Il Regno Di Turlis 1e5032

Il Regno di Turlis

by Luca Rossi

Copyright 2012 Luca Rossi

Smashwords Edition

Questo racconto fa parte della collana Energie della Galassia

Leggi tutti i racconti dell'opera su Smashwords:

1. Arcot e la Regina 2. Le Forme dell'Amore 3. Carcere a Vita 4. Rewind 5. Il Regno di Turlis

Indice

Il Regno di Turlis L'autore

1

“Antelmo, tesoro, il pranzo è quasi pronto. Preparati! Non voglio che quando metto i piatti caldi in tavola poi ti fermi ancora a giocare col telefonino!” Anna è a fornelli. I pantaloni bianchi le cadono ampi e morbidi lungo le gambe. Indossa una canottiera. È un bellissimo sabato d'estate. Io sono intento per l'ennesima volta a scrutare con sguardo torvo la viabilità del territorio sul navigatore. Se solo trovassi il modo di are dal vialetto, eviterei di allungare ogni volta di sette chilometri. Mia moglie Anna e io viviamo in una bella villetta nel precollina. La nostra abitazione è separata da quella del vicino, Costantino Valenti, da un vialetto pedonale. Il breve tratto è chiuso a valle da un muretto alto circa trenta centimetri, oltre il quale si distende un prato. Il verde arriva fino alla statale, che dista dalle nostre case non più di centocinquanta metri. La pigrizia del costruttore e le beghe dei regolamenti comunali non hanno reso possibile la realizzazione di un collegamento diretto con la statale. Occorre invece percorrere una stradina che si snoda per chilometri tra decine di abitazioni come la nostra, immerse nel verde dei boschi. Valenti è anziano, non si muove mai da casa e a lui naturalmente non interessa poter raggiungere velocemente il centro. Anna e io invece andiamo al lavoro, al cinema, al ristorante e dagli amici. Ogni volta dobbiamo fare il giro dei colli prima di arrivare a casa. I vicini di casa possono davvero essere insopportabili. Il nostro in effetti lo è. Basta. Questa storia deve finire! “Amore, vado a controllare se ho chiuso l'autorimessa. Ho paura di averla lasciata aperta,” dico a Anna. Esco rapidamente, risparmiandomi le proteste in arrivo.

Nel casottino degli attrezzi prendo sottobraccio un asse da cantiere e lo porto nel vialetto. Ne appoggio un'estremità alla sommità del muretto e l'altra più in basso. Finalmente! Ora vedrà se riuscirà a fermarmi! Mi affretto in garage, inforco la sella alla mia Honda Cr 250 e accelero sul vialetto. L'asse regge senza problemi il peso della moto e in un batter d'occhio supero il prato e sono sulla statale. Whow! Giro dei sette colli risparmiato. Mentre avo davanti alla casa di Valenti, mi è sembrato di vedere la tendina della finestra scostarsi leggermente. Sarà solo paranoia? Ormai me lo sogno persino di notte! Non penso che Anna sia entusiasta della mia piccola escursione. Il giornalaio dista appena cinquanta metri. Decido di andarle a comprare l'ultimo numero di Glamour. La mia gentilezza dovrebbe mitigare la sua probabile ira. Mi esalto all'idea di andare e tornare dal giornalaio senza dovermi sorbire chilometri di strada inutile. Una volante dei vigili urbani percorre la corsia opposta alla mia! No, non è possibile! Magari hanno altro da fare e mi lasceranno stare. Ecco, appunto! Accendono gli abbaglianti e si fermano al centro della strada con la freccia inserita. Si apprestano a svoltare a U per raggiungermi. E io sono su una Honda elaborata senza casco. Ok, proviamo a fingere di non essermi accorto di loro! Posso proseguire la marcia e alla prima stradina svolterò a destra. Poi raggiungerò i boschi e li seminerò. Non mi va proprio di prendermi una multa per la mia piccola escursione. Tanto non possono avermi preso la targa con tutto il fango raccolto nel mattino che ancora copre la moto! In ogni caso decido di non accelerare troppo. Almeno, se mi dovessero fermarmi, eviterei la multa per eccesso di velocità. Ho quasi raggiunto la fine del muro di cinta della prima villa. Oltre c'è il bosco.

La sirena! E che cavolo! Sto solo guidando senza casco! Non sono mica un delinquente! Il gioco è finito. Decido di fermarmi. Non sarà qualche decina di euro di multa che mi manderà in rovina. La Punto dei vigili si avvicina, sirene spiegate e lampeggianti accessi. Qualcosa non va. Il vigile dal lato eggero estrae la pistola. La pistola? È la prima volta in vita mia che vedo un vigile urbano estrarre l'arma dalla fondina. La vettura si avvicina. La pistola del vigile è puntata verso l'alto. Poi, a un tratto, l'abbassa, nella mia direzione! Non rimango a guardare oltre. Do gas e mi dileguo nei boschi.

2

Mentre guido tra gli alberi mi accorgo che il mio corpo è scosso da tremiti. Ho paura e sono preoccupato. Ero a capo scoperto! Il pensiero che i vigili mi abbiano riconosciuto riconosciuto mi terrorizza. Però non si sono avvicinati a sufficienza! E poi non prendo una multa da dieci anni e di Honda come la mia è piena la città. Mi fermo per controllare la targa. È sufficientemente infangata, non possono averne letto le lettere. Anna! La cena! La smetto di perdermi in pensieri inutili e mi concentro sul tragitto. Conosco questi boschi a memoria. Riesco a evitare statale e altre strade frequentate. Attraverso solo boschi e prati. Procedo con molta circospezione. Quando sono a appena centocinquanta metri da casa mia noto qualcosa di strano. Valenti! È proprio lui, davanti al portone di casa. Parla con i vigili! La loro

Punto è parcheggiata poco più in là, portiere aperte e lampeggianti accessi. Ma perché mi stavano inseguendo? Possono aver scambiato la mia Honda con quella di qualche zingaro ricercato per i furti nelle villette della zona. Magari Valenti si sta solo lamentando del mio attraversamento illegale del vialetto pedonale con la moto. Ai Vigili non dovrebbe importare più di tanto. Uno dei due vigili guarda nella mia direzione. Sono fermo al limite del bosco, riparato da alcuni alberi. Forse ha sentito il rumore del motore quando mi sono avvicinato. Spengo il motore. Il vigile torna a parlare con Valenti. Accendo il motore e punto la moto nella direzione da cui sono venuto. Lentamente mi dileguo nei boschi. Se solo potessi chiamare Anna! Perché non ho preso con me il telefono? Guido tranquillo per qualche minuto. Questa volta non ho idea di dove andare. Penso che potrei tornare a casa tra qualche ora. I vigili se ne saranno andati a cercare gli zingari da qualche altra parte. Anna sarà infuriata. Ma tutta questa storia almeno sarà finita. Una, due, tre, quattro sirene della polizia! E, sopra di me, il rumore delle pale di un elicottero. Non è possibile! Ma cosa sta succedendo? Se mi stanno cercando con l'elicottero non avranno difficoltà a rilevare il movimento della moto attraverso il fogliame degli alberi. Devo studiare come uscirne, velocemente. Se mi consegno, cosa rischio? Al massimo una multa per guida su due ruote senza casco e occultamento della targa. A questo punto la cosa migliore è porre fine a tutta questa storia. Mi dirigo verso il rumore delle sirene delle volanti. Sono quasi allo scoperto quando qualcosa dentro di me mi dissuade. Nella mia mente rivedo quella pistola puntata verso di me. Non ce la faccio a continuare. Quando siamo in preda al panico spesso commettiamo delle solenni stupidaggini. So che anche quello che sto per fare ne fa parte. Arresto la moto, la

