Greed 382cw

Davide Volonté

Greed

«Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni».

Vangelo di Luca 12,15

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Ogni riferimento a luoghi, a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

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ISBN:Non disponibile Questo libro è stato realizzato con BackTypo un prodotto di Simplicissimus Book Farm

Greed

Indice dei contenuti

PRIMO GIORNO 1. 2. 3. 4. 5. RIVELAZIONI 1. 2. 3. 4. 5. SCELTA LIBERA 1. 2. 3.

4. 5. SENZA RAGIONE 1. 2. 3. 4. 5. TIRARSI FUORI 1. 2. 3. 4. 5. EPILOGO

PRIMO GIORNO

1.

La berlina procedeva lenta nel traffico del mattino. I flussi d’auto si trascinavano lungo le strade di Milano, destinati ai semafori successivi. Sotto il cielo di Maggio, i frastuoni riecheggiavano in tonalità stridenti. L’orologio indicava le sette. L’uomo riabbassò il polsino della camicia e si riassestò sul sedile posteriore, sforzandosi di scrutare la prospettiva che il finestrino gli offriva. Ogni tanto adocchiava l’autista, silenzioso e impeccabile; molto più spesso spostava lo sguardo al trolley, come se sentisse il bisogno di aggrapparsi all’unico oggetto che in quel momento gli appartenesse. La sua mente stava ripercorrendo a ritroso le vicende dell’ultima ora, da quando l’auto di NRG, avvolta dalla luminescenza rosea dell’aurora, aveva parcheggiato sotto casa sua. L’uomo ripensava al batticuore celato tra le tendine, dalle quali aveva spiato i movimenti di quel tizio che era sceso dalla berlina e si stava avvicinando al cancelletto. Donatella stava dividendo l’attenzione tra il marito e il respiro affannoso di sua figlia Elisa. “Sono loro”, aveva bisbigliato lui, fissando la strada lontana sei piani dal suo sguardo. “Sei sicuro di voler andare? Se non te la senti, troveremo un altro modo per…” “Sai che non esiste un altro modo. Tu occupati della bambina, al resto penserò io.” Il cicalio del citofono li aveva fatti trasalire, sopraffacendo i loro pensieri. “Andrà tutto bene. Al mio ritorno, Elisa potrà curarsi.” La donna aveva annuito, il viso velato dalle prime lacrime, mentre lui si era diretto verso la cornetta.

“Va bene, scendo subito.” “Stai attento, ti prego. Se dovesse succederti qualcosa, io…” “Stai tranquilla, dai, non piangere: parteciperò a un reality, non a una guerra. Piuttosto, sai se Giovanna riesce a are, oggi?” “Si, mi ha garantito che viene direttamente qui, quando finisce il turno in ospedale.” “Bene. Stalle addosso, mi raccomando. È una brava infermiera, ma a volte si distrae…” “Non ti preoccupare, amore.” L’uomo aveva spostato lo sguardo sulla bimba, avvolto da una nostalgia disarmante. “Fatti forza, stellina. Papà tornerà tra cinque giorni e ti porterà un bel regalino. Vedrai, per il tuo primo compleanno organizzeremo una grande festa!” Le aveva dato un bacio sulla guancia, prima di recuperare il bagaglio e voltarsi verso Donatella. “Allora, io vado…” Sua moglie si era avvicinata e gli aveva preso la mano. Si erano fissati a lungo, dritti negli occhi, complici di intese e speranze che nessuna espressione poteva descrivere. “Solo una cosa, prima. Voglio che tu sappia che approverò ogni tua scelta, qualsiasi essa sarà. So quanto il tuo cuore sia generoso e so anche quello che significhiamo per te.” Lui aveva sorriso, colmo d’orgoglio. “Devi promettermi che non ti sentirai mai solo, soprattutto nei momenti di sconforto.” “Te lo prometto.”

“Buona fortuna, amore mio”, gli aveva sussurrato infine, tranquillizzandolo con un bacio. “Anche a voi. Spero tanto di non deludervi.” “Non potresti neanche volendo. Vai là sereno e fa’ solo del tuo meglio, senza assilli. Pregherò il Signore ogni momento, affinché sia la volta buona.” “Lo sarà. Vedrai, stavolta lo sarà.” Ricordava bene com’era iniziata, quella storia: si era coricato da pochi minuti, dopo aver salutato l’arrivo di un’alba che gli era sembrata come tante altre. Nel dormiveglia, aveva udito gli squilli fastidiosi del telefono, quindi la voce di Donatella. Qualche parola che gli era giunta ovattata e infine la porta della camera che si era aperta. “È per te, tesoro. Dicono che sono della televisione.“ “Quelli del canone? E cosa diavolo vogliono?” “No, dicono che sono emissari di un’emittente privata. Vogliono parlare con te.” Si era alzato, frastornato dalla fatica di quel turno pesante come un macigno, che tornava ogni maledetta notte dalle dieci alle sei. “Pronto?” “Buongiorno, parlo con il signor Lorenzo Beccardo?” “Si, sono io.” “Sono Devazzani, signor Beccardo, e chiamo per conto di NRG. Sono sicuro che ci conosce, signor Beccardo.” “Certo che vi conosco, ma non sono abbonato alla vostra pay TV. E, glielo dico subito, non sono interessato a farlo.” Risata garbata, all’altro capo dell’apparecchio. “No, signor Beccardo, non sono un venditore, ma un dirigente televisivo. Ed è per me una gioia comunicarle una notizia che cambierà la sua vita.”

Quel Devazzani aveva detto ben poche cose, pur avendo speso un’infinità di parole e condito i suoi proclami con un’allegria che inquietava. Alla fine, era riuscito a spiegare il motivo della sua chiamata: il network stava organizzando un nuovo reality show, che metteva in palio un premio in denaro. “Rigorosamente denaro contante, signor Beccardo; niente gettoni d’oro o altri trucchetti televisivi.” Il sorteggio era stato fatto includendo tutti i tabulati delle aziende italiane, perché NRG era alla ricerca di persone vere, provenienti dalla classe lavoratrice. Non voleva attori di seconda scelta, né raccomandati inetti. Il nome di Lorenzo era stato semplicemente estratto tra milioni, sfidando tutte le leggi matematiche della probabilità. “Un vero colpo di fortuna; non crede, signor Beccardo?” “Io… io non capisco…Non ho partecipato a nessun concor…” “Tutti i lavoratori l’hanno fatto, senza saperlo.” “Come sarebbe a dire, scusi? Io non ho dato alcun consenso al trattamento dei miei dati personali! Qui si tratta di violazione della privacy!” “Non si perda in dettagli inutili, per cortesia: riceverà ogni spiegazione a tempo debito. Piuttosto, rifletta su quanto le sto dicendo. Lei può vincere molto denaro, signor Beccardo.” “Quanto, esattamente? Di che cifre si sta parlando?” “Come può immaginare, non le posso anticipare niente. Deve fidarsi di me, ma soprattutto di NRG: un marchio che è una garanzia.” Mi spiace, ma al momento sono a corto di certezze… “Signor Beccardo, la sto invitando a partecipare al nostro gioco. In cambio dell’opportunità che chiunque vorrebbe, le chiedo solo la disponibilità e cinque giorni del suo prezioso tempo.” Ne parlò come se si trattasse di una richiesta semplice. Faceva alla svelta a proporre, lui. Era un dirigente, guadagnava montagne di soldi e disponeva del

tempo a suo piacimento. “Signor Beccardo, questo è un treno da prendere in corsa. Sono le tempistiche televisive, lo sa meglio di me perché mi sembra un uomo attento. E anche molto, molto fortunato. Almeno al gioco, signor Beccardo. Vedrà, ci saranno grandi sorprese se deciderà di accettare. Le offro l’occasione per porre fine a tutte le sue difficoltà.” “Difficoltà, lei dice? Mi creda, sono molto più che semplici diff…” “Detesto doverla interrompere, signor Beccardo; purtroppo, altre urgenti faccende mi reclamano. Comprendo benissimo le vicissitudini delle persone, gli affanni quotidiani. Per questo portare ottime notizie mi rinfranca il cuore.” Devazzani aveva deciso di stringere i tempi. Si era limitato a informare il suo interlocutore che aveva a disposizione sette giorni di tempo per prendere una decisione. Accettando la proposta, Lorenzo avrebbe conosciuto la data in cui un’auto si sarebbe recata a casa sua e lo avrebbe accompagnato al luogo prescelto. Una volta raggiunta la location, poi, un incaricato dell’emittente sarebbe stato ben disponibile a fornire tutte le delucidazioni necessarie, a lui e agli altri fortunatissimi concorrenti. Devazzani si era infine congedato, dopo aver assicurato di richiamare allo scadere del settimo giorno. La sua ultima precisazione era stata che, tra gli effetti personali di ogni partecipante, non potevano esserci né telefonini né oggetti pericolosi. La berlina imboccò la tangenziale. I primi riverberi del sole luccicavano sui finestrini e sulle lamiere dei veicoli, indaffarati ad aprirsi un varco tra le corsie intasate. Ne avevano parlato insieme un sacco di volte, lui e Donatella. Il loro animo era diviso tra sconcerto e diffidenza: da una parte, si era imposta la consapevolezza che potesse trattarsi dell’unica opportunità per salvare la loro bambina. Se non avessero tentato, il rimorso li avrebbe martoriati per tutta la vita. Dall’altra, era cresciuta la convinzione che dietro quella faccenda si nascondessero solo dei ciarlatani dal sorriso ipocrita, pronti a vendere enciclopedie oppure a proporre polizze sulla vita, sulla casa o su chissà cos’altro. In fondo, quali alternative avevano? Donatella, esaurito il tempo di maternità,

era stata costretta a lasciare il lavoro di commessa, per accudire Elisa a tempo pieno. Lorenzo, dal canto suo, era vincolato a una mansione mal retribuita e senza margini di miglioramento, che ogni maledetta notte lo inchiodava alla garitta di custodia del parcheggio. Oltretutto, le lunghe ore di solitudine gli concedevano solo l’occasione per commiserarsi e rimuginare, unici compagni gli spettri delle sue angosce. La situazione non era certo migliorata quando avevano deciso di rivolgersi alle persone più vicine: l’illusione di ricevere sostegni concreti si era infranta contro l’indifferenza e l’ipocrisia. I parenti si erano dileguati appena fiutato l’odore di possibili richieste di denaro, non prima però di aver speso toccanti parole di conforto. Gli amici avevano cominciato ad accampare un’infinità di pretesti e, nelle ultime settimane, a evitare perfino di rispondere al telefono. Tutti avevano finto ed erano fuggiti imbarazzati; le ferite dei Beccardo, soli e sfiniti, bruciavano sotto le lacrime. La berlina lasciò la Tangenziale e procedette in direzione di Pavia. Tra le brughiere emergevano cascine e fienili, animali al pascolo protetti da recinti di legno. - Non manca molto, signor Beccardo. Tra venti minuti saremo a destinazione. - Va bene, grazie - rispose l’altro, soddisfatto per aver scoperto che anche l’autista aveva una voce. Ormai ci siamo, pensò, raggiunto da un’improvvisa paura fisica che cercò di respingere con un respiro profondo. Era giunto il momento di valutare quell’opportunità per ciò che era. Se avessero tentato di propinargli libri o polizze, non avrebbe fatto altro che alzare i tacchi e andarsene. Poco gli importava di come sarebbe tornato a casa; in autobus, in treno o perfino a piedi. Non c’era più tempo per esitare, non per Elisa. Era suo padre, e doveva andare fino in fondo. In caso di fallimento, sarebbe semplicemente ripartito una volta di più. Non si sentiva solo, Donatella condivideva ogni suo respiro. C’era anche il buon Dio, da qualche parte. E magari un angelo etereo, seduto accanto alla sua bambina. Ormai ci siamo. Il aggio dell’auto scatenò un’esplosione di uccelli. Lorenzo chiuse gli occhi e dilatò le narici; la verità era dietro l’angolo.

2.

La strada sterrata affondava nel ventre del boschetto, scortata sui cigli da file di robinie che imponevano la loro ombra. Dopo trecento metri, oltre la curva, apparve una casa: s’intravedeva appena, protetta da una recinzione di siepi. Beccardo sentì il respiro accorciarsi, mentre il cuore pulsava nelle tempie. Ormai ci siamo, si disse per l’ultima volta. La berlina giunse davanti al cancello automatico, che si aprì immediatamente. S’immise nel viale selciato, attraversò il giardino e raggiunse lo spiazzo del parcheggio. Si arrestò davanti al vialetto pedonale, dal quale si poteva raggiungere il portico. Nell’androne sostava un gruppo di persone; alcune di loro sembravano indossare lo stesso abito, come se si trattasse di un’uniforme. Recuperato il bagaglio, Lorenzo scese dall’auto e chiuse la portiera. Osservò l’autista ripartire con decisione e ripercorrere il viale, fino a scomparire oltre il cancello. Si avviò verso gli altri, esplorando le composizioni che lo attorniavano. Le aiuole esplodevano in un mosaico di azalee e ortensie, conturbato dalla fragranza delle rose. La vivacità dei tulipani si alternava all’erba rasa, dove la brezza correva in soffici onde. Un individuo gli si stava avvicinando. Beccardo lo scrutò con attenzione: si trattava di un giovane dalla bella presenza, apparentemente sicuro di sé. Sfoggiava un vestito scuro, di raso, abbinato a una camicia color ghiaccio e a una cravatta gialla. Il o sicuro faceva intendere che si trattasse dell’incaricato menzionato da Devazzani, anche perché, fino a pochi istanti prima, si era intrattenuto con quelli che dovevano essere gli altri concorrenti. Alle sue spalle si erano mossi i tre accompagnatori, forti della loro corporatura da lottatori di wrestling. Si fermarono dietro di lui, nascosti da un paio di occhiali a specchio, e si limitarono a incutere timore dall’alto del loro metro e novanta. - Buongiorno, signor Beccardo, mi chiamo Davide Briola. A nome di tutto lo

staff di NRG, le do il benvenuto. Come avrà già intuito, questa sarà la casa in cui si svolgerà il gioco. Bruno, per cortesia, pensa al bagaglio del signore. Lorenzo vide che uno dei tre bellimbusti era uscito lateralmente dal piccolo plotone e stava avanzando verso di lui. Non era sicuro di volergli lasciare il trolley, però si convinse alla svelta, complice la fisicità imponente di questo Bruno. Se le cose si fossero messe male, ritenne, non avrebbe fatto altro che riprenderselo e tornare a casa. - La prego, mi segua. La accompagno dagli altri concorrenti. Percorsero insieme il breve tragitto, fino all’androne. Lorenzo inalò il fresco profumo che l’uomo emanava; sembrava provenire dal movimento dei suoi lunghi capelli ondulati. - Signori, vi presento il quarto e ultimo concorrente: il signor Lorenzo Beccardo. - Molto lieto - sussurrò timidamente lui. - Monica Pacci - si presentò l’unica presenza femminile, allungando la mano. Era una donna di bell’aspetto, elegante nel vestito e nelle movenze. Le forme seducenti erano perfettamente proporzionate al metro e settanta di altezza. Gli occhi smeraldini brillavano, incastonati in un viso delicato. Le ciocche ramate accompagnavano i movimenti. - Tommaso Andreini! - esclamò uno dei due uomini, elargendo una salda stretta di mano. Il viso scavato era il preludio alla sua costituzione esile, evidenziata da una statura che superava il metro e ottanta. La chioma castana e scompigliata copriva collo e orecchie, rivitalizzata da un ciuffo disordinato sulla fronte. Nei suoi occhi scuri aleggiava una strana inquietudine; Lorenzo si chiese quale fosse il tormento che lo avesse trascinato fin lì. - Io sono Michele Cortina - disse distrattamente l’ultimo, senza muoversi. La sua altezza, di poco superiore a quella della donna, metteva in risalto un ventre leggermente sovrappeso. I capelli erano neri, fitti e lisci, dall’attaccatura bassa. Le sfumature di grigio dei suoi occhi mostravano uno sguardo fiero, perfino provocatorio. L’uomo sembrava annoiarsi, ma forse era solo infastidito da una compagnia indesiderata. Osservandoli meglio, Beccardo ebbe la sensazione che fossero tutti suoi

coetanei, intorno alla quarantina. Solo Monica sembrava più giovane di qualche anno. Ritenne però inutile spingersi oltre; non era mai stato bravo a indovinare l’età delle persone. Non avrebbe saputo far di meglio neanche con se stesso, se fosse stato un osservatore esterno: si considerava un individuo come tanti, dal volto non particolarmente espressivo e dalla corporatura anonima. I capelli fini e tendenti al sale e pepe, poi, non aggiungevano certo un particolare degno di nota. Insomma, era un soggetto che non avrebbe suscitato alcun interesse, ando per la strada. Lorenzo ebbe un sussulto: Bruno allungò le mani, con il chiaro intento di perquisirlo. Istintivamente, fece un o indietro. - Non si allarmi, si tratta solo di una normale misura di sicurezza. Siamo certi che non abbia con sé né telefonini né oggetti pericolosi, ma la procedura ci impone di verificare. L’uomo dominò la repulsione verso quell’energumeno invadente e si adattò, volendo evitare di are subito per un rompiscatole. - Bene, signori. Ora che avete fatto reciproca conoscenza e rotto un po’ gli indugi, erei alla spiegazione di questa bell’idea che ci è venuta. Innanzitutto, abbiamo la presunzione di supporre che già ci conosciate. NRG è la sigla che sta per New Real Game, un canale satellitare che da diverse stagioni trasmette reality show e giochi a premi. Ci basiamo da sempre sul principio dell’innovazione, cercando di proporre prodotti originali sempre più apionanti. E, permettetemi una piccola forma d’immodestia, con ottimi risultati. Ma vi prego, seguitemi. Vi mostro il vostro prossimo alloggio. Briola raggiunse la porta d’ingresso e la socchiuse quanto bastava per far entrare i suoi uomini. Solo dopo qualche istante la spalancò, permettendo ai quattro concorrenti di avere il primo contatto visivo con il nuovo ambiente. L’uomo li incoraggiò ad avvicinarsi, con ampi gesti della mano. Pur titubando, varcarono l’uscio ed entrarono nel locale, a disagio come inquilini in ritardo con l’affitto. Il salone si presentava come un ambiente ampio e confortevole, illuminato dalla finestra adiacente alla porta blindata. La pavimentazione in cotto donava una sensazione di calore, grazie alle sue sfumature di rosso, marrone e giallo. Contro il muro più lontano, sovrastato dallo split del condizionatore, si adagiava un divano ricoperto da un tessuto verde pastello. Accanto a esso alloggiava una

porta bianca, mentre lungo il fianco di destra si allineavano due quadri astratti; dal loro trionfo di colori scrutavano un altro divano, stavolta vestito di blu oltremare. Sul lato sinistro, in fondo, si trovava un’altra porta, identica alla precedente. Poco oltre, saliva una rampa di scale in muratura, anch’essa piastrellata in cotto. Nello spazio sottostante, si estendeva una libreria triangolare, gremita di volumi. I tre gorilla aspettavano in silenzio, schierati uno di fianco all’altro. - Ragazzi, lasciate che i nostri ospiti si godano la sorpresa! - li esortò Briola, compiaciuto. Si spostarono senza indugiare, mostrando un tavolo contornato da quattro sedie. Appoggiata sul ripiano spiccava una valigetta, colma di mazzette dall’aspetto inconfondibile. - Ma quelli sono… sono bigliettoni! - esclamò Andreini. - Sissignore: sotto i vostri occhi splendono duecentomila euro, in banconote da cento, duecento e cinquecento! - replicò Briola, certo di aver ottenuto l’effetto desiderato. Lo stupore assalì i partecipanti: Beccardo e la Pacci si scambiarono un’occhiata meravigliata, mentre Cortina, senza scomporsi, si ò una mano sulla guancia. - N-non ci posso credere… Chissà cosa ci chiederete di fare, per tutto questo denaro… - È molto semplice, signor Beccardo, più di quanto possa immaginare - rispose l’altro, spostando lo sguardo da un concorrente all’altro - Lo scopo del nostro gioco è apparentemente simile a quello di altri già visti, ma la differenza, come vi spiegherò più avanti, è sostanziale. Ad esempio, la Produzione non ha voluto che si stabilisse alcun contatto tra i partecipanti e lo studio, con il conseguente risparmio di allestimenti e servizi dedicati. Briola li osservò, sicuro di avere in pugno la loro attenzione. - Signori, quello che vi chiediamo è di soggiornare in questa casa per un periodo di quattro giorni e quattro notti. Potrete far trascorrere il tempo come più vi aggrada; scoprirete presto che agi e comfort non mancano. Devo però avvisarvi

che nessuno di voi potrà abbandonare l’abitazione senza essere autorizzato, pena l’esclusione automatica dal gioco. Ovviamente, non esiteremo a farvi uscire in caso di gravi motivi familiari o di salute, ma ci auguriamo che ciò non sia necessario… Beccardo pensò a Elisa e soffocò un palpito d’angoscia. - Ogni giorno, tranne il primo per motivi d’ambientamento, vi sarà chiesto di superare una prova. Abbiamo preparato una serie di sfide basate sulla resistenza e sulla concentrazione, tutte assolutamente prive di rischi. Molte persone stanno lavorando dietro questo reality per garantire che ogni evento si svolga nella massima sicurezza. La nostra politica condanna le competizioni pericolose e non accetta compromessi o trucchi che ingannano il telespettatore. Signori, qui è tutto vero; la finzione, semmai, la lasciamo alle strategie che metterete in atto, elementi che condiranno la competizione come una spezia pregiata. Briola guardò l’orologio, ma non tradì alcuna impazienza. - Al termine di ciascuna prova, la Produzione stilerà una classifica; essa non sarà decisiva, perché servirà unicamente a fornire degli spunti per i televotanti. In questo gioco, il pubblico sarà sovrano e unico governatore delle vostre sorti: toccherà a lui stabilire vincitori e vinti. Ora, sapete meglio di me che da casa spesso si privilegiano le simpatie; comprendete bene, quindi, l’importanza di sapersi rendere piacevoli… - Chi di voi otterrà il punteggio più basso nell’indice di gradimento del pubblico, sarà ahimé eliminato e riaccompagnato a casa. Solo i due concorrenti che arriveranno al quarto giorno potranno contendersi il premio in denaro. Al termine dell’ultima prova, il finalista battuto verrà condotto nei nostri studi, dove lo attenderanno i partecipanti eliminati in precedenza. Il vincitore, con la valigetta ben stretta tra le dita, giungerà per ultimo e sarà accolto dal tripudio di un bagno di folla. Credetemi, costruiremo una puntata eclatante; anche gli altri ritroveranno un po’ di gioia e la sconfitta sarà meno amara. Andreini s’immedesimò nel finale pirotecnico: un’esplosione di coriandoli scintillava alle sue spalle, mentre scendeva la scalinata vestito da antico re se. - Ricordatevi che sarete sempre osservati con il massimo interesse: l’abitazione, fatta eccezione naturalmente per l’intimità dei bagni, è piena di telecamere,

microfoni e altoparlanti, che vi permetteranno di comunicare con i tecnici e gli organizzatori. Non sarà facile gestire questa condizione inusuale, perciò vi consiglio di abituarvi alla svelta. Beccardo trasalì, deglutendo un paio di volte. Sapeva che funzionava così in tutti i reality show, però l’idea di essere perennemente sotto gli occhi invadenti di chissà quante persone lo colse impreparato. - Nella casa è presente una stanza dove chiunque di voi potrebbe essere convocato, qualora il Direttore lo ritenesse necessario. Da qui non la vedete, perché è all’interno di quel locale che scoprirete essere la cucina. L’abbiamo battezzata Blueroom. Briola rimase in silenzio per alcuni istanti, intento a esaminare i loro volti. - Solo i telespettatori potranno ascoltare le conversazioni che si terranno al suo interno: l’insonorizzazione garantisce l’assoluta privacy e la serratura blindata si può attivare solo dalla cabina di regia. Posso assicurarvi fin da ora che quella stanza vi tornerà molto utile. Cortina rifletté su quell’ultima frase. In effetti, quel tizio non aveva torto: ciò che si sarebbe detto lì dentro avrebbe potuto condizionare diverse situazioni. - Un’ultima cosa, signori, prima di lasciar spazio alle vostre domande. Vi devo informare che le tempistiche televisive e le scelte a esse correlate sono esclusivamente a discrezione della Direzione: finché non riterrà opportuno aggiornarvi, sarete all’oscuro di tutto.

