Tim lo affianca con espressione sognante, «Guardate i petali, sembrano veri…» La contemplazione ci fa perdere di vista l'orologio. È mezzogiorno, quando le campane di Killorglin ci ridestano. Alla vista delle lancette, quasi mi viene un colpo. «Merda! Il mio vecchio mi strozzerà.» «Povero Jessie!» starnazza Brian impettito. Key mi abbraccia, per poi baciarmi sulle labbra. «Ci vediamo dopo…» mi sussurra all'orecchio. «Vengo ad aiutarti col vestito?» «Non ce n'è bisogno.» gracchia Rochelle intromettendosi, «Ci pensiamo noi a Ksenia. Dobbiamo ancora farle i capelli, le unghie…» Smetto di ascoltarla alla seconda parola che esce dalla sua bocca, concentrandomi su Key. È più forte di me, non sopporto le ragazze.

«Ok… allora vengo a prenderti quando sarai pronta.» dico alla mia dolce metà, ignorando la comitiva di galline al suo seguito. Ksenia si morde il labbro e colgo nel riflesso cristallino dei suoi occhi un che di perversamente sciocco. «Forse è meglio se non ci vediamo prima del mio matrimonio: sai, il mio fidanzato è molto geloso e potrebbe riempirti di botte.» esclama contrita, «Lui è così possessivo che a volte mi spaventa!» A differenza di questa mattina, quando la sua pagliacciata mi ha lasciato a bocca aperta, non mi faccio trovare impreparato. L'afferro per i fianchi, stringendola a me. «Il tuo fidanzato?» domando imperioso, «Non è un problema… attraverserei mari e scalerei montagne per un tuo bacio!» grido con enfasi, nell'imbarazzo generale dei presenti. Lei scoppia a ridere, «Sei proprio uno scemo!» sghignazza. «Sarò fuori ad aspettarti quando il corteo verrà a prenderti.» le dico. «Oh, mio eroe. Salvami dal matrimonio, te ne prego!» ribatte Key con tutto lo strazio di cui è capace. Brian Laverty si frappone tra di noi, partecipando alla messinscena. «Qui nessuno salva nessun altro! La tradizione vuole che il marito sia un animale, e per Dio quell'animale non sarà Jessie. Chiaro?!» Io e Key proviamo ad afferrare la mano l'uno dell'altra, ma lui e Tim si mettono di mezzo, separandoci. Li lascio ridendo, tornando rapidamente all'Hanging. La Puck Fair sembra ci stia riavvicinando, proprio come avevo sperato; anche Ksenia è visibilmente più rilassata in compagnia delle ragazze, e per quanto possa detestarle, beh, non mi opporrò certo alla loro amicizia.

«Ossequi a sua maestà!» «Lunga vita alla Regina!»

La piazza principale di Killorglin è addobbata a festa, gremita di persone e immersa nelle urla. Sulle pareti di ogni abitazione, appese ai balconi ed annodate alle grondaie vi sono centinaia di ghirlande fiorite, mentre dai vicoli più stretti spuntano festoni colorati e aquiloni di carta di riso. Ksenia è scortata trionfalmente da un gran numero di persone, innalzata rispetto al manto stradale dalla lettiga in mogano scuro broccata di pizzi rossi e bianchi; saluta a destra e a manca, proprio come una vera Regina saluterebbe il suo popolo. Le spalle dritte, la corona ad impreziosirne i lunghi capelli rossi raccolti in un treccia ed un sorriso benevolo verso il prossimo: esiste niente di più perfetto? Mi preme fare un piccolo appunto sull'abito che indossa quest'oggi. Si tratta infatti dello stesso vestito che sua madre indossò anni addietro, quando venne eletta a sua volta Regina della Puck Fair. Un completo di velluto blu che ne risalta gli occhi cerulei e ne accentua le forme del corpo, culminando con una scollatura piuttosto generosa lungo la schiena. La treccia ramata scivola fin sotto le scapole, nascondendo parte della nudità, ma non posso fare a meno di notare quei tre vecchi malconci dei fratelli O'Malley fissarle il fondo schiena. La lettiga si muove lentamente, sorretta dagli stessi ragazzi che ieri notte hanno catturato il caprone. Brian Laverty guida la testa del gruppo, brandendo lo scettro di legno dal pomello argentato per farsi strada. Non mi ero ancora reso conto di quante persone avessero “invaso” la città, ma è incredibile come il ritorno d'immagine abbia attirato folle oceaniche. Killorglin è stata letteralmente invasa da turisti, provenienti non solo da tutta Irlanda, ma anche da Regno Unito e Scandinavia. Scorgo la pelata di mio padre e sgomito fino a raggiungerlo. Lui regge uno dei bracci anteriori della lettiga, allontanando con le sue tipiche occhiatacce torve chiunque nella calca tenti di accarezzare i drappi di stoffa, ignari della sacralità dell'evento. Avevo promesso a Key di sostituirlo alla guida dello scranno, visti gli acciacchi dell'età, ma papà non ha voluto sentire ragioni. “Lo faccio da trentacinque anni, ragazzino! Una tradizione è una tradizione!” mi

ha risposto burbero. Così, ho dovuto alzare bandiera bianca e accontentarmi di seguire il tutto da qualche metro di distanza, barcamenandomi in mezzo alla folla. La ragione per cui ogni anno maltratta la sua schiena è lo stesso motivo per la quale questa stupida festa è così sentita da entrambi e, se devo essere sincero, tutte le volte che lo vedo sorreggere uno dei bracci di quella lettiga un sorriso di ammirazione divampa sulle mie labbra. Trentacinque anni fa, proprio in questo giorno, scortò una ragazza dai capelli corvini sino al trono nel centro della piazza. Quella donna oggi non è più tra noi, portata via da un cancro incurabile; la Regina della Puck Fair di quell'anno si chiamava Eilis, ed era mia madre…

Un boato assordante scorta Ksenia. Ad attenderla, sullo sfondo di un municipio agghindato come non mai, ci sono il sindaco Laverty e la moglie Susanne, stretti nei loro abiti da gran cerimonia e sorrisi di circostanza. «Signore e signori…» grida Brian salendo sul palco e innalzando le braccia al cielo per placare la folla, «Siamo qui riuniti oggi per celebrare la più antica e profonda festività di Killorglin!» A differenza dei genitori e della sorella Julianne, comparsa di fianco a loro da chissà dove, Brian sembra perfettamente a suo agio. Anzi, l'aura solenne che lo circonda appare sincera ed empatica, coinvolgendo immediatamente l'intera piazza. «Vi prego di riservare il vostro più caldo saluto alla nostra beneamata Regina: Ksenia Doyle!» L'urlo della folla riecheggia fino al cielo, talmente possente da farmi vibrare lo sterno! Ksenia scende dallo scranno di pizzi, avanzando incerta verso la punta del palco appositamente eretto per l'occasione. Tutti nella piazza non possono fare a meno di notare quanto sia splendida quest'oggi, mentre sfoggia una timidezza quasi infantile di fronte alle migliaia di persone che la circondano.

A spintoni e gomitate riesco a portarmi sotto il palco, proprio ai suoi piedi; lei si china verso di me, baciandomi sulla bocca. Killorglin scoppia nell'ennesimo boato di commozione, gettando nell'imbarazzo entrambi. «Mia Regina…» esclama divertito Brian, «Non starà cercando un amante prima ancora del suo matrimonio?!» La piazza ride a crepapelle, e così anche noi, nonostante le nostre facce cianotiche. «Prima che la cerimonia abbia inizio, vorremmo chiedervi qualche secondo per ricordare Madeline O'Sullivan, scomparsa tragicamente esattamente un anno fa.» Brian sembra stringere fra le dita l'emozione palpitante della folla, così immerso nel ruolo di oratore da lasciarmi di stucco. «Quest'edizione è in onore di Maddy, alla quale vogliamo mandare l'abbraccio sentito della nostra piccola comunità e l'affetto di tutti voi qui riuniti.» alza gli occhi al cielo con le mani giunte, seguito a ruota dalla piazza ammutolita. «La tragedia che ti ha portato via, Madeline, ci ha devastato, ed ancora adesso ne portiamo i segni nei nostri cuori. Esiste un luogo magnifico, Maddy, oltre la vita, nel quale sono certo tu sia in questo momento.» conclude commosso. Lo scroscio di applausi che segue è di pura emozione, e persino il sottoscritto vi si ritrova invischiato, battendo le mani come un idiota. «Ebbene!» gracchia Brian cambiando completamente registro, «È giunto il momento di celebrare il matrimonio reale! Che il nostro Re venga portato in trionfo!» Da un vicolo laterale, celato da transenne e teli scuri, un lamento disperato smorza l'allegria dei presenti. Tutti voltano lo sguardo verso la gabbia del caprone, al di là dei drappi neri e grigi che lo nascondono alla nostra vista. Il secondo lamento che giunge alla piazza è a dir poco straziante e disumano, susseguito da un frenetico sferragliare metallico che annichilisce chiunque. «Tirate giù quei dannati teli!» la voce di mio padre è forte ed autoritaria, eppure

nella mia mente giunge sofferta, quasi strozzata. «Tirateli giù!» grida ancora, correndo in mezzo alla calca che si apre a ventaglio. Il mio cervello smette di traballare, e senza pensarci due volte mi getto al suo inseguimento, scansando un gruppo di vecchiette rimaste a bocca aperta. Il resto della folla si apre a ventaglio, come se ci volesse spronare ad andare all'attacco. Il primo a giungere all'imbocco del vicolo è però Locke, un grasso uomo dalla barba stinta e irsuta: si aggrappa con tutte le sue forze ai panneggi più bassi, tirando e sbuffando come un toro inferocito. I drappi cedono solo da un lato, mostrando parte della gabbia esplodere e schiantarsi contro la parete in un ultimo, orribile, rantolo animale, seguito dal raccapricciante suono di ossa spezzate e carni lacerate. La mia corsa si affievolisce, divenendo un semplice trotto incespicante, con il naso all'insù e il respiro raggelato. Locke strattona gli ultimi teli con l'aiuto di mio padre; questi cadono con un tonfo secco, trascinando con loro le intelaiature metalliche, per permetterci di assistere a qualcosa che non dimenticheremo mai. La gabbia nella quale era rinchiuso il caprone è un incrocio abominevole di lamiere deformi; alcune sbarre, di solido ferro battuto, sono state piegate come spighe di granturco e conficcate nelle pareti, grondando sangue e viscere animali. Quel poco che resta del caprone è stato schiacciato e violentato, tanto da formare una convulsa trama nauseabonda sul pavimento di ciottoli. Il muso invece è stato stritolato con forza inaudita e quel che ne rimane è pressoché irriconoscibile, infilzato sulla punta di una sbarra miracolosamente intatta. L'odore metallico del sangue impregna l'aria in un baleno e si insinua fin dentro il mio stomaco, rivoltandolo come un calzino. A stento trattengo un conato, tappandomi la bocca con il pugno. «Co… cosa…» balbetta il vecchio Locke, prima di scivolare e cascare per terra, inzuppando i pantaloni della sua stessa urina. Le grida tornano a riempire Killorglin, ma questa volta non sono di gioia e partecipazione, ma di paura e sgomento: è il panico. Tutti si gettano nella via principale, andando a sbattere addosso ai muri e strappando i festoni più vicini, nella confusione generale; alcuni cadono a terra, ma non possono nulla: la

fiumana li schiaccia, lasciandoli indietro. Il cervello riprende la sua marcia solamente quando una donna obesa mi sbatte a terra. Volto lo sguardo a Ksenia, ancora sul pulpito e immobilizzata dallo shock; lei mi guarda pietrificata, con una luce completamente assente negli occhi. Cosa cazzo sta succedendo? Mio padre afferra Locke per la collottola, insultandolo ed intimandogli di abbandonare la piazza per rifugiarsi nel suo pub, ma prima di scappare a sua volta mi rivolge un grido supplichevole. «Prendi Ksenia e torna a casa, figliolo…» dice, e sul suo viso è dipinto il terrore. Getto il cuore oltre l'ostacolo, buttandomi in mezzo alla mischia con l'unico obiettivo di raggiungere Ksenia, ancora immobile, inorridendo al pensiero che qualcuno possa farle del male. Il palco sotto di lei si inclina paurosamente da un lato: i cavalli che avrebbero dovuto trasportare la carrozza reale lungo le strade di Killorglin sono ancora legati alla base della costruzione ed il tremendo baccano li ha condotti alla follia. Nitriscono sempre più allarmati, sbuffando e strattonando le cinghie, finché le assi alle quali erano legati cedono di colpo, disarcionando dal pulpito i coniugi Laverty e Brian, attardatisi da quell'angolo dell'impalcatura. Con un salto dettato dall'adrenalina giungo a ridosso della scalinata, salendola a quattro zampe; Ksenia viene verso di me, sollevando la gonna lunga del vestito. «Cosa…?» «Dopo, Key. Dobbiamo andarcene da qua!» le dico afferrandole il polso e lanciando entrambi nel vuoto appena in tempo, prima che la struttura collassi su se stessa. L'atterraggio è tutt'altro che piacevole, ma sotto di noi abbiamo la terra ferma per lo meno. «Cosa…?» tenta di chiedere lei, troppo scioccata per formulare una frase. La trascino a forza, gettando inconsciamente un'occhiata alla collina Morrigan,

quasi ne sentissi il richiamo. Sotto le fronde dell'Albero Rosso vedo una sagoma femminile, quella sagoma, reggere qualcosa simile ad un corno. I brividi, già a fior di pelle, mi raggelano il sangue ancora una volta. Non so per quale motivo, ma ho il presentimento che la figura stia ridendo…