lascio a terra, la copro di foglie e continuo a piedi. Dopo qualche minuto a piedi raggiungo una villetta, immersa nel bosco. Decido di chiedere aiuto. Non sono un delinquente, ma uno stimato professionista. Posso dire di essermi preso una storta nel bosco e di aver bisogno di aiuto. Mi fermerò nella casa giusto il tempo che elicottero e volanti della polizia proseguano le loro ricerche altrove. Suono il camlo. Nessuna risposta. Ancora. Non sento nulla. Un'ultima volta. Niente. Sto per andarmene quando sento il rumore delle pale dell'elicottero. Sembra avvicinarsi proprio nella mia direzione. Decido di suonare ancora, ma mi accorgo che la porta di ingresso è socchiusa. Forse da dentro non sentono il camlo. “C'è nessuno?” chiedo a voce non troppo alta. L'elicottero sembra avvicinarsi ancora. Scavalco il cancelletto. Mentre mi avvicino alla casa continuo a annunciare la mia presenza: “Scusate, avrei bisogno di aiuto.” Entro. “Chiedo scusa. Ero nel bosco a mi sono fatto male al piede. Avrei bisogno di cure mediche.” Nel casa tutto tace. “Scusatemi, questa non è un intrusione. Avrei un piccolo problema. Qualcuno può darmi una mano?”

Il rumore dell'elicottero si fa più forte. La porta dietro di me è ancora aperta. Decido di chiuderla, per evitare che dall'elicottero si possa notare qualcosa di strano. Appena in tempo! Appena chiusa la porta il rumore dell'elicottero sembra provenire esattamente da sopra la villetta. Mi allontano dall'uscio e raggiungo il soggiorno. Lo stile è un po' vecchiotto. I mobili sono in legno povero, scuro. Il soggiorno ha le finestre su due lati, sul terzo si apre sulla cucina a vista e sul quarto lato c'è un grosso mobile che funge un po' da dispensa e un po' da libreria. Più in là c'è un enorme orologio a pendolo, proprio prima delle finestre. Vado in direzione dell'orologio, scosto di qualche centimetro una tendina e osservo il movimento dell'elicottero. Sembra allontanarsi. Finalmente! Ora, ragiona! In casa non dovrebbe esserci nessuno. I proprietari avranno solo dimenticato la porta socchiusa quando sono usciti. La cosa migliore è starmene qui dentro ancora qualche minuto per essere sicuro che elicottero e polizia si siano allontanati. Poi uscirò. Ora che il pericolo sembra allontanarsi preferirei evitare che i proprietari della casa mi trovino qui al loro ritorno. Un'accusa per violazione di domicilio non sarebbe la cosa migliore per un avvocato. Il pranzo! Anna sarà fuori di sé dalla rabbia. Se non mi fossi dimenticato il cellulare! Click, clack. Sento aprirsi la porta di ingresso. Mi nascondo dietro il grosso pendolo. “Don't hide yourself in regret Just love yourself and you're set I'm on the right track, baby I was born this way, born this way.” È una bella voce femminile a cantare. Deve avere numerose borse con sé, perché impiega diversi giri a trasportare tutto dentro casa, prima di richiudersi la porta

alle spalle. Poi entra nel soggiorno, per fortuna dalla parte della cucina. Mi sporgo appena appena oltre l'angolo del pendolo per cercare di capire di chi si tratti. È una ragazza, capelli bruni, non molto alta. Veste pantaloni tuta color prugna, le Converse, e una canottiera verdognola. Sembra un po' robusta. Ha le lentiggini. Al braccio ha un iPod fissato con un cinturino. Ha ancora agli auricolari alle orecchie. Con la mano regge numerosi sacchi della spesa. “Don't be a drag, just be a queen Don't be a drag, just be a queen Don't be a drag, just be a queen Don't be” Ok, se ha gli auricolari, non mi sentirà mentre cerco di uscire. Ricordo che Anna, appena porta la spesa in casa, subito inizia a riporre gli acquisti in frigo, nel freezer e in dispensa. Effettivamente anche questa ragazza appoggia i sacchetti sul tavolo della cucina e inizia a fare lo stesso. Il problema è che è molto rapida. Mette le mani nella borsa, si gira verso la dispensa e subito si volta di nuovo a prendere qualcos'altro. Finalmente si ferma a cercare qualcosa nel frigorifero. Mi sembra il momento giusto. Sto per lasciare il mio nascondiglio quando lei si gira nuovamente. Mi appoggio con le spalle al muro. Quando sono uscito allo scoperto mi è sembrata alzare gli occhi nella mia direzione, ma poi ha preso un altro acquisto dalla borsa e ha continuato la sua occupazione. Non può avermi visto! “No matter gay, straight or bi Lesbian, transgendered life I'm on the right track, baby

I was born to survive” Mi sforzo ancora di ragionare. Se mi faccio vedere, probabilmente si spaventa e non ho idea di come farei a gestire a la situazione. Potrei aspettare che finisca di riporre la spesa. Quando andrà in camera sua a cambiarsi, uscirò di casa senza farmi notare. Osservo le finestre. Mi sembrano del tipo che quando si aprono fanno troppo rumore. Devo per forza uscire da dove sono entrato. DON, DON, DON. I tre rintocchi del pendolo fanno breccia nel mio stato di tensione e mi fanno sobbalzare. Con la mano colpisco pesantemente la parete del grosso orologio. Il canto si arresta. Deve avermi sentito nonostante musica nelle orecchie. Ho fatto troppo casino! Rimango immobile nella mia posizione, trattenendo il respiro. Con i circospetti la ragazza sembra allontanarsi dal soggiorno. Se chiama la polizia, questa volta sono fregato! Decido che la cosa migliore sia non aspettare ancora e fuggire . Se anche si accorgesse di me, sono un uomo e sono sicuramente più forte e veloce. Una donna non avrà voglia né di bloccarmi né tanto meno di inseguirmi. Quando indagheranno si metteranno sicuramente a seguire le solite bande di topi di appartamento. In ogni caso, se ancora non si è accorta di me è meglio che non lo faccia adesso, quindi esco dal mio nascondiglio dietro il pendolo in punta di piedi cercando di fare meno rumore possibile. Cammino davanti alla libreria. Dove il soggiorno si apre sull'atrio dell'ingresso mi fermo. Mi sporgo appena per dare un'occhiata. Lei è lì, immobile, al centro dell'atrio, con lo sguardo fisso nella mia direzione.

3

“Cercavi qualcosa?” Dovrebbe essere impaurita. Sono più alto e sicuramente più forte di lei. Invece, è ferma a pochi metri da me, con le braccia lungo i fianchi. Sembra tranquilla, addirittura determinata. Magari è una maestra di qualche arte marziale. “Guardi, le chiedo davvero scusa. Ho suonato il camlo in cerca di aiuto. Poi ho visto la porta socchiusa e sono entrato chiedendo se in casa ci fosse qualcuno. Lei è arrivata dopo di me e a quel punto ho avuto timore che vedendomi si sarebbe spaventata. Così mi sono nascosto, in attesa che lei lasciasse il soggiorno. Volevo semplicemente uscire da casa sua senza darle noie. Le rinnovo ancora una volta le mie scuse. Comunque piacere, sono l'avvocato Antelmo Ubaldini.” Mentre parlo lei non fa una piega. Sì, deve essere una che li allena e probabilmente starà pensando a come stendermi. “Lo so chi sei, ti conosco da molti anni.” Una cliente? O una cliente assistita da un altro avvocato contro la quale mi sono battuto in Tribunale? “Ah bene, mi dispiace veramente per l'accaduto, ma sono contento che ci conosciamo, mi sarebbe dispiaciuto spaventarla. Allora direi che forse sarebbe meglio che io la lasci tranquillo, visto il disturbo che le ho creato.” “Non direi proprio. Le pare che ci si possa introdurre a casa d'altri e poi uscirsene come se niente fosse accaduto. E poi, venendo a casa, ho notato che c'era un elicottero della polizia che perlustrava la zona. Sono anche stata superata da diverse volanti. Lei perché è qui?” “Che strano! Non mi sono mica accorto di tutto questo trambusto. Ero nei boschi a cercare funghi. Poi purtroppo ho preso una brutta storta e ho deciso di cercare aiuto. La sua è la prima villetta che ho trovato.” “E i funghi dove li ha lasciati?”