3.

Al terzo squillo, Briola si allontanò di qualche metro e rispose al telefonino. I concorrenti si scambiarono qualche sguardo perplesso, ma nessuno parlò. I tre gorilla erano in piedi alle loro spalle, le braccia conserte, silenziosi dietro gli occhiali scuri. Finalmente, conclusa la chiamata, l’incaricato di NRG tornò da loro. - Signori, vi prego di scusarmi. Gli impegni, come gli esami, non finiscono mai. - Perché avete messo in palio così tanti soldi per così pochi giorni? - Ottima domanda, signor Cortina. Sono contento che siate dei concorrenti perspicaci: il gioco ne guadagnerà notevolmente. Un nuovo suono disturbò la conversazione. Briola diede una rapida occhiata al suo telefonino, prima di farlo sparire nuovamente nella tasca della giacca. - Finora avete sempre visto o sentito parlare di percorsi televisivi lunghi, trattandosi di reality. Permanenze prolungate nelle case, prove avventurose, decine di concorrenti… Ciascun network ci ha messo del suo, noi compresi, tentando a ogni nuova edizione di inserire varianti che potessero inchiodare i telespettatori alle loro poltrone. Sappiamo tutti però che riproporre le stesse cose crea disinteresse e noia. Una scelta vincente può trasformarsi pochi mesi dopo in un clamoroso fiasco. Michele lo stava osservando attentamente. Era incuriosito da quell’uomo, che non tradiva disagio e non dava mai l’idea di esitare o di scomporsi, pur sapendo di essere attorniato da gente che a breve si sarebbe fatta avanti con domande incalzanti. Anche se lo aveva etichettato come nemico, al pari degli altri concorrenti, non poté fare a meno di provare ammirazione per lui. Per certi versi avrebbe voluto assomigliargli, avere la sua brillante sicurezza. Era smanioso di

vedere come se la sarebbe cavata di lì a poco. - NRG è incessantemente alla ricerca di nuovi temi. Per questo, signori, il gioco che vi sta proponendo nasce con tre grandi innovazioni. Respirò profondamente, si ravviò i capelli e con lo sguardo sfiorò i suoi uomini. - La prima novità assoluta è che si tratta di un pocket-reality game. - Cioè, che significa? Perché avete tutto il vizio di usare i termini inglesi? Non ne abbiamo abbastanza di nostri sul dizionario? - Ha ragione, signor Andreini, ma il linguaggio di comunicazione universale è formato da queste espressioni. Intendo dirvi che si tratta di un gioco “tascabile”, ovvero di breve durata. Quattro giorni e quattro notti, come vi ho già spiegato; davvero poco se considerate la durata media di una trasmissione di questa categoria. I tre gorilla erano sempre statue. Monica si augurò che entrassero un paio di mosche e che iniziassero a gironzolare intorno alle loro teste. - La seconda novità di fatto già la conoscete: la selezione dei partecipanti è stata impostata sul sorteggio. Nessuna colonna di pretendenti e nessun raccomandato senza talenti. Solo persone vere. E, soprattutto, ignare. Si è ato quindi, in secondo step… pardon, in secondo luogo, al fattore sorpresa. Attraverso questa strategia, i concorrenti sono stati gli ultimi a sapere cosa stava accadendo, tramite una telefonata che non ha rivelato nulla. È tutto registrato, signori, comprese la sorpresa e l’incredulità che più o meno tutti avete dimostrato. Briola aggiunse una nuova pausa calcolata. - La terza, già vista in alcuni giochi a premi ma mai prima d’ora in un reality, è che il denaro sarà presente per tutta la durata del gioco, costantemente sotto i vostri occhi. Silenzio e sbigottimento invasero il salone. Il tempo sembrò congelarsi in un istante protratto all’infinito. - Scusi, ma… non credo di aver capito bene… Ci sta dicendo che quella valigetta traboccante di bigliettoni resta qui, con noi? Insomma quando voi

uscirete e resteremo soli, quella… tutto il tempo? - farfugliò Beccardo. La gola gli si era seccata in un secondo. - Assolutamente si. Si tratta di un energico cambiamento di direzione; se dovesse funzionare come crediamo, questa soluzione verrebbe proposta altre volte. In ogni caso, voi siete i primi e come sempre accade si ricorderanno di voi, anche a distanza di anni. Controllò nuovamente il suo telefonino, lo rimise in tasca e tornò sui loro volti. - Quindi, per rispondere alla sua domanda, signor Cortina, ci sono così tanti soldi per così pochi giorni perché crediamo nella conquista dell’audience. Altre domande? - Ci sono premi di consolazione? Non so, per il finalista sconfitto… - domandò timidamente Andreini, con un filo di voce. - Purtroppo no, altrimenti la lotta sarebbe meno agguerrita... Scherzi a parte, credo che l’opportunità che avete fin da ora, cioè l’occasione di uscire dall’anonimato, sia già di per sé un premio importante. Però attenzione: noi garantiamo la visibilità, non il successo. Il resto dipenderà da come giocherete le vostre carte. Michele si accese una sigaretta, incurante del fatto che potesse nuocere a qualcuno. Aspirò con un’ampia boccata e soffiò il fumo lentamente. Dava l’idea di non vedere né sentire chi lo circondava: era solo un’ombra accigliata, un cervello che elaborava. - Dove siamo qui? Intendo dire, in quale luogo esatto? - domandò Monica facendo aria con la mano, indispettita da quel cafone che gli fumava addosso. - Ne sono tutti al corrente, signora Pacci, tutti tranne voi. Cioè, esattamente come deve essere - replicò Briola facendo cenno ad uno dei suoi uomini, che poco dopo rispuntò con un posacenere. - Si, ma che senso ha tenercelo nascosto? Perché tutto questo mistero? Io non… - Si tranquillizzi, Monica, non esiste un solo dettaglio lasciato al caso. Voi sapete che NRG è un canale di DI, che a sua volta appartiene all’impero planetario di DCW? Siete a conoscenza del fatto che apparteniamo ad una potenza mediatica

assoluta? - Ha smesso di parlare straniero e ora inizia con le sigle? Guardi che io sono un semplice operaio, mica un esperto telev… - Il vostro gruppo è più che famoso, signor Briola - lo interruppe bruscamente Cortina - Dobbiamo essere all’oscuro di tutto? Va bene, ci può stare, ma il punto è che noi su alcune cose vogliamo certezze. Credo sia umano, no? Siamo stati catapultati qui, ora lei ci spara questa raffica di novità a bruciapelo… Il minimo che possiate attendervi da noi è un po’ di apprensione. O sbaglio, signor Briola? - Avete assolutamente ragione. Quello che sto cercando di dirvi è che non potreste essere in mani migliori. In questo momento i vostri cari sono già stati informati di ogni cosa, dettagli compresi. Loro, ora, sanno molto più di voi. Comprendo benissimo le vostre preoccupazioni, ma è tutto perfettamente sotto controllo. Dovete solo concentrarvi sul gioco e cercare di vincere quella somma da capogiro. Pensate a che tattiche utilizzare, a quali strategie mettere in campo. Del resto ci occupiamo noi. S’interruppe per un colpo di tosse che sembrò forzato. - In quanto alle sigle, signor Andreini, è presto detto. Il mondo televisivo, e non solo, a questi livelli si esprime in acronimi. Pensi a degli esempi banali: le ragioni sociali, i computer, la maggior parte delle tecnologie di lavorazione… La stessa azienda presso cui lavora è un’abbreviazione. Lo è anche il suo codice fiscale. Andreini avvertì il tono duro della sua replica e decise di non controbattere. - Chi di voi ha mai sentito parlare di un signore di nome Al Bharak? - Credo sia uno dei dieci uomini più ricchi del mondo - rispose la donna. - Esattamente il sesto, Monica! - esclamò l’uomo, compiaciuto. La Pacci era irritata dall’atteggiamento falsamente confidenziale di Briola. Non sopportava che da qualche minuto si fosse preso la libertà di chiamarla per nome. Il suo sorrisetto le dava il voltastomaco, perché gli ricordava certi porci che aveva incontrato in ato.

- Al Bharak è un facoltoso uomo d’affari arabo. La sua storia finanziaria è iniziata venticinque anni fa, quando è entrato prepotentemente nel business del suo primo amore: il petrolio. Questo gli ha consentito di conquistare rapidamente il mercato mediorientale e di investire i suoi ingenti introiti in svariati campi. Il suo impero economico ha assunto negli anni carattere mondiale, diramandosi attraverso decine di settori: dalla new economy statunitense al mercato tradizionale europeo, dalla produzione di energie rinnovabili allo sviluppo di nuovi cip elettronici. È inoltre proprietario di istituti di credito e di compagnie assicurative. Insomma, come si dice in questi casi, è un vero e proprio magnate dell’economia. Andreini, annoiato, sbadigliò troppo forte. Alzò la mano per scusarsi, comprendendo subito di aver esagerato. - Tra le varie cose, questo signore possiede anche una serie di canali satellitari in tutto il globo, denominata DCW, Digital Channel World. In Italia il suo uomo di riferimento è Luciano Ribbi, l’amministratore delegato che dirige DI, Digital Italy, a cui appartiene NRG. Dovete sapere che è Ribbi stesso l’ideatore del programma; ne va molto orgoglioso e, come tutti noi, è convinto che funzionerà. - Quale ragione vi rende tanto ottimisti? Per quanto l’idea possa essere innovativa, si tratta pur sempre di un salto nel buio. So come si fa uno studio di mercato e, francamente, il vostro mi sembra un grosso azzardo… - osservò la Pacci. - Le previsioni, costruite sull’esperienza di esperti del settore e su fini sondaggi popolari, sono ottime. Potenzialmente, attraverso gli strumenti pubblicitari che abbiamo utilizzato sul satellite, siamo certi di poter ottenere un cospicuo guadagno. In ogni caso, si tratta di un investimento a medio e lungo termine. Se alla prima edizione non dovesse fruttare come prevediamo, resteremmo fiduciosi. L’entusiasmo non è mai mancato nel nostro gruppo. - I giusti slogan, lei dice? Io non ho mai visto né sentito nulla su questo gioco, né in tivù né altrove - intervenne Cortina spegnendo la sigaretta nel posacenere. - La propaganda è stata distribuita esclusivamente sui canali del pacchetto DI. La nostra azienda ha scelto di sorteggiare solo lavoratori con cui non ha mai avuto alcun tipo di rapporto. Nessuno di voi è abbonato né ha mai sentito parlare di questo show; altrimenti dove sarebbe l’effetto sorpresa che da più di mezz’ora

sta dipingendo i vostri volti? Ah, a proposito, ora posso dirvelo: siete in onda fin dal primo istante del vostro arrivo! - Non ci ha ancora detto come si chiama questo reality… - chiese Beccardo. - Il nome? Beh, abbiamo pensato… L’abbiamo chiamato… “Dove abita il Sogno”! Per la prima volta e con estrema soddisfazione, Cortina si accorse che Briola era stato in difficoltà. Il nome, come poteva esserselo dimenticato? “Dove abita il Sogno”… Potevano pensarne uno meno banale. Sembrava perfino improvvisato… D’un tratto il sorriso gli si spense, senza che ne capisse la ragione.

4.

Dopo aver ottenuto le firme dei quattro candidati sul contratto di partecipazione, Briola aveva lasciato la casa. Si era congedato con un augurio di buona sorte e si era portato via i suoi scagnozzi. I concorrenti stavano circondando il tavolo, gli occhi incollati sulla valigetta aperta. Solo Andreini non riusciva a zittirsi un secondo, posseduto da un’euforia quasi isterica. - Avanti, chi di voi ha mai visto tutta ‘sta grana? Beccardo sembrava una scultura, incapace di distogliere la mente dalle fantasie che le ultime rivelazioni avevano alimentato. - Duecentomila euro… Ma vi rendete conto? La Pacci sfiorava i soldi con le dita, timorosa di sgualcirli. - Tutti questi bigliettoni… Guardateli, non sono la cosa più bella che abbiate mai visto? Cortina, che a sua volta si stava sforzando di soffocare lo stupore, avvertì un suono ovattato, simile a una chiusura metallica. Gli fu impossibile però intuirne la provenienza: Tommaso e la sua lagna avevano monopolizzato il salone. - Che gran bella storia! V’immaginate quante cose ci si può comprare? - Che si fa, ragazzi? - lo interruppe Lorenzo, saturo dei suoi acuti. - Tanto per cominciare, perlustrerei volentieri la casa. Hanno parlato di comfort, no? Sono proprio curiosa di scoprirli! - rispose Monica, risoluta. Improvvisamente, udirono uno spunto elettrico. In pochi istanti furono raggiunti

dalle prime correnti d’aria fresca. - Che succede? Chi ha il condizionatore? - chiese Andreini. - Noi no di certo. Non c’è neanche il telecomando - considerò Beccardo, guardandosi intorno. - Vabbé, tanto cominciava a far caldo… Per forza, è tutto chiuso. Michele, visto che sei il più vicino alla finestra, ti spiacerebbe far entrare un po’ d’aria? - Volevo proporvi la stessa cosa, Monica; qui dentro non si respira. Per forza, finché fumi… L’uomo raggiunse l’infisso e tentò di girare la maniglia; con grandissima sorpresa, scoprì che era bloccata. Insistette più volte, sbigottito, finché decise di tentare con la porta d’ingresso. Purtroppo per lui, il risultato fu il medesimo. Ecco cos’era quel rumore di prima… - Niente da fare. Siamo chiusi dentro - concluse mestamente. - Come sarebbe a dire? Va bene che non possiamo uscire, ma blindarci in casa… - protestò Beccardo a braccia aperte. - Appunto. Non hanno certo parlato di prigionia forzata! - si unì anche la Pacci, inviperita. - Che storia malata è questa? Briola non ci ha det… <Buongiorno signori. Per cortesia, vi chiedo di non allarmarvi inutilmente> intervenne una voce metallica dal timbro maschile, proveniente dagli altoparlanti. <Si tratta di una misura precauzionale per proteggere il premio. Siete tutte brave persone, però una circostanza simile può costituire una forte tentazione per chiunque. È assolutamente umano> aggiunse, con tono rassicurante. Si sollevò un brusio di reazione, ma la Voce proseguì imperterrita. <È ovvio che, in caso di necessità, porte e finestre si aprirebbero

istantaneamente. In ogni caso, l’abitazione è dotata di un impianto di climatizzazione di alta qualità: i due telecomandi, che troverete sul tavolo della cucina e su uno dei letti, vi permetteranno di variare a vostro piacimento le condizioni di ciascun locale.> - Vorreste farmi credere che là fuori non ci siano i vostri uomini a piantonare la casa? Tutta questa cautela non ha senso, sapete benissimo che nessuno potrebbe scappare! - insorse Cortina, raggrinzendo la fronte. Abbassarono gli occhi senza replicare, toccati nel vivo. I concorrenti si guardarono, costernati. - Sentite, è inutile rimuginare oltre - esordì Monica con tono energico, comprendendo che la tensione cominciava a premere contro il petto - Tanto vale abituarsi all’idea, considerando che non abbiamo alternative. Propongo di non pensarci più e di proseguire con il nostro giro della casa. - Si, guarda, è meglio distrarsi - concordò Lorenzo. - Primo bivio, allora: quale delle due porte? - chiese Michele. - Cominciamo da questa, se siete d’accordo. Briola ha detto che c’è la cucina, sono curioso di vederla. E già che ci siamo, vorrei dare un’occhiata anche alla Blueroom. - Per me va bene, Lorenzo - assentì la donna. - Una cella vale l’altra… - disse Tommaso, inacidito. Cortina si mosse e aprì la porta. Con un gesto di galanteria, invitò la Pacci a

are per prima. Entrarono uno per volta, guardandosi intorno. - Caspita, com’è grande! E che cucina ad angolo! - commentò Beccardo. Al centro del locale c’era un tavolo, su cui poggiava il telecomando del condizionatore. Intorno si distribuivano quattro sedie. Sopra lo stipite, un orologio scandiva i secondi con ticchettii balbettanti. Di fianco a esso, uno split sembrava fissarli pigramente. Monica aveva raggiunto la finestra. Poco convinta, tentò di ruotare la maniglia. Chiusa, ovviamente. Cosa ti aspettavi? Ti hanno pulito i vetri e spalancato le persiane per farti vedere oltre le sbarre invisibili. Tra le tendine raccolte scorse il retro della casa, dove sembrava esserci un fienile. Sul fondo, si estendeva il bosco luminoso. Lorenzo e Tommaso si lasciarono cadere di peso sulle sedie. - Guardate, c’è anche la lavastoviglie! - fece notare il primo. - Meglio, così non c’è da discutere su chi deve lavare i piatti - replicò l’altro, amaro. Michele e Monica, che stavano ispezionando i pensili, si accorsero di quanti elementi fossero stipati lì dentro: stoviglie, bevande, alimenti di ogni genere e accessori assortiti. - Con tutta questa roba possiamo resistere anche a un attacco atomico! - Già - sorrise la donna, continuando a rovistare. - Qui c’è anche l’angolo bar: liquori e digestivi a volontà, per ogni gusto! - E per i momenti tristi - aggiunse Andreini con una punta d’ironia. La Pacci raggiunse il frigo e aprì l’anta. Rimase colpita dalla quantità di alimenti che convivevano lì dentro; evidentemente, gli organizzatori avevano fatto la spesa da poco e non avevano lesinato su nulla. Anche il freezer era gremito d’ogni ben di Dio: nei cassetti si alternavano verdure, carne, pesce e surgelati.

Beccardo, intanto, si era avvicinato alla fonte del suo interesse. Eccola, la famosa stanza dei segreti… La porta della Blueroom non aveva la maniglia. Incuriosito dal suo aspetto imponente, Lorenzo cercò di scoprire quale sistema la teneva chiusa. - Lascia stare, avremo tempo per visitarla quando ci convocheranno! - Si, Tommaso, hai ragione. Tanto più che non ci possiamo entrare. - Beh, direi che qui abbiamo finito - considerò Michele, fissando gli altri. - Vediamo cosa c’è di là? - domandò Monica, già sull’uscio. Si mossero come in una processione ordinata, rinfrancati da un principio di buonumore. Nel locale accanto si celava un secondo salotto, più piccolo ma altrettanto accogliente. Andreini si lanciò subito sul divano ad angolo, rimbalzando un paio di volte. - È comodissimo, ve lo consiglio! E poi color salmone è il massimo! - esclamò entusiasta. Dopo aver ammirato il televisore a led da trentasette pollici, Beccardo si spinse fino alla finestra, dove le tende color perla lasciavano intravedere il lato del portico che aveva accolto l’arrivo dei concorrenti. Respirò la serenità che il giardino elargiva; il peso della prigionia di quel posto senz’anima e senz’aria si fece più opprimente. Mentre Andreini e la Pacci contemplavano il tavolino in cristallo piazzato al centro, Cortina stava esaminando l’impianto Hi-Fi. Dietro le antine in vetro del mobiletto scovò diversi CD di rock e musica classica. Notò che anche in quello spazio, alto sullo stereo, non mancava lo split dell’aria condizionata. - iamo al piano superiore, che ne dite? - suggerì Andreini. Gli altri annuirono, guardandosi ancora intorno.

Procedettero in fila indiana con Tommaso davanti a tutti. Michele, che era ultimo, si ritrovò con sorpresa a scandire i diciotto gradini. Sbucarono in un corridoio, sovrastato dalle travi a vista. - All’orizzonte vedo tre porte, due a sinistra e una a destra. Da quale si comincia? - domandò Andreini con aria enfatica, simulando il tono di un ufficiale militare. - Se volete, da una di queste due - propose la donna. - Agli ordini! - continuò a scherzare l’altro, sull’attenti. Entrarono nel primo locale, scoprendo che si trattava di uno splendido bagno, piastrellato con ceramiche dalle tonalità di verde e azzurro. Apparve a tutti di un’ampiezza sproporzionata; il fatto di trovarsi sopra la cucina gli permetteva di ricalcarne le dimensioni. Beccardo osservava le proprie espressioni riflesse nello specchio del mobile, dove risaltavano tre faretti luminescenti. - Porca miseria… Avete visto? Sembra il bagno di una suite imperiale! Monica era ammaliata dalla vasca idromassaggio, estesa lungo la parete laterale. Sognava d’immergersi in un manto di schiuma e di abbandonarsi tra i getti d’acqua. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, avvertendo già un senso di relax. Cortina, davanti alle tendine, fu tentato di scostarle. Solo in quell’istante realizzò la sua nuova condizione: condotto in un posto sperduto, era nelle mani di gente sconosciuta; qualcosa di simile a un sequestro. Stava in compagnia di persone disposte a tutto pur di accaparrarsi il premio da capogiro, prigioniero di un alloggio dorato in cui non mancava nulla se non la possibilità di uscirne. Accortosi di essere rimasto solo, fu avvolto da un gelido senso d’inquietudine. Si affrettò a uscire, senza voltarsi. Accanto alla seconda porta, Beccardo e Andreini parlavano tra loro. - Cosa c’è, qua?