4

«Un'esplosione?» «Esatto, si è trattato solo di uno stupido scherzo!» Il viso di Marie è così smunto e sincero che chiunque crederebbe alle sue parole e ai suoi occhietti color caramello. «Non dire stronzate!» replica secco Bright; il quale, dopo aver scacciato quell'ipotesi con un gesto della mano, accende una sigaretta utilizzando la candela che illumina il tavolo. La sera è arrivata più in fretta del solito, o forse è solo una nostra impressione. Killorglin è immersa nella notte, con qualche timida fiaccola a rivitalizzare gli angoli delle case, al di là del vetro opaco dell'Hanging. Sono certo che se mettessi l'orecchio fuori dal pub, sentirei l'eco dei miei pensieri; e non ho intenzione di ascoltarli. «Ma è vero!» grida Marie sbattendo la mano sul duro legno di noce. «Ahi…» «Un'esplosione non può far saltare una gabbia di ferro a quel modo. Hai idea di quanti materiali ci vorrebbero? E per quale motivo avrebbero messo dell'esplosivo nella gabbia di quel povero animale, poi. Per dispetto?» Marie scuote veemente il capo, «Mio padre dice che si tratta di un attentato!» «Tuo padre è un rinomato idiota!» sbotta Bright, distogliendo lo sguardo da lei per fissare me, riuscendo nel suo tentativo di strapparmi una smorfia divertita. «Tu che ne dici?» Scrollo le spalle, «Non ne ho idea…» rispondo, attaccandomi alla pinta. Un'idea me la sono fatta eccome, a dire il vero, ma nominare fantasmi e strane visioni potrebbe solo peggiorare una situazione al limite del collasso, e Ksenia

non lo sopporterebbe. Marie però è così convinta da sbuffare ed arrovellarsi attorno alla sua tesi strampalata: se l'ha detto papà, non può essere una scemenza. Il padre di Marie è Eugene Laverty, capo della Garde locale ed ex componente della ERU. Come avrete intuito, è fratello del sindaco Jason, e come il resto della famiglia Laverty, ad eccezione di Brian, non brilla né per acume né per inventiva. Ogni volta che a Killorglin un problema richiede l'intervento della polizia, state pur certi che non si avranno soluzioni. Eugene poi è uno di quei poliziotti con la pistola, gran patito dell'ispettore Callaghan a cui ha copiato persino il “ferro”: una Smith&Wesson.44 Magnum dalla canna lunga. È il calcio della pistola, tuttavia, la vera reliquia di Eugene, con tanto di autografo raffazzonato di Clint Eastwood; e che nessuno si azzardi a contestare l'autenticità di quella firma! «Mio padre non è un idiota!» ribatte Marie strabuzzando gli occhi, «Sei il solito stupido Bright!» «Oh, andiamo…» sospira lui stremato, «Qualunque cosa sia successa oggi, la Garde non ne verrà mai a capo, questo è poco ma sicuro. La cosa importante è che nessuno sia rimasto schiacciato dal palco… Brian è stato fortunato a rompersi solo una gamba.» Sposto gli occhi da loro a Ksenia, seduta di fronte a me con le braccia incrociate sul tavolo. Il suo volto è pallido e inespressivo: quando la struttura è crollata se l'è vista davvero brutta. «Ehi.» le sussurro, allungando una mano sul tavolo. Lei si ritrae, evidentemente scossa. «Vuoi che ti accompagni a casa a cambiarti?» chiedo incerto. Ksenia annuisce con la testa e si gira su un fianco per aspettarmi, senza proferire parola. Lo sguardo dei pochi rimasti all'Hanging si sposta su noi due: Bright e Marie

resteranno qui, hanno detto, così come il vecchio Locke ed i fratelli O'Malley, seguiti ad ogni sospiro dalle loro orribili mogli. Siamo tutti provati, come testimonia l'espressione alticcia di Locke. Non solo nel corpo, ma soprattutto nello spirito: la Puck Fair è per Killorglin un momento di gioia, di apertura verso il resto del mondo e un importantissimo scoglio economico che tiene a galla l'intera vita cittadina. Due annate di tale livello, e la città smetterà di respirare… Mio padre sta insultando le manopole della mini-TV che tiene dietro il bancone. Ha sì cambiato le batterie – l'accordo con la compagnia elettrica prevede che la corrente torni in città domani mattina, visto lo stato d'emergenza – ma non riesce a sintonizzarsi su nessun canale, e questo è causa del suo malcontento. Quando però ci vede uscire dall'Hanging mi lancia un'occhiataccia delle sue, senza aggiungere altro. «Torniamo il prima possibile.» gli dico, aprendo la porta a Key. Il tono dismesso che aleggia in tutto il pub ci scorta fino all'uscita, quando Marie e Bright ci danno il loro congedo, abbracciandoci a turno. In loro colgo la mia stessa esitazione. Cosa diavolo sta succedendo in questa città?

Il cielo è così scuro da schiacciare l'orizzonte, e con il crollo repentino della temperatura si è alzata la solita umida brezza salmastra dalla costa. Killorglin dista una ventina di miglia dal mare, nascosto dalle colline, ma complici le forti raffiche di vento che imperversano nel golfo la città è spesso soggetta ad acquazzoni e temporali. Molti sostengono che da queste parti, quando non piova ci sia la nebbia; ed è assolutamente vero! Il fiume Laune infatti è velato da una leggera nebbiolina che trabocca dalle acque come fumo, riversandosi sul ponte che stiamo attraversando. Afferro la mano di Ksenia, baciando il dorso. È ghiacciata, ma spero che le mie labbra possano riscaldarla, quanto meno nell'animo.

«Il tuo bel vestito è tutto sciupato…» dico, provando a stuzzicarla, nella speranza che un barlume di empatia le faccia aprir bocca. «Mmm…» grugnisce con una smorfia. Plump è rimasto nel nostro giardino tutto il pomeriggio, senza devastare l'amato prato inglese di mio padre come gli avevo ordinato. Quando ci vede, alza appena il naso, porgendo la zampa a Ksenia con sottomissione. Lei gli accarezza la testa e lo bacia, prima di rimettergli il guinzaglio e consegnarmi le redini. Fra loro non c'è bisogno di parole: entrambi sanno che è stata una giornata del cavolo e vogliono tornare a casa, cercando di lasciarsi tutto alle spalle. La solitudine che si respira lungo le vie del centro è opprimente quanto la notte senza stelle che ci ricopre, e la nostra unica compagnia sono i nostri stessi i che, riecheggiando sul pavimento ciottolato, ci scortano fino al ponte. È solo una mia impressione, ma penso che nessuno metterà il naso fuori di casa finché il sole non avrà dato il proprio benestare, per confermare che il pianeta Terra esiste ancora. Ricordate quando accennavo allo sguardo timoroso della città nei confronti della collina Morrigan? Bene, moltiplicate quella stessa sensazione per dieci, cento, mille volte. La si riesce a percepire nell'aria; un sottilissimo miasma di angoscia e rassegnazione in grado di rinsecchire l'animo. Maddy era appesa ad un cappio, ma fortunatamente siamo stati in pochi a vederla in quello stato. Oggi, invece…

Curiosamente, il ponte ciottolato è ancora in balia di alcuni turisti, rimasti in città per godersi lo spettacolo mediatico che si scatenerà a breve. Sono accampati aldilà del fiume, in tende di fortuna concesse dal golf club di Killorglin. Perché un golf club debba possedere un centinaio di tende da campeggio non ne ho idea, ma se non altro quei poveracci hanno un posto dove

dormire. Gli alberghi cittadini infatti hanno chiuso i battenti, lasciando in mezzo alla strada tutti clienti che avevano già pagato stanza e colazione per il weekend. Italiani e zingari hanno pensato bene di levare le tende, nel frattempo, memori del caos creatosi l'anno scorso, e nessuno si è opposto alla loro partenza. Men che meno il buon Eugene Laverty; il quale, aspettando che i veri Gardai arrivino alle prime luci dell'alba, è indaffarato nell'estenuante compito di non fare un cazzo! Killorglin è immersa nell'anarchia, per quanto non vi siano stati tafferugli dopo la fuga di quest'oggi. A riprova di ciò, iamo di fianco ad una controfigura poco riuscita di William Wallace, intenta ad affogare il resto della giornata in un pacco da sei di Guinness nere. Ci saluta con un cenno della testa, evitando di alzare la lattina, sintomo di un'evidente precarietà fisica. Procedendo lungo il marciapiedi invece, incontriamo una coppia di gallesi, se l'accento non mi inganna. Lui regge i capelli della ragazza con una mano, mentre con l'altra le strattona la cintura affinché non caschi oltre il parapetto in pietra. Guardandoli, mi chiedo se quella sgraziata coppia di scozzesi che mi aveva importunato questa mattina sia ancora in città. Poi scrollo il capo, tornando alla strada. Plump ha rizzato le orecchie, mentre Ksenia ha rallentato il o, rimanendo qualche metro alle mie spalle. L'attenzione di entrambi è rivolta al limitare del ponte, nell'angolo dove è stata eretta la statua del caprone della leggenda. Un gruppetto di quattro persone ci sta fissando, ma solo in un secondo momento riconosco tra loro uno spilungone e un nanerottolo. Sono gli stessi strani individui che ho incrociato questa mattina con Plump, ed anche il cane sembra averli riconosciuti, mostrando i denti e rizzando il pelo. Questi vengono verso di noi con o sicuro, dandomi il tempo di squadrarli da capo a piedi. Non ho mai visto nessun pavee conciato a quel modo, lo ammetto.

Se dovessi definirli con una sola parola, questa sarebbe…

Beh… sarebbe stramboidi.

Ksenia abbassa subito il capo, intimorita dai loro sguardi sostenuti. «Che avete da guardare?» chiedo infastidito. Plump arretra di un o tirando il guinzaglio, sempre col pelo irto e la coda tra le gambe. Key mi affianca, stringendomi la mano, «Lascia stare…» dice con un filo di voce. Quello che avevo già identificato come il loro capobranco alza una mano, fermando il resto della comitiva. Procede dritto verso di noi, scansando dagli occhi una frangetta verde acido. È vestito totalmente di nero, e dalle maniche corte della camicia noto stranissimi tatuaggi far capolino lungo gli avambracci, che ricordano tagli mal cicatrizzati. «Sei Ksenia Doyle, giusto?» La sua voce è profonda e calma, ma quando rivedo il riflesso violaceo nei suoi occhi, lo stesso di questa mattina, mi si accappona la pelle. «Che… che cosa vuoi?!» ringhio, pronto a menar le mani. «Non sto parlando con te, ma con lei.» risponde pacato, mandandomi in bestia. «Come hai detto?!» Ksenia mi stringe la mano talmente forte da farmi male, rapita da quel bizzarro personaggio. «Chi sei?» Al suo fianco sopraggiungono gli altri membri della compagnia, alzando l'asticella delle stranezze da semplici stramboidi a “individui dal dubbio orientamento sessuale”.

A sinistra spunta la ragazzina dai capelli biondi, vestita come fosse la notte di Halloween: anfibi neri dalla punta in acciaio, calze a rete con spacchi sulle ginocchia e sulle cosce, minigonna a strati di tulle nera, corpetto di velluto a stringerne inverosimilmente la vita minuta e camicetta bianca dalle spalline rigonfie a mezze maniche; il tutto impreziosito da un paio di guanti in pelle nera e diversi crocifissi sparsi sul corpo, il più grande dei quali è una fibbia trasversale che le cinge i fianchi. «Ksenia, dobbiamo parlarti con la massima urgenza!» dice lei con gli occhi spalancati. Le iridi sono del medesimo riflesso ametista che ho scorto negli occhi dell'altro e la luce che sprigionano è quasi irradiante. «Chi siete?» domando guardandomi intorno. Nessuno presta la minima attenzione nei nostri confronti, troppo impegnati a bere e far baccano fra di loro e non posso fare a meno di chiedermi come usciremo da questa situazione. «Noi…» il terzo ad aprire bocca è lo spilungone dall'aria smunta e i capelli argentati a caschetto. Indossa un lungo pastrano di pelle nera fuori moda da almeno un secolo, che termina di poco sotto le ginocchia. Dalla parte inferiore dell'impermeabile vedo spuntare qualcosa di lucente, anche se non riesco a capire cosa sia; a prima vista sembra la lama di una spada, che scende fin quasi alle caviglie, sfiorando il terreno. «Noi siamo qui per proteggere la Regina della Puck Fair.» La sua voce valica monti e deserti, giungendo cavernosa e stentata dalle corde vocali. La ragazzina infila la mano nella tasca dei pantaloni del tizio al centro, estraendo un pacchetto di sigarette. «Il nostro dovere è far sì che la Puck Fair trascorra liscia e senza intoppi.» dice lei con un sorriso. Mi volto a guardare Ksenia, imbambolata nella mia stessa ritrosia. «Siete un po' in ritardo, sapete? Nightmare Before Christmas è da quella parte, ad ogni modo…» dico sarcastico.

«Eh, no!» gracchia il quarto della compagnia, sbucando alle spalle di tutti. «Ciò che è successo oggi è solo l'inizio.» L'ultimo inquietante personaggio di questa assurda combriccola di pavee è il bambino dai capelli ossigenati e il sorrisetto allegro, vestito esattamente come il ragazzo al centro. «Sta arrivando…» dice cantilenante. La mia pazienza è giunta al limite, e persino la stretta di Ksenia inizia a cedere. «Cosa sta arrivando? E chi cazzo siete?!» digrigno i denti. La ragazzina porge la sigaretta al capobranco. Questi tira una lunga boccata, per poi soffiare il fumo verso l'alto con noncuranza. «Ve la farò molto semplice, perché non abbiamo molto tempo: esattamente un anno fa, sulla collina Morrigan, qualcuno ha cercato di aprire un portale chiuso dalla notte dei tempi, nel tentativo di ripristinare un ponte tra questo piano esistenziale e gli inferi. Conoscete la storia dell'Albero Rosso?» Guardo istintivamente Key, pallida come un lenzuolo. «Sì, la conosciamo…» rispondo saccente. Tutti a Killorglin conoscono quella leggenda. «La dea Morrigan si tolse la vita sulla collina, e lì vi fiorì un albero. Secondo la leggenda, le radici affondarono nel suo sangue, colorandone la chioma. Questa fu la punizione inflitta alla dea da Èriu per essere rifuggita al suo dovere di Regina delle anime e…» «No, no!» mi interrompe divertito il nanerottolo, agitando l'indice della mano, «Sei poco informato, giovanotto.» «Gio… giovanotto?!» chiedo esterrefatto. Il capobranco si piazza tra me ed il piccoletto, aspirando avidamente dal mozzicone. «Mio fratello ha ragione, ragazzino. Non sapete granché sull'Albero…» sentenzia. Ksenia corre in mio soccorso, vedendomi paonazzo dalla collera. «Che cosa volete da noi?»