“Faticavo a reggere il mio stesso peso. Non è che avessi voglia di portare anche i funghi con me.” “Però adesso non mi sembra avere grossi problemi a reggersi in piedi.” Sguardo indagatore. “Ma, in effetti, mi fa ancora molto male la caviglia. Ma non mi sembra di essere nella condizione giusta pe chiederle aiuto per le medicazioni.” “Ma no! Ci mancherebbe. Non si rifiuta mai un aiuto. Vieni, ti faccio accomodare sul divano e vediamo un po' cosa riesco a fare.” Il tono ora è gentile, ma le sue parole mi appaiono stranamente minacciose. Si muove verso di me, mi supera e va verso la dispensa. “Non stare lì impalato. Mettiti sul divano. Togliti calza e scarpa. Io cerco qualcosa per il dolore e un bendaggio.” “È molto gentile. Forse se decide di aiutarmi, le chiederei, prima di prendersi cura della caviglia, se potesse essere così gentile da lasciarmi fare una telefonata. Sono uscito da un po' e mia moglie, non vedendomi rientrare, sarà probabilmente in pensiero per me”. “Guarda, capiti male. Purtroppo non ho la linea fissa e qui il cellulare non ha campo.” E lei come comunica con il resto del mondo quando è a casa? Per essere una tipa con l'iPod al braccio non è poi molto hi-tech! “E poi, per favore, dammi del tu. Io sono Irene.” “Ah bene. Senti Irene, ti sembrerò molto scortese. Ma non riesco proprio a ricordarmi quando ci siamo conosciuti. Puoi aiutarmi?” “Oh... non indovineresti mai quanto tempo fa è stato... Eccoli qui! Vedrai che adesso ti erà tutto.” Irene si avvicina verso di me con in mano delle forbici, una bomboletta spray, una crema e un bicchiere con una pastiglia effervescente che si sta sciogliendo

nell'acqua. Si siede sul tavolino di fronte al divano. “Allora, fammi vedere questa caviglia ammaccata. Tu intanto bevi questa così ti andrà subito via il dolore.” Con un certo imbarazzo avvicino il mio piede nudo a questa ragazza di cui non ricordo nulla. Lei lo prende e se lo mette in grembo. “Ti fa male qui?” mi chiede. Cerco di ricordarmi dove sia localizzato il dolore quando si prende una storta. Giocando a calcio qualche volta mi sono infortunato realmente. “No, un po' più su. Ecco lì,” le rispondo. “Bevi, forza. Vuoi mica startene lì a soffrire!” mi dice Irene. Osservo la medicina. L'acqua è diventata un po' violetta. Non mi intendo molto di medicinali. Di solito preferisco non prenderli, ma non la vorrei contrariare. Però il colore mi sembra un po' originale. Con quattro sorsi bevo l'intero contenuto del bicchiere. Lei intanto sta ando lo spray sulla mia caviglia perfettamente sana. “Ecco fatto! Come ti senti?”, mi chiede, appoggiando il mio piede sul pavimento. “Grazie Irene, il dolore mi sembra stia scomparendo.” Senza rispondermi, lei si alza e va a riporre tutto in cucina. Mi alzo anche io. O meglio, provo ad alzarmi. Il piede rimane immobile sul pavimento. Tento di muoverlo. È come se fosse incollato. Ma che medicine ha usato? Provo a muovere la gamba tirandola con le mie mani. “Non darti pena. Non riuscirai a muoverlo.” Lei è appoggiata al tavolo della cucina. Ha in mano un calice di vino. Mi osserva e sogghigna. “Oh cucciolotto,” continua lei, “ma guarda con che occhietti impauriti mi guardi! Non riesci più a muovere il piedino? Aspetta che ti aiuto. Eina ta

sturam!” Piede, caviglia e polpaccio iniziano lentamente a risplendere della stessa tonalità della medicina effervescente. Mi stropiccio gli occhi, pensando a un'allucinazione. “Ma cosa?...” “Non ti preoccupare. È un piccolo trucchetto da apprendista, “ mi dice Irene. Lascia il calice di vino sul tavolo e si avvicina a me. “Però efficace, vero?” mi chiede, accarezzandomi la guancia. “Non mi dire che non ne hai mai visti di simili? Cloradil dev'essere molto brava a nascondersi.” “Cloradil?” “Non conosci neppure il suo vero nome? Tu come la chiami, quell'adorabile creaturina che ti prepara i pranzetti e che si fa scopare la notte?” “Anna? Stai parlando di mia moglie?” “Tua moglie? Pensi che quella sia davvero tua moglie? Una delle più pericolose streghe ancora in giro?” Mia moglie? Una strega? Non so come sia riuscita a farmi questa cosa alla gamba, ma questa donna deve essere decisamente insana di mente. “Tu non capisci, vero? Le streghe, la magia, gli incantesimi. Pensi sia tutta fantasia, giusto? Al fami spes eriat.” Il mio piede inizia lentamente ad alzarsi in aria. Quando è a metà altezza, perdo l'equilibrio e cado con la schiena sul divano. Ma il piede procede nella salita verso l'alto. Mi tira con sé. La mia schiena si distacca dai cuscini. Quando il piede arriva al soffitto, mi ritrovo appeso a testa giù, saldamente ancorato al soffitto. “Ora hai qualche dubbio in meno?” mi domanda Irene, avvicinandosi a pochi centimetri dalla mia testa. Penso a Anna. Ma perché sono entrato proprio in questa casa? Non so chi sia costei, ma vorrei tanto essere a casa con mia moglie a gustarmi uno dei suoi

deliziosi pranzetti del fine settimana. “Senti... Irene, ho sicuramente sbagliato a introdurmi in casa tua. Ti chiedo scusa. Ora però vorrei uscire di qui e tornare da mia moglie.” “Oh Antelmino, ti ho fatto preoccupare? Hai proprio ragione. Sei tu che devi scusarmi. Sono stata molto scortese. Vai a casa. La famiglia viene prima di tutto. Scendi pure. Is medil ancorat.” Sono di nuovo sul pavimento, in piedi. Provo a muovere il piede. Questa volta si alza senza problemi. Ho mille domande nella mente, ma qualcosa mi dice che se Irene ora è ben disposta è meglio che affretti a dileguarmi quanto prima. “Allora, arrivederci.” Faccio il gesto di darle la mano. Le non si muove. Così mi volto e mi dirigo verso l'ingresso, appoggio la mano sulla maniglia, apro la porta e mi ritrovo nella nebbia più fitta. Il bosco e gli alberi sono scomparsi. Mi inginocchio sull'uscio di casa. Tasto di fronte a me dove dovrebbe esserci il vialetto. Le mie mano brancolano nel vuoto. Mi sporgo ulteriormente. Provo a allungare la mano sotto il pavimento della casa, nulla. “Se fossi in te farei attenzione a non cadere.” Nella nebbia soffia un venticello gelido. Mi sembra di congelare. Richiudo la porta. “Non siamo più nei tuoi boschetti, caro Antelmo.” “E dove siamo?” chiedo io. “Sono sicura che preferisci non saperlo.” “Irene, chi sei tu davvero?” “Sono l'amica del cuore di Cloradil, cioè Anna, tua moglie. Sai, ci vogliamo tanto bene.” L'ironia è palese nella sua voce.