- Un altro bagno. Ma più piccolo - rispose Tommaso. All’interno, la Pacci era intenta a osservarsi allo specchio. - Mi sembrava strano che non cedessi ad una tentazione tipicamente femminile… Lei si voltò forzando un sorriso. Fissò Michele per un istante, prima di argli accanto e infilare la porta. - Tipo difficile, eh? C’è da capirla, è l’unica donna… - Non volevo certo metterla in difficoltà - replicò Cortina, le mani appoggiate al lavandino. Andreini decise di troncare il discorso. Rimase sull’uscio, le mani in tasca e un’espressione ormai paga di perlustrazioni, intento a contemplare la doccia dotata d’idromassaggio, cromoterapia e seggiola vibrante. - Mi fermerei qui volentieri. Ho il collo a pezzi, ci vorrebbe proprio una doccia bollente… Michele si voltò e sorrise, prima di dargli una leggera pacca sulla spalla. - Ci penserai più tardi. Andiamo, dai. Raggiunti gli altri, si trovarono al cospetto di una camera immensa. Dalla parete di fondo si allungavano quattro letti, due per parte rispetto alla finestra centrale e ciascuno con accanto un comodino. Di fronte si ergevano i rispettivi armadi, giganti a due ante alti fin quasi al soffitto. Il parquet di noce chiaro era talmente lucido da sembrare appena posato. A ridosso delle travi, si annidava l’immancabile split. Cortina si soffermò davanti alle persiane, le uniche della casa a essere sigillate. Che gentili, i produttori… Così la luce del mattino non disturberà il nostro sonno… Monica aveva trovato il secondo telecomando dei condizionatori. Lo aveva spostato appena in tempo, prima che Tommaso si lanciasse sul materasso e

cominciasse a molleggiare, con le mani dietro alla nuca. Lorenzo scosse la testa, divertito, e riprese a ispezionare i cassetti degli armadi, alla ricerca di spazi di cui appropriarsi. Dopo pochi minuti si guardarono in faccia, consapevoli di aver esaurito il diversivo. - Che si fa adesso? Non è neanche mezzogiorno … - chiese Beccardo. - Boh… Andiamo giù? - disse la Pacci, perplessa. - Si, così discutiamo delle prime faccende. Se volete, possiamo assegnare i posti letto e i turni in cucina - intervenne Cortina. - E poi? - Io ho un certo languorino… Mangiamo qualcosa? - s’inserì Andreini. - E poi? - insistette Beccardo. Nessuno rispose. Erano ancora in silenzio, mentre scendevano al piano inferiore.

5.

Monica si stava spogliando, impaziente di assaporare il piacere dell’idromassaggio. Togliendosi l’orologio, si accorse che erano le cinque ate. Almeno quel pomeriggio noioso stava finendo, considerò, nonostante il tempo fosse immobile e nulla riuscisse a distoglierla dalla convinzione di sprecare il suo tempo. L’unica attività utile l’avevano svolta tutti insieme al termine del giro di perlustrazione, quando si erano seduti intorno al tavolo della cucina per stabilire le prime regole della buona convivenza. Avevano trovato in breve tempo un accordo sull’assegnazione dei posti in camera; grazie alla cavalleria dei tre compagni, lei aveva potuto scegliere il suo letto. Erano poi ati a organizzare i turni per la preparazione dei pasti, decidendo di cucinare una giornata per uno, dalla colazione alla cena. Per il giorno in corso si era offerto Cortina, dopodichè ci avrebbero pensato Beccardo e Andreini. Alla donna era toccato l’ultimo turno. In realtà, erano consapevoli che l’ordine sarebbe cambiato dopo le prime eliminazioni, ma in quel momento d’incertezza era importante stabilire un punto fermo. Monica aveva colto l’occasione per chiarire fin dal principio una questione con Michele, che per sua fortuna era l’unico fumatore. Siccome lei detestava l’odore soffocante delle sigarette e aveva tutto il diritto di rivendicare le sue ragioni, gli aveva chiesto, se proprio non riusciva a farne a meno, di fumare poco e di farlo in un solo locale della casa, lontano dalla camera da letto. Anche Tommaso e Lorenzo si erano mostrati d’accordo, però Cortina aveva replicato che non era colpa sua se non poteva uscire o aprire le finestre. Alla fine, grazie alla sua ostinata arroganza, l’uomo aveva strappato la concessione di cinque sigarette al giorno, da fumare nel salone tenendo le altre porte chiuse. L’immagine che lo specchio le aveva restituito mostrava inequivocabilmente i segni della stanchezza. La Pacci sfiorò il bordo della vasca e affondò le dita tra i

capelli. La calma iva di quelle ore la stava snervando, lei che era abituata a giornate dinamiche, spesso frenetiche, in cui gli eventi finivano per sovrapporsi tra loro. Fin dal risveglio doveva ottimizzare i minuti per consumare una buona colazione, occuparsi della sua igiene personale, attraversare in macchina la metropoli brulicante e raggiungere l’ufficio con un aspetto impeccabile. La giornata lavorativa si articolava subito con ritmi brucianti, che la costringevano ad affrontare varianti di ogni genere. Il suo ruolo le chiedeva di splendere nella sua affabilità femminile, ma nello stesso tempo di gestire con fermezza i sottoposti. Doveva prendere decisioni rapide, presiedere riunioni e incontri formativi, sorridere di fronte a persone maleducate e allontanare cortesemente uomini che le facevano proposte indecenti. Tornava a casa sfinita, spesso insoddisfatta; ogni sera mancavano dei tasselli al mosaico che la mattina si era prefissata di comporre, e certo non per colpa sua. S’immerse nella vasca, scoprendo il sollievo del primo contatto caldo. Si sdraiò, chiuse gli occhi e attese che il getto iniziasse a sciogliere le tensioni del corpo. Lo stomaco recriminava il pranzo saltato ma lei non ci badò, ormai abituata agli orari flessibili che il suo ruolo aziendale imponeva. Anche Beccardo aveva rinunciato a mangiare: si era congedato subito dopo l’incontro in cucina, sostenendo di aver assoluto bisogno di coricarsi. Prima di raggiungere il bagno, lei era entrata in camera per recuperare i vestiti puliti e aveva sentito il suo respiro regolare. Non stava russando, ma era chiaro che dormisse profondamente. Si chiese che professione svolgesse; forse lavorava in produzione sui turni e veniva dalla settimana del notturno. Andreini, quando c’era Briola, aveva detto di essere un operaio. E Cortina? Possedeva tutti i connotati del venditore, subdolo con i clienti e spocchioso con i collaboratori. Da che città provenivano, quali erano le loro storie? Si scoprì a divagare. Che cosa le importava di quelle sciocche elucubrazioni? Aveva ben altre questioni da affrontare, come convivere forzatamente con tre uomini e sopportare le loro superficialità. Non era solo la compagnia femminile a mancarle, ma la solidarietà di chi, come lei, aveva già patito la piaga del maschilismo, quel genere di meschinità che troppe volte in ato l’avevano privata di legittimi riconoscimenti. Ora che aveva scoperto di essere l’unica donna nel gioco, era a maggior ragione convinta che vincere a quel reality non significasse solo rimpinguare il conto in banca e garantirsi una maggior serenità: voleva dire soprattutto ottenere autorità e considerazione, riscattarsi da una condizione di perenne svantaggio. Del resto, quale occasione migliore le avrebbe permesso di sfregiare l’orgoglio virile e di dimostrare che una sola donna poteva

piegare più maschi? Tuttavia, per impostare una strategia vincente era indispensabile che evitasse di lasciarsi sopraffare dallo spirito di rivalsa. Studiando i comportamenti degli altri concorrenti, avrebbe imparato ad alternare sapientemente fermezza e garbo, a fingere interesse verso le loro vicende oppure a intervenire con tempismo durante le fasi delicate. Soprattutto, avrebbe dovuto lavorare per accattivarsi le simpatie dei telespettatori. Rinvigorita da quelle considerazioni, Monica uscì dalla vasca. Si asciugò lentamente, apprezzando l’immagine rigenerata che lo specchio rifletteva. Si promise di beneficiare di quella terapia una volta al giorno, sviluppi del gioco permettendo. Dopo pochi colpi di phon, decise di rivestirsi. I nuovi indumenti le trasmisero il fresco piacere dei loro tessuti. Raggiunse la camera e trovò Beccardo sdraiato a pancia in alto, avvolto dal suo stesso fragore. Infilò rapidamente gli abiti sporchi nel sacchetto e uscì, augurandosi che almeno di notte ci fosse più quiete. Scese le scale e si diresse verso il salottino. Varcata la soglia, trovò Andreini sdraiato sul divano. L’uomo si accorse di lei, pur non disturbandosi a cercarla con lo sguardo. Cortina, che invece era seduto di spalle e ascoltava un CD in cuffia, si voltò verso la donna, prima di guardare l’ora sul display e bloccare la riproduzione del disco. - Credo sia tempo di mettermi ai fornelli. Vi sta bene cenare per le sette e mezza? - Direi di si - rispose Monica. - Per me, qualsiasi ora è giusta! - disse Tommaso, guascone. - Bene. Più tardi qualcuno svegli Beccardo, per favore - aggiunse Michele alzandosi, dopo essersi tolto le cuffie e aver riposto il disco nella custodia. - Ci penso io; tanto devo salire per farmi la doccia - si offrì Andreini. - Te la consiglio, è un portento! Esci dalla cabina che ti senti un altro! - L’hai già fatta?

- Un’oretta fa, prima di tornare qui. Non ti sei accorto di niente, vero? Eri troppo rincoglionito dalla televisione… Da quando hai scoperto che c’è la pay TV, poi, figurati! Tommaso sorrise a denti stretti, osservando Michele uscire dalla stanza. - Beh, allora andrei anch’io… - Ci vediamo dopo - si limitò a dire lei. Cortina, nel frattempo, aveva raggiunto il soggiorno e si stava accendendo una sigaretta. - Per favore, chiudi le porte! - esclamò Monica, inviperita. - Se mi dai un attimo… - Dovresti farlo prima di iniziare a fumare, però! - Scusa tanto! - replicò Cortina, allargando le braccia. La Pacci soffocò a stento una vampata d’ira, affrettandosi a frapporre la porta tra sé e quel sorrisetto irrisorio che la stava mandando in bestia. Si sedette sul divano e recuperò il telecomando, decisa a non cadere nella provocazione di quell’insolente. Lo zapping l’aiutò a distrarsi, ma ben presto la noia delle trasmissioni la costrinse a chiudere gli occhi. Sopraggiunse una stanchezza piacevole, alla quale si arrese docilmente. La voce di Tommaso, proveniente da un’altra dimensione, annunciò di aver svegliato Lorenzo. Monica aprì gli occhi di colpo. Si guardò intorno, prima di adocchiare il suo orologio. Caspita, già le sette e un quarto! La porta si aprì prima che avesse il tempo di sentirsi imbarazzata. - Ah, sei qui? Cosa guardi, una sit-com? - Oh, nulla di particolare. Mi stavo rilassando sul divano. Stavo dormendo sul divano…

Beccardo scese lentamente le scale, ancora assonnato. - Toh, guarda chi sta arrivando… - lo sfotté Andreini. Li raggiunse con o malfermo, biascicando qualcosa. - Buonasera, eh! Bella dormita che ti sei sparato! L’altro annuì, stropicciandosi gli occhi. - Andiamo da Michele, dai - propose Monica scuotendo i capelli. Entrando in cucina, trovarono Cortina intento a scolare la pasta. Sembrava davvero a suo agio tra i fornelli. - Giusto in tempo, ragazzi, stavo per chiamarvi: è pronto! - Cosa ci hai preparato di buono? - chiese Tommaso fregandosi le mani. - Lo scoprirai presto, lupo. Sedetevi, dai. - Ti serve una mano a impiattare? - si offrì la Pacci. - No, grazie; il servizio fa parte del prezzo! Si accomodarono, elargendo sorrisi generosi. Dopo aver servito i primi piatti, si sedette anche Michele. - Buon appetito. E ditemi se vi piacciono. La pasta aveva un aspetto delizioso. Il profumo che emanava era un chiaro invito a mangiare con gusto. Nessuno si tirò indietro e per diversi minuti le loro bocche furono impegnate esclusivamente a masticare e ad assaporare. Monica e Lorenzo si scoprirono affamati: i loro stomaci pretendevano maggiore attenzione, dopo aver perso il pranzo. - Complimenti, Michele! Le tue linguine allo scoglio erano favolose! - esclamò Tommaso, riempiendo nuovamente il bicchiere con lo Chardonnay. - Ah, ci credo, hai spazzato tutto! Il tuo piatto non è nemmeno da lavare!

- Sei un ottimo cuoco, davvero! - aggiunse Lorenzo, con il pollice alto. - Grazie. Sono felice che siano di vostro gradimento. - Cos’altro ci hai preparato di buono? - chiese Monica, sorseggiando il suo vino. - Oh, signora, lo scoprirai presto! - A giudicare dalle pentole, direi che ce n’è anche per i prossimi giorni… - Meglio, così domani non cucino! - strizzò l’occhio Beccardo. Ci fu una risata collettiva. La stanchezza aveva lasciato il posto a un’allegria spontanea, di cui tutti avevano bisogno. Complice anche il vino, che aveva riempito più volte i calici e disinibito le difese. - Mi sono sbizzarrito, perché cucinare mi rilassa. Del resto, ho avuto solo l’imbarazzo della scelta: frigo e congelatore abbondano d’ogni ben di Dio! disse Cortina, mentre si alzava a raccogliere i piatti vuoti. - Ragazzi, ma voi da dove venite? - chiese Andreini, dando l’impressione di covare quella domanda da un pezzo. - Milano - rispose Lorenzo alzando la mano. - Ah si? Da quale parte? - si sorprese Monica. - Quartiere degli Olmi, niente di speciale. Lo conosci? - Non ci sono mai stata, ma so dov’è. Io abito nella zona nord-est, a Turro, vicino alla fermata della metropolitana. - Anch’io vivo a Milano, al Giambellino. E tu, Michele? - Stessa vostra provenienza… Gratosoglio, parte sud… Attimo di silenzio e imbarazzo. - Com’è possibile che veniamo tutti dalla stessa città? Non hanno parlato di un sorteggio su scala nazionale? - si allarmò Cortina, mentre reggeva i piatti e uno strano disagio.

- Beh, tecnicamente è possibile. Improbabile ma possibile. - Si, Monica, ma è strano lo stesso! Non ti sembra? - Boh, vai a capire come funzionano queste cose - concluse Tommaso facendo spallucce, prima di svuotare il suo bicchiere. Si guardarono a vicenda. Ciascuno lesse i propri dubbi sugli altri volti. - Dai, raccontatemi: che lavoro fate di bello? - domandò Monica nel tentativo di spegnere le prime fiammelle di disagio, ripensando alle curiosità che l’avevano colta nella vasca. - Sono un guardiano notturno. Custodisco il parcheggio dei dipendenti del terzo turno - rispose Beccardo, accompagnando le sue parole con un’espressione di rassegnazione. - Io, da buon discendente della stirpe degli Andreini, sono un operaio generico. Tu invece, Monica? Di cosa si occupa una bella donna come te? Cortina storse la bocca, nauseato da quella sviolinata. - Gestisco il marketing e sono responsabile di molte decisioni strategiche di mercato. In buona sostanza, consegno la pappa pronta ai grandi gerarchi, in modo che possano prendersi i miei meriti. - Insomma, sei una dirigente! - si meravigliò Tommaso. - Qualcosa del genere… - Notevole, signora. Immagino che tu sia laureata… - Si, Michele, in economia e commercio. Con il massimo dei voti - replicò, eludendo il suo sarcasmo. - Io invece sono un modesto impiegato commerciale, in attesa di valorizzazione. Ma mi accontenterei di un banale aumento di stipendio - precisò l’uomo, con voluta noncuranza. Proprio come avevo immaginato…

Uno squillo li fece trasalire: era il camlo del forno. Ci risero sopra, ma percepirono che l’atmosfera era cambiata. Lo spirito di competizione aveva preso il sopravvento; quella conversazione stava diventando uno strumento per conquistare i telespettatori. Michele si alzò ed estrasse la teglia dal forno, ricolma di salmone e patate. Raggiunse i commensali e la piazzò al centro del tavolo. Sui fornelli era pronta anche la bistecchiera per cuocere del tonno. - Voilà! Servitevi, prego! - esclamò, soddisfatto dell’aspetto e del profumo. - Ah, Michele… Fantastico, ti sei proprio superato! - lo osannò Beccardo, appena assaporò il primo boccone. - Alla mensa aziendale mangio così tutti i giorni! - Ah si, Tommaso? E chi ti ha assunto, il ristorante Excelsior? - replicò l’altro, stappando la seconda bottiglia di vino. - Scherzi a parte, dove sto io si mangia davvero bene - esclamò Cortina, prima di addentare con gusto il salmone dalla sua forchetta. - Dove lavori? - chiese Monica. - In un’azienda molto grande, con circa mille e duecento dipendenti. Non so se la conosci, si chiama RIV.BER. Sbiancarono tutti simultaneamente. - Puoi… ripetere, per favore? - annaspò Andreini. - RIV.BER., RIV.BER. Spa - insistette Michele, sorpreso da quella reazione collettiva. - Non… non è possibile… - biascicò Lorenzo. - Ragazzi, non capisco… Qual è il problema? Si guardarono in volto e compresero, senza bisogno di parole. - Michele… lavoriamo tutti alla RIV.BER…

A Cortina cadde la forchetta. Un brivido sottile gli attraversò la schiena. - Cosa? Ma io non vi ho mai visti! - L’hai detto tu, siamo più di mille. E proveniamo da reparti diversi, in cui ciascuno ha il proprio profilo d’orario… - Monica, io non… - Guarda, te lo possiamo dimostrare facilmente. Comincio io, ragazzi, voi seguitemi. Tanto conoscete tutti lo slogan, no? È scritto ovunque! Gli altri annuirono. - La RIV.BER. è un’industria padronale, fondata dal commendator Bernardo Rivelli… - Nel millenovecentosessantotto a Milano, sua città natale - proseguì Beccardo. - La sigla è composta dalle prime… - gli fece eco Andreini. - Tre lettere del cognome e del nome - concluse Cortina, sbalordito. - Quante probabilità ci sono che quattro sorteggi su quattro estraggano dipendenti di una stessa azienda, se davvero hanno utilizzato i tabulati di tutte le industrie italiane? Una su cento milioni? - domandò Beccardo, visibilmente turbato. - Questa storia non mi piace per niente! - sbottò improvvisamente Andreini, alzandosi in piedi. Alzò lo sguardo al soffitto, cercando qualche microfono. - Ehi, regia! Mi sentite? Avrei un paio di spiegazioni da chiedervi! - Per favore, cerchiamo di non perdere la testa. Questo è il momento peggiore: ciascuno di noi è lontano da casa, deve convivere con perfetti sconosciuti e non sa nemmeno che prove lo attenderanno. Abituarsi a questi continui cambiamenti richiede tempo. - Che cazzo stai farneticando, Lorenzo? Non capisci che c’è qualcosa di sospetto? Ti sembra logico che siamo tutti colleghi? - inveì Tommaso, accecato

dalla rabbia. - Hanno detto che domani ci chiameranno, giusto? Aspettiamo le loro spiegazioni! - Domani ci sarà anche la prima prova. Non capite che la giornata di oggi era destinata ad essere televisivamente statica? Occorreva un diversivo per smuoverla e l’hanno trovato. Secondo me, è stato perfino studiato a tavolino - lo appoggiò Monica. - Ricordatevi che tutto fa spettacolo: anche queste nostre reazioni! - concluse Beccardo. - No, la faccenda non mi convince proprio! - insistette Andreini, scuotendo la testa. - È la paura che ti rende aggressivo. Cerca di dominarla - gli consigliò Cortina con gelida calma, mentre si ava una mano tra i capelli. Tommaso si risedette. Trangugiò avidamente il suo bicchiere di vino e iniziò a spizzicare qualche patata nel piatto. Nessuno aveva più appetito, né voglia di scherzare. Le bocche si sigillarono e gli sguardi smisero d’incrociarsi. Istanti interminabili alimentarono lo sconforto della loro prigionia consenziente. L’unica certezza stava in quella valigetta, colma di banconote e speranze.

RIVELAZIONI

1.

La musica s’insinuò nelle orecchie, sospinta da una progressione che implorava attenzione. Monica, strappata dal sonno, aprì gli occhi e sfociò nel buio di un risveglio ostile, realizzando di trovarsi nel letto di “Dove abita il Sogno”, a chilometri di distanza dal conforto della sua camera. La gola secca, costretta a sopportare l’atmosfera di condizionatori che pretendevano di sostituire l’aria, la costrinse a un colpo di tosse. Appena le pupille si abituarono all’oscurità, intravide le sagome dei tre uomini. Cortina si stava sedendo sul letto, mentre gli altri si muovevano tra le lenzuola. << Buongiorno e ben svegliati! Vi attende una nuova giornata, ricca d’emozioni!>> recitò improvvisamente un jingle. - Va bene, va bene… Basta che taci - protestò Michele. Lorenzo reagì con un grugnito e si tolse le coperte di dosso. - Ma che cavolo di ore sono? - si lagnò Tommaso, voltandosi dall’altra parte. Beccardo si piegò verso il suo comodino. La sveglia che gli aveva dato Donatella indicava che era decisamente presto. - Sono le sette e mezza… - Cosa? È ancora notte! - Su, su, pigrone! Ti alzi presto tutte le mattine per andare a lavorare, no? ribatté Michele, a metà strada tra il deciso e lo scherzoso. - Adesso non sono in fabbrica! - Neanche in vacanza, però!

- Bambini, fate i bravi! - scherzò Monica, divertita. Lorenzo, intanto, si era alzato e aveva regolato il diffusore di luce al minimo. - Bel pigiama, complimenti… - lo canzonò Cortina. - Hai ragione, non ci avevo fatto caso, ieri sera. Sembra Arlecchino! - infierì Andreini. L’uomo deglutì, imbarazzato. Il chiarore fioco feriva i volti dei suoi compagni. - Beh, ragazzi… Per la verità ne ho pochi, non mi piacciono. È stata mia moglie a insistere. “Vai in televisione”, mi ha detto, “non vorrai presentarti in mutande!” - Non ti formalizzare, Lorenzo. Anch’io porto un pigiama comodo. Sembra perfino maschile, per quanto è orrendo! Fosse per me, cara, indosseresti lingerie e calze autoreggenti dalla mattina alla sera! - Che c’è da ridere, Tommaso? - chiese la donna, sorpresa. - Niente, niente… Piuttosto, chi va in bagno per primo? - si affrettò a ribattere l’altro, paonazzo, per divincolarsi dall’impaccio. - Vai tu, Monica, se vuoi. Io non ho fretta - le propose Cortina, con tono disponibile. - Concedetemi di restare a letto ancora un po’, per favore… - piagnucolò Andreini. Beccardo si stropicciò gli occhi e si rivolse alla Pacci. - Ok, a quanto pare cominciamo noi. Scegli il bagno che preferisci. - Come vuoi tu. Per me è lo stesso. - Ti lascio quello più grande. Voi donne avete bisogno di spazio. - Sei gentile, grazie! - esclamò Monica, aprendosi in un sorriso radioso.