Lui la guarda di sottecchi, lasciandola a bocca aperta. «Siamo qui per un unico motivo, mia Regina. La tua vita è in pericolo.» Lo sguardo di Key perde ogni lucentezza, come se la sua stessa anima fosse fuggita a gambe levate dal suo corpo. Come può credere a tutte queste stronzate?! «La collina è un portale verso gli inferi.» dice la ragazzina, aggiungendo assurdo all'assurdo. «Morrigan si sacrificò per chiuderlo, piangendo ogni singola goccia di sangue, perché solo il sangue di una divinità avrebbe saziato la terra dei demoni. L'Albero Rosso è il suo sigillo, la sua essenza, fiorito dalle sue stesse spoglie mortali per impedire a ciò che si trova dall'altra parte di attraversare quel portale.» Ksenia abbozza una domanda, incerta. «Ma io… perché…?» «Il sigillo creato dall'Albero può essere spezzato solamente dal sangue di un'altra Regina.» Il mio cervello fatica a masticare ciò che sentono le mie orecchie, ma quando tutto sembra perdersi in una spirale senza fine, ecco giungere la grande illuminazione: la dea Morrigan pianse sangue… Lacrime di sangue… lacrime rubino! «Maddy!» strillo sgomento. Il ragazzo al centro annuisce, «Un anno fa, l'Albero affondò le radici nel sangue dell'allora Regina della Puck Fair, aprendo solamente uno spiraglio verso il vuoto… Il rituale non riuscì completamente.» insiste quest'ultimo, fissando entrambi, «Ed il portale non si aprì del tutto. In concomitanza con la Puck Fair, tuttavia, questa porta verso l'oscurità si è dischiusa nuovamente.» «Quello che è successo oggi…» farfuglia Key, «C'entra qualcosa?» L'orrenda scena di questo pomeriggio ria davanti ai nostri occhi, rivoltando il mio stomaco. «Come vi ho già detto, è solo l'inizio!» grida il nanerottolo ridendo.

«Una creatura è riuscita a valicare il portale, ma per manifestarsi fisicamente su questo piano esistenziale, necessita del sangue di un'altra Regina. Quello a cui avete assistito oggi era solo il principio… la sua forza cresce di minuto in minuto, e la sua sete di sangue con essa. Chiunque abbia sciolto i sigilli dell'Albero Rosso, ha fatto un errore madornale…» Le sue parole sono uno schiaffo cocente, tanto da accendere le guance di Ksenia di ira funesta al solo ricordo della sua amica più cara. Tutti questi discorsi senza senso, la leggenda di Morrigan che prende vita; e una vaga ed indefinita congettura riguardo alla morte di Madeline. Impiego forse più del dovuto a rendermi conto di ciò che sta realmente accadendo, «Avete detto che serve il sacrificio di un'altra Regina? State dicendo che Maddy…» domando. Lui annuisce, «Madeline O'Sullivan non si è impiccata da sola.» Il volto di Ksenia ha un repentino cambio di sfumature e le sue ginocchia cedono di schianto. L'afferro prontamente per le spalle, stringendola forte a me. «Piccola!» le cingo la vita, assicurandomi che resti in piedi, ma non nego di avere le vertigini a mia volta. «Maddy non si è suicidata? Chi siete per dire una cosa simile?!» grido costernato. Il ragazzo fa un ultimo tiro di sigaretta, lanciando il mozzicone nelle acque spente del fiume Laune. «Il mio nome è Luck.» risponde secco, abbozzando un inchino poco aggraziato. Dopodiché alza la mano, indicando la ragazza alla sua destra. «Lei è Fairy.» «Piacere!» squittisce la ragazza con un raggiante sorriso sulle labbra. «Il gigante alla mia sinistra è Nodle…» continua Luck, «Mentre il piccoletto si chiama Dry.» «Salve!» esclama il bambino agitando le braccia. Lo sguardo che gli rivolgiamo dev'essere un puro sintomo di deficienza intellettuale, perché lui allarga le braccia, sornione, presentando l'intero gruppo.

«Noi siamo i quattro figli della dea Madre, Ériu, colei che ha generato questa Terra…»

5

Le casette oltre fiume sono tutte uguali, con i classici tetti a spiovente ed i mattoni a vista, ad eccezione della villetta Murphy, eretta proprio di fianco alla casa di Ksenia, dove a farla da padrona sono il cattivo gusto e l'abbandono. I Murphy sono una famiglia benestante di origini scozzesi, trasferitasi a Killorglin cinquant'anni fa. Ancor oggi i discendenti sono soprannominati scherzosamente “i cittadini”, per via della loro provnienza metropolitana. Il vecchio ubriacone che avete visto oggi pomeriggio, Locke, è il maggiore dei quattro fratelli Murphy ancora in vita e quell'orrenda casa dalle pareti zafferano e la veranda butterata rappresenta tutto ciò che ha. Quanto agli altri tre, gestiscono uno degli hotel della città che hanno chiuso i battenti, e si guardano bene dal frequentare il fratello ubriacone… La serratura della porta d'ingresso fa qualche capriccio, come sempre, ma una volta aperta lascio entrare Plump per primo. Lui annusa l'aria con sufficienza, andandosi a nascondere nella cuccetta matrimoniale del soggiorno. Ksenia è riuscita a strappare alle nostre nuove “guardie del corpo” qualche minuto di intimità, in modo che possa cambiarsi e raccogliere le idee. «Cosa hai intenzione di fare?» chiedo a Key. Lei sale le scale, tirando l'orlo della gonna. «Prima di tutto, voglio togliermi questo stupido vestito di dosso. Dopodiché, faremo come ha suggerito Luck. Se il sangue di Madeline ha risvegliato qualcosa, il mio vi porrà fine…» «Non crederai seriamente a ciò che ti hanno detto?!» strillo querulo. Ksenia si volta verso di me, «Credo alla verità, Jessie. Ho sempre pensato che Maddy non si fosse suicidata, lo sai.» «Alcuni fantasmi andrebbero tenuti chiusi nel proprio cuore, Key. Questa… “cosa” non ha alcun senso. Lo capisci?»

Ride amaramente, sciogliendo i rimasugli della treccia che ancora le stringeva i capelli. «Maddy non era un fantasma, era la mia migliore amica accidenti! La Garde non ha mai voluto investigare sulla sua morte, e nemmeno il sindaco Laverty ha voluto saperne niente. Nessuno, nemmeno Brian, ha mai dubitato per un secondo che potesse trattarsi di omicidio. Ci dev'essere qualcosa sotto.» «E pensi che quei quattro schizzati là fuori possano aiutarci? Apri gli occhi Key! Ti stanno manipolando, e non riesci neanche ad accorgertene.» sputo irritato, «Se pensi che me ne stia qui a non fare nulla davanti a questa follia, ti sbagli di grosso. Questo non è un film dell'orrore da quattro soldi e se sei così stupida da credere alle loro favole, giuro su Dio che ti impedirò di lasciare queste quattro mura!» Ksenia mi si para davanti, con un furore cieco mai visto a serrarle le mandibole. Lo schiaffo rimbalza sulle pareti, lasciando un velo di bruciore sulla mia guancia nuda. La fisso negli occhi, senza indietreggiare di un o; sullo sfondo di un trucco sbavato, le prime lacrime le graffiano gli zigomi, scendendo fino al mento con tacito trasporto. Qualunque parola detta in un frangente simile sarebbe inutile, tanta è palpabile l'emotività nell'azzurro mare del suo sguardo. Le prendo le mani e le porto alla bocca, baciandole. È assurdo come ci abbia ridotto questa situazione, dico davvero: non solo io e Ksenia, ma anche la città e i nostri amici. Tutto sta lentamente scadendo verso una deriva sconosciuta dalla quale, forse, non c'è via d'uscita. «Scusami.» le dico pentito. Lei si abbandona al mio abbraccio, piangendo in silenzio. Il tripudio di sentimenti che coinvolge entrambi non aiuta, ma saperci l'una nelle mani dell'altro è forse l'unica forza sulla quale possiamo contare. L'Albero Rosso, le sue foglie scarlatte: se socchiudo le palpebre mi sembra quasi di vederne le tinte, quando in realtà è la punta dei capelli di Ksenia.

Il suo cuore batte all'impazzata, e il tremore del suo corpo non accenna a placarsi. Siamo caduti in un incubo senza rendercene conto, ed ora stiamo prendendo parte alla sua rovinosa continuazione, come attori di un melodramma. In un momento simile, ripenso alla finta lite di questa mattina. Sembra così lontana adesso, quasi inafferrabile… Ksenia si scosta appena per baciarmi. Le lacrime mi sfiorano le guance e poi le labbra, ed hanno il potere di spezzare ogni barriera rimasta fra di noi; profumano di rose ed hanno il calore del Sole. Un timido sorriso le segue, «Ti amo.» mi sussurra. «Ti amo anch'io, piccola.» rispondo sfiorandole la punta del naso con un bacio. «Devo farti vedere una cosa…» dice andando verso la sua stanza. La seguo senza dire nulla, e la osservo mentre è alle prese con un baule che tiene sotto il letto. Riemerge qualche attimo dopo con un blocco di appunti, che mi lancia a mezz'aria. Afferro il quadernetto appena in tempo, prima che mi colpisca sul naso. «Che cosa sarebbe questo?!» «Quel blocco-note era il diario di Maddy…» risponde, «Lo teneva nascosto in camera sua, nell'armadio. Scorri le date.» Una rapida occhiata alla copertina basta a convincermi che il quaderno fosse effettivamente proprietà di Madeline; riconosco la scarsa finezza artistica e la miriade di brillantini sparsi ovunque. Sfoglio le prime pagine, ricoperte da cartacce di ogni genere ed annotazioni più o meno sciocche, come: “11 Giugno, Brian mi ha portato sulla collina Morrigan e abbiamo fatto l'amore…Ho il sedere pieno di formiche!”, oppure, “15 Giugno, Ksenia mi ha prestato le sue scarpe col tacco preferite e io le ho rovinate ballando in un campo polveroso. Come faccio a togliere la terra dalla punta in velluto?”

«Cosa devo cercare esattamente?» domando alzando un sopracciglio. Ksenia nel frattempo si è sfilata la parte superiore del vestito, rimanendo in reggiseno. Prende il blocco-note e scorre velocemente le pagine, fermandosi all'Otto Luglio dello scorso anno, giorno del compleanno di Maddy. «Leggi qua…» dice indicandomi una frase in corsivo. «“L'alba dei vinti sorgerà nel crepuscolo dei vincitori”… Cioè?!» Lei scuote la testa, facendo scivolare la lunga gonna a terra. «Non lo so, ma da quella data in poi il diario di Maddy è pieno di citazioni, tutte molto simili a quella…» Le prendo le mani, percependo la sua frustrazione dal tremore delle dita. «Non possiamo sapere se queste frasi siano collegate alla sua morte, Key. Forse le ha lette su qualche libro. Se ricordo bene le piacevano le vecchie storie popolari…» Lei annuisce; ora che ci rifletto, fu proprio grazie alla sua ione per le leggende locali che Maddy venne eletta Regina. «Quella frase è l'inizio del Ciclo delle Tenebre.» Luck compare sulla soglia, spaventandoci a morte! «Cosa?» gracchio sorpreso. «Il Ciclo delle Tenebre.» ripete Fairy, seguendolo. «Così si intitola la serie di canti dedicati alla dea Fódla.» «Fermi!» alzo le mani, frapponendomi tra loro e Ksenia, ancora mezza nuda. «Cosa diavolo sta succedendo in questa fottuta città?» Luck mi ignora scientemente, rivolgendosi a Ksenia, «Dobbiamo raccontarti molte cose, Regina, ed il tempo purtroppo non è dalla nostra.» Lo spilungone ed il piccoletto seguono a ruota i primi due: l'uno cercando di non sbattere la testa ad ogni stipite che si presenti sul suo cammino, l'altro saltellando qua e là come un folletto dei boschi alla ricerca di oro per la sua pignatta. «Luck, dobbiamo spostarci da qui. Arrivano…» ci informa Nodle.

«Cosa arriva?» chiede Ksenia infilando per metà una t-shirt sbiadita. Il capobranco mi sposta di peso, afferrandole le spalle. «Dobbiamo andarcene in fretta e dovete seguirci, senza fiatare e senza disobbedire. Sono stato chiaro?» La sua voce è perentoria e la stretta è micidiale, tanto da smorzare ogni tentativo di replica da parte sua. La paura che leggo negli occhi di Ksenia è palpabile e senza nemmeno rendermene conto le tengo la mano, sperando di trasmetterle un lieve conforto con la mia presenza. Prima di uscire, Key ed io rimettiamo il guinzaglio a Plump, per portarlo con noi. Non mi fido ancora di questi tizi, così come non si fida il cane, a giudicare dalle sue movenze meccaniche.

«Non ti devi preoccupare, adesso ci siamo qui noi.» ripete Fairy a Ksenia uscendo da casa. «Finché staremo al tuo fianco, non morirai!» strilla raggiante Dry, saltellandole attorno come una banshee. Il viso di Ksenia è a dir poco stravolto, ma la sua forza d'animo è incrollabile, così come la sua testardaggine: sono convinto che non abbia mai pensato di fuggire, al contrario del sottoscritto. Vuole conoscere sino al più minuzioso particolare cosa sia successo a Madeline un anno fa, a costo di rimetterci lei stessa la pelle. La verità… ciò che mi spaventa più di ogni altra cosa… Seguo la comitiva con Plump a farmi da sostegno, affiancato dallo spilungone dalla faccia smunta e il capobranco, Luck. «Sapete che tutto ciò non ha senso, vero? Voglio dire, spiriti maligni… inferi… esistono cose come internet e la penicillina al giorno d'oggi. Non siamo più nel medioevo. Non potete aspettarvi che vi crediamo.» dico rivolto al gigante. Questi non si volta nemmeno, sputando dall'altra parte. Luck si accende una sigaretta, rimettendo le mani in tasca. «Purtroppo, ragazzo,

questa è la verità…» «Ksenia è una persona suggestionabile, ma non per questo stupida. Anzi…» esclamo nervoso, ato dallo scodinzolio di Plump al solo nominare la sua padrona. «Non avete idea di che cosa ha ato negli ultimi dodici mesi, ne potete presentarvi in questo modo e scombinarle il cervello con storie assurde su di voi, Maddy e la collina Morrigan.» La nebbia mi sembra più fitta adesso: il vento è calato drasticamente e l'umidità è quasi tangibile, tanto da scivolare sulla pelle come le squame di un serpente. «Non abbiamo detto niente di insensato. Ériu, Morrigan e Fódla sono le madri di questo mondo… Cosa vi insegnano in quelle scuole cattoliche tanto famose?!» risponde ironico. Evito d'un soffio una buca nel terreno, aggrappandomi al pastrano dello spilungone per non perdere l'equilibrio. Lui fissa il suo sguardo violaceo su di me, facendomi subito mollare la presa. Devo sembrare piuttosto stupido in questo momento, ma per nulla al mondo mollerei Ksenia con questi pazzi! «Le tre sorelle d'Irlanda, conosco la leggenda.» esclama lei voltandosi verso Luck, «Alla dea Ériu venne concesso di ribattezzare l'intera isola con il proprio nome. Voi però, sostenete di esserne addirittura i figli. Io non… non so che dire…» In risposta, Fairy la strattona per un braccio, «Noi siamo i suoi quattro eredi, incaricati di custodire i suoi personali tesori: i tesori d'Irlanda!» Scoppio a ridere, sul punto di perdere il mio autocontrollo. «Piccola, non crederai veramente a questi? Andiamo!» Mi rivolgo ai quattro con le bracci spalancate, «State dicendo che siete Dei o roba simile?!» Nessuno ribatte, ma un'espressione unanime di impazienza trapela dalle loro facce. Luck non proferisce parola, ma poggia una mano sulla mia spalla e chiude gli occhi.