“E cosa vuoi da me?” “Da te? Assolutamente nulla, ma ho bisogna che Cloradil mi raggiunga al più presto. Ci sono un paio di cosette che dobbiamo sistemare.” “Dove siamo?” “In viaggio verso casa.” “Casa?” “Certo. Il regno di Turlis.” “E dov'è?” “Diciamo, non proprio vicino alla Terra.” “Ora devo andare. Ci vediamo tra un po'” Sono in un sogno, ne sono sicuro. Mentre penso, Irene si dirige verso la porta, la apre, fa un o in avanti e scompare nel vuoto. La seguo sull'uscio, ma nella nebbia non c'è traccia di lei. Mi affretto a chiudere per evitare che l'aria gelida mi congeli. Sono solo.

4

Solo. In una casa che vola nella nebbia fitta. Continuo a non crederci. In salone scosto le tendine per guardare oltre alla finestra. Nebbia. No, non mi sembra affatto di essere vicino ai boschi di casa mia. Cloradil, mia moglie, una pericolosa strega? No, tutto questo non ha senso. Irene ha anche parlato di magia e di regni.

Mi sono ritrovato appeso a testa in giù con il mio piede incollato sul soffitto. E metà della mia gamba risplendeva! Come fa un arto umano ad essere illuminato dall'interno? Deve esserci da qualche parte una spiegazione logica a tutto a questo. Forse, posso trovarla in questa casa. Mi avvio verso la cucina. Controllo frigorifero e dispensa. Nulla di strano. Non mi rimane che salire di sopra. Un letto matrimoniale, un bagno e una cameretta per bambini con un letto a castello. Lo stile è sempre lo stesso. Questa casa sembra vecchia. Non è il tipico arredamento di una villetta di un quartiere residenziale da 6.000 euro al metro. Controllo comò e armadio nella camera da letto matrimoniale. I vestiti riposti sono di bassa qualità e vecchi almeno di venti anni. Se questa Irene fosse davvero una strega non potrebbe perlomeno fabbricarsi del vestiario un po' alla moda? E se la casa non fosse sua? Dove sono diretto? E perché? Le domande continuano a affollarsi nella mente. “Alia fas no sdreil imas catel biron.” Oh mio Dio, riconosco questa voce. È quella di Anna, mia moglie. “Puoi ancora farcela. Non c'è tempo perché ti spieghi ogni cosa. Ma puoi ancora salvarti. Devi avere fiducia. Apri la finestra e buttati. Non avere paura. Io ti salverò.” La voce sembra provenire da fuori. Mi affretto a aprire la finestra, che emetta uno spiacevole scricchiolio. L'aria gelida mi fa subito venire la pelle d'oca. Fuori dalla casa, nella nebbia, la temperatura deve essere decine di gradi sotto lo zero. Una volta sono stato in Siberia a meno 40°. Mi sembra il freddo sia ancora più intenso. Mi giro verso il

letto, prendo un lenzuolo e me lo avvolgo intorno al corpo. Anche così mi sembra di congelare. Torno alla finestra. Mi sporgo. Dov'è Anna? Da dove proviene la sua voce? “Non aspettare. Manca poco tempo e poi non potrai più tornare indietro,” continua la voce di mia moglie. “Anna, dove sei? Perché non riesco a vederti?” “Antelmo, non indugiare. Tra pochissimo sarai perso per sempre. Non potrò più fare nulla per te. Scavalca la finestra. Torna da me. Ho bisogno di te.” “Anna, ti prego. Rispondimi. Dove sei?” “Fallo ora. Il tempo a tua disposizione è quasi finito.” Con la gamba destra scavalco il davanzale della finestra. Provo a guardare se dalla finestra riesco a vedere qualcosa, ma c'è solo nebbia. E freddo. Appoggiandomi al davanzale alzo la gamba sinistra. Sono terrorizzato all'idea di cadere nel vuoto. “Fermati!” È la voce di Irene. La sua figura si delinea sull'uscio della camera da letto. “Non c'è nulla la fuori. Se lo farai, morirai.” Mi sento invaso dalla disperazione. Sono terrorizzato dall'idea di lasciarmi andare nel vuoto, ma non ne posso più di trovarmi in questa casa. “Vieni qui, Antelmo. Non ne vale la pena di sacrificare la propria vita. Hai già dato troppo a Cloradil,” dice Irene “Antelmo, amore mio, ti manca poco. Fallo per me. Fallo per noi. Torna da tua moglie. Sono qui che ti aspetto.” È ancora la voce di Anna, mia moglie. Non desidero altro che tornare tra le sue braccia. Lei ha ragione. Mi sono sempre fidato di me.

Irene intanto si avvicina a me. Scavalco il davanzale anche con la gamba sinistra. Sono fuori dalla finestra. Resto per un attimo appeso al davanzale esterno e poi mi lascio andare. La presa salda di una mano mi afferra e inizia a sollevarmi. Con la testa appena oltre il davanzale noto che è quella di Irene. Ma come fa a essere così forte? Mi tira oltre il davanzale e io la lascio fare. Vorrei ribellarmi. Ma ancora non riesco a essere del tuo persuaso che il salto nel vuoto sia la cosa giusta. Ho paura. “Antelmo, amore mio...” La voce di Anna è sempre più lontana. “Sono registrazioni,” Irene sembra intuire i miei pensieri “le ha lanciate con il Mistrofal dalla Terra appena ha capito dove ci siamo diretti. Per questo non ti rispondeva. Erano solo parole che ti rincorrevano. Lei non poteva sentirti. E se fossi caduto nel vuoto saresti semplicemente morto.” Sento la collera montarmi. “Non ti credo! Non so chi o cosa tu sia. Ma quella era mia moglie. Come ti sei permessa di portarmi lontano da lei? Come hai potuto rapirmi e chiudermi in questa casa.” “Sei tu che sei entrato qui dentro di tua spontanea volontà. È stata una tuta scelta. Forse Turlis è entrato nel tuo cuore e ti ha indicato la giusta via.” Mentre parla sento l'ultimo eco della voce di Anna. “Antelmooo...”. Con uno scatto improvviso mi getto verso la finestra, spicco un balzo e mi getto di fuori. Poco prima che il mio corpo esca completamente dalla casa un bagliore fortissimo mi abbaglia e mi obbliga a abbassare le palpebre. Sento il mio viso sbattere su un terreno umido. Apro gli occhi. La casa è ancora di fronte a me, ma ora è candida e splendente. I

muri sono di marmo bianco. Dentro la stanza l'armadio, il comò e il letto sono ora intarsiati e impreziositi di gemme. Irene è coperta di veli bianchi. I capelli sono raccolti in una treccia che le fa da corona. Mi guardo intorno. Sono su praticello, costellato di fiori di ogni colore e specie. Poco lontano da noi c'è un fiumiciattolo, oltre il quale inizia un bosco. In lontananza vedo tante collinette. Ci sono molte altre abitazioni luccicanti. Il cielo è molto luminoso. Qualcosa mi incuriosisce nella lieve ombra della casa vicino a me. Il sole mi è di fronte. Non dovrebbe esserci un'ombra in direzione del sole. Mi volto. Dietro di me scorgo altri tre soli, uno simile al primo, due molto più piccoli. Non ho idea di dove possa trovarmi, ma certamente questo non è il pianeta Terra.