Lorenzo la invitò a are, poi scivolò a sua volta oltre la porta e richiuse dietro di sé. Michele si allungò in un piacevole movimento. Si mise a sedere, osservando Tommaso che gli dava le spalle, sdraiato su un fianco. - È stata dura la prima notte, eh? - disse dopo qualche istante. - Già. Ho dormito di merda e non ho alcuna voglia di alzarmi. - Fatti forza, ragazzo. Mi aspetto un po’ di risposte, oggi. - Io spero solo che non si sommino altre domande… Dal bagno giunse lo scroscio ovattato della doccia. - Pensi che ci sveglieranno tutte le mattine con questa lagna? - chiese Andreini, girandosi verso il suo interlocutore. - Spero di no, altrimenti un paio di scarpe contro le casse non gliele leva nessuno! - Usa quelle di Monica, che hanno il tacco… - Puoi scommetterci! Cortina tornò a coricarsi; visto che c’era da aspettare, tanto valeva mettersi comodi. Si rifugiarono entrambi nel silenzio, ciascuno immerso nei propri pensieri. Ogni tanto chiudevano le palpebre, nella speranza di accelerare il tempo. - Un bagno è libero! Scendo a preparare la colazione! - annunciò Beccardo dal corridoio. - Michele, ti spiace se vado io? Ho proprio bisogno di una bella doccia… - No, figurati. Vai, vedrai che dopo ti sentirai meglio. - Grazie, amico! - disse Tommaso, prima di saltar giù dal letto e sparire oltre l’uscio.

Cortina represse un moto di malcontento: anche lui era smanioso di godersi il getto caldo. Tuttavia aveva scelto di usare il buon senso e di non creare attriti inutili, specialmente nelle prime ore di convivenza. Si girò su un fianco, scoprendosi smanioso di fumare una sigaretta. Per non sorbirsi la Pacci e le sue lamentele, decise di concedersela in bagno. Non sopportava la sua voce, anche se comprendeva che la donna avesse le sue ragioni. - Ho finito, ragazzi! Ci vediamo giù! Lupus in fabula, pensò, storcendo la bocca. - Ci sono solo io, Monica! Entra pure se vuoi cambiarti, io vado in bagno! Recuperò il suo astuccio dal comodino e verificò che fosse completo di sigarette e accendino. Sollevatosi dal letto, si avviò. Quando giunse in prossimità dell’uscita, la porta si aprì e si ritrovarono uno di fronte all’altra. La donna sorrise, un po’ imbarazzata, e Michele si premurò di spostarsi per lasciarle il aggio libero. - Grazie - approvò lei, affrettandosi a entrare. - Ti sei goduta l’idromassaggio? - No, conto di farlo più tardi. Vorrei prima scoprire cosa ci attende oggi. - Già. Come dicevo a Tommaso, mi aspetto di dissipare un po’ di dubbi. Ci vediamo dopo, in cucina. Abbiamo proprio bisogno di una bella colazione. - Ci vediamo dopo - ripeté la donna. Cortina accostò la porta con delicatezza. In fondo, considerò, bastavano pochi accorgimenti per convivere civilmente e schivare le scaramucce, specialmente se uno degli avversari era Monica. Sapeva, infatti, di partire in svantaggio contro di lei, perché il becerismo del pubblico maschile avrebbe gratificato il suo sex appeal, preferendolo alla personalità di un uomo brillante come lui. Del resto, la Pacci aveva tutti i requisiti per intralciare il suo percorso verso la conquista del ricco premio: un corpo suadente, due occhi da bambola e un carattere arcigno. E, magari, anche la giusta dose di civetteria. Chissà quali altri aspetti di Monica avrebbe scoperto, nelle ore a venire…

Giunto in bagno, si soffermò sul suo volto riflesso. Gli occhi gonfi lo fissavano, implorando schizzi d’acqua fresca. La barba era ispida, anche se in quel momento radersi era l’ultimo dei suoi pensieri. Andreini, dall’altra parte, cantava a squarciagola sotto l’acqua scrosciante. Michele si spogliò e si lavò a pezzi, sforzandosi di non invidiarlo. Tornò a scrutare la sua immagine allo specchio, mentre si asciugava senza fretta. Guarda che pancia. Accidenti, devo tornare in palestra; se penso a com’ero solo due anni fa… Stanco di quello spettacolo desolante, si rivestì. Dall’astuccio estrasse pacchetto e accendino. Raggiunse la finestra e si accese una sigaretta, inspirando profondamente. Oltre i vetri, nel mondo libero, era sorta una tipica giornata di primavera, cullata da una brezza gradevole che giocava tra le fronde. Arrivato all’ultima boccata, gettò il mozzicone nello scarico e tirò lo sciacquone. Una volta in corridoio, si accorse che anche Tommaso aveva finito: dall’uscio spalancato dell’altro bagno si diffondevano vapori e aromi. Quando raggiunse la camera, scoprì di essere rimasto l’unico abitante della zona notte. Ne approfittò per cambiarsi d’abito. Tornò in corridoio, le dita impegnate ad allacciare gli ultimi bottoni della camicia. Si accorse subito che dal piano inferiore proveniva uno strano trambusto; i tre compagni sembravano discutere animatamente. Scendendo, cominciò a capacitarsi della loro collera e a distinguere dal groviglio le singole voci. - Che succede, ragazzi? Avete bruciato il caffé? - chiese, più divertito che preoccupato. - Guarda, porca troia! Guarda che bella sorpresa abbiamo trovato stamattina! sbraitò Andreini, indicando il tavolo. Con agghiacciante sorpresa, Michele la vide. Accanto alla valigetta con il denaro, giaceva una pistola. Qualche centimetro più in là c’era anche il caricatore. Si avvicinò, cercando di mantenere i nervi saldi. Estrasse il fazzoletto dalla tasca e afferrò l’arma. La maneggiò con cura scrutandola attentamente, prima di

riporla sul tavolo. - È una Bernatti semiautomatica, calibro nove millimetri corto. Se non ricordo male, dovrebbe trattarsi di una SK9. Questo è il suo caricatore, credo sia un bifilare da tredici. A occhio, i proiettili ci sono tutti. - Vedo che te ne intendi di armi… - osservò ironicamente Beccardo. - Sono regolarmente iscritto al poligono di tiro da sette anni e colleziono riproduzioni. Qualche problema? - replicò l’altro, secco. - Gente, qua vado fuori di boccino! Porca puttana, in questo posto di merda mi si fotte il cervello! - imprecò Tommaso, incapace di stare fermo. - Io ho paura delle armi… Non voglio vederle neanche in fotografia, mi fanno orrore! - singhiozzò Monica, sbigottita. - Non capisco dove vogliono arrivare… Che fine hanno fatto tutte le rassicurazioni sulla sicurezza, tanto sbandierate da Briola? - rifletté Lorenzo, allargando le braccia. Andreini si voltò verso Michele, gli occhi gonfi di rabbia. - Altro che risposte, hai visto? Avevo ragione io, qui va sempre peggio! Cortina lo fissò, mentre rivoli di sudore freddo scorrevano lungo la schiena. - Fate sparire quell’insopportabile pistola, vi prego! - implorò la Pacci, nell’illusoria speranza di scuotere la pietà di qualcuno. - Va bene, regia, ti faccio i miei complimenti! Ci hai sorpreso, sei stata in gamba! - tuonò improvvisamente Michele, stracciando la maschera di una flemma improbabile che non poteva più indossare. Il suo sguardo, rivolto in direzione degli altoparlanti, sprigionava saette di feroce indignazione. - Adesso però spiegaci tutto! Che cosa significa questa vigliaccata? Perché il sorteggio è stato truccato? Che vuoi da noi? Dicci qualcosa, maledizione, parlaci! La sua voce echeggiò e si dissolse nel silenzio.

- È inutile, tutto inutile… Non ci risponderanno mai… - si rassegnò Monica, affondando le dita tra i capelli. La rabbia esaurì il suo impeto, facendo sprofondare il salone in una mesta costernazione. I concorrenti rimasero a fissarsi per istanti infiniti, senza riuscire a proferire parola. Sui loro volti rabbuiati sembrarono comparire le prime sfumature della resa. - Eh no, signori, io non ci sto! Non accetto di lasciarmi sopraffare senza reagire! Il ruggito di Cortina scosse i presenti. - Loro ci fanno trovare una pistola in casa e non ci degnano nemmeno di una spiegazione? Benissimo: noi ce ne fottiamo! - Cosa suggerisci di fare? Non possiamo liberarci di quest’arma, visto che porte e finestre sono bloccate - domandò Tommaso, aggrottando le sopracciglia. - Per quel che mi riguarda, potrebbe starsene lì dov’è. Tuttavia, credo che l’unica soluzione plausibile sia nasconderla. - Si, sono d’accordo. Cerchiamo un contenitore, che so, una cassettina, infiliamo tutto lì dentro e poi gettiamo la chiave - propose Beccardo. - Già che ci sei, ordinane una su misura da un fabbro! Ti fai prestare il cellulare da Briola e poi ne cerchi uno in zona! - vociò Andreini, sarcastico. Lorenzo lo fissò con aria interrogativa. - Non crederai che questi porci ci abbiano lasciato in dotazione qualcosa che possa aiutarci, vero? - Cominciamo a cercare. A volte la vita riserva delle sorprese - replicò l’altro, con un’ironia più garbata. Tommaso dilatò le narici, per nulla propenso a nascondere la propria contrarietà. - Ammesso di trovare quello che cerchi, come intendi sbarazzarti della chiave? Lanciandola dietro un mobile?

- È molto semplice, caro compare scettico: la buttiamo nel cesso e poi tiriamo l’acqua, finché il gorgo non se la risucchia! - Perché invece nel cesso non ci buttiamo i proiettili, scusate? Svuotando il caricatore, la pistola diventerà innocua! - s’inserì Monica, stanca delle loro farneticazioni. - Già, è vero! Come abbiamo fatto a non pensarci prima? Brava Monica, ottima idea! - si congratulò Lorenzo, raggiante. - No, ragazzi. Sarebbe la scelta peggiore che potremmo mai fare - sentenziò Michele, freddando il loro entusiasmo. - Per quale motivo, scusa? A me sembra la più efficace! - Se fimo come suggerisci tu, ci ritroveremmo sul tavolo un nuovo caricatore. E se svuotassimo anche quello, ce ne metterebbero un altro, e un altro ancora, all’infinito. Per contrastare le loro meschinità, dobbiamo dimostrare che la nostra forza mentale è in grado di affrontare questo genere di situazioni. - Si, ha ragione lui. La lucidità è l’unica soluzione per stroncare sul nascere le loro provocazioni - considerò Andreini, rivolto a chiunque fosse interessato alla sua opinione. - Certo che ho ragione. Siamo costretti a muoverci con cautela; ogni nostro errore, come questa crisi di panico, non fa altro che assegnare un punto a loro favore. La Pacci scosse la testa, incredula. - La tua teoria è tutta da dimostrare. Comunque, anche se fosse come dici tu, ti assicuro che sarei disposta a svuotare i caricatori io stessa, anche dieci volte al giorno. Vediamo chi si stanca prima, se io o loro… - No, Monica, il punto è un altro: dobbiamo imparare a ignorare le loro bassezze. Adesso ci agitiamo per una pistola, ma magari tra mezz’ora chissà quale altra sorpresa ci attenderà! E noi saremmo altrettanto impreparati! - insistette Cortina, amareggiato dall’ottusità della donna. - Secondo me, ti brucia solo perché non ci hai pensato tu. Oltretutto, ti sei fatto

sorare da una donna… Michele la squadrò con disprezzo. Il rospo che stava tentando d’ingoiare s’era fermato all’altezza della faringe. - Sei giustificata, dato che ci conosciamo da poche ore. Se mi frequentassi da più tempo, ti assicuro che eviteresti di tirare simili stoccate. Sapresti, ad esempio, che chiunque si dimostrasse più perspicace di me, riceverebbe i miei complimenti. E non distinguerei certo tra uomini e donne; una buona idea non ha sesso. Quello che sto cercando di dirti è che stai proponendo una mossa strategicamente sbagliata. - Io resto della mia opinione, Michele. Non mi serve un caporale di giornata che tenti di riempirmi la testa con queste manfrine da Risiko. - Ti ricordo che fino a un attimo fa piagnucolavi di fronte a una pistola scarica… La Pacci incassò il diretto senza vacillare. - Scusa, ma chi saresti per arrogarti il ruolo di leader? - E tu, invece? Pensi che ti spetti di diritto lo scettro del comando solo perché sei una dirigente abituata a impartire ordini? Ti credi tanto superiore a tutti noi? - Ma vai al diavolo, con tutte le tue seghe mentali! - Abbassa il tono, donna! Grazie a Dio, non sono un tuo sottoposto! Lavorare con te deve essere più mortificante dell’Inferno! - Per favore… - tentò timidamente di mediare Beccardo. - Ringrazio il Signore anch’io, almeno mi ha risparmiato l’ennesimo stronzo arrogante! - Come ti permetti? Stronza sarai tu e tutte le oche come te, buone solo a starnazzare! Il volto di Monica conflagrò come un vulcano. - Michele Cortina, vaffanculo!

- Vacci tu, insolente! - Ragazzi, basta! - li supplicò Lorenzo, stavolta con vigore. Anche Tommaso si avvicinò, pur ritenendo di non dover interferire nelle discussioni che non lo riguardavano. - Michele, ti ci metti anche tu! Non bastasse il resto! Un attimo prima parli di nervi saldi e poi… Ti rendi conto di quanto sei stato carogna? - proseguì Beccardo, puntandogli il dito. Cortina strinse i pugni, furioso come una belva in gabbia. - Non avrai mica avuto intenzione di colpire una donna, vero? - Ma piantala! Vai a fare l’eroe dove la guerra è finita da trent’anni, quello è il tuo posto! Tommaso continuava a tergiversare, incapace di intervenire. - Va bene, va bene, io… Michele, ti chiedo scusa… Sono stata una stupida, ho detto un sacco di cazzate - si rammaricò Monica, soffocando l’orgoglio. Cortina si voltò verso di lei, allibito. Non si sarebbe mai aspettato che quella vipera tornasse sui propri i. - È tutta colpa di questa situazione assurda, ma non per questo giustifico la mia condotta. Ti garantisco, anzi do la mia parola a tutti, che non capiterà mai più una cosa del genere. D’ora in poi, controllerò le mie reazioni con il massimo impegno. Lorenzo fissò Michele con eloquente rimprovero, costringendolo a sua volta a un atto di pentimento. - Anch’io mi voglio scusare con tutti. Ho detto bestialità che non penso minimamente. Mi sono comportato da idiota, Monica, quanto e più di te. Sarai contenta adesso, arpia malefica… Ti piace umiliare la gente, vero? - Non ti preoccupare, ti capisco benissimo. E poi, a pensarci bene, hai ragione tu:

è meglio nascondere quella stramaledetta arma, prima che questa casa diventi un arsenale. - Si, ma dove? - chiese Andreini. La Pacci si voltò verso il sottoscala. - La libreria ha due cassetti. Potremmo utilizzarli per separare pistola e munizioni, che ne pensate? Non è un granché efficace, ma non riesco a trovare niente di meglio. - Mi sembra un’ottima idea - si affrettò ad assecondarla Cortina, per non accendere ulteriori discussioni. Stavolta la mia proposta ti sta bene, eh? - Bene, allora procediamo! - suggerì Beccardo, entusiasta. - Fatelo voi, però. Io non ce la faccio a toccarla, davvero… - Con tre uomini in casa, ti pare che lasciamo a te quest’incombenza? - disse Andreini, gonfiando il petto. - Ci penso io, se volete. Prima però, dobbiamo suggellare i nostri propositi con una promessa solenne - intervenne Michele, allungando la mano destra - Da questo preciso istante, noi c’impegniamo a nascondere la Bernatti e a non farne uso per nessuna ragione al mondo. Chi è con me? - Io, sicuramente - esclamò Monica. - Ci sto anch’io - si unì Tommaso. - Avete la mia parola - garantì anche Lorenzo. Le quattro mani si sovrapposero, soffermandosi alcuni istanti prima di staccarsi. - Bene. Allora procedo. Cortina levò il fazzoletto dalla tasca e lo avvolse intorno alle dita. Si avvicinò alla pistola, la afferrò e la portò alla libreria. Aprì il primo cassetto, deciso a infilare l’arma sotto le coperte che qualche incaricato premuroso aveva lasciato.

In caso il piombo non bastasse a scaldare gli animi… Poi tornò al tavolo, prese il caricatore e lo fece sparire nel secondo cassetto, stavolta sotto una catasta di lenzuola. - Con questo, il discorso è morto e sepolto. State meglio adesso? - Si, credo di si - disse Beccardo. - Quantomeno, mi sento più sollevata - concordò la donna. - Oh, compari, niente trucchi eh? Una promessa è una promessa! - si permise di scherzare Andreini, senza trovare il riscontro che si aspettava. - Ora, se volete scusarmi, credo che mi occorra una bella colazione per mandar giù questa storia. Senza perdere altro tempo, Cortina si mosse e sparì oltre la porta della cucina. - Beh, un caffé lo prenderei volentieri… Se non vi dispiace, andrei anch’io disse Tommaso, in evidente impaccio. Beccardo si voltò verso la Pacci, che sospirò a pieni polmoni. - Come inizio, non c’è male oggi… - considerò lei, andosi una mano sul viso. - E se tutto questo marasma avesse a che fare con la prima prova? Se fosse una specie di test? - considerò Lorenzo, folgorato da un’inquietante intuizione. La donna lo fissò con i suoi splendidi occhi smeraldini. - Beh, in questo caso non potremmo certo dire di averlo superato…

2.

Lorenzo sentì bussare alle sue spalle. - Avanti! - disse senza voltarsi, assorto tra i fornelli. La porta si aprì. - Buongiorno. Come va da queste parti? - Ciao, Monica. Direi bene. - Uhm, che buon profumino… - Stavo per venirvi a chiamare: tra un quarto d’ora si pranza. Sai dove sono gli altri? - Tommaso si è chiuso in saletta. A giudicare dal volume alto, sta guardando la tivù. Michele invece è ancora di sopra. Da quando è salito, non l’ho più visto. - Tu che hai fatto? La donna si sedette, accavallando le gambe con una sensualità conturbante. - Oh, niente di speciale. Ho cercato distrazione tra gli scaffali della libreria. - Ottima idea: un buon libro aiuta a evadere dalla triste realtà. Come va ora? - Meglio, decisamente. Grazie dell’interessamento. Vuoi una mano ad apparecchiare? - No, figurati. Oggi tocca a me e non voglio che nessuno si disturbi. Spero solo che il menù vi piaccia e che vi gustiate il pasto in santa pace - considerò Beccardo, pronto a stendere la tovaglia.

- Come te la cavi in cucina? - Non sono bravo come Michele, ma sicuramente non vi avvelenerò. Sai, a casa faccio poco, il turno di notte mi costringe a dormire quasi tutto il tempo. Anche se devo ammettere che Donatella mi coccola fino a viziarmi. Specialmente la Domenica, quando abbiamo più tempo per stare insieme. - Ah ecco, c’è sempre una donna dietro alle debolezze maschili… - scherzò Monica, osservandolo estrarre le stoviglie dai ripiani. - È vero, lo ammetto. Però ti assicuro che quando m’impegno, ottengo discreti risultati. - Non sono una buona forchetta, ma vedrai che farò onore alla tua tavola. Lorenzo sorrise, poi guardò l’ora: quasi l’una. - Ok, direi che ci siamo. È tempo di chiamare gli altri. - Aspetta, ti aiuto. Vado a dare un segnale a Tommaso. - Va bene, grazie. Io penso ad avvertire Rambo… La Pacci scoppiò a ridere, anche perché Beccardo gonfiò la caricatura di Cortina con muscoli che nessuno dei due possedeva. Si alzò, sistemò la gonna e si diresse verso l’uscita. Rideva ancora, mentre svaniva oltre la porta. Entrata in saletta, fu accolta da un fragore composto da spari e urla. - Ehi, sei sordo? Abbassa il volume! - si lamentò, corrugando gli zigomi. Andreini, immerso nella noia e tra i cuscini del divano, si stava sorbendo un film western. Strappato al proprio torpore, si allungò fino al telecomando e premette il tasto di muto. - Che succede? Ci hanno convocati? - Si, ma per pranzare. Dai, spegni che è pronto! - Oh, finalmente una bella notizia! Che si mangia di buono?

- Non lo so, è un segreto. Vieni di là e lo scoprirai - lo prese in giro Monica, come si faceva con i bambini. Beccardo, intanto, aveva raggiunto l’imbocco del corridoio. Con amara sorpresa, si era accorto di avere il fiatone. Guarda come sei ridotto… Vergognati, stroncato da una manciata di gradini… Dedusse che Cortina doveva trovarsi in camera: gli ingressi dei bagni erano aperti. - Giù è pronto da mangiare, sei hai fame! - strillò dall’esterno. - Entra pure, sono presentabile! Lorenzo aprì la porta e vide Michele disteso sul letto, le mani dietro la nuca. - Non ti nascondo che ho voglia di mettere qualcosa sotto i denti; è da qualche minuto che lo stomaco mi manda segnali. Mi spiace solo che ti sia disturbato a fare le scale. - Non ti preoccupare, quattro gradini non possono che farmi bene - replicò l’altro, ora che il respiro stava tornando regolare. Cortina si sollevò con un balzo e si mise a sedere sul materasso. - Hai cucinato tu, vero? Sono convinto che mangerò di gusto, allora! - Non farti illusioni, potresti restarci male… - Sciocchezze, tu sei uno che va forte. Piuttosto, come si sta, giù? - Non c’è male. La lucidità collettiva sembra salva, almeno per il momento. - In effetti, ero preoccupato. Non è stata certo una mattinata semplice. Michele abbozzò un sorriso, mentre s’infilava le scarpe. - Mi sono rifugiato quassù perché mi sentivo nervoso. Avevo bisogno di restare solo, anche per non mettere a repentaglio l’equilibrio che abbiamo faticosamente raggiunto.