Quello che vedo… beh…

L'intero universo sembra collassare su se stesso, pronto a travolgere la mia figura come una valanga. Dal ventre sento ribollire una strana sensazione di smarrimento che in un baleno prende il sopravvento sui miei nervi, spingendo le ginocchia a piegarsi e tutto il corpo a cadere. La testa vortica così velocemente che è impossibile, per la mia mente, razionalizzare cosa mi stia succedendo. Tutto assume colori nuovi, sfumature mai viste prima e forme indistinte, sino a schiacciare ciò che resta del mio povero intelletto ad una poltiglia primordiale, un brodino di materia grigia e sinapsi confuse. Perdo ogni contatto con la realtà, spingendomi in luoghi mai esplorati, verso un baratro impossibile da descrivere ma assolutamente tangibile, reale e sconfinato; finché, giunto sull'orlo del precipizio, l'immensità del tutto mi seppellisce definitivamente, annichilendo ogni emozione.

Riapro gli occhi, col dolce sorriso di Ksenia ad accogliermi. I suoi occhi sono velati da qualche lacrima, ma non so per quale motivo. «Stai bene?» chiede con un sospiro flebile. Mi aiuta ad alzare la schiena, tenendomi le mani. «Io… credo di sì.» Sento un fischio nelle orecchie, attutito dallo stormo gelatinoso che mi comprime le tempie. «Cos'è successo?» domando. «Sei svenuto.» Il mio sguardo incrocia quello di Luck, ed uno sconcerto mai provato mi schiaccia le spalle: i suoi occhi sono luminosi come fari, con quella maledetta onda violacea che mi ritorce le budella. «Allora?» dice lui, accendendosi una sigaretta. «Ti è piaciuto?» «Co… cosa mi hai fatto?!» balbetto. La mia voce trema come quella di una ragazzina spaurita e nemmeno le carezze di Key riescono a chetarmi.

Lui soffia il fumo, scuotendo la testa. «Ti ho appena mostrato quanto tu sia insignificante nell'intero universo.» esclama divertito, «Sono contento che il tuo cervello non sia esploso in mille pezzi…»

6

Camminiamo per quasi venti minuti, oltreando casette dalle finestre scure e vecchi capannoni di legno fatiscente ai margini della città. Attraversiamo anche il ponte, avvolto in una nebbia talmente fitta da scolorirne le forme e proseguiamo lungo i vicoli secondari, per giungere infine alla piazza principale. Ksenia rimane al mio fianco, sorreggendomi con una mano, mentre l'altra tiene le redini di Plump; le ho ripetuto più volte che sto bene, posso camminare senza aiuti. Eppure non ha sentito ragioni: mi tiene stretta a lei, con la paura di perdermi. Parlotta sottovoce con la ragazzina “Goth” e il nanerottolo biondo, che a loro volta non ci perdono di vista nemmeno per un secondo. «Siamo arrivati.» dice Dry. «Sì… lo sento.» starnazza Fairy inorridita. L'odore di sangue impregna l'aria, arricciando il naso di tutti noi. Persino Plump scrolla il capoccione, starnutendo. «Perché siamo tornati qui? Se quella “creatura” è uscita dalla collina, perché non fate qualcosa?» domando nervosamente. Non mi piace, non mi piace per niente; quel povero caprone è stato sventrato come un foglio di carta proprio a pochi i da dove ci troviamo e l'idea che quella creatura possa essere nei paraggi mi accappona la pelle. Luck sogghigna e si allontana, lasciandoci in mezzo allo spiazzo. Ksenia ha lo sguardo verso lo scheletro sgraziato del palco, con le mani strette al petto e le labbra serrate. «Lo spirito della bestia non si trova più su quella collina.» dice l'altro, «L'Albero Rosso è rimasto senz'anima…» Aggrotto le sopracciglia, girandomi incredulo verso Nodle. «Che ha detto?» Lo spilungone tira su col naso, incrociando le braccia. La lama trapela fra le

pieghe dell'impermeabile, sfiorandogli uno stivale. «Hai idea di quanto sia grande lo spirito di un mostro infernale?» Scuoto la testa, rimanendo a bocca aperta. «Ottimo… Sta a guardare.» taglia corto lui. Luck calpesta i tendaggi scuri, raccogliendo da terra una delle aste in ferro battuto che sorreggevano i drappi grigio-neri; a o lento e teatrale si dirige verso ciò che rimane della gabbia, roteando l'asta fra le mani. L'orrendo scenario che ci si ripropone è ancor più terrificante di quanto ricordassi: le mosche sciamano impazzite, seguendo la loro voracità su ciò che resta dell'animale. Luck le allontana con il tintinnio degli anelli legati all'asta e vi a attraverso, avanzando come nulla fosse tra ossa frantumate e brandelli di carne. «Non siamo di fronte ad un semplice demone.» sentenzia infine, gettando il sottoscritto e Ksenia nello sgomento. Lei ha un lieve mancamento, ma Dry e Fairy la sorreggono immediatamente, scansandomi. «Come…?» balbetto, inascoltato da tutti. Luck afferra l'asta con entrambe le mani, strisciando le estremità contro le pareti. Il ferro stride sull'intonaco scuro, generando scintille rossastre che si disperdono nell'aria come polvere. Il ragazzo indietreggia di colpo e rotea su se stesso, sbattendo con forza l'asta contro la parete grondante sangue; questa volta le scintille sprizzano di mille colori e divampano in una fiammata, mordendo con lingue infuocate i mattoni a vista. In piena trance, Luck dirige la sua attenzione al muro dietro di sé, colpendolo con egual forza. Una miriade di scintille dalle sfumature rosate divorano ogni cosa al loro aggio, prima di scemare d'intensità, imbrigliate dalla notte. Una luce radiosa e calda compare magicamente ad illuminare il vicolo nella quale questo pomeriggio si è consumato l'orrido misfatto e, al centro della miriade di forme luminose, un compiaciuto Luck getta al suolo l'asta, frugandosi le tasche.

«Venite a vedere…» ci incita lui mettendosi in bocca una sigaretta. Ksenia e Plump precedono tutti di qualche o, tenuti a vista da Fairy e Dry. Nodle invece mi segue silenzioso, scrutando a destra e a manca che non vi sia nulla di sospetto. «Guardate, Regina!» esclama Fairy battendo le mani. Le striature create da Luck prendono vita, generando splendidi giochi iridescenti dai mille colori: alcuni giallo paglia, altri blu elettrico ed altri ancora rosa confetto. Il vicolo si riempie di tonalità vivaci e guizzi cromatici, che mischiandosi tra loro formano nuove, particolarissime, colorazioni. «Dunque…» Dry si sofferma su una sagoma molto particolare, tutto pensieroso. «Quelle che vedete sulle pareti e al suolo non sono altro che impronte lasciate da piccole entità demoniache. Ciò che andiamo cercando però, è di dimensioni ben maggiori… Credo che tu abbia ragione, fratellone, questo non è un semplice demone…» Guardando meglio, le striature colorate che macchiano il pavimento assumono contorni più definiti, trasformandosi in gargantuesche impronte dalle estremità appuntite. Alzando gli occhi, noto che sono ovunque, dalle pareti al ciottolato dell'asfalto e ad aggiungere sbigottimento al già divampante orrore che pervade Ksenia ed il sottoscritto vi sono le unghiate lungo ciò che rimane della gabbia. Guardo Key con la coda dell'occhio: è scioccata quanto lo sono io. Noto solo in un secondo momento, invece, le zampe di Plump soffermarsi proprio sulla forma sgraziata di un'impronta, grande abbastanza da inghiottire il cane per intero. Un nodo mi si stringe in gola, «Che… che cosa è uscito dall'Albero?!» domando massaggiandomi il collo. «Solo un'entità può generare tanta violenza: Ramiàhl…» la risposta di Luck è quasi bisbigliata, sfuggente, come se volesse nascondere un'agitazione di fondo. «Quanto manca all'alba, Dry?» chiede Noble, camuffando malamente la sua stessa paura. «Ancora cinque ore e dodici minuti.» risponde il piccoletto scuotendo il capo. «Capisco… Ksenia, nostra Regina.» Luck si avvicina a lei, stringendole le mani.

«Il nostro compito sarà proteggerti sino all'alba. Se Ramiàhl è sul piede di guerra, abbiamo a disposizione una sola notte per sigillare il portale. Proverà con ogni mezzo in suo possesso, aiutato da spiriti a lui fedeli e mostrandosi nelle sue forme più becere. La cosa importante, tienilo bene a mente, è non rimanere da sola nell'oscurità. Sono stato chiaro?» Lei annuisce, «Niente oscurità, mai da sola.» farfuglia sotto shock. Luck cambia espressione, volgendosi al sottoscritto. «Quanto a te: cerca di non stare in mezzo ai piedi, perché quando si mostrerà, dovrai tenere la Regina al sicuro. Intesi?» Il suo tono autoritario mi irrita alquanto, «Sì.» rispondo a denti stretti, mentre nella mia mente sibila un sonoro epiteto! Ksenia mi lancia uno sguardo preoccupato, tornando a dialogare con l'altro. «Dove dovremmo andare esattamente?» «In genere, quando uno spirito maligno vaga per il mondo terreno, il modo migliore per sfuggirgli è salire verso l'alto. La loro inconsistenza materiale li obbliga a vagare sulla terra ferma: una torre, per esempio, oppure un albero molto alto…» «Un albero molto alto?» domando scettico, «Per scappare al demonio che ha fatto tutto questo?!» Luck mi fissa con odio, prima di rivolgersi a Key. «Sfortunatamente, anche se sfuggissimo ai servi di infimo ordine, rimarrebbe Ramiàhl. Non è un demone qualunque, per cui è del tutto inutile scappare: dobbiamo affrontarlo.» «Quindi…» dice Ksenia, «Andiamo verso la collina?» «Esatto. Per sigillare per sempre quel mostro, attaccheremo il portale che l'ha liberato senza indugi.» Mi intrometto, parandomi davanti a Key. «Un momento, non vorrete corrergli incontro spero?!» «Hai mai visto uno spirito infernale?» chiede lui.

Io scuoto la testa, incredulo. «Non ho mai avuto il piacere.» «Perfetto. Allora zitto e segui le mie maledette istruzioni!» La smorfia dipinta sul viso di Ksenia mi fa arrossire più del rimprovero del capobranco, obbligandomi ad abbassare il capo per la vergogna. «Per quanto riguarda il libro? Voglio dire, se il suo possessore si aggirasse per Killorglin, ci troveremmo di fronte ad un altro nemico…» dice lei. Fairy le poggia una mano sulla spalla, scuotendo la testa. «Il Ciclo delle Tenebre fu scritto dai seguaci della dea Fòdla tanto tempo fa, ed è un insieme di invocazioni legate alla magia nera. La sua funzione è quella di creare un collegamento tra mondi, strappando l'anima ad altri esseri viventi. Chiunque ci sia dietro a tutto questo però, non ha calcolato che il sacrificio di una sola Regina sarebbe stato insufficiente per risvegliare appieno Ramiàhl. Non è un semplice spirito.» esclama convinta, riscaldando le guance di Ksenia. «Finché l'oscurità gli darà forza, siamo in grande pericolo. Dobbiamo sigillare quel portale, perché la sua forza non si dischiuda al sorgere del Sole. Se tutto andrà nel verso giusto, nessuno ti torcerà un capello, te lo prometto!» «La fate semplice, voi altri!» dico additandola, «Ma noi due non siamo supereroi, né tanto meno fenomeni da baraccone. Se volete essere seguiti, dovrete darci più di qualche informazione vaga; in caso contrario, Ksenia verrà via con me.» La mano di Nodle si posa sulla mia spalla, facendomi sobbalzare come un gatto idrofobo. «AH!» «Voi umani date sempre problemi.» esclama Luck, estraendo un enorme revolver a canna lunga dal nulla. «Ciononostante, confido nello spirito di sopravvivenza che caratterizza da sempre la vostra specie. Fairy e Dry vi scorteranno in un luogo meno “affollato” e resteranno con voi sino ad un mio nuovo ordine.» I due fratellini annuiscono energicamente, facendo il segno di congedo militare. «Ora andate, la nebbia si sta alzando…» La mia irritazione trabocca nell'ira, e sono pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Plump abbaia impazzito, ma i suoi guaiti allarmati non arrivano

nemmeno alle mie orecchie. Mi divincolo dalla presa del gigante, strattonando per la camicia quello strafottente dall'aria strampalata. «Vuoi darci una spiegazione? Da cosa dovremmo scappare?» «Te l'ho già detto, ragazzino. Ramiàhl, la guardia delle bestie infernali.» La sua risposta, così pacata e innocente, smorza ogni mia velleità belligerante, facendomi sentire un perfetto idiota. «Amore!» urla Ksenia rivolgendomi la parola.

Tutto accade così velocemente da non lasciarmi nemmeno il tempo di strillare come una donnicciola. Luck sbarra gli occhi, riflettendo una luce violacea che collima nel cremisi; qualcosa sibila ad un soffio dalla mia tempia, per esplodere subito dopo con un boato tremendo. L'artefice del colpo è lo stesso ragazzo di fronte a me, talmente rapido nell'alzare il grosso revolver da ingannare tutti i miei sensi. La mano di Nodle mi afferra saldamente per la nuca, scaraventandomi al suolo, ai piedi di Ksenia. La nebbia si è propagata a macchia d'olio in tutta la città, giungendo persino nella piazza principale, a quasi due miglia dal fiume. Fairy e Dry strillano con vocette isteriche e incomprensibili, mentre Plump mi lecca la faccia come se fossi un cono gelato alla fragola. Ksenia afferra la mia mano e mi consegna il guinzaglio del cane, ma sono troppo scosso e stordito per capire cosa le sue labbra stiano dicendo. Ci gettiamo a rotta di collo lungo la strada principale, sfuggendo per un soffio all'avanzata della nebbia grigiastra che ci scorre alle caviglie. Un'ombra si para dinnanzi a noi; Dry spara a ciò che sembra una testa, disintegrandone la sagoma. La pistola che impugna, per quello che riesco a vedere, è una riproduzione in miniatura dell'arma imbracciata da Luck.

«Muovetevi!» grida Fairy, materializzando un'asta dorata dalle estremità a mezzaluna col solo schiocco di dita.