5

“Dobbiamo muoverci. Purtroppo non è stato possibile atterrare più vicini a Palazzo. Abbiamo ancora un bel po' di strada da fare. Enondil dovrebbe essere qui a minuti.” Io sono ancora per terra, in sincera ammirazione dell'incantevole paesaggio che mi si staglia dinanzi agli occhi. Irene mi parla dall'interno della camera da letto. Mi sembra indaffarata con qualcosa nell'armadio, dal quale escono luci di mille colori. “Cos'è questa casa, Irene?” “È casa mia. Lo sapevi, no?” “Sì, ok, ma di solito le case delle ragazze non fungono da trasporti tra un bosco e chissà dove.” “In effetti c'è voluto molto tempo per preparare questo trasporto. Per decenni abbiamo dovuto scandagliare migliaia di pianeti alla tua ricerca e una volta che ti abbiamo trovato l'operazione ha richiesto anni di preparazione.” “L'operazione? Che tipo di...?” “Ecco Enondil. Forza, andiamo, non abbiamo un attimo da perdere.” Mi volto e di fronte a me vedo sopraggiungere di gran carriera un uomo all'interno di una grossa bolla gigante. L'uomo è comodamente adagiato su un divano, composto dello stesso materiale della bolla, sospeso in mezzo ad essa. Quando è a pochi metri da me lo riconosco e istintivamente mi alzo per fuggire e nascondermi. “No, no, Antelmo, non devi fuggire. È Enondil. Verrà con noi.” “Enondil? Ma è il poliziotto che volevo spararmi, “ protesto, piuttosto seccato. Enondil salta giù dalla bolla e si dirige verso di me.

“Ancora non ricorda nulla?” chiede, rivolto a Irene. “No, niente. Meno di zero. Cloradil sapeva quello che faceva,” risponde Irene. “Cloradil, cioè Anna, mia moglie... Dov'è? Anche lei sta per raggiungerci? Quando posso rivederla?” Irene e Enondil si scambiano un sorriso di intesa. Enondil dice: “Partiamo, ora. O potrebbe essere troppo tardi. Vieni,” continua, rivolto a me. Entriamo nella strana bolla. Le pareti lasciano are i nostri corpi, come fossero fatte di sola luce. Il divano invece è elastico e regge il peso dei nostri corpi. La bolla si alza in cielo. “Che cos'è questo... veicolo? Come lo avete costruito?” Irene sorride. “Non lo costruiamo. Lo evochiamo.” “Un'altra illusione?” chiedo io, poco convinto. “Ois midal musri gan,” recita Enondil. La bolla diventa una piramide e le pareti assumono un bagliore azzurrino. “La bolla è meglio, un po' più aerodinamica, ma la piramide può andare,” spiega Irene. Un frastuono immenso squarcia l'aria. Ci portiamo istintivamente le mani alle orecchie e guardiamo verso l'altro, da dove proviene il rumore assordante. “È lei. Porta al riparo Antelmo. Io intanto...” dice Irene. Non sento la fine della frase. Un fascio di luce oscura da un punto del cielo sopra di noi ci raggiunge e mi spinge verso il basso. Cadendo da quest'altezza l'impatto con il suolo sicuramente mi ucciderà. È la fine. Invece mi ritrovo nelle acque del fiumiciattolo visto davanti alla casa di

Irene. Il fascio scompare. Cerco di risalire verso la superficie. Una forza maggiore mi attrae verso il fondo. Guardo in basso. Cerco di capire cosa sia. Vedo che tra due rocce si apre una superficie luminosa. Sembra che la forza di attrazione provenga da lì. Quando sono ormai in prossimità della luce, cerco di resistere. Punto ginocchia e gomiti sulle rocce. “Vieni, torna a casa. Non potrò tenere aperto il portale molto a lungo. Sono io, Anna, tua moglie. Guarda tu stesso. Questa è casa nostra.” È Come un televisore. Dentro la luce vedo l'immagine di Anna. Alle sue spalle c'è il nostro soggiorno. Sul tavolo vedo persino il mio smartphone. Lei ha gli stessi vestiti di quando l'ho lasciata. Sul tavolo vicino alle cucina c'è la tavola apparecchiata con la pasta pronta nel piatto. Ancora non ho capito in che strano incubo mi trovi, ma finalmente quella che vedo davanti ai miei occhi è casa mia. È finita. Però questa volta Anna sarò io a esigere da Anna qualche spiegazione. “Vieni, ora! Attento, stanno arrivando!” Mi getto con i piedi nella fonte luminosa. Con il viso mi volto a guardare chi stia arrivando. Irene a pochi i da me nuota con una roccia in mano. Cerco di ripararmi e con la coda dell'occhio mi accorgo che anche Enondil mi sta raggiungendo. La roccia mi colpisce con forza al capo. Due mani si stringono al mio corpo. Una al mio polso, l'altra alla mia caviglia. Svengo.

6

“Se è riuscita a lanciare una freccia spazio-temporale deve avere recuperato molti più poteri di quanti pensassimo.” “È impossibile. Ibril non l'ha mai persa di vista. Non può avergli assorbito tutto

questo potere in appena 33 anni.” Enondil e Irene parlano in maniera concitata. Apro gli occhi. Sono disteso sul divano trasparente, a pancia in giù. Sotto di me vedo scorrere il paesaggio a gran velocità. “Quali poteri? Chi è Ibril?” balbetto. Qualche secondo di silenzio. Li immagino intenti a scambiarsi i loro soliti sguardi di intesa. Mi tiro su a sedere. Li guardo in viso, prima lui, poi lei. “Parlate!” Il tono imperioso della mia voce sembra scuoterli. “Ibril è Costantino Valenti,” dice Irene, a voce bassa, come se volesse scusarsi. “Valenti? Il vicino ficcanaso? Mi prendete in giro. Cosa ha a che fare quel vecchio scorbutico con tutto questo?” “Come osi chiamarlo in questo modo? È stato il tuo più fedele...” incomincia a dire Enodil in tono adirato. “Basta!” lo interrompe Irene. “Ogni cosa a suo tempo.” “No,” intervengo io. “Voglio sapere tutto, ora!” “Quando vi abbiamo trovato alcuni di noi si sono trasferiti sulla Terra per capire quali fossero i piani di Cloradil e per preparare il tuo prelievo. Tra di loro c'erano sia Enondil sia Ibril.” “Ma perché? Chi siete voi? Cosa volete da me?” chiedo ancora una volta, esasperato. “Antelmo. Hai già le risposte alle tue domande,” mi dice Irene, in tono comprensivo, “ma continui a rifiutarle. Sei tu che devi accettare tutto questo nel tuo intimo, altrimenti non esiste spiegazione al mondo che possa sembrarti sufficientemente convincente.” “Io dentro di me non trovo proprio nessuna risposta.” “Era quello che temevamo. Cloradil ha scelto un pianeta primitivo come la Terra

proprio perché tu non trovassi agganci.” “Primitivo? La Terra non è affatto primitiva!” “Antelmo,” il tono di Irene ora è quasi materno, “quanto tempo dedicano i terrestri a questioni che non siano il mangiare, il sesso, le dispute, le guerre, le vanità?” “Che cosa c'entra? È vero, forse in molti si preoccupano solo di queste cose, ma sulla Terra vivono anche scienziati, filosofi, dottori e molta gente che fa del bene. E...” “Ah sì,” mi interrompe Irene, “e vi affidate a loro per essere guidati o governati? Oppure seguite volentieri chi si fa più pubblicità con sorrisi, bei faccini e promesse allettanti? I pianeti evoluti sono guidati dall'amore per la conoscenza, per la la ricerca e per l'evoluzione spirituale. Cloradil ha scelto la Terra perché è quanto di più lontano potesse trovare dal regno di Turlis!” “Ha scelto? Quando?” Enondil e Irene si guardano negli occhi, prima di abbassarli. Restano in silenzio, i loro visi persi in qualche ricordo doloroso. Stiamo sorvolando una casa circondata da fontane e viali d'acqua che si gettano in un laghetto. Al centro c'è un isola dove diverse decine di giovani sono riuniti intorno a una donna. “È una scuola. E lei è una maestra di magia. La riconosci dalla treccia posta a forma di corona sul capo,” mi spiega Irene, arrestando il moto della piramide. “Come...” inizio a chiederle. “La mia!” “Quindi qui tu sei insegni magia?” “Sì, ma non solo.” “Magia...” ripeto, assorto nei miei pensieri. Guardo in basso. Un ragazzo si è alzato in piedi. Porta entrambe le mani di fronte a sé. Rivolge i palmi uno verso