- Stai tranquillo; ognuno di noi, a suo modo, ha fatto la stessa cosa. - Ne ho approfittato per radermi, visto il mio aspetto indecente - spiegò andosi due dita sulle guance, dopo essersi alzato in piedi - La quiete mi ha aiutato a svuotare la testa e a recuperare le energie. È stato un buon esercizio mentale. - Hai fatto bene. Adesso come ti senti? - Una meraviglia! Sono nuovamente pronto a combattere! Cortina gli diede una pacca sulla spalla. Beccardo ripensò all’imitazione di poco prima e faticò a trattenere una smorfia. Si avviarono alla scala e raggiunsero il piano inferiore. Appena varcata la soglia della cucina, Michele incrociò lo sguardo della Pacci. - Ciao, Monica. Stai meglio? - chiese, con la voce più dolce che riuscì a impostare. - Si, grazie, e spero anche tu. Senti, io… ti chiedo scusa ancora. - Dai, non pensarci più, è tutto finito. E poi abbiamo sbagliato entrambi. Tese la mano, con aria enfatica. La Pacci ricambiò con una stretta e un sorriso. - Su su, basta smancerie voi due. Se arrivate ai confetti, ricordatevi che voglio quelli ripieni di cioccolato. Anzi, a questo proposito, parliamo d’argomenti interessanti: che si mangia di buono? - intervenne Tommaso, già seduto con le gambe sotto il tavolo. - Per l’occasione, ho preparato una spaghettata aglio, olio e peperoncino. Spero vi piaccia, è il piatto che mi riesce meglio. A seguire, sono disponibili braciole ai ferri e zucchine in pastella. Il tutto accompagnato da un buon Lambrusco. - Si, ma… manca tanto? - No, lupo, adesso scolo la pasta! Michele e Monica si misero a ridere. Lorenzo si voltò verso di loro e scosse il

capo, rassegnato alla sua fame perenne. - Prendetemi, prendetemi in giro… Intanto, qui sono l’unico a pensare che dopo un buon pranzo si riacquisti l’ottimismo! - si difese Andreini, fingendosi imbronciato. - Ti basta poco per star bene, eh? - lo canzonò Cortina. - Davanti a una pietanza e con le gambe sotto il tavolo, mi sento meglio di un re! - Attenzione, signori! Beccardo si presentò ai suoi commensali con due piatti colmi di spaghetti, che consegnò a Monica, per cavalleria, e a Tommaso, per tappargli bocca e stomaco. Poi raggiunse anche Michele, riservandogli lo stesso trattamento. Per sé riservò la porzione più piccola. - Buon appetito a tutti! - Anche a te! - risposero in coro, spegnendo le ultime risate. - Per me sono troppi. Chi ne vuole ancora un po’? - chiese Monica, prima di affondare la forchetta. - Indovina! Andreini aveva la bocca già piena, ma fece segno di accettare il dono, incurante del sarcasmo di Cortina. Per qualche minuto smisero di parlare, impegnati con le posate. - Davvero buona, questa pasta! Lorenzo, ti faccio i miei complimenti! commentò Monica, dopo essersi pulita la bocca con il tovagliolo. - Ottima, davvero! - si aggiunse Michele. - Ve l’avevo detto che a pancia piena si ragiona meglio. Dovreste dare retta più spesso al vostro Tommaso. Adesso, per esempio, sono ben concentrato sui duecentomila bigliettoni che aspettano il fortunato che se li porti a casa! Nonostante tutti questi casini, nessuno si è dimenticato di loro! O sbaglio?

- E chi se li scorda? Perché credi che saremmo qui, altrimenti? - esclamò Cortina, versando del nettare rosso nel bicchiere. - Beh, a essere sincera, la ragione che mi ha spinta qui è legata principalmente alla visibilità. M’intriga l’idea di entrare nel mondo della comunicazione mediatica, ma senza essere disposta ad accettare gli infimi compromessi che tutti conosciamo, in particolare quando si tratta di una donna... - Si, hai ragione. È una grossa opportunità, specialmente se dietro ci sono idee e talento. Ma, a livello personale, ambisco solo al denaro. Vedete, il mio obbiettivo è cambiare casa: trovare una bella soluzione, situata in un contesto migliore, con più metri quadri e vicini meno rumorosi - rivelò Michele. - Magari un attico… - propose Andreini, prima di fiondarsi su un altro boccone. - Non esagerare, non ho certe velleità. Però, unendo il contenuto di quella bella valigetta al ricavato della vendita del mio attuale appartamento, mi permetterei di allargare il ventaglio delle ipotesi. Sorridente, si voltò verso la donna. - Se vuoi, ti cedo la vetrina e tutte le opportunità che ne derivano; in cambio dei soldi, ovviamente! - Non ho detto che il denaro non sia importante, soprattutto quando si parla di certe cifre! - replicò lei, stando allo scherzo - E voi, ragazzi? Che ci fareste con tutti questi quattrini? Tommaso fissò la Pacci, colto da un principio di smarrimento. - Io? Beh… Ho qualche debito da pagare… - Immagino si tratti del mutuo della casa e delle rate della macchina… - curiosò Cortina. - Si, qualcosa del genere… Andreini si augurò che la parola asse a qualcun altro. Sentì avvampare le guance, infastidito da quegli sguardi invadenti che tentavano di rovistare tra le sue tribolazioni. Tirò un sospiro di sollievo quando Beccardo intervenne e

l’interesse si spostò su di lui. - Io ho le idee fin troppo chiare, ragazzi. Vincere significherebbe ridare la vita a mia figlia. Abbassò lo sguardo, affranto. Gli altri si guardarono a vicenda. - Di cosa stai parlando, scusa? - chiese Monica con un filo di voce. Lorenzo respirò a fondo, comprendendo di avere la loro attenzione. Con un po’ di fortuna, poteva catturare anche quella dei telespettatori, i veri destinatari del suo messaggio accorato. Si era chiesto molte volte, durante le ore trascorse nella casa, se e quando si sarebbe presentata l’occasione giusta per raccontare il suo dramma. Ora, finalmente, vedeva lo spiraglio: stava a lui, adesso, ponderare tempi e modi. - Mia figlia Elisa ha un anno ed è affetta dall’anomalia di Ebstein. - Mai sentita, che roba è? - commentò Tommaso in maniera grossolana, guadagnandosi un’occhiataccia generale. - Si tratta di una cardiopatia congenita. Può presentarsi in varie forme, ma quella che l’ha colpita sfortunatamente è molto rara. - Lorenzo, io… mi scuso anticipatamente. Comprendo la delicatezza dell’argomento, ma non conosco questa patologia. Onestamente, è la prima volta che ne sento parlare - ammise Monica, con tono riguardoso. - Già, noi non… Michele non disse niente, limitandosi a osservare l’espressione imbarazzata di Andreini. - Avete ragione, scusate. Io per primo non sapevo nulla di queste cose, finché… Un filo di commozione spezzò la sua voce. La Pacci lo incoraggiò a proseguire, sfiorandogli la mano con una delicatezza che lo turbò. - I cardiologi ci hanno spiegato che Elisa ha una malformazione della valvola tricuspide, che è quella che collega l’atrio destro con il ventricolo destro. Serve

per regolare il flusso sanguigno, si chiama così perché è formata da tre lembi triangolari. - Suppongo sia grave … - osò Cortina, muovendosi sul velluto. - Purtroppo si. La valvola è situata troppo in basso, ma la gravità della questione è un’altra: il ventricolo, oltre a trovarsi la tricuspide al proprio interno, presenta una cavità ridotta. I dottori ci hanno mostrato gli esami di un ventricolo sano; al confronto, quello di Elisa è marcatamente assottigliato. O, per dirla alla loro maniera, atrializzato. - Povera bimba… Chissà che pene atroci sta patendo… - Si, purtroppo è così, Monica. Fin dai primi minuti di vita ha dovuto sopportare un’infinità d’affanni e scompensi. Quando io e mia moglie l’abbiamo vista per la prima volta, ci è preso un colpo: Elisa era cianotica, aveva grosse difficoltà respiratorie. Non capivamo, nessuno ci aveva ancora avvisato del problema. Non nascondo di aver perfino pensato che potesse essere stata maltrattata da qualche infermiere psicopatico. - Che è successo, a quel punto? Mio Dio, sarei morta al vostro posto… - Siamo stati convocati dagli specialisti. Dai loro visi rabbuiati abbiamo compreso che c’era qualcosa che non andava. Il respiro ci si è strozzato in gola quando il primario ha iniziato a parlare di malformazioni al cuore. Lui e il suo staff hanno ipotizzato fin dal principio che si potesse trattare di Ebstein, prima ancora di eseguire elettrocardiogrammi ed ecocardiografie. Ci hanno spiegato che cianosi, aritmie e dispnea sono, sciaguratamente per noi, i sintomi inequivocabili di cardiopatie importanti. - Dispnea? - Si, Monica, non è altro che la difficoltà respiratoria. Il fatto è che loro usano sempre una valanga di termini complessi, anche per indicare le cose più semplici. Giusto per divertirsi a farti ghiacciare il sangue nelle vene… - Hai ragione, sono tutti dei sadici! - concordò Andreini. - Comunque, questa maledetta dispnea era causata dal fatto che il ventricolo destro, anche a causa della grave insufficienza della tricuspide, durante la fase di

contrazione non riusciva ad aprire la valvola polmonare. - A parte usare tutti questi paroloni, i medici cos’hanno fatto? - chiese Monica. Beccardo si ò una mano sul volto, come se piccoli guizzi elettrici avessero invaso i suoi pori causando un improvviso prurito. - Quello che potevano, c’era poco da scegliere. Hanno tentato di stabilizzare la bambina e di curarne i sintomi, somministrandole dei farmaci mirati a ridurre le aritmie. Ma nel corso dei mesi, tutti i cardiologi consultati ci hanno confermato la stessa prognosi: bisogna ricorrere all’intervento chirurgico e sostituire la valvola tricuspide con una protesi. I medicinali sono solo palliativi, ma questo lo sapevamo fin dall’inizio. - Un intervento… Su una bambina così piccola? - Il nodo della questione è proprio questo. A causa dell’età e della delicatezza dell’operazione, il rischio chirurgico è alto, come serie potrebbero essere le conseguenze postoperatorie. Ci hanno avvisato che esiste un’alta incidenza d’arresto cardiaco, a seguito della sostituzione della valvola tricuspide. Non bastasse questa prospettiva desolante, c’è la possibilità che l’operazione non risolva la situazione. - Perché, scusa? - si meravigliò Tommaso. - Il ventricolo destro rimarrebbe in ogni caso di dimensioni ridotte e quindi le difficoltà legate alle aritmie e alle insufficienze polmonari rischierebbero di sopravvivere. Lorenzo si fermò; cominciava ad avere la gola secca. Si versò dell’acqua e la tracannò in pochi secondi, impaziente di concludere la narrazione. - Cos’avete deciso di fare, tu e tua moglie? - domandò Michele. - I cardiologi ci hanno consigliato di operare e tenere sotto osservazione, ma ci hanno già persuaso a prendere in considerazione l’eventualità di un trapianto cardiaco. Il punto di tutta questa situazione tragica è che siamo bloccati fin dall’inizio. Occorre parecchio denaro per affrontare l’intervento e le cure successive, denaro che noi non possediamo. Abbiamo consultato diverse banche, nella speranza di ottenere dei finanziamenti, ma le condizioni sono talmente

ostiche da consentire il prestito solo a chi non ne ha bisogno. Il suo volto si spense, assumendo contorni lividi. - Io non capisco… Siamo sempre state persone corrette, che hanno vissuto con dignità e rispetto, senza dar fastidio a nessuno. Non meritavamo questa punizione dal buon Dio; no, non la meritavamo proprio... Alzò lo sguardo al soffitto e irrigidì le mandibole, trattenendo a stento le lacrime. Non voleva dar luogo a scene che aveva sempre deprecato e considerato patetiche. Cercava soluzioni, non pacche sulla spalla. - Scusatemi, so che è inutile piangersi addosso. Tra l’altro, non ce n’è nemmeno il tempo: Elisa non può più aspettare, la situazione sta precipitando. E questi soldi, credetemi, mi farebbero davvero comodo. Calò un silenzio di ghiaccio, che paralizzò muscoli e parole. - Lorenzo, è… è terribile. Io non so che dire, sono costernata. - Non ti preoccupare, in qualche modo ce la caveremo. Adesso basta annoiarvi, però. Sparecchio e poi braciole e zucchine per tutti, ok? L’uomo si alzò, raccolse i piatti sporchi e raggiunse il lavello. Si mise a trafficare con le padelle, sentendosi i loro occhi piantati sul collo. Monica si stava pasticciando le unghie, mentre in cuor suo rimuginava su come affrontare quel nuovo imprevisto. Beccardo aveva mostrato tutta la caparbietà di cui disponeva, sospinto dalle sue motivazioni, e non era più l’ometto insipido che credeva. Si rimproverò per essersi concentrata esclusivamente su Cortina, dimenticando invece che non bisognava sottovalutare nessuno. Avrebbe fatto meglio a valorizzare alla svelta quella lezione, per non rischiare di compromettere le sue opportunità di vittoria. Michele sprofondava nella sedia, tormentato da un pensiero che gli frullava in testa: la Pacci non aveva perso l’occasione per seminare il suo cinico opportunismo e per tentare di vendere una sensibilità che non le apparteneva. Ritenne che fosse ancora lei la rivale da battere, anche se l’intervento strappalacrime di Beccardo non andava trascurato.

Tommaso fu obbligato a soffocare un’ondata di rabbia. Perché aveva esitato, quand’era stato interpellato sulle motivazioni che lo legavano a quella competizione? Adesso non serviva a niente prendersela con chi si era mostrato più scaltro di lui nell’impietosire i telespettatori. Piuttosto, si trovava costretto a recuperare terreno e a spiegare che Beccardo non era l’unico ad avere un bisogno disperato di quel denaro. Ipotizzò che parlarne a quattr’occhi con qualcuno lo avrebbe aiutato; si, magari proprio con il suo rivale, sostenendo così un confronto diretto di fronte alle telecamere… Si convinse della bontà di quella soluzione e promise a se stesso di sfoderare una recitazione da Oscar, per non sprecare l’occasione più importante che la vita gli avesse mai concesso.

3.

<Buon pomeriggio, signori partecipanti. La Produzione vi chiede di abbandonare le vostre occupazioni e di radunarvi nel salone entro cinque minuti. Grazie della collaborazione> enunciò la Voce, improvvisa e lapidaria. Tommaso e Michele si ricomposero sui divani del salone. - Era ora che si fe sentire! Ne abbiamo di cose da chiedere, eh? - disse Andreini, che aveva assunto un’espressione affilata e stava fissando l’altoparlante. - Vediamo cosa riusciamo a ottenere - replicò l’altro, guardando le lancette del suo orologio che indicavano le tre. Dalla cucina fece capolino Lorenzo. Si guardò attorno per un po’, prima di muoversi alla volta dei due compagni. Si sedette accanto a Tommaso, senza riuscire a trovare una posizione sulla seduta che gli consentisse di nascondere la propria agitazione. Dalla porta della saletta spuntò la sagoma di Monica. Anche lei si accorse immediatamente di come l’atmosfera si fosse trasformata, dopo l’annuncio. Pur sentendo l’esigenza di dire qualcosa, dalla sua bocca non uscì alcuna parola. Si limitò a raggiungere il divano blu e ad accomodarsi vicino a Michele. - Ci prendi per il culo? - sbraitò Andreini, avvampando nella propria insofferenza. Cortina lo rimproverò con uno sguardo severo. Per quanto provasse anche lui il

desiderio bruciante di aggredire la Voce, aveva concluso che l’approccio giusto doveva essere il più composto possibile. La freddezza era un segnale di forza, qualcosa che quei galantuomini dell’altra parte della barricata dovevano imparare a temere. - Beh, piacevole non direi proprio. Tanto per cominciare, l’amata emittente poteva farsi sentire stamattina, quando abbiamo trovato il suo orribile regalo. - Già, non ci avete degnato nemmeno di una spiegazione! - insorse anche Beccardo. - Adesso, però, la pretendiamo! E che sia convincente ed esaustiva! - s’impuntò la Pacci. - Ah, sicuramente per spiegarci cosa cazzo ci fa qui una pistola! - strillò Tommaso, alzandosi in piedi e additando il tavolo dello scandalo - Bisogna essere dei bei bastardi vigliacchi per introdurci un’arma in casa, oltretutto mentre stavamo dormendo! - Allora, cos’ha da dirci? - domandò Monica a braccia conserte. - Ecco che ricomincia con le sue menate! - si lamentò Andreini, le mani sui fianchi. - Avanti, sentiamo! - insistette Tommaso. - Siamo tutt’orecchi! - lo appoggiò Monica, accavallando le gambe. <È giunto per ciascuno di voi il momento di recarsi nella Blueroom. Vogliamo

presentarvi questa stanza e, soprattutto, farvi comprendere la sua importanza strategica. Potrete apprezzarne l’ambiente raccolto, ma soprattutto far tesoro dell’opportunità che con essa vi stiamo fornendo.> Andreini si lasciò andare a uno sbuffo, simile a una pernacchia. La donna si finse imibile, ma un moto di rabbia le stava scaldando lo stomaco. si accomiatò la Voce, lasciando nei presenti ampi strascichi di perplessità. Il silenzio che ne seguì aveva il sapore del mistero. Beccardo guardò i suoi compagni, il volto trasformato in un enorme punto interrogativo. - Beh, allora io vado… Come spinto da una molla, si alzò nell’istante in cui Tommaso si lasciò cadere sul divano. - Digliene quattro, mi raccomando… - tentò d’incoraggiarlo Monica. Lorenzo si mosse come un robot disorientato; raggiunse la porta e attese lì davanti. Non apprezzò il fatto di essere il primo a esplorare quella stanza: sapeva bene che oltre il muro non c’era un luogo di torture, ma la sua mente era bloccata dalla paura dell’incognito. Trasalì quando lo scatto della serratura lo restituì al mondo reale e la lingua di luce conquistò spazio tra l’uscio e lo stipite. Spinse la porta, fece un bel respiro ed entrò. Inalò l’atmosfera di quel luogo immacolato, sfiorato solo dall’illuminazione dei faretti alogeni. Le cuspidi rivestivano le pareti e il soffitto, garantendo l’insonorizzazione; come ogni altra superficie, erano tinte di un blu vivido, che donava una sensazione di quiete. Il locale non era enorme ma non creava apprensione, e Lorenzo arrivò perfino a pensare che ci si potesse star bene.

Davanti a sé trovò una poltroncina, unico arredo di un ambiente spoglio. Non poteva che essere blu... lo invitò qualcuno attraverso il microfono. Lorenzo si accorse che si trattava della stessa Voce che finora si era presentata all’esterno; in quella sala, però, perveniva con più nitidezza. L’uomo, sedendosi, si accartocciò in una smorfia d’incomprensione. - Capisco… Beh, posso dirle che chi abita in posti come questo è senz’altro fortunato. Può ancora permettersi di eggiare tra i boschi, oppure di sdraiarsi sull’erba durante una giornata di primavera. Gli occhi di Lorenzo si riempirono di luce come i rosoni di una cattedrale. - Se mi piacerebbe? Quand’ero bambino, fantasticavo su come sarebbe stato bello giocare su un prato anziché sul pavimento di cemento dell’oratorio. E anche adesso, mi creda, non desidererei altro che una bella casetta indipendente, completata da un appezzamento coltivabile. Mi basterebbe piantare qualche verdura e dei fiori colorati per sentirmi un re. confermò la Voce. - Già, ma purtroppo, come tanti altri, sono cresciuto tra vicini incivili, spazi artificiali e traffico tentacolare. Anche se non mi appartiene, questo è il mio mondo. Mi ci devo rassegnare; il destino ha scelto per me.
senza porsi limiti. Ha già in mente un posto specifico dove le piacerebbe stare?> Lorenzo aggrottò le sopracciglia. - Perché mi sta facendo tutte queste domande, scusi? <È molto semplice, signor Beccardo: i telespettatori vogliono saperne di più. Amano conoscere i tratti caratteriali, i sentimenti e i progetti di ciascuno dei partecipanti. Vogliono apionarsi e immedesimarsi in voi, prima di votare.> - Mi pare di aver già esposto il mio tormento - replicò l’uomo. - Per me i sogni sono finiti da un pezzo. Al loro posto ci sono i debiti. Cosa crede che m’importi di queste fantasie? Ormai sono solo una perdita di tempo. - Pregare per un miracolo che consegni a Elisa una vita sana e dignitosa. Estinguere un mutuo ventennale e riscattare un modesto appartamento di un quartiere popolare. Ridare la luce al volto di Donatella e trovare un po’ di pace anche per me. Non sono forse propositi sufficienti per impegnare una vita intera? Lorenzo non ricevette risposta. Avvertì invece un fruscio, come se il suo misterioso interlocutore si fosse mosso accanto al microfono. - Per me va bene. Immagino che non mi abbia convocato qui solo per parlare dei miei programmi - rispose lui, risoluto. Beccardo cambiò posizione sulla poltroncina, cercando di guadagnare qualche prezioso istante. Uno scricchiolio tradì la sua titubanza.

<Sia sincero e non si preoccupi; il pubblico vuole solo conoscere le sue reali considerazioni. Nessuno le chiederà di votare per eliminare uno dei suoi avversari. Le garantisco, inoltre, l’assoluta privacy sul contenuto della nostra conversazione> lo rassicurò la Voce. - Beh, non ho molto da dire. Credo di aver instaurato un buon rapporto con tutti. - Michele ha una propria personalità, come ciascuno di noi. - Devo conoscerlo meglio prima di esprimere un giudizio. Occorre del tempo per andare d’accordo con caratteri forti come il suo. Non c’è nulla di strano in questo. Lorenzo cominciò a infastidirsi, ma evitò di replicare. - Niente di rilevante. Erano esasperati, come lo ero anch’io. - Può capitare di perdere il controllo, in condizioni estreme come queste. Non li biasimo affatto. In ogni caso, la situazione è rientrata subito: entrambi si sono pentiti e scambiati scuse in abbondanza. Beccardo comprese che si stava aprendo una breccia per il contrattacco. - Abbiamo dimostrato di avere una scorza dura, nonostante gli avvenimenti che abbiamo dovuto sopportare in rapida successione. Siamo stati bravi anche ad attendere pazientemente l’intervento della Direzione, che non arrivava mai. - A questo proposito, avrei io qualcosa da chiedere, se non le spiace. Sono sicuro

che ha già indovinato di che si tratta. Ormai credo che i tempi siano maturi per ricevere una spiegazione su quella pistola, non le pare? <Signor Beccardo, sa bene che la disposizione degli scenari all’interno del reality spetta all’Organizzazione.> L’altro prese atto di come il tono del suo interlocutore fosse diventato più deciso: evidentemente, la fase dei preamboli si era conclusa. Lorenzo scelse di non rispondere, per non far trapelare le sue reali considerazioni. Che pensiero premuroso… Spero voterai per me. Spero con tutte le mie forze che in futuro tu patisca quanto me, cinico bastardo! Chissà se alla lunga diventerai noioso! L’uomo fu colto dall’impaziente desiderio di abbandonare quella camera. Una strana paura stava correndo sulla sua pelle: le pareti sembravano stringersi intorno a lui, fino a opprimerlo, mentre le cuspidi insonorizzanti erano diventate spine.