La nostra corsa disperata ci conduce all'imbocco di un'altra strada, meno illuminata, con enormi stendardi appesi alle pareti che ne restringono lo spazio e acclamano l'arrivo della Puck Fair. Le case hanno le finestre sbarrate e le luci spente; conosco ogni abitante di questa città, e sono abbastanza sicuro che dopo oggi pomeriggio non metterebbero il naso fuori dalle loro porte neppure durante un'invasione di cavallette spaziali battenti bandiera inglese. Siamo soli… «Dannazione, coso, rimani vicino alla Regina!» mi rimprovera la ragazzina, squarciando a metà un'ombra informe sbucata al mio fianco. La mano di Ksenia è glaciale e pietrificata, proprio come la sua espressione. Plump sbuffa e strattona come un ossesso, trascinandoci all'incrocio con altri due vicoli ciottolati: sono bui e spettrali, e hanno il potere di scatenare in noi la fobia dell'oscurità. «Da questa parte!» esclama Dry. Gesticola alla rinfusa, suggerendoci di intrufolarci nel vicoletto che circonda la piazza e conduce alla periferia di Killorglin. «Non di…» cerco d'avvertirlo, quando una gigantesca sagoma dal colore della notte lo inghiotte. «Dry!» il lamento di Fairy lacera i timpani, mentre le parole si strozzano nella mia bocca, uscendo come un rantolo sordo. Ksenia avanza di un o, alzando una mano in direzione del piccoletto appena volatilizzatosi. Il cane ha le orecchie tese ed il naso all'insù, rivolto al vicoletto, quand'ecco che la chioma ossigenata del bambino riemerge, inseguita da una mole mostruosa e grottesca simile ad un orso. Dry atterra sulle ginocchia, mirando dritto a ciò che sembra essere il grugno di quell'essere; la creatura, nonostante le dimensioni, è più veloce di lui e lo colpisce in pieno petto, gettandolo contro la parete opposta.

Fairy corre in sua difesa, scivolando fra le zampe deformi del mostro prima che il ragazzino venga schiacciato dalla carica famelica del nemico. «Scappate!» ci grida abbracciando il bambino privo di sensi. I due scompaiono all'improvviso, travolti dall'oscurità…

Attorno a noi cala un silenzio di tomba, surreale. Nessun rumore nemmeno in lontananza: i colpi esplosi dal revolver di Luck e i fendenti di Nodle sono scomparsi, proprio come i due fratellini un attimo fa. Plump è l'unico sulla quale possiamo fare affidamento per fiutare un pericolo invisibile ai nostri occhi, ma l'inaspettato nuovo capobranco non fa altro che annusare l'aria, indeciso sul da farsi. «La collina…» dice con un filo di voce Ksenia. «Come?» Lei si volta verso di me, ormai in lacrime. «Luck ha detto che dobbiamo andare verso la collina!» Guardo a destra e a sinistra, scrutando ogni minimo movimento. La nebbia non si vede ancora, ma certi androni sono così scuri da risucchiare i raggi della Luna. La collina Morrigan dista solo una dozzina di miglia in linea d'aria, ma almeno venti seguendo la strada che percorre i campi, la più veloce tra le nostre “ampie” opzioni. «Non riusciremo mai ad arrivarci a piedi.» dico isterico. «Abbiamo altre alternative forse?» ribatte Ksenia. «Sono quasi venti miglia da qui… non ce la faremo mai Key.» le rispondo scuotendo la testa, «A meno che…» «A meno che cosa?!» Tra mille pensieri e paure d'ogni genere, ricordo di avere ancora un padre, ed

un'automobile! «Dobbiamo andare all'Hanging!» strillo. Una raffica di vento ci sorprende alle spalle: ho la netta sensazione che stia per succedere qualcosa.

La nebbiolina bluastra emerge dalle tenebre, ma non è quella a raggelarci il sangue. Un suono orrendo, come un bramito selvaggio, segue il manto di piccole nubi dinanzi a noi e dall'antro più scuro della strada due occhi spiritati si accendono, fissandoci. La terra inizia a tremare sotto i nostri piedi, frustata dalla forza con la quale l'ombra muove verso di noi. Il tempo si dilata all'inverosimile, per consentirci di studiare la figura sproporzionata e abominevole che ci sta caricando a testa bassa, sfoggiando corna che arrivano a stridere sull'asfalto. «Giù!» La vocetta infantile di Dry rimbomba nel viale, trovandomi impreparato. I riflessi di Ksenia invece sono pronti e lei non si fa pregare; mi tira giù di peso, tirandomi per un braccio. Il bambino si pone tra noi e il cervo demoniaco, svuotando in rapida sequenza la piccola sei colpi che stringe fra le dita. Ogni pallottola va a segno, ferendo l'animale alla testa e alle zampe. La corsa di quest'ultimo rallenta inesorabilmente, ma è solo l'ultimo proiettile a mandarlo al tappeto, colpendolo dritto in mezzo agli occhi. Il bestione inciampa nelle sue stesse zampe e perde l'equilibrio, strisciando parte del muso e delle corna sull'asfalto, in un'onda anomala di scintille fluorescenti. «Ben ti sta!» dice Dry tronfio, picchiettando il calcio della pistoletta sul naso privo di vita della creatura. Questa sprofonda nuovamente nell'ombra, svanendo. «State bene?»

Fairy si accuccia di fianco a noi, visibilmente scossa. La sua gonna di tulle nera è solo un vago ricordo fatto di stracci logori, mentre la camicia e gli anfibi portano profondi segni di graffi e lacerazioni. Il viso è segnato da abrasioni e contusioni, così come le braccia e l'addome nudo. «Se siete ancora tutti interi, vi consiglierei di muoverci.» esclama aiutando Ksenia a rialzarsi. «Dirigiamoci verso quella dannata collina!» annuisce Dry, «Se non alziamo i tacchi velocemente, ne arriveranno altri.» «Altri?» Luck e Nodle arrivano alle nostre spalle, col capo dei quattro che fuma una sigaretta piegata all'ingiù. Sembrano entrambi scampati ad un uragano, pesti in volto e con le braccia gravemente ferite. Nodle non indossa più il pastrano; trascina a malapena l'enorme spada con una mano insanguinata, sofferente e ciondolante. Luck invece ha un sopracciglio spaccato che ne deforma i lineamenti, oltre a diversi tagli sparsi per il corpo e due grossi graffi sul collo. Io e Ksenia rimaniamo di sasso, mentre Plump accenna ad uno scodinzolio timoroso. «Era da un po' che non vedevo uno di voi due sanguinare!» esclama Fairy correndo loro incontro. Nodle sorride, conficcando la lama nell'asfalto. «Questa volta è toccato a noi il lavoro sporco…» risponde sbuffando. Dry si affretta a sostenere il fratello maggiore, mettendo la mano ferita dell'altro sulla sua spalla. «Certo che erano proprio fastidiosi quei cosi!» protesta corrucciato. «Già… ho perso il conto di quanti ne abbia abbattuti.» dice Luck, scompigliandoli il ciuffo. «Non fare il furbo; ho vinto io anche questa volta.» sorride Nodle. «E noi allora? Abbiamo abbattuto un orso ed un'alce!» replica il piccoletto.

«Era un cervo, non un alce. Stupido!» lo corregge Fairy. Ksenia si volta verso di me, ed entrambi ci scambiamo uno sguardo interrogativo: sembra che quei quattro siano appena tornati da una partita di paintball. Come possono scherzare dopo quello che hanno appena vissuto?! La mia attenzione è rivolta soprattutto a Nodle, perché sembra essere il più claudicante della compagnia. Lui alza gli occhi verso di me, mostrando il pollice per rassicurarmi. «Ehi!» gracchia Luck, fissandoci, «State bene?» «Sì.» rispondo io. «Parlavo con la Regina.» replica indispettito, «Tu per poco non sei stato ammazzato…» Arrossisco, grattandomi la testa. Plump mi guarda di sottecchi, con la tipica espressione canina che contraddistingue la saggezza animale. Ksenia invece stringe la mia mano, «Grazie.» «Di… cosa?» chiedo amareggiato. «Di essere al mio fianco.» dice commossa. Poi si getta fra le mie braccia, baciandomi sulla bocca. «Oh, andiamo… Non abbiamo tempo per quelle schifezze!» strilla Dry.

7

Il o si fa svelto e felpato, sino all'incrocio che porta al pub del mio vecchio. Dry sostiene che la prima “ondata” sia ata, ma come le orecchie tese di Plump suggeriscono, d'ora in avanti le cose potrebbero mettersi molto male. Lo so, la situazione è già precipitata da un bel po', ma a quanto pare al peggio non c'è limite. Tutte le abitazioni di Killorglin traboccano solitudine da ogni mattonella, e anche quei pochi turisti rimasti in città sembrano essersi dileguati furtivamente senza lasciare tracce. O perlomeno, spero siano riusciti a scappare… Il solo pensiero di vedere l'Hanging ridotto in briciole in compenso mi piega le ginocchia: questo timore mi sorge nel vedere la casa dei Duff con le finestre sbarrate e gli infissi piegati, scarnificata da graffi profondi ed incisioni animalesche che ne hanno sbriciolato l'intonaco. Se il piccolo pavee avesse ragione, al prossimo attacco tutto il paese potrebbe crollare. Nessuno ad ogni modo ha osato mettere il naso fuori dalla propria porta, neppure di fronte a grida ed esplosioni di proiettili. Il concetto di buon vicinato sembra del tutto astruso, devo dire. «Non abbiamo tempo per queste stupidaggini.» ripete ad ogni svolta Luck. «Devo sapere come sta mio padre!» replico. «Il nostro compito è tenere la Regina al sicuro e chiudere questa faccenda finché siamo in tempo. Senza offesa, ragazzo, ma tuo padre non è esattamente un nostro problema.» «Per favore…» dice Ksenia, avvinghiandosi alla mia spalla, «Molti dei nostri amici si trovano al pub. Dobbiamo sapere come stanno.» I quattro ci seguono, senza protestare.

«Grazie.» le dico a denti stretti. «Speriamo non ci siano feriti.» risponde Key.

Le finestre sono scure, coperte da sagome nere quadrangolari ammassate contro i vetri. Qualcuno all'interno ha accatastato le une sopra gli altri panche e tavoli, ma dai piccoli spiragli liberi si intravede una luce fioca e tremolante. Busso al portone d'ingresso, sbarrato dall'interno. «Papà!» bisbiglio. Nessun rumore giunge in risposta al mio richiamo; io e Key ci scambiamo un occhiata di intesa, per quanto impreparati al peggio di cui parlavo poc'anzi. «Saranno in casa.» suggerisce lei, indicandomi il piano superiore dell'edificio. «Nah… questa è la sua casa…» commento sardonico. «Intendevo di sopra.» ribatte con un cenno della testa. Busso una seconda volta, più convinto. «Papà!» Il cigolio secco del chiavistello stempera un po' della nostra preoccupazione, ma l'ingresso rimane bloccato. Provo a spingere il legno, senza riuscire a smuoverlo di un centimetro. «Accidenti papà, fammi entrare! So che siete lì dentro!» sbotto. Ksenia mi tappa la bocca con uno schiaffo, mentre Luck e gli altri ci raggiungono. «Se non apre lui, ci penserò io.» dice Luck alzando il suo revolver. «No aspetta!» strillo, cercando di fermarlo. La porta si spalanca lentamente e dall'interno esce il viso smarrito di Bright, pallido come un fantasma e completamente istupidito.

«Siete voi…?!» domanda meravigliato. «Vieni dentro, idiota!» la voce di mio padre rimbomba fino all'ingresso, spaventando a morte il povero Bright, che d'istinto tenta di richiuderci fuori, sbattendo la porta contro il mio piede alzato. «Papà.» dico ad alta voce. La risposta si fa attendere anche questa volta. «Je… Jessie?» chiede il mio vecchio con uno sbuffo strozzato dall'emozione; non sentivo quel tono dimesso da molti anni… Io e Key entriamo in punta di piedi, trovando il locale completamente sottosopra. L'Hanging sembra aver attraversato mille anni di conflitto, sopravvivendo alla Terza Guerra Mondiale e all'invasione dei protestanti. E nemmeno troppo bene, a giudicare dal caos! Come pensavo, i tavoli sono stati ribaltati ed ammucchiati a ridosso delle pareti, mentre mi ritrovo a calpestare gambe di sedie sparse ovunque: alcune si trovano a raggiera sul pavimento di pietra, come una sorta di tribale incantesimo per tenere lontani gli spiriti. Sulla parete del bancone invece, le mensole sono state letteralmente invase dalle candele e qua e là sono sparse anche torce a pila e piccole fiaccole all'olio di canapa. Nell'aria il puzzo di alcol è così forte da darmi il capogiro; mi aggrappo a Ksenia, stranita quanto il sottoscritto. «Cosa… cosa cazzo state facendo?» chiedo allucinato. Mio padre salta oltre il bancone con un balzo da felino e mi corre incontro, scuotendomi. «Sei vivo! Grazie a Dio stai bene!» esulta soffocandomi. Dalla muraglia di legname spuntano diverse teste: i fratelli O'Malley e consorti, il vecchio Locke e persino Jimmy Duff con la sua allegra famigliola. Sono tutti accucciati aldilà dell'ammasso di tavoli e ci guardano sospetti, come se non credessero ai loro occhi. «Certo che sono vivo! Perché hai demolito il locale?» domando liberandomi dal suo abbraccio. Oltre il groviglio di sgabelli che fa angolo con l'ammasso di tavoli sbuca a sorpresa il faccione di Eugene Laverty, impugnando saldamente la.44 Magnum a

lui tanto cara. «Dove diavolo siete stati, mocciosi?» urla in tono ostile. «Ombre!» esclama mio padre fissandomi negli occhi, «La città è invasa da ombre!» Il suo sguardo non è del tutto lucido e vedere in questo stato il mio vecchio mi accappona la pelle. «Papà, calmati!» dico sgomento. I suoi occhi sono arrossati, le palpebre gonfie. Devo rettificare, credo di non averlo mai visto così. Luck e gli altri entrano di soppiatto, lasciando tutti a bocca aperta. «Ci sono tutti?» domanda il capobranco. Ksenia annuisce, «Devono aver visto quelle strane creature di poco fa.» «Stanno tutti bene?» domanda Fairy con tono sinceramente mortificato. «Ragazzo!» urla Eugene a Luck, vedendo la pistola nella sua mano, «Metti giù quel cannone!» Dry si para istintivamente davanti al fratello maggiore, puntando il suo piccolo revolver argentato contro il poliziotto, pronto a sparare. «Non ci penso proprio, amico. Tu, piuttosto, metti giù quel ferro vecchio.» risponde Luck. La stupidità insita nei geni Laverty ha ormai preso il sopravvento su Eugene, «Jessie, dì ai tuoi amici di abbassare le armi!» intima il poliziotto armando il cane. «Per l'amor di Dio, Eugene, che diavolo stai facendo?» grida mio padre, «Hanno portato a casa sani e salvi Jessie e Ksenia, cosa ti dice il cervello?» «Quei quattro non sono umani, Pat. Sono mostri, proprio come le ombre che hanno invaso Killorglin. Ho visto quei due ragazzi combattere con i miei