l'altro. Un punto luminoso color arancio inizia a prendere forma tra le sue mani. Si ingrandisce sempre più. “È una sfera del ricordo. Dentro può evocare non solo i suoi ricordi, ma anche le sue emozioni e le sue paure,” mi spiega Irene. Sembrano esserci delle immagini dentro la sfera. Da così in alto non riesco a distinguerle. “La magia è il mezzo principale per indagare le leggi dei mondi e le leggi dell'animo.” Irene mi parla scandagliando bene le parole, come se fosse particolarmente importante che io comprenda appieno quanto mi sta dicendo. “La magia per quello che c'è dentro e fuori di noi,” le mie parole sembrano evocarmi ricordi lontani. “Esatto!” “Sulla Terra ci sono molti testi antichi che trattano di magia. Anche in tv e al cinema ogni tanto si vedono dei film interessanti sui maghi. Ma io non ci ho mai creduto.” “Perché?” mi domanda Irene. “Perché le ho sempre considerate sciocchezze colossali! E Anna è sempre stata d'accordo con me. Non posso proprio immaginare che sia davvero una strega.” “Da quando vi conoscete?” “Eravamo all'asilo insieme e abbiamo subito legato.” “E come era lei?” Sorrido. Il carattere di Anna è un po' particolare da spiegare. “Anna è un po' dispotica. Ha il carattere del leader. E ama che le cose si facciano a suo modo.” “Quindi ha sempre esercitato una certa influenza su di te?” “È sempre stata la parte più forte della coppia. Ma tra un uomo e una donna c'è

sempre chi comanda. E spesso è la donna. Comunque mi ha sempre lasciato i miei spazi.” “I tuoi spazi per cosa?” “Le partite a tennis, il venerdì sera con gli amici, la partita allo stadio la domenica.” “E non è mai stata in disaccordo con te?” “Abbiamo sempre parlato di tutto. È normale quando si sta insieme!” “Ma chi decideva cosa avreste fatto, dove saresti andati, cosa avreste visto in tv?” “Direi... forse... un po' di più lei. Ma ha sempre ascoltato e considerato le mie proposte.” “Ti ha mai detto quale era la sua opinione sul lavoro che avresti fatto o su altre scelte importanti della tua vita?” “Sì, certo. Ma molte volte anche io le ho chiesto dei consigli!” “Perché pensavi di non sapere scegliere da solo?” “Ma no! È normale confrontarsi con chi si ha intorno.” “Lei era l'unica che ti diceva cosa fare o anche altri?” “È stata a lungo la mia fidanzata e poi è diventata mia moglie. Era normale che avesse il ruolo più importante nella mia vita.” “Lei era della stessa opinione?” “Oh sì!” Non voglio ammetterlo. Ma Anna è sempre stata molto autoritaria. Anzi, con me è stata un vero dittatore fin da quando eravamo piccoli. Non si è mai fatto nulla che a lei non andasse a genio. Ma a me è sempre stato bene perché insieme abbiamo costruito giorno dopo giorno una vita bellissima. Ogni tanto protestavo e mi arrabbiavo, ma poi tutto si sistemava per il meglio.

7

Il volo della piramide è ripreso. “Eccolo. Iniziamo a vederlo,” annuncia Enondil. Seguo con lo sguardo la direzione del suo dito. Il profilo di una costruzione imponente si staglia all'orizzonte. Man mano che ci avviciniamo se ne delineano i contorni. Rimango a bocca aperta. Non è semplicemente un palazzo. È una costruzione fiabesca, che sembra sfidare ogni legge fisica. Il palazzo è a più livelli, ognuno fluttuante nell'aria, con infinite isole collegate da ponti di arcobaleno. Su ogni isola ci sono costruzioni, le cui muratore sono in alcuni casi solide, in altre sembrano essere pura energia. Alberi, fiori, prati e laghetti sono presenti ovunque, dentro e fuori dalle abitazioni. I corsi di acqua si gettano in stupende cascate che vanno da un'isola all'altra. Non ho mai visto nulla di così meraviglioso. Enondil e Irene hanno gli occhi fissi su di me. Non capisco perché mi scrutino con tanta attenzione. Si aspettano che questo Palazzo mi ricordi qualcosa? “È troppo pericoloso così. Non possiamo portarlo al Pozzo finché è in questo stato,” dice Enondil, visibilmente preoccupato, a Irene. “Non abbiamo altra possibilità. Anche io speravo che qualcosa si risvegliasse in lui. Ma se così non è stato, allora il Pozzo è l'unico luogo che lo possa aiutare,” gli risponde lei. “Ma lei si accorgerà della sua presenza nel Pozzo. E avrà la possibilità di contattarlo!” “Non è detto, magari in quel momento sarà concentrata altrove” “Scusate se vi interrompo. Ma cos'è il Pozzo? E chi è che dovrebbe accorgersi di

me? Anna? Mia moglie?” Si scambiano sguardi esasperati. Forse non apprezzano che continui a chiamarla mia moglie. Forse pensavano con i loro discorsi di avermi incasinato la mente, ma io lo so bene chi sono. Quando siamo in prossimità del Pozzo, non è necessario che me lo dicano loro. Su un'isola apparentemente al centro del Palazzo, più in alto delle altre, al centro c'è un buco di circa venti metri di diametro che crea un fascio di luce oscura che si perde fin nel terreno. “Arriva fino al centro del pianeta. E da lì, attraverso altre dimensioni, si collega con molti altri mondi,” mi spiega Irene. “Su altre dimensioni?” le chiedo. “Sì, molte energie sono trasmesse su altre dimensioni. Ma anche i corpi fisici possono fare viaggi transdimensionali, anche se è estremamente costoso. Per viaggiare dalla Terra a qui abbiamo attraversato un'altra dimensione, ad esempio.” “La nebbia?” “Esatto. Non eravamo in questo universo fisico.” “Ma...?” “Aspetta. Ho paura che il tempo a nostra disposizione stia finendo. Devi entrare nel Pozzo.” “Io? Dove?” La piramide si posa sull'isola. Ci sono decine di persone impegnate su delle piccole pozze di luce fluttuanti a mezz'aria. “Cosa sono?” “Sono i mistrofal. Sono potenti amplificatori di energie magiche. Un mago potente con uno di essi può colmare distanze infinite. Cloradil se ne è servita per scagliare una freccia spazio-temporale su questo mondo e aprire la breccia tra

qui e la Terra nella quale tu saresti dovuto are.” “Perché non viene lei qui, se ci tiene tanto a prendermi?” “Penso non si sente ancora potente a sufficienza.” “E come fa a acquisire nuovo potere?” Interviene Enondil, che si rivolge a Irene: “Hai ragione. Non ci rimane che il Pozzo.” Sembrano rassegnati. Ho l'impressione di deluderli, ma non ho idea di cosa si aspettino da me. Intanto siamo giunti al limite del Pozzo. “Qui non potremo più aiutarti. Ma ora sarai tu a poteraiutare te stesso,” mi dice Irene. “Qui dove?” chiedo. “Cosa dovrei fare?” “Entra.” “Mi dovrei gettare lì dentro? Non ci penso neanche.” Irene viene davanti a me e mi appoggia le mani sulle spalle. Gli occhi verdi mi fissano ancora una volta. “In quel pozzo troverai te stesso. E, molto probabilmente, ci sarà anche lei. Ti stiamo dando la scelta. Sarai tu a decidere chi vorrai essere.” Mi sembra quasi convincente. “Cosa dovrei fare?” “Nulla di particolare. Fai un o. E lasciati andare. Lì dentro ci sono solo ricordi.” “Ricordi di cosa?” “Di questa e delle altre tue vite.”