- No. Si sollevò dalla poltroncina, trafitto da un miscuglio di confusione e sollievo. Si avviò verso la porta e uscì dalla stanza, senza parlare né voltarsi. Appena fuori, incrociò Cortina. L’uomo non gli disse niente; guardava solo davanti a sé, gli occhi sottili di un gladiatore pronto a varcare la soglia dell’arena. Lorenzo si spostò per farlo are. Lo vide sparire oltre l’uscio e si soffermò a osservare la porta che lo aveva inghiottito. Si chiese se almeno Michele sarebbe stato in grado di fronteggiare le sottili vessazioni perpetrate dall’animo di ghiaccio della voce metallica. Oppure, in fondo al suo animo e oltre ogni ingannevole apparenza, era fragile quanto lui?

4.

La donna avanzò facendo risuonare i tacchi, sorretta da un portamento deciso. Monica si guardava attorno, per scrutare l’ambiente in cui era stata catapultata. - Mai quanto avere delle risposte alle domande che mi stanno torturando da ore! - ribatté lei, sedendosi. Accavallò le gambe per mischiare volutamente sensualità e fermezza. - La faccia finita con questo clima di falso idillio, per favore! Esigo che mi spieghiate cosa diavolo ci fa una pistola in casa! Che fine hanno fatto le vostre promesse sulla sicurezza? Attese qualche istante e poi scosse la testa, interpretando quel silenzio come una risposta fin troppo eloquente. - Siete dei criminali, dei pazzi da legare! Avete esibito tanti bei proclami per poi armare le nostre mani! Volete forse che ci ammazziamo a vicenda?

<Signora, non si offenda, ma queste rimostranze cominciano a essere monotone. Francamente, sono stufo di dover rispondere sempre agli stessi quesiti. Come ho già detto ai suoi compagni in precedenza, i criter…> - Non è certo colpa mia se avete deciso di convocarmi per ultima! In ogni caso, avrebbe potuto parlare una volta sola, se le pesa dar aria ai polmoni! In salone, per esempio, quando recriminavamo a gran voce le spiegazioni che nessuno si è degnato di darci! - Che idiozia! Una pistola resta un’arma letale, con o senza caricatore inserito! inveì la regia, con tono intransigente La Pacci incassò la replica senza tuttavia lasciarsi convincere. - Che mi dice allora riguardo alle modalità del sorteggio? Anche su questo argomento le avranno già posto molte domande, immagino. Mi reputerà una donna noiosa… - Quattro persone provenienti dalla stessa azienda e per giunta dalla medesima città… Complimenti, con una mano così fortunata c’è da sbancare il Superenalotto!

La regia tentò di schivare la provocazione con una risata. - Chi volete prendere per i fondelli? È impossibile ottenere una combinazione simile! La donna si zittì e affondò le dita tra i capelli, scoraggiata da quelle spiegazioni ridicole. Presa alla sprovvista, la donna lasciò trapelare un po’ d’insofferenza. Se ne accorse troppo tardi e si morse il labbro. - Questa condizione mi è completamente indifferente. - Per quale ragione? A me importa solo del traguardo finale, non sono qui per coltivare amicizie. Tutto il resto costituisce solo un volume d’aria fritta. Anche a te, stronzo! Per questo ti rode, eh?
Tuttavia, si è trattato di un episodio biasimevole. Ne converrà con me.> - Perché ho la sensazione che questa conversazione si stia arenando? - intervenne bruscamente la Pacci, satura di quegli sproloqui. La Voce inserì una pausa. Monica si sentì scrutata come se fosse nuda. La Pacci si sforzò di non mostrare risentimento. Non voleva apparire fragile o spaventata, visto che non lo era. Non disse niente, s’impose solo di controllare la muscolatura che governava le espressioni del suo viso. <Ma non deve temere. La Direzione vuole tutelarla, affinché possa combattere con le loro stesse armi. Difendiamo da sempre le pari opportunità, è una ferrea regola morale che ci siamo imposti. Una cosa posso garantirgliela: non ci siamo fatti cogliere impreparati. L’esperienza insegna e, le assicuro, NRG ne ha da vendere.> Andate al diavolo, voi e i vostri slogan! - E in cosa consisterebbe, questo vostro aiuto? - chiese Monica, con tono sarcastico. - Nel… nel fienile?

La donna spalancò la bocca, ma non ne scaturì alcun suono. <Ecco il motivo per cui l’abbiamo convocata per ultima: volevamo prima sondare il terreno, per conoscere le reali intenzioni dei suoi avversari. E confermare i nostri sospetti> incalzò la Voce, riassumendo un’intonazione ferma. La Pacci si riassestò sulla poltroncina, cercando di metabolizzare quella raffica d’informazioni senza perdere la calma. <Si tratta di un momento difficile, ma non deve arrendersi. Non ora. So che non fa parte del suo stile, lei ha grinta da vendere. Si consoli, il pubblico da casa è dalla sua parte. Sicuramente lo sono le donne.> - Non capisco che necessità ci sia di doversi recare in quel tugurio… E poi, perché non ci saranno riprese? <Sono informazioni riservate e non posso certo parlarne con lei. Capirà tutto quando raggiungerà il sito. Al momento posso solo dirle che, se decidesse di prendere in considerazione la mia offerta, interverrebbe una persona in grado di fare la differenza per le sue sorti all’interno del gioco. Una persona DAVVERO influente.> - Si può sapere qual è il vostro scopo? <Monica, Monica… Continua a torturarsi con interrogativi che non producono risposte immediate… Le chiedo solo un po’ di fiducia, nulla di più. Deve comprendere che questa manovra nasce per tutelare i suoi diritti. La condurremo in un posto assolutamente sicuro e, contrariamente a quanto pensa, tutt’altro che disagiato.> La donna si morse nuovamente il labbro, lottando contro se stessa e la propria razionalità. Un posto sicuro come lo doveva essere quello che ora contiene una pistola? Si sforzò di scacciare quei pensieri e di concentrarsi sui reali obbiettivi. Se li

voleva raggiungere, era necessario rischiare. La gente a casa non doveva scambiare la sua titubanza per debolezza. - Va bene, io… aspetterò la vostra chiamata - si arrese infine, lasciando cadere le braccia e la sua ostruzione. La donna si alzò di scatto, infastidita da quella flessione di compiacimento. Si mosse verso l’uscita, rimarcando il suo o. L’uomo spense i microfoni; ormai la Voce non serviva più. Azionò il dispositivo di apertura e la serratura ubbidì prontamente. Attraverso il vetro, osservò la Pacci raggiungere l’uscita. Rideva ancora di lei quando la porta si richiuse.

5.

Lorenzo era in cucina, intento a disporre i piatti sporchi nella lavastoviglie. Sentendo la porta aprirsi alle sue spalle, si voltò. - Ah, sei tu… - disse, tornando a occuparsi del proprio lavoro. - Contieni il tuo entusiasmo, sennò mi fai commuovere! - Hai combinato un bel casino a cena, con quella provocazione. Andreini sospirò, persuaso del fatto che la polemica fosse ancora viva. - Era una domanda lecita. Volevo solo capire con chi ho a che fare. - Già, ma ci hai messo in imbarazzo. Che cavolo significa chiedere cosa siamo disposti a fare per vincere, per giunta con una pistola in casa? - Hai notato anche tu che clima ci fosse a tavola, no? Mi sentivo circondato da psicopatici quieti, pronti a scatenare la follia in un batter d’occhio - si giustificò l’altro, sedendosi a cavalcioni sulla sedia. - Motivo in più per usare il buon senso. O quantomeno più tatto, se proprio non ti era possibile stare zitto! - lo rimproverò Beccardo, chiudendo lo sportello e facendo partire il programma di lavaggio. - Lo so e mi dispiace, ma non ho retto oltre. Quella Blueroom ti fa andare in panico, ti viviseziona senza scrupoli e non ti dà alcuna possibilità di difenderti. È da quando sono uscito da lì che mi sento strano. Ti giuro, non volevo creare casini, ma non ce l’ho fatta più. Lorenzo si sedette di fronte a lui. - Va bene, dai, non pensarci. Ci abitueremo anche a quella stanza…

- Stanno diventando un po’ troppe le cose da mandar giù. Beccardo annuì. - Sai cosa penso, Tommy? Ha ragione Michele quando afferma che le uniche energie da mettere in campo sono quelle mentali. - Già… Secondo lui, la pistola stessa è un bluff e non è affatto un problema conviverci. Parla bene Cortina, si dà arie da gran guru orientale. L’unico limite sta nelle nostre menti e non nella canna di un’arma da fuoco, sentenzia. Ma vedremo quanto saprà galleggiare sul pelo dell’acqua, al momento opportuno… Lorenzo storse la bocca; in fondo la pensava allo stesso modo. - Si, ma in ogni caso dobbiamo imparare a non perderci nella nebbia che gli organizzatori stanno diffondendo nelle nostre teste. Diversamente, ragazzo mio, non ne usciremo sani. - Non è facile, specialmente per chi vede in questo gioco l’unica opportunità che lo possa riscattare dalla sua condizione di merda. Beccardo lo osservò. Gli sovvenne il momento in cui lo aveva incontrato per la prima volta, nell’androne. Quella sensazione era giusta, a quanto pareva: anche lui aveva qualcosa da raccontare. - Tommaso… C’è qualcosa che mi vuoi dire? Un sottile fremito d’inquietudine transitò tra i loro sguardi. - Vedi, tu hai un grosso nodo da sciogliere, ma anch’io non sono messo bene… - Avanti, ti ascolto - lo incoraggiò Lorenzo. - Sono cose un po’… personali. Niente di buono. Non vorrei annoiarti… - Forza, non aver paura. Rivelami la tua bella storia. Tommaso si alzò e si rimise a sedere, stavolta composto. Appoggiò i gomiti sul tavolo e avvicinò il volto al suo interlocutore. - Hai presente quelle sere piovose nelle quali la sola idea di uscire da casa

costituisce un azzardo? Quando il favore migliore che puoi farti è sparire sotto le coperte e pensare a un buon sonno? Ecco, io invece, in un fottuto venerdì di sei mesi fa, ho infilato l’uscio e ho chiuso a chiave la porta alle mie spalle. - E… perché, se posso chiedertelo? - Mi andava di giocare a biliardo, eppure stavo meditando di rinunciare. Diluviava, con che voglia potevo andare là fuori? Ma Gelsica continuava a darmi in testa, mi ripeteva che stavo sempre in giro e non mi occupavo di Niccolò. Stronzate, io al mio piccolo ci ho sempre pensato, ma che cavolo? Un uomo che lavora in fabbrica ha pur diritto a qualche svago, no? Così sono uscito lo stesso, anche per farle vedere chi comanda. Sai come sono le mogli, quando si prefissano di romperti le palle! Come inizio non c’è male… - Uscito in strada, mi sono recato al mio solito posto, il “Greentable”. Ho salutato gli amici e mi sono fatto un goccio con loro. Poi ho iniziato a giocare. Andava tutto a meraviglia, più tiravo e più cresceva il feeling con la stecca. Quella sera, era lei la mia donna. Per farla breve, nel giro di poche partite vinsi trecento euro. La mia convinzione si rafforzò, fino a farmi sentire invincibile. Credimi, ero davvero su di giri. - Ti capisco. Quando vai forte pensi che nessuno possa fermarti. - L’hai detto, amico. Comunque, le cose stavano così. Tutti si congratulavano, qualcuno mi ha perfino pagato da bere. Finché notai quel tipo: un ometto secco che continuava a fissarmi e bisbigliare all’orecchio del suo compare. Non mi piaceva, specialmente quando ridacchiava. Perciò, mi avvicinai e gli chiesi cos’avesse da guardare tanto. - E sono iniziati i guai… - No, non cercava rogne. Si scusò per aver dato l’impressione di essere invadente o maleducato, non era per nulla sua intenzione. Si, disse proprio così, come un damerino. Non tradì alcun accento, sembrava appena uscito da un corso di dizione. Si presentò dicendo di chiamarsi Vortice. Tese la mano e mi fece i complimenti per come stavo giocando. Si spacciò per un giocatore mediocre a cui ogni tanto piaceva fare due tiri con chi era più bravo di lui. Aggiunse di essere interessato a confrontarsi con me; una partita semplice, solo per giocarci

quattro soldi. Non ci trovai nulla di male, in fondo anch’io volevo misurarmi con lui per vedere se fosse realmente così scarso. Così accettai. - Il solito vecchio trucco. Ma come hai fatto a cascarci? - Te l’ho detto, ero carico a martello. Ti assicuro che a vederlo reggere la stecca sembrava davvero un pivello. La partita fu una formalità, vinsi agevolmente di trentadue punti. Vortice mi chiese la rivincita e ovviamente gliela concessi. Stavolta vinse lui, ma di sole due lunghezze. A quel punto, mi chiese la partita di bella. Appunto… - Gli amici mi presero da parte e mi consigliarono di mollare il colpo. Dissero che era il tipico gancio da traino di chi vuol adescare gli allocchi. Ma io non li ascoltai, giocai e persi di dieci punti. Non la presi male; sentivo di poterlo battere, non sembrava un fenomeno. Bastava solo che m’impegnassi un po’ di più. Andreini socchiuse gli occhi e abbassò lo sguardo. - Fu in quel momento che abboccai alla sua esca. Giocammo ancora e mi feci prendere la mano. Inanellai una serie di sconfitte, sempre per pochi punti, intervallate da qualche vittoria. Mi teneva in pugno facendomi credere che non fosse imbattibile. Intanto stavo accumulando un debito importante. Non ci badai, convinto di poter recuperare con gli interessi. Ero in trance agonistica, gli amici tornarono a mettermi in guardia. Io invece li trattai malissimo, arrivando perfino a insultarli. Bel cretino, eh? Beccardo scosse la testa. Non ci voleva un veggente per pronosticare l’epilogo. - In realtà il bastardo, fino a quel momento, aveva tenuto il freno a mano tirato. Quando iniziò a giocare sul serio, come sapeva fare, mi stese completamente. Alla fine della serata, erano quasi le quattro, avevo accumulato un debito di dodicimila euro. Lorenzo spalancò la bocca. L’esclamazione gli si strozzò in gola. - Mi svegliai bruscamente, ma l’incubo era appena iniziato. Tremavo come una foglia, in preda al panico più violento. Farfugliai di non aver mai posseduto in

vita mia una cifra del genere. Desolato, ma non potevo pagarlo. Vortice storse il naso, ma non si scompose. Affondò la mano tra i capelli unti e concluse con tono falsamente bonario che i debiti di gioco vanno saldati, altrimenti sarebbe come non andare a Messa la domenica. - E quindi? - Oh, si comportò da galantuomo! Mi rassicurò con un sorriso e una pacca sulla spalla. Non importa se non hai i soldi, mi spiegò, il mio amico sarebbe felice di farti credito. E così mi presentò quel Vincenzo Franco, senza specificare quale fosse il nome e quale il cognome. L’altro allungò la mano sudata e sorrise con i suoi denti marci. Mi disse di non preoccuparmi, che avrebbe sistemato tutto lui con Vortice. In cambio, ovviamente, di un piccolo interesse aggiunto. Ma potevo pagare con calma, non era certo uno strozzino, lui... I suoi occhi erano lucidi. Beccardo si aspettava che da un istante all’altro si sarebbe sciolto in lacrime. - I due bellimbusti si dileguarono, il loro lavoro era finito. Si congedarono con un saluto derisorio, che bruciava più del fuoco. Rimasto solo con i miei amici, mi sentii sprofondare nell’angoscia più crudele. Sentivo i loro occhi addosso, ma nessuno s’intromise, né si permise di fiatare. Mi lasciarono uscire dal locale, accompagnato dai miei rimorsi. - Non oso immaginare con che stato d’animo tu sia tornato a casa… - Ero frastornato, mille pensieri attraversavano la mia testa. Ma una cosa l’avevo capita: Gelsica non doveva sapere niente. Per nessuna ragione al mondo. Mia era stata la cazzata e a me spettava rimediare. Non avevo idea di come fare, ma mi convinsi che in qualche maniera me la sarei cavata. Dovevo proteggere il piccolo Niccolò; a soli quattro anni non era giusto che conoscesse quegli orribili risvolti della vita. Solo grazie a quel proposito riuscii a rientrare in casa e a prender sonno. - Tua moglie stava dormendo? - Fortunatamente si. Se mi avesse visto in faccia, avrebbe capito ogni cosa. - Già… - sospirò Lorenzo, alzando le sopracciglia.

- Mi accorsi ben presto, però, che il mio era solo un bieco espediente per ingannare me stesso. In poche settimane il debito con Vincenzo Franco il cravattaio era salito a quindicimila euro. Ero disperato, non sapevo come risolvere la situazione. Come se non bastasse, dovevo anche far finta di niente sul lavoro, scherzare con Niccolò e non far trapelare il minimo sospetto quando parlavo con Gelsica. Dovevo sorridere sempre, come una scimmia da claque. Sembrare spiritoso e sereno, mentre la preoccupazione mi divorava come un cancro. - Che schifo d’inferno hai dovuto attraversare… - Non trovo le parole per descrivertelo. Vivevo nel terrore, annaspando come un moribondo che sapeva di non poter reggere all’infinito. La situazione precipitò un brutto giorno in cui realizzai di non poter più tenere nascosta la verità. Quella sera, di rientro dalla fabbrica, afferrai il coraggio e l’incoscienza a due mani e decisi di affrontare mia moglie. In realtà, la mia scelta mi si ritorse ben presto contro; quando le raccontai come stavano le cose, Gelsica fu colta da una crisi di nervi. Dopo i primi minuti trascorsi a piangere e ad assorbire il colpo, riprese le redini della sua grinta e iniziò a insultarmi con le espressioni più mortificanti che potesse trovare. Mi rinfacciò tutti i miei peccati ati, quando mi ero divorato intere giornate di paga alle macchinette dei videopoker. Urlò che potevo anche morire, perché la mia stessa vita ora la ripugnava. Avevo creato una voragine incolmabile, delle ferite che non si sarebbero più rimarginate... - E a quel punto lei… - Gelsica non ne volle sapere niente. Era un problema mio e dovevo arrangiarmi da solo. Mi cacciò di casa quella sera stessa e m’intimò di stare lontano dal bambino, che da quel giorno era diventato orfano di padre. Beccardo nascose il viso tra le mani. - Non li ho più rivisti, Lorenzo. Il giudice mi ha tolto la potestà genitoriale, parlando di manifesta irresponsabilità o qualcosa di simile. Era una donna, avessi visto con quanto disprezzo mi guardava… Sono convinto che abbia patteggiato per mia moglie fin dalla prima udienza, ma non mi sento di biasimarla. Al suo posto, forse avrei fatto lo stesso. - Come sei riuscito a superare una botta così devastante? Mio Dio, solo a pensarci…

- Oh, non è certo finita lì. Perduti gli affetti e la casa, assegnata chiaramente a mia moglie, ho dovuto far fronte alle altre tribolazioni. Con il trascorrere dei giorni, il debito accumulato aumentava; inoltre dovevo anche mantenermi e pagare le spese del buco che mi ero trovato in affitto. E siccome piove sempre sul bagnato, l’auto ha cominciato ad avere problemi seri. La mia vita stava precipitando, amico, e non mi vergogno a confessarti di aver pensato più volte al suicidio… - Quando un uomo si perde, nessuno lo va a cercare. Se non fosse stato per il coraggio che mi ha trasmesso Donatella, in certi momenti anch’io… - Per me invece si è trattato solo di puro, anzi vigliacco, spirito di sopravvivenza: ho preferito diventare un’entità amorfa piuttosto di togliermi la vita con le mie mani. Un alieno che viveva all’ombra di paure e stenti, dentro l’inferno senza tregua, in attesa di essere ucciso o torturato. La chiamata di NRG in fondo è arrivata appena in tempo per togliermi il cappio di Vincenzo Franco dal collo… Andreini si asciugò gli occhi, tenero come un bambino sperduto. - Ti ho annoiato abbastanza, vero? - disse con voce strozzata, sforzandosi di sorridere per levarsi dall’imbarazzo. - Tommaso, io… Mi dispiace tanto, credimi. Posso solo ammirarti per come hai sopportato questo dolore per così tanti mesi, senza impazzire. E ringraziarti per aver scelto di parlarne con me. - Tu mi puoi capire - replicò l’altro, schiarendosi la gola - Anche per te è un momento drammatico. Solo chi nuota nella merda può sapere cosa significa lottare per non affogare. - Si, purtroppo hai ragione… - E poi, ho sempre avuto la sensazione che tu sia un buon ascoltatore. La maggior parte della gente non ti dà retta, troppo occupata ad annaspare dietro ai propri affanni. Oppure vuole solo imporsi per governare la conversazione. Beccardo, lusingato, rimuginava sull’idea che da qualche minuto stava prendendo forma nella sua mente. Quella vicenda l’aveva colpito, inutile negarlo: si sentiva profondamente solidale e non poteva rimanere indifferente. Non lui, che aveva conosciuto il volto dell’ angoscia.

- Senti, Tommy, una cosa posso assicurartela. Se dovessi vincere quella somma, troverei un modo per darti una mano. Andreini sgranò gli occhi, avvampato da quello slancio di munifica comprensione. - No, Lorenzo, io non… - Come sai, devo prima risolvere l’urgenza di Elisa. Ma stai certo che riuscirò a fare qualcosa anche per te. Inoltre, i telespettatori si saranno commossi di fronte a un dramma come questo; magari possono intervenire per aiutarti, oltre che per darti le loro preferenze… Le labbra di Tommaso si accartocciarono in una smorfia di stupore. - Sei un uomo davvero speciale, Lorenzo, con un cuore immenso. Io… io non so come ringraziarti… Non lo so proprio… Ti assicuro che se vincessi io, farei lo stesso con te! Beccardo si trovò stretto nel suo abbraccio. Ricambiò con trasporto, perché in fondo lui e quel ragazzo un po’ goffo erano riflessi diversi dello stesso specchio. Andreini assottigliò gli occhi e liberò un ghigno affilato: ora anche gli spettatori a casa conoscevano la sua storia. Il distacco si era ridotto, poteva tornare a giocarsi la partita. E, almeno stavolta, vincerla.

SCELTA LIBERA

1.

Era al telefono da diversi minuti, impegnato a sfoggiare la sua loquacità con un cliente. Come sempre, aveva assunto un tono compiacente, per accompagnare le fandonie che stava cercando di vendere. Alberto, il suo collaboratore diretto, gli si avvicinò. - Michele… - sussurrò, alzando l’indice. L’altro spostò il mento dalla cornetta e gli fece un cenno interrogativo con la testa. - C’è qualcuno che ha chiesto di te. Ti sta aspettando nel locale, ha molta fretta. - Chi è? - Non lo so, ma cerca di sbrigarti. Penso si tratti di una cosa seria… Chi potrà mai essere? E cosa vuole da me? - Ora la devo lasciare, signor… Si, una delle mie solite riunioni, purtroppo... Assolutamente, lei non deve preoccuparsi di niente… Certo, siamo a sua completa disposizione… Va bene, le farò sapere al più presto… La saluto, buona giornata! Riagganciò la cornetta. Un principio di agitazione gli stava affiorando in gola. - Datti una mossa, dai. Non tirare troppo la corda. Ma quale corda? - Calma, calma, sto andando… La prossima volta, però, fatti dire chi è!