occhi…» insiste Laverty mirando a Luck e Noble. Il volto di questi ultimi sbianca in un attimo, così come il nostro. Key prova ad intervenire, «Si sbaglia, signor Laverty. Loro non sono catt…» «Non sono umani!» ripete Eugene, «Allontanatevi da loro!» «Metti giù quell'arma.» la voce di Luck è pacata, gutturale, quasi sussurrata in uno timido refolo di vento. Eppure, tremendamente perentoria. Eugene lo fissa senza sbattere le palpebre, sicuro del fatto suo. Negli occhi dell'altro si accende un improvviso lampo cremisi ed il povero Laverty, imbambolato di fronte a quelle gemme porpora e violette, cade al suolo privo di sensi con un tonfo sordo, senza che nessuno capisca cosa sia successo. «Voi… uscite di lì!» ordina il ragazzo dal ciuffo verde acido. Dal retro bancone, una decina di persone alza le mani, uscendo a o stentato dalle loro barricate. Marie soccorre il padre, ancora a terra con gli occhi vitrei e la bocca digrignata in una smorfia di sofferenza. «Cosa gli hai fatto, mostro?» sbraita scioccata. Fairy scompare di fianco a noi per riapparire alle spalle di Marie, in un turbinio di tulle stropicciato. «Non ti preoccupare, il tuo papà è solamente collassato. Fra qualche minuto starà meglio, te lo assicuro.» le dice col sorriso. Marie è un misto di incredulità e stupidità repressa – credo a causa del DNA paterno – ma con rassegnazione si vede costretta ad annuire, tentando di apparire calma e sicura di sé. Noble, nel frattempo, si lascia andare contro il bancone, respirando a fatica. Le sue escoriazioni sembrano molto più gravi di quanto pensassimo, a partire da un taglio largo quanto un dito sul bicipite destro. Dry e Luck si scambiano una rapida occhiata ed il piccoletto corre a richiudere la porta, fissando ogni catenella allo stipite e riposizionando la gamba sbilenca di

qualche tavolo contro il pomello. L'apparente tranquillità del pub e la presenza dei nostri conoscenti smussa parte delle tensioni che io e Key abbiamo accumulato fino ad ora. Lei scoppia a piangere silenziosamente, nascondendo il viso tra le mie braccia. Le accarezzo i capelli e le bacio una tempia, ripetendole che tutto andrà nel verso giusto. Vorrei tanto che fosse così… «Ci fermiamo qui per qualche minuto, mia Regina.» dice Dry strattonandole la maglietta. «Ma non sedetevi sugli allori…» esclama Luck, «Il tempo di ricucire un paio di ferite e ce ne andiamo: il tempo non è dalla nostra.» Nessuno nel locale ha la forza, o l'audacia, di chiedere ai quattro pavee chi siano e da dove vengano. Si limitano tutti a guardarli con la coda dell'occhio, evitando di incrociare i loro sguardi violacei, ad eccezione del vecchio Locke, abbarbicatosi su uno sgabello di fianco a Noble. «Tu come ti chiami spilungone?» domanda, sbronzo come non mai. «Noble… e lei?» stringe i denti il ragazzo. «Oh, dammi del tu ragazzo. Sono Locke Murphy. Dì un po': quel taglio sul braccio è opera di un demone? Dico bene?» Key. al solo pronunciare di quella parola, ha un fremito, e sento che sta trattenendo il respiro nell'attesa che il ragazzo dia una risposta. «Sì.» taglia corto Noble. Fairy salta oltre il bancone, ricomparendo con una bottiglia di Gentleman Jack Daniel's appesa alle labbra. «Ehi ragazzina!» protesta mio padre, «Metti immediatamente giù quella bottiglia!»

Lei lo ignora deliberatamente, versando metà del liquore sul braccio ferito del fratello. Noble serra le mandibole, senza emettere un fiato, mentre il mio vecchio è a dir poco indignato di fronte a quello spreco. «Dammi un secondo e abbiamo finito Noble, ok?» Lui annuisce, strappando la bottiglia dalle mani dell'altra per tracannarne più di metà. Luck e Dry si siedono di fianco a loro con le armi in pugno, pronti ad essere chiamati in causa. «Li senti anche tu?» domanda il nanerottolo al capobranco. «Sì… c'è anche il pezzo grosso con loro.» «State parlando di Ramiàhl?!» strillo querulo. Luck fa cenno di sì, accendendosi l'ennesima sigaretta. «Stanno arrivando in massa… Dobbiamo trovare un modo per raggiungere in fretta quella maledetta collina.» All'improvviso, ricordo perché io e Key abbiamo insistito tanto affinché venissimo all'Hanging. «L'auto!» I pavee mi guardano di traverso, «Papà, dove sono le chiavi dell'auto?» Lui si fruga le tasche dei pantaloni, alzando un mazzo stracolmo di chiavi differenti. «Che te ne fai dell'auto con quelle cose là fuori? Non vorrete seriamente uscire di nuovo?!» «Siamo diretti alla collina Morrigan, Pat.» gli risponde Ksenia. Uno dei fratelli O'Malley emette un grugnito di disapprovazione, seguito a ruota dagli altri due. Fortunatamente, le loro donne hanno il buon gusto di tenere a freno la lingua, quand'ecco che Anna Lee Duff esce allo scoperto, sputando all'altezza dei nostri piedi con fare principesco.

«Ehi voi due, che storia è questa? Non crederete di poter attraversare la città senza incappare in quei mostri?! Stiamo qui ed aspettiamo l'alba, no? La Garde verrà a salvarci, vedrete.» Strappo le chiavi dalle mani del mio vecchio, diretto all'uscita secondaria che dà sul giardino. «Non abbiamo tempo per queste cazzate. Un demone grosso come l'inferno ci sta cercando: dobbiamo andare alla collina Morrigan, adesso!» Papà mi ferma ad un o dalla porta, bloccata da un paio di panchine malconce ammassate l'una sull'altra. «Jess, ti prego. Non uscite… ho visto quelle ombre… non…» l'apprensione gli chiude la gola, ma con un ultimo tentativo mi abbraccia forte, cercando di farmi desistere. «Ti prego…» «Non possiamo.» ribatte Ksenia, «È troppo importante.» Un redivivo Bright le si para davanti, «Si può sapere di cosa diavolo state parlando voi due? Quelle… cose sono ovunque. Non ce la farete mai ad uscire da Killorglin.» Con tutto il trambusto che è seguito alla nostra entrata, ci siam totalmente scordati della presenza di Plump, quando questi inizia ad abbaiare al soffitto, saltellando sul posto e girando su se stesso. «Sono già qui, merda!» gracchia Luck alzando il revolver, «Voi due muovetevi, non possiamo trattenerci…» dice rivolto a noi. Nodle e Dry scalciano la barricata improvvisata che occlude il retro, spalancando la porta verso l'esterno. «Usciamo da qui e quelle cose ci seguiranno. Restiamo, e le ombre ci schiacceranno come insetti. Fuori!» ordina il capobranco. Fairy acchiappa la mano di Key, scortandola fuori, mentre io prendo ancora qualche secondo, rimanendo solo con gli altri. «Cosa sta succedendo?» domanda il mio vecchio. Cerco di pensare ad una risposta lampo, soppesando la meno assurda. «Io…» balbetto, incapace di dare una spiegazione fuori da ogni logica. «Qualcuno ha ucciso Maddy.»

«Come…?» Marie e gli altri sono sgomenti, così come mio padre: tutti mi guardano sbalorditi e nel locale l'oscurità sembra espandersi di colpo, offuscando le candele e le torce a pila. «Sì, è così.» dico con gli occhi bassi, «Qualcuno ha cercato di praticare una sorta di rituale, un maleficio, durante la Puck Fair dell'anno scorso, e Maddy… ne è stata la vittima sacrificale…» Per la prima volta, pronunciando queste parole, sento il peso della morte di Madeline O'Sullivan. «Non si è suicidata?» chiede con un filo di voce Bright. Scuoto la testa, nel momento in cui i primi proiettili vengono esplosi. L'orrore non ha neppure il tempo di concretizzarsi, perché un'ondata di panico spinge tutti a nascondersi oltre le patetiche barricate che hanno eretto. Mio padre tenta di spingermi verso il bancone, ma sono costretto a rifiutare il suo gesto protettivo: Dry sta strillando come un gallinaccio per convincermi a varcare l'uscita ed andare. «Cosa succede ora?» chiede il mio vecchio. «L'Albero Rosso è un portale.» esclamo, mentre un suono disumano squarcia l'aria. Ksenia è là fuori, devo andare da lei. «Lo chiuderemo e torneremo a casa papà, te lo prometto.» Lui inarca le spalle, incupendosi. «Tornate a casa entrambi, Jess.» Io posso solamente annuire, seguendo il nanerottolo. Prima di varcare la soglia, il mio vecchio urla qualcosa; “l'hai promesso…” riecheggia nella mia mente, quando l'assurdo diviene reale.

Epilogo

Dry mi spinge verso il fondo del giardino, mentre Noble affetta qualcosa di brutalmente contorto di fianco a Ksenia. Lei cerca di urlare, ma la bocca si spalanca senza emettere un suono. Fairy la strattona per la t-shirt, facendola girare come una trottola. Sotto un telo lercio e consumato dalla pioggia spunta il muso verdognolo della Range Rover anni '80 di papà. Se penso a quanto tenga a quella maledetta carretta, e alla fine che probabilmente le spetterà, mi si stringe il cuore… Luck monta sul cofano con un balzo, sparando ad una serie di onde simili ad ali di pipistrello abbarbicatesi sul tetto di casa. «Muoviti ragazzino!» Mi precipito alla portiera, ma appena sfioro la maniglia questa si spalanca di colpo, colpendomi in piena faccia. Piombo a terra come un sacco di patate ed il dolore divampa in un lampo su tutto il viso. «Cosa caz…» Key ritrova le corde vocali e inizia a strillare per avvisarmi; una sorta di mano dagli artigli rotti sbuca dal terreno, afferrandomi la caviglia. Il bruciore a all'istante e senza rendermene conto piagnucolo come una femminuccia, finché Dry non interviene. I colpi della sua piccola pistola vanno tutti a segno, sgretolando come raffiche di vento la consistenza immateriale del mio aggressore. Noble mi solleva come un ramoscello secco e mi sbatte nell'abitacolo, senza che possa opporre la minima resistenza. Sono così rincretinito e sballottato da scoprirmi alla guida dell'auto, chiavi inserite e mani sul volante. Luck è già di fianco a me e urla ordini come un pazzo, esplodendo colpi ad ombre fameliche che si parano davanti a noi col busto appeso al finestrino. «Parti maledizione, parti!» ripete. Di fronte al fuoristrada striscia la sagoma di una creatura immonda dalle zampe

deformi, ma quando la luce dei fari la travolge questa perde leggermente la sua densità, divenendo trasparente. È Fairy ad occuparsene, sventrandola con le lame ricurve della sua arma. «Forza, muovetevi!» ci incita. Premo l'acceleratore a tavoletta, rischiando anche di investirla, ed usciamo a tutta birra dal vialetto. Luck abbatte il finestrino con una gomitata, scaricando cinque proiettili fiammeggianti contro forme indistinte e veri e propri buchi neri; a nulla valgono le mie proteste contro il vandalismo del pavee. Lui continua a sparare, io a barcamenarmi nell'oscurità. Ksenia si stringe attorno alle mie spalle, aggrappata al sedile come un gatto idrofobo. Ripete una specie di litania a bassa voce, come una sorta di preghiera. C'è ben poco da pregare, a dire il vero: guardando nello specchietto retrovisore mi rendo conto che i piccoletti sono rimasti indietro, mentre davanti ai nostri occhi la notte si è fatta materia, colando come melassa dai tetti di Killorglin. «Dove sono i nanerottoli?» «Ci coprono i lati.» risponde Luck sedendosi col busto fuori dal finestrino. «Come i lati?!» chiedo isterico, evitando di un soffio una colonna nera appena sbucata dal terreno. Noble è l'unico a mantenere un certo, serafico, contegno, il che da un lato mi rincuora, dico davvero! «Fairy e Dry sanno il fatto loro…» esclama con la sua voce tenorile. Ad un tratto, Key ha la brillante idea di strozzarmi, appiccicandosi a me come un koala all'albero. «Gira a destra ragazzo.» ordina Luck. Sterzo violentemente, portando l'auto sul grande viale che conduce alla piazza principale. «Così andremo in bocca al nemico!» protesto.

Il capobranco non mi degna di risposta, troppo preso dalla lotta furibonda che imperversa alla nostra sinistra. Un gorilla dalle dimensioni di un tir ci affianca proprio all'ingresso della piazza. Luck però è micidiale: cinque colpi, cinque centri. Il bestione arranca ed inciampa, sino a dissolversi nel nulla. La strada sembra sgombra adesso, anche se stridii metallici ed esplosioni di proiettili riecheggiano ancora nell'aria. Fairy appare sul balconcino della signora Walsh, per scomparire giusto un istante dopo, brandendo sempre la sua asta a doppia lama. Sul tetto di una casa scorgo Dry, invece, alle prese con qualcosa di simile ad un serpente. Dobbiamo uscire da Killorglin in fretta, mi dico, perché quelle cose sono alle nostre calcagna. Il solo pensiero di salire sulla collina Morrigan mi repelle, ma non abbiamo altra scelta. Né Ksenia, né il sottoscritto. Sto per affrontare il mio destino… «Questo catorcio non può andare più veloce?» si lamenta Luck affondando nel sedile. Io scuoto la testa, «Così è il massimo.» «Allora spremila a dovere…» sputa lui, «Perché Ramiàhl è proprio dietro di noi!»

Quando Ksenia venne eletta Regina, tutti ne furono assolutamente entusiasti. Persino il mio vecchio, non esattamente un tenerone, fu encomiabile. Mi abbracciò talmente forte da togliermi il respiro, “Le tradizioni vanno rispettate, figliolo” mi disse allora con orgoglio. Ricordo di aver stretto Key tra le mie braccia tutta la notte, piangendo in silenzio. Ciò che avevo fatto non si sarebbe cancellato con una mano di spugna; ma diavolo… non Ksenia. Lei fu semplicemente magnifica: arrivò persino a supplicarmi, affinché questa giornata rimanesse nel cuore di tutti. Far rivivere Madeline era il suo più grande sogno e non avrebbe permesso a nessuno di dimenticare, o peggio infangare, la memoria della sua più cara amica.