“Altre vite?” “Sì, anche di quella che vivevi prima di questa. Quella in cui...” “Irene!” Enondil la interrompe. “Siamo qui. Ormai tocca a lui. Vai avanti. Se preferirai tornare alla tua vita sulla Terra, li ne avrai la possibilità. E sarà molto probabilmente quella che tu chiami moglie a dartela.” Ecco, questa sì che è una motivazione convincente. Faccio un o avanti. Le ultime parole di Irene sono: “Lasciati andare alle associazioni.”

8

Fluttuo nell'oscurità del Pozzo. Un lontano bagliore sembra farsi via via più intenso. Si sta avvicinando. È una luce sospesa nel nulla. Alcune immaginano si delineano lentamente.

Vedo me stesso nascosto nello sgabuzzino della casa dei miei genitori. È il gioco che chiamo della camera oscura. Una piccola lucina di fronte a me proviene dalla serratura della porta. Mi chino e appoggio l'occhio al buchino. Nel corridoio mia madre sta portando le pizze in tavola. Non sa che io sono nascosto nello sgabuzzino. Ho sempre adorato quel gioco, che finiva solitamente con l'apertura di scatto della porta per spaventare mia madre. Perché rivedo proprio questa scena della mia vita? Sono le associazioni di cui parlava Irene?

Un'altra luce mi raggiunge e si affianca alla prima.

Vedo un uomo seduto su un trono, con una corona in testa e uno scettro in mano. Una donna davanti a lui gli sta parlando. La luci della sala solo appena visibili. Una splendida mappa stellare si estende sopra le loro teste. La donna gli spiga, indicando sopra di lei un punto sulla mappa: “Queste sono le stelle Misos e Mauteris. Le forme di vita che abitano sui loro pianeti hanno appena scoperto il segreto del viaggio interstellare. Potremmo fare ulteriori ricerche sul loro livello magico.” È Irene che parla. Il suo aspetto è identico a quello di oggi. “Va bene Alissalia. È un'ottima idea concentrare la nostra attenzione su questo quadrante, dove il livello magico è ancora molto basso. Considerato dove sono arrivati con le proprie forze, possiamo dar loro nuove opportunità.” Alissialia? Irene dunque qui ha un altro nome. A un gesto del re il planetarium scompare e un'intensa luce irrompe nella sala. Fuori dalle finestre ora intravedo le splendide isole del Palazzo. Dunque il ricordo della scena della seconda luce proviene chiaramente da un luogo vicino a dove mi trovo ora. Ricordi! Irene - Alissalia - aveva detto che qui avrei trovato ricordi di questa o altre vite. Associazioni! È ancora l'oscurità a avermi condotto a questo scena? Se è un mio ricordo, dove sono io?

Una terza luce fluttua nella mia direzione. La scena è intermittente, appare e scompare. Lo stesso re di prima è a terra. Un prisma verde luminoso è conficcato nel suo cuore. Una donna è seduta a cavalcioni sopra di lui. “Perché l'hai fatto?” le chiede il re. Si esprime con grande sforzo. “Perché volevo stare insieme a te. E volevo avere i poteri che sono concessi solo a una regina. Come hai potuto non accorgertene per tutto questo tempo? Alla

fine mi sono stancata di aspettare!” Buio. “Sapevo ciò che desideravi,” la voce del re è flebile, “ma non potevo concedertelo proprio a causa del tuo desiderio...” La voce del re sembra mancare. “Cloradil, cosa hai ottenuto con questo omicidio? Mi reincarnerò. I maghi mi troveranno, mi educheranno e mi riporteranno al mio posto.” Buio. La luce del ricordo diventa sempre più debole. “Ne sei sicuro? Potrebbero non trovarti.” Il viso del re si contorce in una maschera di dolore. “Cosa hai fatto? Non ti sarai introdotta...?” “Sì. Ho impostato le rotte affinché la tua frequenza si reincarni in un mondo scelto da me. È un luogo primitivo e violento, dove la magia è stata dimenticata da millenni. E io sarò lì con te. Prima che chiunque possa trovarti avrò assorbito la maggior parte dei tuoi poteri. Non riuscirai a avere nessuna coscienza di chi eri. Io invece seguirò le tracce che io stessa mi sono preparata. Risveglierò e riconquisterò i miei poteri. E poi inizierò a assorbire i tuoi. Ci vorranno anni, ma avrò tutto il tempo che vorrò a mia disposizione. E avrò anche il mistrofal, che mi sono già inviata su quel pianeta.” Sugli occhi del re si posa un velo di profonda tristezza. “Oh, non essere triste. Ci reincarneremo e trascorreremo una splendida vita insieme. Sarò una mogliettina eccezionale nella nostra prossima vita. Questo non ti fa sentire un po' meglio, amore mio?” Si apre una porta ai margini della sala. “Maesta....!” È la voce di Alissalia, che subito scatta in direzione del re e della sua assassina. “Cloradil, maledetta, cosa hai fatto?” dice Alissalia, alzando le mani mentre corre. Una palla azzurrina comincia a formarsi.

Cloradil estrae velocemente il prisma dal cuore del re e se lo conficca nel torace. Il suo corpo cade a fianco a quello del re. Lui chiude gli occhi. L'immagine scompare. Dopo qualche secondo si vede il re riaprire gli occhi. L'immagine è debole e molto scura. Alissalia è inginocchiata a fianco del corpo morente del re e ne ha preso il capo in grembo. Di nuovo il buio. L'immagine riprende ancora una volta forma, così debole da poter essere confusa con l'oscurità tutto intorno. Le palpebre del re faticosamente si aprono ancora una volta. Una lacrima si fa strada sul viso di Alissalia e cade sulla sua guancia. “Maestà, ti ritroverò e ti educherò.” Buio.

Ricordi! Associazioni! Un re! Cloradil! Come fanno questi ricordi a appartenermi? Cosa c'entro io con tutto questo? Chi è questo re? E perché una donna con il nome che qui attribuiscono a mia moglie l'ha ucciso. Un mondo primitivo e violento. No, non può essere la Terra. Forse viviamo tra guerre e tensioni. Ma non siamo dei selvaggi. Studiamo. Cresciamo. Costruiamo. Facciamo del nostro meglio per evolverci. E poi, può esistere un luogo nell'Universo che sia davvero puro?

Le tre luci di fronte a me scompaiono. Sono di nuovo nell'oscurità più profonda. Da un punto molto più lontano dei precedenti, una flebile luce lentamente si fa strada verso di me. Per lunghi minuti è appena visibile. Poi diviene più intensa, viva, nitida.

Un neonato è in una culla formata da un materiale luminoso simile a quello delle bolle di sapone. Una schiuma azzurrina gli avvolge il corpo, lasciandogli scoperti collo e testina. Una donna si china a guardarlo con tenerezza. I capelli biondi le scendono sulle spalle. Meravigliose pietre luccicanti distanti qualche millimetro l'una dall'altra sono disposte a forma di corona sul suo capo. La donna canta al bimbo una dolce melodia. “Eina sto fil, ardas mael, bis or manil ei tam lual.