Alberto allargò le braccia, prima di tornare a occuparsi del suo lavoro. Michele si alzò dalla sedia, riassestò la cravatta e raccolse una manciata dei suoi biglietti da visita. Solo in quel momento si accorse di quanto fosse frenetica l’atmosfera: l’immenso open space della RIV.BER. commerciale accoglieva un trambusto di voci sovrapposte, e tutti schizzavano come marionette impazzite. Gli bastarono pochi i per raggiungere il locale. Sopra lo stipite, vide un quadro che non aveva mai notato e che raffigurava quello stesso ingresso, incassato però in una parete marrone. Lo scorcio rappresentato era spoglio, sembrava appartenere a un vecchio tugurio. L’uscio era socchiuso e dal triangolo filtrava una luce pallida. Si scosse dal quel dipinto che gli sembrò così reale e aprì la porta. - Permesso… Dalle veneziane semichiuse trapelava un barlume cinereo, che batteva sulla scrivania e mostrava una sagoma comodamente seduta sulla poltroncina. Ebbe la sensazione che quella persona lo stesse fissando. Dalla fisionomia corpulenta gli parve un uomo, anche se il viso era immerso nella penombra. - Prego, avvicinati - lo invitò la voce, senza mostrare flessioni. Michele riconobbe il timbro di Giorenti, il suo capoufficio. - Ha bisogno di parlarmi? - chiese, facendo un o in avanti. L’uomo ruotò sul perno della sua sedia, fece un giro completo e si fermò. - Ti abbiamo visto in tivù, Cortina. E abbiamo scoperto le tue reali intenzioni. - Non… non capisco, capo. A cosa si sta riferendo? - Oh, non prenderci per idioti. Ora è chiaro quello che vuoi fare all’azienda rispose Giorenti, sollevandosi improvvisamente dalla sedia e premendo l’interruttore della sua lampada da tavolo. Si accese una luce fioca, che sorprese la bocca spalancata di Michele, incapace di produrre il minimo suono.

- Non penserai di cavartela tanto facilmente, vero? - Io… non so di cosa parla, sul serio - prese tempo l’altro, alzando le spalle per nascondere l’imbarazzo evidente. - Hai compromesso ogni cosa, Cortina! Il tuo lavoro, la reputazione e la posizione professionale che malauguratamente ricopri da noi! - incalzò l’altro, sbraitando - Non hai ancora capito? Non voglio vederti mai più da queste parti, cencioso bastardo! Ti sbatto fuori! Contatto immediatamente l’ufficio del personale e ti faccio licenziare in tronco! Michele strabuzzò gli occhi. Era in panico totale, le sue tempie battevano come tamburi. Come diavolo hanno fatto? Io non ho parlato con nessuno! - Per te è finita, stronzo! Farò in modo che non ti riassumano mai più, neanche per pulire i cessi! Dove ho sbagliato, dove??? D’un tratto le pulsazioni rallentarono, come se la sua mente fosse sprofondata in una calma mai provata prima. Fissò il suo capo con disgusto, deciso a operare prima che fosse troppo tardi. Senza dire una parola, estrasse la Bernatti SK9 e gli sparò a bruciapelo. Giorenti si afflosciò come un pallone sgonfio e scivolò sul pavimento, emettendo un grugnito sommesso. Michele si soffermò qualche secondo a fissare il cadavere. Non parli più, eh, sacco di concime? Ora va’ a licenziare i vermi! Infilò la pistola fumante nella tasca interna della giacca. Uscito dalla stanza, richiuse la porta alle sue spalle e si sforzò di esibire l’espressione più distesa che riuscì a trovare. Temeva che i suoi colleghi avessero sentito lo sparo; li scrutò, ma nessuno sembrava essersi accorto di niente. Nemmeno Alberto badava più a lui. Continuavano tutti a correre come formiche brulicanti, agitando i loro fogli e affannandosi ai telefoni. Come richiamato da un’entità eterea, si sentì obbligato a voltarsi. La testa si alzò oltre lo stipite e i suoi occhi si depositarono sulla tela, trasportati da un

misterioso magnete. Ora l’uscio dipinto era spalancato, anche se non filtrava luce. La parete si era sbiadita e trasudava rivoli rossi, immobili sull’intonaco. La ragione, incredula, negava con un movimento incontrollato della testa. Il corpo barcollava all’indietro, i piedi incespicavano su ostacoli inesistenti. Gli occhi erano prigionieri di quella visione e temevano di esserne risucchiati. La gola non riusciva più a deglutire, i polmoni ansimavano senza catturare ossigeno. Perle di sudore cristallino scendevano lungo la fronte, appiccicando i capelli. - Basta! Lasciami in pace! Indietreggiando, urtò qualcuno. - Ehi, Michele, che ti prende? Sembra che hai visto un fantasma… - Alberto… io… Guarda lassù, guarda quel quadro… - Non ti preoccupare, è tutto a posto! - esclamò, ilare, prima di sparire nella mischia indaffarata. Cosa è a posto? Si avviò verso la propria scrivania, cercando rifugio da quell’orrore spasmodico, ma fu costretto a fermarsi subito. Sgranò gli occhi, mentre il sangue era tornato a gelarsi nelle vene: qualcuno aveva delimitato la sua zona di lavoro con pannelli blu. Al centro della nuova parete, c’era una porta. Abbassò la maniglia e varcò l’ingresso, scoprendo di essere nuovamente nel locale di prima. Il cadavere di Giorenti giaceva ancora sul pavimento, eppure la penombra stava nascondendo un’altra sagoma. Qualcuno, immobile sulla poltroncina, lo stava aspettando. - C-chi sei? - Non ti permetterò di portarmi via la valigetta. Quei soldi spettano a me. - T-tu? Che ci fai qui? Il volto di Beccardo s’illuminò, e il riverbero coinvolse tutto il corpo. Lorenzo

reggeva una bambina tra le braccia, attento a non stringerla troppo forte. Michele si meravigliò dell’insistenza con la quale la stesse dondolando, mentre le accarezzava i capelli. Sembrava volerla consolare, come se piangesse istericamente. Ma lei era muta e immobile, come addormentata. Osservandola meglio, Cortina si accorse con sconcerto che la bimba era morta. Poteva vederne il viso sfaldato, le braccine decomposte. Il cadaverino aveva iniziato improvvisamente a emanare un fetore nauseabondo, che lo raggiunse rapidamente. Trattenne il fiato più volte per non vomitare. - Hai sbagliato le tue mosse, maiale. Ora pagherai! La figlioletta mosse la testa, emettendo un gorgoglio d’oltretomba. Aprì di schianto i suoi occhi tondi, le sue pupille rosse senza iridi. Scese dal ventre del padre e iniziò a gattonare verso Michele, la testa ruotata in posizione innaturale. L’uomo arretrò, impaurito. - Non ti avvicinare!!! Stai lontana da me!!! Estrasse la pistola e iniziò a sparare all’impazzata. Le carni esplodevano, ma la bimba non si fermava. Avanzava lentamente, avanzava e ghignava di quell’omino che correva all’indietro e del suo caricatore ormai vuoto… Michele si ritrovò al centro dell’open space. I pannelli che delimitavano la sua scrivania erano scomparsi. Nell’aria aleggiava un’atmosfera spettrale. Si accorse che i suoi colleghi avevano smesso di affannarsi. Erano immobili e lo stavano fissando in silenzio. Indietreggiò quando vide che iniziavano a muoversi verso di lui. - Lasciatemi andare, vi prego… Voglio solo tornare a casa mia… - Non ascoltatelo! È più falso di Giuda! Si voltò verso la propria scrivania. Giorenti si era insediato con tutta la sua sagoma ingombrante e aveva i piedi appoggiati sul ripiano. Sembrava in gran forma, anche se il suo ventre conservava ancora il buco che la pallottola gli aveva procurato. - È lui il bastardo doppiogiochista che ci ha ingannati!

Cortina inorridì. Davanti a sé ora c’erano solo sagome putrescenti, che ondeggiavano reggendosi su gambe malferme. I loro occhi erano bianchi, i corpi ricoperti di sangue rappreso. Come ammaestrati da una nenia ipnotica, ripetevano parole e guaiti che si sovrapponevano, lamenti di morte che salivano di tono. L’aria era fetida, Michele fu costretto a trattenere diversi conati. Il fragore crebbe fino a farlo impazzire. Si tappò le orecchie con le mani, strizzò le palpebre più forte che poté. Dio, ti prego, falli smettere! Non ce la faccio più! Una mano gelida si appoggiò sulla sua spalla, facendolo trasalire. Si voltò, a pochi centimetri dal volto sfigurato di Beccardo. Anche lui era diventato una poltiglia di carne e ossa; la sua orbita destra era orfana del globo oculare. - Non lascerò scivolar via la mia bambina. - Vattene via, stupido custode!!! - Non lascerò scivolar via la mia bambina - gli ripeté, glaciale. - Non mi frega niente di tua figlia, proprio niente di tua fi… - …gliaa!!! L’eco si spense nella stanza. Michele si ritrovò seduto sul letto, il corpo velato di sudore. Un incubo, solo un fottuto incubo di merda! Ansimò per qualche istante, il cuore che spingeva contro il petto. Si guardò intorno; fortunatamente non aveva svegliato nessuno. Cercò di calmarsi, mentre in silenzio respirava il buio informe.

2.

I concorrenti attendevano seduti sui divani del salone, soffocando la loro impazienza nel silenzio. Pochi minuti prima, mentre stavano facendo colazione, la Voce si era presentata con la consueta cordialità e aveva chiesto loro di recarsi in sala, non prima però di aver terminato il pasto con calma. I coinquilini si erano guardati negli occhi, per cercare un cenno che sancisse la reciproca complicità. Erano così rimasti a tavola, ostentando un’apparente indifferenza. Per un po’ aveva funzionato, ma in breve tempo l’ansia li aveva raggiunti: senza accorgersene, si erano ritrovati a ingoiare gli ultimi bocconi. Monica si stava sforzando di non guardare il quadrante dell’orologio. Come se non bastasse, doveva sopportare anche Tommaso seduto accanto a lei, che continuava a rigirarsi nervosamente. Era stata più volte sul punto di rimproverarlo, ma sapeva bene che i suoi tormenti erano altri. Tanto per cominciare, occorreva superare quel momento difficile. Era chiaro, infatti, che la regia dovesse annunciare il nome del primo eliminato. Non aveva dubbi sulla propria candidatura: era convinta che il litigio della mattina precedente avesse lasciato degli strascichi, nonostante lei e Michele si fossero scusati e chiariti in pochi minuti. La verità, secondo lei, era che la gente adorava nascondersi dietro l’anonimato di un televoto. Seguiva morbosamente le vicende, godeva dei dissidi e poi si ergeva a giudice supremo per condannare gli interpreti. Si rimproverò ancora una volta per non aver saputo fronteggiare con astuzia quella vipera di Cortina. Promise fermamente a se stessa, se il pubblico l’avesse salvata dall’eliminazione, che non avrebbe più commesso un errore così grossolano. Michele stava osservando Beccardo, attento a non farsi scorgere. L’individuo inerme che gli sedeva di fianco suscitava una tenerezza comionevole. Continuava a fissare il pavimento, attento a non disturbare con il suo respiro. Perfino le sue natiche mostravano discrezione, appoggiate appena al bordo del sofà. Eppure, Cortina non riusciva a togliersi dalla testa quel mostro sfigurato e putrescente che aveva sconvolto il suo sonno. Chi era davvero Lorenzo

Beccardo? A emettere un giudizio superficiale, si poteva affermare che apparisse come un perdente mansueto. Fino a quel momento, si era sempre nascosto nell’ombra, ai margini delle schermaglie, trovando una spiegazione anche quando la ragionevolezza appariva fuori luogo. Sarebbe però stato troppo facile appiccicargli un’etichetta, a maggior ragione sapendo che scricchiolava sul ciglio di un dramma familiare. Lorenzo avrebbe ucciso pur di non dover convivere con un fallimento così devastante, come uomo e come padre. Non considerare quell’aspetto sarebbe stato un errore grave, forse irrimediabile; Michele ringraziò il suo subconscio per averlo messo in guardia. Irrigidì le mandibole, accorgendosi che si stava pasticciando le unghie. Avrebbe voluto fumare, ma chissà quanti problemi gli avrebbero creato gli altri. Pensò alla Pacci e notò che non era stata molto loquace, quella mattina. Evidentemente, come lui, sentiva di rischiare l’esclusione dal gioco. Dubitava che le scuse reciproche e le parole di comprensione a seguito del battibecco fossero servite a salvare la situazione. A suo modo di vedere, il soggetto medio, forse per sadico appagamento, preferiva incolpare chiunque pur di non umiliare se stesso. I partecipanti trasalirono, voltandosi simultaneamente verso l’altoparlante. Lorenzo sentì correre un brivido lungo la schiena. Pronti per cosa? - Di cosa sta parlando, scusi? - chiese Tommaso, diffidente.

Vieni al punto, stronzo, smaniò Michele assottigliando gli occhi. esclamò la regia con enfasi. Monica ringraziò l’entità divina che aveva accolto le sue preghiere, mentre un sospiro si levava dal suo petto. - E vai, ce la giochiamo ancora! - esultò Andreini, rifilando una pacca violenta sulla spalla di Beccardo. - Va bene, ma non mi demolire… - protestò l’altro. - Un momento, mi scusi. C’è qualcosa che non torna. Briola ci ha garantito che l’unico elemento che determina le nostre sorti è il voto dei telespettatori - fece notare Cortina. disse la Voce, perplessa. - Perché allora ci ha detto che è stata una vostra disposizione? - Si, ma non capisco per quale motivo non avete previsto eliminazioni - incalzò Michele. - Già, è vero! Quel tipo ha parlato chiaro: per ogni prova sostenuta, il concorrente con meno televoti sarebbe uscito dal gioco! Dov’è il trucco? - si aggiunse Tommaso. - Certo, ha detto così. Ci può spiegare cos’è cambiato? - chiese garbatamente Beccardo. La Pacci li osservava esterrefatta. Ma di cosa si lamentano? Preferivano tornare a casa a mani vuote?

- Ammetterà che sia impossibile ottenere la parità assoluta, oltretutto tra quattro persone. Qualcuno deve aver perso per forza, fosse anche per una sola preferenza… - insistette Cortina. - Non ci fraintenda, la novità ci fa molto piacere. Il punto è che ci sentiamo sempre più disorientati; non è facile starvi dietro - puntualizzò Michele. - Si, è così. Ci piacerebbe capire qualcosa, ogni tanto - sostenne Andreini. <Monica, lei che ne pensa? Non ha parlato molto, finora…> - Sapere che la mia permanenza nella casa non s’interrompe qui è la miglior notizia che potessi ricevere. Del resto non m’importa. Non credo ci sia altro da aggiungere - rispose lei seccamente, con l’intento di evitare l’innesco di fastidiose discussioni. <Sono felice che tutto si sia chiarito. V’invito ancora una volta ad essere più fiduciosi. Gli ideatori di “Dove abita il Sogno” hanno menti elastiche, in grado d’improvvisare e gestire in corsa le varianti. La nostra idea di reality innovativo è anche questa: regole flessibili e cambiamenti senza indugi. Non bisogna mai consegnare al pubblico un prodotto prevedibile.> - Mi tolga una curiosità, per cortesia - sibilò Cortina. <Molto volentieri.> - Che effetto ha provocato la lite che c’è stata tra me e Monica? <Mi spiace, ma questo argomento riguarda esclusivamente la gestione organizzativa del format. L’unica cosa che posso dirle è che, come sta appurando lei stesso, ciò che è accaduto non ha condizionato le scelte dei telespettatori.>

- Preservando quindi la perfetta parità di voti… - concluse sarcasticamente Michele. - Dite quello che volete, ma secondo me ai punti ho vinto io! - affermò Tommaso, dando di gomito a Lorenzo. - Ah si? Se si partisse dal basso, saresti sicuramente il primo! - lo sfotté Cortina. Monica continuava a tacere e a compatirli. I concorrenti si guardarono, senza comprendere a cosa si riferisse il commiato della regia.

3.

Beccardo era rimasto solo nel salone. Gli altri partecipanti si erano dileguati, ciascuno con un pretesto diverso, nel tentativo di isolarsi e di riconquistare il proprio spazio vitale. Lorenzo non li biasimò, anzi apprezzò ciò di cui lui stesso stava beneficando. Si stese sul divano blu. Chiuse gli occhi e stirò la schiena, gustandosi ogni attimo di quel meritato sollievo. Nonostante il serbatoio della sua autostima si fosse riempito fino all’orlo, non si era mai separato dalla lucidità razionale. In fondo, tutto era rimasto come prima: si trovava ancora nella casa, davanti al tavolo a giocarsi le sue fiches, ma nemmeno gli altri erano stati estromessi dal gioco. Provò l’incontenibile esigenza di chiamare Donatella. Avrebbe voluto sentire la sua voce e raccontarle le emozioni che stava vivendo. Più di tutto, smaniava per sapere come stava la piccola Elisa. Non ricevere notizie era esasperante, ma avere il tempo per pensare era anche peggio. Quel senso d’impotenza lo faceva impazzire: non c’era modo di comunicare con l’esterno, poiché la casa era priva di telefoni. Maledì l’emittente, che aveva vietato ai concorrenti di portare con sé il proprio cellulare. Ricordava fin troppo bene le mani invadenti di quegli energumeni che lo avevano perquisito al suo arrivo, trattandolo come un narcotrafficante a un posto di blocco. Come tutti, era stato costretto ad accettare quei vincoli. Doveva fidarsi di quanto avevano garantito i produttori, credere che sarebbe stato contattato in caso di problemi o contrattempi esterni. La caratteristica di aver fede nel prossimo non apparteneva più alla sua natura, straziata dagli inganni, e quella condizione costituiva a maggior ragione un azzardo; ma era la scelta di chi non aveva scelta. Gli occhi si gonfiarono di nostalgia. Considerò quante volte in quelle ore, solo grazie alle sue donne, aveva trovato la forza per resistere e tirare avanti, lo slancio per ripartire dai migliori propositi, la capacità di isolarsi dai malumori e dalle futilità dei compagn…

All'improvviso percepì un rumore. Aprì le palpebre e si sollevò, rifiutando semplicemente l’ipotesi dell’ennesima novità. Scrutò a lungo intorno a sé, senza notare alcun cambiamento. Era ormai intenzionato a riaccomodarsi, quando se ne accorse. N-non è possibile… Un’ampia lingua di luce separava la porta blindata dallo stipite. Impiegò diversi istanti prima di realizzare quanto la vista stava trasmettendo al cervello. N-non è possibile… Si alzò di scatto, raggiunse l’ingresso e spalancò il battente, mentre il cuore pompava all’impazzata. Mise fuori la testa e guardò in giro, ma trovò solo il prato immerso nei colori tremuli del mattino. Lo stupore lasciò il posto a una tentazione trafiggente, a una folle idea che gli sfiorò la pelle. Si voltò e il suo sguardo cadde sulla valigetta, per poi tornare all’uscio aperto. No, è assurdo. Non ci pensare neanche! Troppi ostacoli da superare, lo avrebbero preso subito. Per poi estrometterlo dal gioco, denunciarlo o, peggio ancora, farlo arrestare. Però, se fosse stato veloce… avrebbe preso gli organizzatori di sorpresa. Che ti dice il cervello? Sono stati loro a sbloccare la porta! Sicuramente gli scagnozzi sono nascosti là fuori da qualche parte, ad aspettare che un idiota abbocchi all’esca! Già, però se in qualche modo fosse riuscito a oltreare il cancello… Cosa importava poi come seminare i segugi del network e recuperare un mezzo che lo riportasse a casa? Gambe ed entusiasmo non gli mancavano, nemmeno per coprire l’intero tragitto a piedi, se fosse stato necessario. Una volta consegnata la valigetta a Donatella, poi, Elisa si sarebbe operata in un centro specialistico, dove qualcuno avrebbe posto fine alle sue penose sofferenze trapiantandogli un cuoricino nuovo di zecca. Nel frattempo lui si sarebbe nascosto, nell’attesa di poter raggiungere le sue donne e finalmente rinascere, tutti insieme. Perché la vita era sacra e non andava subita, ma vissuta con dignità.

La mente annebbiata esitava, incapace di decidere. Sulla fronte scorrevano gocce di sudore freddo. Perfino il tempo sembrava essersi fermato, in curiosa attesa. Andreini spezzò il sortilegio aprendo con impeto la porta della cucina. Avrebbe voluto lagnarsi di essere un disastro ai fornelli e implorare qualcuno che lo aiutasse a preparare un pranzo presentabile; invece la voce gli si strozzò in gola nell’istante in cui vide Beccardo sulla soglia dell’ingresso aperto, avvolto dalla luce vaporosa del sole. - Lorenzo, cosa… Come hai fatto ad aprire? - Non lo so, io… C’era luce tra lo stipite e… - Incredibile, porca miseria, davvero incredibile! Ma quale trucco hai usato? - Te l’ho detto, io non ho fatto niente. - Cos’è tutto questo casino? - si lamentò Cortina, facendo capolino dalla saletta. La novità gli fornì una spiegazione fin troppo eloquente. - Come… Come diavolo ci siete… riusciti? - farfugliò, attonito. Risposero insieme, sovrapponendo frasi concitate. - Per favore, uno alla volta! Non capisco niente! - Chiedilo a lui. Io sono arrivato a cose fatte. Beccardo gli lanciò un’occhiataccia, interpretando quella frase come un’accusa. Poi si voltò verso Michele e fece spallucce. - Io so solo che mi stavo rilassando sul divano. A un tratto ho sentito un rumore. Mi sono alzato per capire cosa fosse successo e… mi sono accorto che la porta era socchiusa. Cortina cercò di schiarirsi le idee, ma lo shock era forte quanto imprevisto. - Beh, in fondo la Produzione ha avuto una bell’idea… Adesso mi piazzo in giardino e non mi schiodo finché tramonta il sole!