In un certo senso, siamo riusciti nel nostro intento: Killorglin e il mondo intero non potranno mai scordare questo giorno.

«Più veloce, è dietro di noi!» ripete Noble, stringendo Key al suo petto per proteggerla. Ha i vestiti ridotti a brandelli e le mani sanguinanti, con profondi tagli sulle braccia rattoppati da Fairy e dal Jack Daniel's. Eppure, sembra avere una forza superiore al dolore; quel ragazzo è pronto a tutto pur di salvare l'amore della mia vita. Ed io?! La strada sterrata è l'ultima frontiera da valicare e con la Luna ad illuminare la via nessuna ombra osa porsi davanti alle ruote dell'auto. La chioma scarlatta dell'Albero Rosso è un pulviscolo di gemme mosse dal vento che sembrano attirarci verso il nostro inesorabile fato. Una serie ordinata di lampioni compare al lato della strada, gettando la loro ossuta ombra sul terreno: quelle lingue nere prendono vita, muovendosi come bisce e frustando il terriccio umido. Le investo senza rimorso, seppur con la paura che ci inseguano. Ed è con questo timore che alzo lo sguardo allo specchietto retrovisore e rimango allibito. Una sfilza di occhi famelici si stanno avvicinando di gran carriera, sospinti da innumerevoli sbuffi grigio perla che come onde si infrangono al suolo. Due enormi zampe li precedono, e laddove il terriccio viene violentato emergono altre creature immonde che si prostrano al loro padrone. «Que… quello?!» geme Ksenia. Dry e Fairy si muovono come lampi nella notte; tagliano, squarciano e distruggono il corpo di quell'essere, pezzetto dopo pezzetto. Ma è tutto inutile, la bestia non si placa. Anzi, sembra che la sua avanzata imperiosa non conosca ostacoli. La creatura è ormai ad un soffio dal fuoristrada, talmente vicina da percepirne la puzza infernale, un misto di morte e disperazione selvaggia. Quello che sembra

uno sfregio sul suo grugno mortale si apre invece a ventaglio, mostrandoci una primordiale bocca demoniaca infestata da zanne scure vogliose di annientarci. Luck spara… Una, due, tre volte. Scarica in rapida successione cinque proiettili di Dio solo sa cosa nelle fauci di Ramiàhl, andando facilmente a segno. La bestia questa volta sembra soccombere ed il gemito che emette disintegra i vetri dell'auto e lacera i timpani di tutti. Ksenia si rannicchia con le mani sulle orecchie, mentre Luck e Noble stringono i denti. Il lamento è così assordante che per un attimo ho il terrore di perdere i sensi ed andare a schiantarmi contro un albero. Poi, come se niente fosse, tutto scompare, ed il rombo della Range torna ad essere l'unico brusio che ci accompagna. Luck si risiede di fianco al sottoscritto, picchiettandosi la tempia col calcio del revolver. Key farfuglia, ma le mie povere orecchie si rifiutano di decifrare cosa stia dicendo. Un fischio sordo mi scuote il cervello, lasciandomi tramortito per qualche secondo. «… Siamo quasi arrivati.» dice Key. «Ci stiamo avvicinando a i da gigante. Ramiàhl ha una paura fottuta.» replica Luck con un sorrisetto tutt'altro che rassicurante, facendo girare il tamburo della pistola. «Ah, Lui!» gracchio. Il terreno va via via inclinandosi di qualche grado verso il basso, avvallandosi in una piccola depressione che precede la collina Morrigan. Dalla nostra angolazione le fronde scarlatte non si possono vedere, ma tutti noi sappiamo esattamente dove andare. Sfortunatamente, annuncio ai due pavee che dovremo lasciare l'automobile e proseguire a piedi. «Cosa?» domanda sconcertato Luck. «L'auto non può salire su quella collina. È troppo ripida, ed il terreno è umido.

Le ruote si impantanerebbero alla prima accelerazione e rimarremmo bloccati in una scatola.» rispondo sterzando. Dry e Fairy compaiono poco più avanti, di fianco allo stesso sentiero nascosto che io e Key utilizziamo ogni volta.

Un tremendo schianto scuote l'orizzonte. Dal fondo della strada fangosa la nebbia trabocca prepotentemente, gettandosi come le acque di un fiume in piena su qualunque cosa ostacoli il suo cammino. I pochi lampioni ancora visibili vengono sradicati da terra, polverizzandosi sotto i nostri occhi, mentre l'asfalto schiuma di ombre nere e contorte che si muovono strisciando, crepando l'asfalto e graffiandone la superficie. «Merda… Correte!» urla Luck, sparando a quella cosa. Afferro la mano di Ksenia, scattando in mezzo al gruppo disposto a rombo. Fairy ci apre la via, affettando una spaventosa sagoma sbucata dal terreno. Dry e Nodle sono ai nostri fianchi, pronti ad attaccare qualsiasi cosa si manifesti dinanzi a noi. «L'Albero è ancora lontano. Muovetevi!» ci incita Fairy. Luck centra il bersaglio ad ogni sparo, ma Ramiàhl percepisce il nostro odore, la nostra fetida paura, e non accenna a diminuire il o; la mostruosità si schianta sugli alberi ai margini della vietta, in un esplosione di schegge impazzite. «Nodle!» grida Luck al fratello. Questi annuisce, fermandosi di fianco al maggiore. «Continuate a correre!» urla il ragazzo dalla frangia verde acido. Io e Ksenia li guardiamo per un ultimo, interminabile frangente.

Le nuvole sono basse e scure, cariche di pioggia. L'aria è sempre più pesante ed umida, quasi asfissiante.

I due ragazzini ci guidano verso la salita, spezzando rami e distruggendo mostri. Non bado alla nostra direzione, troppo preso da seguire il loro o, finché l'erba incolta non lascia spazio a ciottoli acuminati e viscosi. Gli alberi sono anneriti, come se fossero stati bruciati ed i loro rami secchi si snodano sopra le nostre teste come artigli deformi, pronti ad afferrarci. Non ho mai visto nulla del genere su questa collina… «Siete sicuri che sia la strada giusta?» domando col cuore in gola. «Cos'è successo al sentiero?!» strilla Key. Dry si premura di starle al fianco, sparando a qualcosa simile ad un corvo dalle fattezze scheletriche. «Quello che vedete è solo il frutto dell'influenza di Ramiàhl: non è reale!» risponde ansimando, «Continuate a correre e seguite Fairy fino all'Albero Rosso, ma ricordate: non fermatevi mai al buio, tenete sempre la Luna come riferimento.» Il bambino scompare all'improvviso con un fruscio secco, rispuntando ad un centinaio di metri da dove ci troviamo, con il revolver fumante ed un'orrida ombra squarciata a metà. «Forza!» strilla Fairy agitando le mezzelune dorate. «Non è reale… non è reale…» ripete Key, ma i suoi occhi sono sbarrati dal terrore. Il terreno è scosso da un roboante tremore che mi manda carponi. Rotolo al suolo su quei maledetti spuntoni, ferendomi le gambe e gli avambracci. Fairy torna sui suoi i, portando Ksenia lontano da me, mentre il sangue mi cola lungo le braccia e le caviglie. Non provo alcun tipo di dolore in verità, per quanto la vista del mio stesso sangue mi rivolti lo stomaco. Dry è arrivato alle mie spalle, strattonandomi per la collottola come se fossi un gattino impaurito. «Alzati Jessie, muoviti!» grida perentorio.

Key e Fairy non si vedono più, ma non escludo si trovino a pochi i da noi due: i rami più alti si sono avvicinati al terreno, schiacciando l'orizzonte in un sottilissimo rettangolo bluastro dalla quale intravediamo un puntino luminescente. «L'Albero!» dico al bambino, nel momento stesso in cui una mano gargantuesca lo polverizza, calpestandolo come un moscerino. Inciampo nei miei stessi piedi per la paura, ruzzolando a terra. Il cielo si fa terso e sgombro da rami contorti, per lasciare spazio alle mie più recondite paure. Sento appena, in lontananza, il fruscio del fogliame scarlatto mosso dal vento; ma nulla più. È davanti ai miei occhi, in tutta la sua straziante figura…

Ora che siamo all'atto cruciale, e presumibilmente all'istante che precede la mia morte, posso spiegarvi con dovizia di particolari cosa, realmente, sia successo un anno fa. La nostra Maddy era una vera e propria impicciona; ma questo, già l'avevo accennato. Ciò che però non vi ho ancora detto, è quanto in realtà io e lei fossimo amici. Anzi, Madeline aveva sempre avuto un forte debole per me, sin da quando eravamo bambini. Non si confessò mai, a dire il vero; seppur, in cuor mio, ne fossi al corrente. Quando conobbi Key, però, il mio mondo imboccò una strada a senso unico, e qualunque affetto precedente finì in secondo piano. Pur di starmi accanto perciò, Madeline divenne la migliore amica di Ksenia, insinuandosi continuamente tra di noi. Conosceva ogni mio minimo segreto ed ogni mio desiderio più recondito, come poter riabbracciare mia madre, scomparsa quando ero solamente un bambino. Non la odiavo, invero… anzi, era una persona magnifica, ben più di quanto il sottoscritto si sia rivelato. Ma forse questo può spiegarvi perché l'abbia dipinta in modo tanto brutale e irrispettoso.

Ciò che ho mai detto a nessuno però, men che meno a Ksenia, è quanto il lato più frivolo di Madeline fosse anche il suo miglior pregio. La sua curiosità smodata, soprattutto per le leggende popolari nostrane, e la sua continua ricerca d'attenzione la portarono alla scoperta di un libro sacro ed oscuro di scienza nera – o magia nera, come la chiamava lei; una raccolta di canti, sacrifici ed incantesimi antichissimi ed assolutamente autentici dalle origini mistiche; quello che i quattro pavee hanno ribattezzato “Ciclo delle Tenebre”. Maddy aveva scovato copie ed interpretazioni postume di questo rarissimo frammento di storia, ahimè andato perduto con l'arrivo del cristianesimo sull'isola, e ne aveva tradotto da lingue lontane a me ignote diversi i, compresa la parte più interessante di tutti: la resurrezione perpetuata nel sangue.

Ci demmo appuntamento sulla collina Morrigan a mezzanotte in punto, ai piedi dell'Albero Rosso. Recitò a memoria ogni sillaba di quella stramba liturgia, in quello che definì un dialetto gaelico scomparso secoli prima dell'avvento delle piramidi. Il rituale prevedeva che alle radici dell'Albero Rosso, unico Portale verso l'aldilà, fosse dato in pasto il sangue di una persona. Non una qualsiasi, badate bene, ma della Regina della Puck Fair. E chi avrebbe potuto versare il sangue, se non la Regina Madeline? Vedete, i seguaci della dea Fòdla, infatti, sapevano. Sapevano la verità sull'origine della Puck Fair! Il matrimonio tra una giovane fanciulla altolocata ed un becero animale altro non era che un'allegoria mal interpretata dalla gente del posto: non si trattava dell'ingresso nell'età adulta, né tanto meno una stupida rivisitazione di qualche guerricciola tra Irlandesi ed Inglesi. La Puck Fair era la celebrazione stessa della vita che pone un freno alla morte, al pari del sacrificio di Morrigan quando ella sigillò il Portale che univa il mondo ultraterreno al nostro.

I seguaci della dea Fòdla, infatti, sapevano. Sapevano la verità sull'origine della Puck Fair! “Dal sangue nasce sangue, dalla carne altra carne…” così si apriva il aggio. Un nuovo, avvincente scenario mi si propose dinnanzi agli occhi. Con quei versi avremmo potuto riportare in vita qualcuno, semplicemente con poche gocce di sangue. Ed il sogno di rivedere mia madre, di poterla riabbracciare… avrei abbattuto io stesso le porte dell'inferno!

Qualcosa, tuttavia, andò storto. La lagna in rima baciata di Maddy si rivelò un totale fallimento, arrivando a crepare il confine creato da Morrigan all'alba dei tempi, non verso il luogo in cui le anime risiedono, ma dove la morte prende corpo. Madeline, spinta dalle mie insistenze, tentò di richiamare a sé qualcosa di troppo grande e troppo potente per un misero essere umano, e quando la sua fragile anima fu soppiantata dalla bile demoniaca che l'Albero stesso racchiudeva nelle proprie radici capì di aver osato troppo. Ciò che ebbe modo solamente di intravedere, condividendo il suo stesso IO con l'essenza del Portale, fu sufficiente a disintegrare il suo spirito. Colui che si trovava dall'altra parte, disse, avrebbe portato soppiantato ogni ordine naturale conosciuto per incenerire ogni forma di vita. Ricordo come fosse ieri il momento in cui cadde in ginocchio, surclassata dalle convulsioni e dallo shock. “Fa sì che la mia anima non precipiti nell'oscurità. Te ne prego! Fa sì che il Portale si richiuda…” gemette, mentre la sua anima veniva lacerata dall'interno. L'incantesimo svanì del tutto solo con il suo estremo sacrificio. L'anima di Madeline venne strappata da questo mondo, sigillando il confine tra i due mondi. Il terriccio umido nella quale affondavano le radici rimase intatto, così come le foglie scarlatte non smisero di frusciare nel vento.

Capite, ora, perché mi vidi costretto a sacrificare Madeline O'Sullivan?

Quando la mattina dopo la trovammo, scoprì con mia indicibile sorpresa le lacrime, scivolatele sugli zigomi fino a macchiare le radici. Ramiàhl ci aveva messo lo zampino, senza neppure manifestarsi in questo mondo. Le lacrime rubino di Madeline avevano macchiato la superficie del Portale, permettendo al guardiano degli inferi di valicare la fatidica soglia.

Ramiàhl è di fronte al sottoscritto, ma tutto ciò a cui riesco a pensare è che qualcosa, nel mio sfintere, abbia irrimediabilmente ceduto. Non respiro, non emetto nessun suono né tanto meno oso sbattere le palpebre. Sembriamo intimoriti l'uno dell'altro, per qualche motivo, e occhi simili a lumicini incandescenti mi fissano meditabondi, in quella superficie inconsistente ed irrazionale che suppongo sia la testa. Un muso primitivo ed appena accennato alza una spessa coltre di polvere e terriccio ai miei piedi. Il tanfo è indescrivibile, ma vi basti sapere che fatico a non rimettere. Non trovo nulla di vagamente umano in lui. Ed è forse per questo motivo che riesco a stringermi alle mie stesse corde vocali. «Mia… mia madre…» balbetto, immobile come una statua di sale. Il demone non accenna risposta, fermo sulle zampe ciclopiche che spuntano da ogni piega del suo corpo. «Madeline…» insisto, piangendo. «Tu… Madeline è morta per causa tua!» Le fauci della creatura si aprono, pronte a dilaniarmi. Mi appallottolo come un riccio, nascondendo la faccia tra le mani e gridando, inascoltato da chiunque.