Ardin faras al bel tomir ei to bras ol tur momir” Il bimbo risponde con risolini di giubilo. Le sue manine si muovono a ritmo nell'aria. “Maestà, è un bimbo stupendo. E sarà un grande re.” Dietro la regina è Costantino Valenti, coperto di una tunica azzurra, che parla. Cosa ci fa il mio vicino di casa in questo ricordo? “Carissimo Tainador, sarà un grande re se tu ci aiuterai nella sua educazione.” “Maestà, se egli lo vorrà e ne sarà degno, avrà accesso a tutta la conoscenza del nostro regno. Avete già deciso il suo nome?”

“Sì. Si chiamerà Turlis.” Turlis? Il regno di Turlis. Può essere questo bambino il futuro re? Vogliono farmi credere che io...? No, non è possibile. È tutta un'illusione!

“Antelmo, sei nel Pozzo, vero?” L'immagine di fronte a me scompare. La voce di Anna si fa strada nell'oscurità. “Anna, sono nel buio più completo. Tu dove sei?” “Aspetta, apro un portale,” mi risponde lei. L'oscurità è squarciata da un disco luminoso simile a quello che mi stava risucchiando in fondo al fiumiciattolo vicino alla casa di Irene. “Anna, amore mio, come hai fatto a trovarmi?” “Non importa, Antelmo. Ora puoi tornare da me. Non ho la forza per attirarti a me se sei nel Pozzo. Devi essere tu a raggiungermi.” Mia moglie è nel soggiorno. Tiene tra le mani il mistrofal. “Anna, ho visto delle cose... strane, in questo luogo. C'era una re che veniva ucciso da una donna. E lei veniva chiamata con il nome che qui usano per te. In un altro ricordo c'ero io nello sgabuzzino di casa mia. Questo qui è davvero un mio ricordo. Ma gli altri... non so cosa fossero.” “Non ti preoccupare, Antelmo. Vieni qui. Sarai al sicuro e ti spiegherò tutto.” “Anna, dimmi una cosa. Che cosa sai della magia? Cosa conosci di questo regno? Io non capisco, perché non mi hai mai parlato di nulla?” “Antelmo, volevo proteggerti. Non volevo che ti preoccui. Ci sono mondi abitati da forze malvagie. Alcuni di noi hanno il compito proteggere gli altri, ma non è sempre possibile spiegare quello che si fa.” “Non mi ritenevi degno di conoscere tutto questo?”

“Scusami Antelmo. Certo che ne eri degno. Te ne avrei parlato al più presto.” “Ma abbiamo trentanni! E ci conoscevamo da quando ne avevamo sei. Quando avevi intenzione di dirmi che hai uno strumento che comunica con il resto dell'Universo?” “Hai ragione a essere arrabbiato. Ti dirò ogni cosa. Te lo prometto. Ma ora non perdere altro tempo. Vieni qui da me prima che tornino a impedirtelo.” “Va bene, amore mio. Scusami. Ora arrivo. Cosa devo fare?” “Avvicinati al portale che vedi di fronte a te. Poi entra al suo interno e ti ritroverai qui, insieme a me. Tutto questo non sarà altro che un brutto ricordo.” “Ok, però devi aiutarmi. Non ne ho il coraggio. Ti prego, avvicinati al portale. Tendimi la mano. Altrimenti non so se ne sarò capace.” “Certo, tesoro. Aspetta.” Anna si avvicina al portale. Tende la mano sinistra verso il portale e con la destra mantiene la presa sul mistrofal. “È permesso? Senta, deve dire a suo marito di non permettersi mai più di mettere un asse nel nostro vialetto. Ma lei sa che con quella sua moto ha rovinato tutta l'erba. Ma le sembra che un bravo giovanotto debba comportarsi così?” Costantino Valenti è comparso sulla porta finestra del soggiorno, con un bastone per anziani in mano. Anna si volta, molto sorpresa. È evidente che non si aspettasse questa intrusione. Mentre è distratta, porgo le mie mani oltre il portale e le sottraggo il mistrofal. Si volta di scatto verso di me. “Ma, amore, tesoro, che cosa hai fatto?” mi chiede. Nei suoi occhi c'è una paura mai vista in tanti anni. “Anna, quel vecchio è Tainador. È venuto qui per rubarti il mistrofal.” Costantino si mette a ridere: “Se avessi voluto sottrarle il mistrofal avrei potuto

sfruttare molte altre occasioni prima di oggi.” “Non importa. Signor Valenti, lei non appartiene al nostro mondo. Venga nel portale, ritorni nel suo regno e ci lasci in pace per sempre. Altrimenti la butteremo dentro a forza,” gli dico con tono secco. Valenti procede verso il portale. Ad ogni o si appoggia al suo bastone. È un po' meno in forma dell'uomo visto nella mia visione, ma l'aspetto non è così lontano. “Arrivederci, Cloradil,” dice, rivolto a mia moglie, prima di are oltre il portale. “Bravo, amore mio.” mi dice Anna. “Hai fatto bene. Non lo sopportavo più neppure io! E non avrei mai immaginato che anche lui potesse essere uno dei nostri nemici. Ora siamo finalmente al sicuro. Vieni.” Per qualche secondo rimaniamo entrambi in silenzio. “Arrivederci Anna,” le dico. Lei mi guarda senza espressione. “Hai cercato nella Terra un mondo primitivo e selvaggio. Ma in realtà è un mondo adatto a te e nel quale vivrai a meraviglia. A te e ai Terrestri saranno date molte opportunità evolutive. Sarete voi a doverle coglierle. Se non lo farete rimarrete ciò che siete ora. Voi sarete la vostra più grande punizione.” Non riesco a vederlo, ma avverto la presenza di Costantino vicino a me. “Tainador, come chiudo il portale?” gli sussurro. “Maestà, poni entrambi le mani sul mistrofal e recita mol rim daina mris.” “Aspetta, non lo fare!” interviene Anna. “Ti hanno fatto vedere quello che volevano loro. Erano tutte illusioni. Io non ti ho ucciso. Ti amo e sai che non lo farei mai.” “Anna, io non ti ho mai detto di averti visto uccidermi. Come fai a sapere di essere la mia assassina?” Gli occhi di Anna si riempono di lacrime. Il suo sguardo si abbassa. Cade in ginocchio sul tappeto del nostro soggiorno.

Attraverso il portale generato dal mistrofal, le mie ultime quattro parole sul pianeta Terra sono: “Mol rim daina mris.” Il portale si chiude. “Tainador, come usciamo dal Pozzo?” chiedo nell'oscurità. “Vieni Maestà. C'è molto che devi imparare.”

L'autore

Ricerca, fantascienza, fantasia ed alta tecnologia sono i mondi che Luca Rossi vive e trasferisce nelle proprie opere letterarie. Crede nel Web come mezzo in grado di avvicinare gli individui e rendere il mondo un luogo più aperto, giusto e democratico. Popola "Energie della Galassia", la sua prima collana, di racconti, mutanti, vampiri, regine, poliziotti. Sono loro che si muovono in un universo che vede mosso non solo dalle leggi della fisica, ma da quelle altrettanto vere dell'eros, della ione, del desiderio, del sesso e della voglia degli esseri viventi di unirsi e congiungersi. Nasce a Torino il 15 aprile 1977. Gli piace andare in bicicletta, eggiare nella Natura e dedicare la maggior parte del suo tempo libero alla sua splendida famiglia. Non si separa mai dai suoi potenti smartphone di ultima generazione.

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