Ksenia…

Sento il clangore di spade e lo scoppio di proiettili, ma tutto sembra così distante alle mie orecchie da risultarmi freddo e senza scopo alcuno. Chi sia a far tutto quel baccano, non saprei dirlo con certezza. Il luogo in cui mi trovo ora è una chiazza nera in uno sfondo ancor più scuro, dove un refolo di vento gelido porta con sé strascichi di polvere da sparo e sangue. La paura, quella vera, mi obbliga a rimanere in questa fetida condizione, rannicchiato con le gambe al petto ed il respiro appena accennato. Non colgo alcuna presenza, qui, nonostante il pressante sottofondo di guerriglia possa far presumere il contrario. Ho un peso immane che grava sulla mia stessa anima, ed è forse questo il motivo per il quale ora mi trovo qui. Sono precipitato all'inferno, signore e signori, e non ne colgo neppure la profonda densità. Eppure, tutto ciò che mi circonda sembra colare a picco, come catrame putrescente. Se questo luogo è eterno ed incontrovertibile, mi rimetto al perdono di Dio, nel caso ve ne fosse uno. Alzo il capo, o almeno è ciò che penso di aver fatto, e mi accorgo che proprio di fronte a me, a non più di trenta yard, una ragazza dai capelli ricci mi fissa insistentemente. La fitta che mi pervade il costato ne è una strampalata conseguenza, suppongo. «Ma… Maddy?!» biascico, con lo sgomento che ormai alberga dentro me. Il suo dolce sorriso è un'ulteriore schiaffo, capace di far crollare definitivamente ogni mia residua speranza di non perdere la ragione. «Dove… siamo?» chiedo piangendo, piegando il busto in avanti per la morsa che mi stritola il petto. Lei viene verso di me, nuotando nell'ombra per riemergere gattonando, fissandomi appena come si guarderebbe un povero diavolo qualsiasi.

«Volevo solo rivedere mia madre…» dico con un filo di voce, seppur travolto dalle emozioni. «Non avremmo… non avrei dovuto fare ciò che ho fatto. Mi dispiace.» Madeline si siede al mio fianco, invitandomi ad appoggiare la testa sulla sua spalla. I suoi capelli ricci mi solleticano la guancia. Ecco perché lo chiamano inferno; perché il profumo dei suoi capelli è incredibilmente reale, così come il calore della sua pelle ed il suono del suo respiro. La sua consistenza è un ulteriore monito alle mie sanguinanti apprensioni: qui non morirai. Sei qui per soffrire. «Ci siamo conosciuti quando avevamo sette anni. Ti ricordi?» la sua voce è dolcissima, quasi angelica. «S…sì.» borbotto, sentendomi un perfetto idiota. «Era estate, e pioveva a dirotto. Ti eri perso nella piazza di Killorglin ed avevi camminato in tondo per i vicoletti, finché io e papà non ti trovammo sul retro dell'albergo dei Murphy, zuppo come un pulcino e con l'aria imbronciata. Avevi litigato con tua madre, ed eri scappato di casa. Ti riportammo all'Hanging, dove Eilis ti sgridò per bene, mentre Pat e mio padre ridevano di gran gusto.» «Me lo ricordo bene…» annuisco. Uno dei miei ricordi più cari… «Da quel giorno, ti sono sempre stata vicina.» continua lei, e ad ogni parola ne sento lo stridore sulla pelle. «Siamo cresciuti insieme, così come i ragazzi. Bright, Marie, Brian… eravamo una cosa sola, anche se io e te eravamo ben più che semplici amici. E quando Ksenia… beh, quando lei è arrivata, ho capito quanto foste speciali assieme.» I miei occhi si riempiono di lacrime. Al solo pensiero di non poter rivedere Key, sento le tempie comprimersi ed il sangue gelarsi nelle vene. «Ti ho amato, Jessie, così come ho amato Ksenia. Siete fatti l'uno per l'altra, e l'ho saputo fin dal primo momento in cui i vostri sguardi si sono incrociati.» esclama, baciandomi la fronte. Si scosta da me, rialzandosi. La guardo allontanarsi nell'oscurità, senza che abbia la forza, o il coraggio, di aprir bocca.

Poi, tutto diventa nero, impalpabile, e ciò che credo di esser stato in tutta la mia vita viene travolto dal buio dell'universo, inghiottendomi…

«Jessie!» Il mio occhio si apre appena, scorgendo una sagoma a me familiare e del tutto inaspettata su fondo rosato. «Key…!» borbotto. Ksenia si getta su di me, abbracciandomi con tanta foga da togliermi il respiro. «Sei vivo! Sei vivo!» starnazza lei, schioccandomi un bacio da cartone animato. Mi palpa con insistenza le spalle e le gambe, come a volersi accertare che tutto sia al proprio posto. Nella frenesia del momento, la sua mano scivola in luoghi poco nobili, per così dire, e la mia reazione al tocco la fa sorridere. Le tempie pulsano come tamburi, mentre ho la sensazione di esser diventato strabico e relativamente decerebrato, con gli occhi che si muovono a casaccio. In qualche modo pongo l'attenzione su di lei, esprimendo una certa perplessità. «Sono… vivo?» Lei mi strizza e palpeggia dalla testa alla punta dei piedi, «Sì, lo sei!» grida, baciandomi sulla bocca. Il suo bacio sa di zucchero filato… «Cos'è successo?» le chiedo, prendendola tra le mie braccia. Un buco nero riempie i miei pensieri ed è impossibile dargli una forma. «Hanno vinto i buoni!» risponde felice. Scopro in un secondo momento la sua mano, coperta da stracci insanguinati. «Avete chiuso il Portale… con il tuo sangue…» sussurro, provando estrema vergogna. Lei bacia la mia fronte, proprio come Madeline, fissandomi dritta negli occhi

con quel suo sguardo fanciullesco. «Due gocce di sangue non sono nulla. Temevo di averti perso per sempre!» «Possibile che il rituale d'accoppiamento di voi umani sia così barbaro?» Luck spunta alle nostre spalle, con un sogghigno tirato che lo rende ancor più folle. I suoi vestiti sono a brandelli ed i numerosi graffi che lo ricoprono grondano in maniera preoccupante. «Cosa…?» provo a domandare. «Oh, che schifo! Non di nuovo, ragazzi, dico davvero…» strilla Dry, portato in spalla da Noble, il gigante buono. Entrambi sono parecchio malconci, ma alla vista del nanerottolo non posso fare a meno che scoppiare a ridere, allungando una mano verso di lui. Noble si abbassa gentilmente, cosicché il ragazzino possa darmi il cinque. «Sono contento di vederti, moccioso!» gli dico. Fairy è l'ultima a comparire, scendendo a o mesto e ciondolante dalla sommità della collina. La gonna di tulle, o quel che ne rimane, è macchiata di pozze color porpora. Così come la sua gamba sinistra, con un vistoso taglio lungo il ginocchio che la obbliga ad un cammino stentato e goffo. Luck le porge la spalla a mo' di sostegno e la ragazza si lascia andare. Gli unici a non avere ferite, per lo meno trascurabili, siamo proprio io e Ksenia. Questo in un certo senso mi fa sentire inutile e sciocco, perché è a causa mia che tutto questo ha preso piede, coinvolgendo anche i nostri salvatori. Il capobranco mi fa un cenno con la testa, propinandomi una sigaretta stropicciata di dubbia provenienza. L'accetto volentieri, però, ed al suo schioccar di dita la brace si accende. Inspiro una lunga boccata prima di parlare. «Grazie.» Lui mi guarda di sottecchi, piegando la testa di lato. «Non voglio i tuoi ringraziamenti…» risponde, facendo cenno di seguirlo.

La parte finale della collinetta sembra meno impervia di quanto ricordassi, forse a causa del misto d'euforia e frastornamento. Qualcosa sembra esser cambiato nell'aspetto dell'Albero, ma di primo acchito non riesco a capire cosa. Almeno finché Luck non alza la mano, puntando l'indice al ramo più alto. Seguo la sua indicazione con lo sguardo, vedendo infine ciò che mi ha stranito fin dal primo momento: la corteccia del ramo è bruna, priva delle caratteristiche lentiggini che invece avvolgono il resto della pianta. Il buco nero nella mia mente assume un nuovo, gigantesco significato, ed il peso di Madeline e di tutto quello che ho causato mi schiaccia a terra, gettandomi in ginocchio, con un singhiozzo improvviso che mi serra la gola. Piango. Piango disperatamente, stretto nelle spalle, poggiando il capo contro la corteccia pallida e liscia della radice. Luck si siede alla mia destra, soffiando l'ultimo refolo di fumo verso il fogliame. «Quello che è successo… non ha niente a che vedere con Ksenia.» le sue parole sono come pugni allo sterno. Tossisco, andomi poi una mano sul volto fradicio. «Ci sono cose che nessuno dovrebbe sapere. Ci sono regole, per così dire, che nessun essere umano è in grado di comprendere appieno, o peggio ancora soggiogare…» Mi volto verso di lui, accigliato. «Perdere una persona amata è terribile, lo so…» dice, e non posso non cogliere l'allusione a mia madre. «Non sai niente!» sputo scrollando la testa. Un'improvvisa ferocia cela per un attimo la sofferenza: cosa ne può sapere, una divinità, della morte? «Non posso capire i sentimenti umani… non mi è concesso.» esclama Luck, «Ma io e i miei fratelli abbiamo vissuto per tanto tempo, e qualcosa l'abbiamo

appreso, osservandovi. Nel corso dei secoli abbiamo visto la vostra evoluzione, dal fango alle stelle; il vostro adattamento a ad ogni tipo di situazione avversa. Abbiamo pianto allo scoppio delle vostre guerre e gioito dei vostri successi come specie. Troppe volte, tuttavia, dimenticate…» Mi guarda dall'alto in basso, scuotendo il capo. «Ériu vi ha fatto il dono più grande di tutti, alla vostra nascita. Non l'ingegno, e neppure l'audacia…» I miei occhi devono trasudare stupidità, perché lui sorride, puntando l'indice al mio petto. «Vi ha donato la capacità di amare. La capacità, anzi, l'abilità di amare incondizionatamente.» Ksenia spunta dal fondo della boscaglia, seguita a ruota dagli altri tre, zoppicanti e malfermi sulle loro gambe. Luck si alza, aiutando il sottoscritto a rimettersi in piedi. «Maddy sapeva a cosa sarebbe andata incontro, perché conosceva perfettamente il Ciclo delle Tenebre. Immagino tu abbia capito perché volesse aiutarti.» Osservo Ksenia, la quale alza la mano e mi saluta energicamente, come suo solito. «Mi amava…» rispondo, abbassando lo sguardo. Stupido, piccolo uomo… «Sì. E come ti ho già detto… beh, l'amore è un'abilità straordinaria. Non avrebbe mai potuto riportare tua madre dall'aldilà, perché quella è prerogativa solamente degli dei. Lei sapeva, ne era consapevole… ma pur di averti vicino, tentò l'impossibile.» Le lacrime tornano prepotentemente a far capolino, sotto le palpebre già peste. «Lo sapevi?» domando distrattamente. «Fin dal principio… ma ero curioso di vedere fino a che punto ti saresti esposto per salvare la Regina. Sei stato molto coraggioso, Jessie. Senza di te, Ksenia non sarebbe andata fino in fondo.»

Key è arrivata: alza le mie braccia intorno alle sue spalle, baciandomi sulle labbra. I miei occhi sono rossi e violacei, ma non è nulla in confronto a ciò che ha ato la meravigliosa creatura di fronte a me. Luck mi da una pacca sulla spalla, distraendomi. Fairy e Noble si sorreggono a vicenda, mentre il piccoletto dai capelli ossigenati scuote la manina verso di noi. Luck ciondola verso di loro, ma prima di darci l'ultimo saluto si volta verso di me, sorridendo. «Penso che dobbiate raccontarvi molte cose, adesso.» Annuisco, stringendo le spalle di Key. I suoi occhi cerulei mi guardano curiosi, riflettendo l'ennesimo pianto che speravo di non versare. «Grazie…» cerca di dire lei ai quattro pavee, subito fermata dalla mano alzata del capobranco. «Non c'è bisogno che ci ringrazi, Regina. È stato un piacere potervi servire…» Un soffio di vento si insinua nel nostro abbraccio, facendoci rabbrividire entrambi. Quando il nostro sguardo infreddolito si riporta su di loro, non ci sono più, scomparsi nella fresca brezza mattutina. Il Sole spunta aldilà delle collinette, baciando la chioma dell'Albero Rosso ed il viso di Ksenia, splendido nonostante gli avvenimenti delle ultime ventiquattr'ore. La invito a sedersi tra le mie braccia ed osservare il panorama. Lei si lascia andare contro il mio petto, tirando un lungo sospiro di sollievo. «Cosa intendeva dire Luck poco fa?» domanda sonnolenta. Prendo qualche secondo, riflettendo su cosa dire. Dovrò raccontarle per la prima volta molti aspetti della mia vita, dallo stretto legame affettivo che avevo con Madeline alla morte prematura di mia madre; dovrò dirle della mia ascesa verso gli inferi e l'incontro con la nostra migliore amica, fino a spiegarle, in qualche modo, la nostra insensata convinzione di poter sovvertire le leggi stesse della vita, spalancando il Portale sulla quale ora siamo seduti. Dovrò confessare l'omicidio, ed affrontare qualunque cosa esso comporti. Non

ho timore di finire in prigione, e neppure di essere ripagato dall'intera comunità di Killorglin con la stessa medaglia. Dopo questa notte, la morte non mi spaventa più. Ho una sola, grande paura: perdere Ksenia. Non riuscirei a sopportarlo; non dopo tutto quello che è successo e dopo ciò che ha vissuto la mia dolce metà. Nel profondo, sono certo che anche Madeline non potrebbe sopportarlo. Perciò, aggrappandomi a quel briciolo di coraggio che ancora posseggo, seguo l'esempio di Key, inspirando a pieni polmoni per rallentare il battito del mio cuore. «Non ne ho idea, amore mio…» rispondo, baciandole una tempia.

FINE

Indice

Lacrime Rubino 1

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7

Epilogo

ePub editato da sca De Luca [email protected]

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