Nessuno si accorse dei i sui gradini. - Tommaso, non dimenticarti che varcare quella soglia significa assicurarsi l’estromissione dal gioco - lo avvertì Lorenzo. - Già, è vero. Come non detto… - Io non capisco… Che senso ha tutto questo? - riuscì appena a dire Michele. - Almeno respiriamo aria pura. E poi quest’illusione di libertà mi fa star meglio considerò Beccardo. - Adesso capisco a cosa si è riferita la Voce, quando ha parlato di giornata ariosa… Sussultarono voltandosi. Monica era apparsa come un’ombra, accompagnata da un gradevolissimo profumo di balsamo. - È vero! Come abbiamo fatto a non pensarci prima? - Michele, scusa, chi poteva immaginare una cosa simile? - domandò Lorenzo, alzando le sopracciglia. - Hai ragione, lo so, però dovrebbe servirci da lezione per il futuro. La regia qualche volta ci fornisce degli indizi. Dobbiamo diventare più bravi a coglierli e a interpretarli. - Chissà se anche le finestre si possono aprire… - chiese la Pacci, più a se stessa, mentre si dirigeva verso quella accanto alla porta. - Non ne posso più di questi condizionatori! - aggiunse, prima di agire sulla maniglia e accorgersi che ruotava liberamente. - Bel colpo, signora! - si complimentò Beccardo. Soddisfatta, spalancò le ante e respirò a pieni polmoni. - Sentite, prima che accadesse tutto questo sconvolgimento, stavo cercando di mettere insieme un pranzo decente. Niente d’eclatante, eh? Cucinare non è nelle mie corde. Qualcuno vuole darmi una mano? - piagnucolò Tommaso, mentre si

pasticciava il grembiule che sentiva d’indossare indegnamente. - Vengo io, ragazzo. Non ti posso vedere in questo stato… Così finalmente mi posso concedere una sigaretta in santa pace! - Io invece ne approfitto per aprire le finestre anche al piano superiore… E cambiare l’aria a questa casa, contaminata da fumo stantio e atmosfera artificiale! Beccardo rimase in compagnia dei suoi fantasmi. Si sentì uno stupido per aver pensato di potersi allontanare con i bigliettoni, senza subire conseguenze. Fortunatamente, nessuno aveva compreso le sue intenzioni. Ma era davvero andata così? Magari qualche telespettatore attento aveva intuito qualcosa… Oppure Tommaso, che appariva sempre fin troppo svampito… No, impossibile. Nell’istante in cui Andreini è arrivato dalla cucina, stavo sulla porta. Non ho mai toccato la valigetta. Forse anche lui ha pensato di agire allo stesso modo, ma la mia presenza ha inibito i suoi propositi. Probabilmente ci siamo annullati a vicenda. Si convinse di non aver commesso errori. Del resto, si era svolto tutto nella sua testolina. E da casa… Beh, mica sanno leggere nel pensiero… Dopo aver arieggiato la stanza e riassettato il letto, Monica raggiunse le scale. Scendendo, vide che Lorenzo era ancora lì al centro del salone, immobile come una statua. - Ehi, ti sei incantato? - No, no... Ti stavo aspettando. Intanto riflettevo… - rispose lui, sentendosi obbligato a giustificare la sua presenza impacciata. - Pessima idea. In questi frangenti, pensare fa più male che bene - osservò la donna, sorridendo con dolcezza.

- Lo so, ma che ci vuoi fare? A volte la mente viaggia… Raggiungiamo gli altri, dai. Entrata in cucina, la Pacci dovette subito ingoiare un boccone amaro: il locale era saturo di fumo, nonostante la finestra aperta. Quando poi si accorse che nel posacenere giacevano ben due mozziconi, si morse la lingua per non creare discussioni inutili. - Secondo voi, cosa vuole ottenere il programma televisivo con questa mossa? chiese Andreini, impegnato a pelare le patate. - È evidente che si tratti della nuova prova - replicò Cortina, mentre preparava il condimento all’amatriciana. - Personalmente, ho qualche perplessità… - Cosa non ti convince, signora? - Diverse cose, Michele. Gli organizzatori sanno perfettamente che nessuno abbandonerebbe la casa, lasciando la vittoria agli altri concorrenti. Fuggire con i soldi, poi, sarebbe impossibile. Supponiamo, per esempio, che decida di farlo io. Come potrei eludere tre rivali inferociti come voi, per nulla disposti a farsi soffiare sotto il naso il motivo principale che li incatena a questo posto? - Io non te lo consiglio - rispose Tommaso, tra il serio e il faceto. - Appunto. Nessuno, già in partenza, sarebbe così insensato. - Poi, ammesso di poterci riuscire, occorrerebbe fronteggiare le guardie di sicurezza. Chissà quante ce ne sono, appostate là fuori… - intervenne Lorenzo. - E se invece non fosse così? - Cosa intendi dire, Michele? - domandò Monica, ravvivandosi i capelli. - Se ciascuno di noi fosse padrone di approfittare del momento opportuno e di squagliarsela con il denaro? Se al cancello non ci fossero scagnozzi? Insomma, se la via fosse libera come l’aria che finalmente possiamo respirare? - Non mi sento di escludere quest’evenienza. Chi mai oserebbe controllare, però,

mettendo il piede fuori di casa e garantendosi l’inevitabile eliminazione? - Giusto, Monica. Ecco perché siamo di fronte a un altro bluff formato trappola… - concluse Cortina, sarcastico. La donna alzò lo sguardo alla telecamera, sentendosi scrutata nel proprio intimo. - Io so solo una cosa, ragazzi. La vera innovazione rispetto ai giorni precedenti è che, ora, restare nella casa è diventata una libera scelta.

4.

Tommaso si scosse, mezzo appisolato sul divano verde. Si stropicciò gli occhi e stirò la schiena. Le lancette del suo orologio indicavano le quindici e venti. Rimestò le mandibole, scoprendo di essere solo nell’ampio spazio del locale. Si alzò in piedi e si avviò con aria perplessa, spalancando la bocca con uno sbadiglio. Attraversò la cucina, anch’essa deserta, ma non si soffermò su quel dettaglio; non gl’importava nulla di dove si fossero imbucati gli altri. Spinse la porta, curioso di scoprire i motivi di quella chiamata, ed entrò nella stanza ermetica. <Buon pomeriggio signor Andreini, e bentornato in questo luogo. Sono desolato per averla strappata al meritato riposo, tuttavia vorrei scambiare quattro chiacchiere con lei. Spero che mi perdonerà, signor Andreini.> - Nessun problema… - biascicò l’altro, ancora assonnato. - Esattamente, qual è il punto? - chiese Tommaso mentre si sedeva sulla poltroncina, attento a non utilizzare un tono scortese. - Io sono qui per vincere quel gruzzolo, non m’importa altro. Che porte e finestre siano aperte o chiuse, per me non fa alcuna differenza.

- Non capisco la domanda… - Beh, ecco, può darsi… Però, a mia difesa, devo dire di non essermi mai trovato in una condizione simile. Condividere gli spazi vitali con degli estranei, accettare una serie di regole ferree… Per esempio, il fatto di rimanere sempre all’oscuro di tutto… Le assicuro che per me non è facile. Forse non sono preparato come credevo. In ogni caso, a quanto vedo, è dura anche per gli altri. Tommaso si stropicciò le mani, innervosito da quel tono inquisitorio. - Che tipo sono? Questa è bella! Come potrei descrivermi, vediamo… Paziente, di sicuro. Magari non eccessivamente reattivo, ma di scorza dura. Sono una persona che alla fine riesce sempre ad adeguarsi a ogni situazione. Questo va detto - rispose con orgoglio, quasi impettito. Dove vuole arrivare, questo? - Comunque, tengo a precisare che qui sto benissimo: ci sono più accessori in questi due bagni che in tutta la mia abitazione. E della compagnia non mi lamento, poteva andarmi peggio. Tommaso assaporò l’eco di quelle parole, moderatamente soddisfatto. affermò la Voce, sibillina. - Come? - vacillò l’altro, disorientato da quello schiaffo inaspettato.

- Può spiegarsi meglio? - È… è una donna decisa, autonoma. Sa cosa vuole, no? - tentennò, aggrottando le sopracciglia. L’uomo si piegò in avanti, come scosso da un fremito elettrico. - Un momento, un momento… Non affrettiamo le conclusioni. A me risulta che sia Cortina quello che la donna non sopporta. Tommaso rimase di sale. - I-io… io non capisco. Non le ho fatto nulla, mi sono sempre ben comportato con tutti. Perché mi detesta tanto? - Cosa? Lei vi ha fatto una confidenza e voi la spifferate in giro? Altro che garanzie, siamo sempre alle solite! Come vi permettete di calpestare continuamente i nostri diritti? - s’indignò Tommaso, alzando il tono a una tonalità stridente. replicò seccamente la regia. Tommaso era sempre più allibito, sentiva le meningi pulsare.

- Che cosa intende per piegare? <Mi creda, la Produzione le sta facendo una grossa cortesia. Come ha già avuto modo di notare, le stiamo rivelando un’informazione riservata. Ora tocca a lei ingegnarsi per trovare la soluzione definitiva.> Anche quell’espressione riecheggiò nella sua mente con risonanze inquietanti, ma non ebbe modo di soffermarcisi. - Sono tutte stronzate! - insorse Tommaso, terrorizzato dal disordine che aveva in testa - Io non sono affatto un debole! Sto attraversando l’inferno per sopravvivere; la mia vita privata sta andando a rotoli e le mie certezze si dissolvono come nebbia al sole! Ma io non mollo mai, sono sempre qui a tener botta! <Signor Andreini…> - Che cosa ne sapete di me e dei miei problemi, eh? Come vi permettete di giudicarmi? D’accordo, ho fatto una grossa cazzata, ma sento di avere le capacità per risolvere i miei guai e rimettere a posto una vita che sta andando allo sbando! Ho le palle per farlo, su questo non ammetto discussioni! chiarì la Voce, senza scomporsi. - L’ho fatto, lo sapete benissimo! Ho raccontato la mia vicenda a Beccardo, davanti a telecamere e microfoni! Tommaso tossì; la collera gli aveva mandato la saliva per traverso.

Le gambe tremavano e il respiro si affannava. Avrebbe voluto urlare, imprecando contro la sorte, che continuava ad accanirsi contro di lui. - Io… devo ammettere di avere un gran disordine in testa… Mi servono dei consigli, datemi una mano. Che cosa devo fare? gl’intimò la Voce, assottigliandosi fino a graffiare Andreini strinse i pugni fino a sbiancare le nocche. lo esortò la Voce, in un crescendo di tonalità e intenzioni. Tommaso rimase in silenzio, frastornato. <Signor Andreini, per vincere a un reality bisogna scartare le domande inutili e concentrarsi sulle poche cose importanti. Tra queste, occorre essere bravi e veloci a distinguere quelle realmente decisive.> - Va bene, io… Che posso dire? Farò… del mio meglio… - farfugliò l’altro. L’uomo uscì dalla Blueroom. Si sentiva un bersaglio crivellato dalle parole; una moltitudine di domande saettava nella sua mente, mentre i dubbi si rincorrevano

senza trovare la luce. Perché gli organizzatori avevano deciso di violare il segreto della Pacci? Per quale ragione la donna ce l’aveva tanto con lui? Si lasciò cadere su una sedia della cucina, per tentare d’impostare un’analisi che lo aiutasse a dipanare quel groviglio. Che cosa gli aveva realmente detto la Voce? Qual era il suo messaggio ultimo? Perché percepiva la forte sensazione che lo esortasse a eliminare fisicamente la donna? Gli tornò in mente la pistola, immagine riluttante che lo fece impallidire. - No! - urlò, scuotendosi. Si costrinse a tranquillizzarsi, conscio di muoversi su un campo minato. Non gli era concesso giungere a conclusioni affrettate, soprattutto prive di senso. Se solo quell’idea bislacca fosse trapelata all’esterno della sua scatola cranica, sarebbe stata la fine. Doveva riflettere, perché il minimo errore lo avrebbe portato ad appoggiare il piede su un ordigno, catapultandolo nuovamente nel suo dramma irrisolto. Pensò alla voragine che lo attendeva fuori, ai creditori e a tutta quella feccia pronta a inghiottirlo... Si accorse che la gamba destra tremava. S’impose nuovamente di stare calmo e respirò a fondo, più volte. Era ovvio che si trattasse dell’ennesimo effetto speciale. La regia aveva parlato di semplici strategie di gioco, pur usando termini forti. Si era mostrata scaltra, e di sicuro aveva insinuato quelle supposizioni di proposito. Ma lui non era stupido come pensavano gli altri: in quel tranello non ci sarebbe mai caduto, perché ormai aveva capito che la Voce viaggiava sempre sul filo di un’ambiguità ricercata. Chiuse gli occhi, orgoglioso di se stesso. Attese qualche minuto, cercando di sgombrare la mente da quelle ondate violente. Per quale ragione allora non riusciva a dimenticare quell’arma, incuneatasi come uno spillo nel suo cervello e pronta a trascinarlo negli abissi dell’ignoto?

5.

Le giranti avevano iniziato a irrorare la vasca della lavastoviglie con i primi getti d’acqua. Andreini diede un’occhiata ai cestelli e si lasciò cadere sulla sedia. L’idea di aver assolto l’ultimo compito della giornata gli concesse un po’ di tregua. Inarcò la colonna vertebrale e premette i polpastrelli sui fianchi, nel tentativo di alleviare il dolore all’altezza del bacino. Si trattava delle solite contratture che lo affliggevano quand’era stanco o nervoso, oppure entrambe le cose. In effetti, quella giornata lo aveva messo a dura prova, a tal punto da renderlo impaziente di raggiungere il suo materasso. Lo avrebbe fatto subito, se in camera non ci fosse stata la Pacci. Si era ritirata subito dopo cena con un libro, giusto per puntualizzare che lei apparteneva a un altro ceto culturale. Tommaso non sopportava l’idea di farsi condizionare dai suoi spostamenti, perché sentiva di avere più diritto di lei a starsene comodamente sdraiato. Un moto di ribellione lo infiammò; per un istante pensò di salire al piano superiore e coricarsi lo stesso, imponendosi di ignorarla. Se poi la stronza si fosse infastidita, beh, affari suoi. Per quel che gl’importava, se ne sarebbe potuta andare in qualsiasi momento. Si era perfino alzato dalla sedia, determinato ad agire senza troppi scrupoli, soprattutto dopo le porcherie che gli avevano rivelato nella Blueroom. Le gambe però non rispondevano all’impulso, e i piedi restavano ancorati alla stessa piastrella. Evidentemente, la prospettiva di un litigio con quella vipera non lo entusiasmava quanto avrebbe voluto. S’indispettì con se stesso, paragonandosi a un mulo di fronte a una salita ripida. - Ehilà, come va da queste parti? - esordì Cortina, aprendo improvvisamente la porta della cucina e richiudendola dietro di sé. Tommaso lo osservò sedersi davanti a lui. Quell’esuberanza spense i suoi flebili propositi e gli fece abbandonare definitivamente l’idea del letto.

- Sono da buttare, stasera. - Eh, ti capisco, anch’io ho qualche indolenzimento. Beccardo invece dorme come un angioletto davanti alla tivù. Andreini si risedette, attenuando la sofferenza con una smorfia. - Si appisola spesso, a volte in situazioni imbarazzanti - ironizzò Michele, con una sfumatura di disappunto. - È tutta colpa del lavoro di merda che svolge nella grande famiglia dell’esimio commendator Rivelli… - Guarda, piuttosto di accettare un incarico come custode notturno, andrei a vendere le enciclopedie porta a porta! - Parli bene, tu non hai grossi problemi da risolvere! - lo rimproverò Tommaso, accendendosi in volto. - D’accordo, ma in ogni caso non credo che Lorenzo percepisca più di mille euro al mese. Dico solo che dovrebbe cercare una soluzione risolutiva. Andreini non replicò, intenzionato a troncare la polemica sul nascere. Tanto più che stava cercando una posizione in cui la schiena reclamasse la sua attenzione il meno possibile. - Che si fa, ragazzo? - chiese Cortina con tono bonario, per spezzare quel principio d’impaccio. - Se ci fosse un telefono, chiamerei una massaggiatrice tailandese. Anche se non mi asse il dolore, almeno mi lustrerei gli occhi e godrei di un po’ di femminilità. - La massaggiatrice non te la posso procurare, ma se vuoi abbiamo qualcosa per tirarci su il morale. - Ah si? - Stai a vedere…

Si alzò e aprì una credenza. Le sue mani estrassero una bottiglia. - Che ne dici di stappare questo Brunello di Montalcino, gentilmente offerto da NRG? Tanto non se lo fila nessuno e sarebbe un peccato concludere la nostra avventura senza assaporarlo, no? Andreini si ringalluzzì, solleticato da quella lusinga. - Perché no? Quando mi ricapita l’occasione di bere così bene? - Perfetto, socio, non chiedo di meglio! Si mise a rovistare tra i ripiani finché trovò il cavatappi e due calici. Scrutò l’etichetta con attenzione, mostrando un’aria soddisfatta. - Vedrai che ti piacerà. Ti lascio il privilegio di aprirla. - Ti ringrazio, la tua magnanimità mi commuove… Michele lo osservò armeggiare con l’apribottiglie. Era divertente cogliere il suo arrossimento di fronte a quell’inaspettato ostacolo, un banale tappo che non voleva schiodarsi. Lo vide insistere con maggior foga, finché lo sforzo vinse il disagio e l’attrito del sughero. Lo schiocco innescò l’applauso spontaneo di Cortina, prima che la bottiglia cominciasse a colmare i calici. Di fronte uno all’altro come una coppia di vecchi amici, fecero il primo brindisi alla loro salute. Poi si sedettero, allegramente rinfrancati. - Avevi ragione, è proprio buono. Esperienza indimenticabile, almeno per un poveraccio che beve vino in cartone, un bicchiere al giorno. - Non ci pensare. Stasera voglio che ci godiamo il meglio che possiamo avere! Dopo pochi minuti, i bicchieri erano già vuoti. Rimasero a guardarsi in silenzio, rilassati in posizioni comode. - Eccoci qui, di nuovo in gabbia - osservò Andreini con una punta di sarcasmo, mentre rimpinguava il bicchiere di nuova linfa.

L’altro allungò il suo calice vuoto e annuì con un sorriso amaro. - È tornato tutto come prima. Siamo ancora senza ossigeno, tagliati fuori dal mondo esterno e in balia di questi furiosi malati di mente… - E nuovamente prigionieri della casa e della sua stanza segreta. A proposito, spero che la convocazione che hai ricevuto pomeriggio non ti abbia fornito brutte notizie - osò Cortina, sforzandosi di indossare un’espressione di distacco. - No, niente di nuovo. La regia voleva solo scambiare quattro chiacchiere - mentì impulsivamente Tommaso. - Beh, meglio così. Quando chiama, non si sa mai cosa voglia ottenere… - Si, è vero. Il tipo che sta dietro la Voce non si sbottona mai, riesce a parlare tanto senza dire nulla. È incredibile la confusione che ti lascia in testa. Esci dalla Blueroom e ti senti come un pugile suonato. Michele si accese una sigaretta. Espirò lentamente, assaporando l’aroma del tabacco. - Non ti disturba, vero? - chiese poi, pentendosi di non aver parlato prima. - No, stai tranquillo. Non sono certo io quello che rogna sempre, se è chiara l’allusione… - La Pacci è al piano superiore, non credo di darle fastidio… - È sparita con uno dei suoi noiosissimi libri. Sai che lei è di un’altra categoria: fa la dirigente! - la schernì Tommaso. - Si sarà chiusa in camera per non mischiarsi con noialtri membri del volgo… - Beh, guarda, ora che ci hanno costretto a richiudere gli infissi e che le serrature sono di nuovo bloccate, lei non può più cambiare l’aria nelle stanze. Che si respiri il fumo, ben le sta! Le auguro, una volta usciti di qui, di restare bloccata per due ore in galleria, circondata da autobus e camion puzzolenti! Cortina corrugò la fronte. Non comprendeva quell’improvviso risentimento.

- Monica non ha torto, in effetti. Dai, ha tutto il diritto di lamentarsi. Ci vorrebbe maggior rispetto da parte dei fumatori verso quelli che non condividono il loro vizio. Io per primo dovrei fare di più. Andreini gli si avvicinò, fissando la porta chiusa. - Dimmi una cosa: che ne pensi di lei? L’altro rimase disorientato. Prese tempo grattandosi le sopracciglia. - Mah… Diciamo che non è il mio tipo. Perché me lo chiedi? - Ho l’impressione che nasconda qualcosa. Una strategia, un’idea o roba del genere. - Beh, può essere. Non c’è dubbio che sia una donna metodica. - Tutto qui? - Cosa vuoi che ti dica? Sai benissimo che tra me e Monica non c’è mai stato un rapporto idilliaco. Non ha niente per cui possa piacermi. È una donna in carriera e di conseguenza viaggia come uno schiacciasassi. In più è altezzosa e nutre una certa avversione verso l’altro sesso. - Si, ma secondo te è una che a casa può piacere? -Non lo so, amico mio, non conosco i gusti degli altri. Che sia una bella donna è indiscutibile, e questo sicuramente gioca a suo favore. Per quanto mi concerne, cerco solo di difendermi meglio che posso. Mi sono proposto di non cadere più nei suoi tranelli. - Già, bisogna replicare il meno possibile alle sue istigazioni. Teniamola d’occhio e ricordiamoci di non porgerle mai la schiena. Michele spense la sigaretta dopo un’ultima, profonda boccata. - Di fatto, caro Tommy, è l’unica donna che ci hanno concesso di vedere negli ultimi giorni. Dobbiamo accontentarci… - Come hai detto tu, il video non è per niente male… È l’audio che mi

ammoscia! L’altro scoppiò a ridere. - Potrebbe anche essere da sesso, ma probabilmente è mezza frigida. A volte mi chiedo perfino se non sia lesbica, visto che schifa tanto gli uomini! - ridacchiò Andreini, prima di svuotare il bicchiere con un lungo sorso. - Ah le donne, le donne… Croci e delizie! Guarda, per quanto mi riguarda e visti gli esemplari femminili in circolazione, mi professo felicemente single! esclamò Michele, accorgendosi che il vino cominciava a fare effetto. Tommaso si rabbuiò di colpo. Ripensò a Gelsica con una nostalgia che pungeva come uno stiletto, ma s’impegnò per non lasciar trapelare nulla all’esterno. Non aveva voglia di aprirsi con nessuno, quella sera. Voleva solo godersi il momento. L’alcol lo faceva sentire allegro e soffice. - Sai quante rotture di palle in meno? Fai ciò che vuoi, quando ti pare. Ti gestisci tempo e soldi, senza nessuno che ti toglie il respiro - proseguì Cortina, compiaciuto. - Già… da soli si sta meglio… In compagnia di un amico e di un buon bicchiere, il mondo sembra migliore. A proposito, qui siamo in riserva - affermò l’altro, sollevando la bottiglia e osservando in trasparenza l’ondeggiare del livello residuo. - Non c’è problema, socio. Preoccupati di svuotarla, al resto penso io. Si alzò, barcollando per qualche istante. Ci rise su e si diresse alla credenza, da cui fece comparire una bottiglia di gin e due bicchierini. - Questa la apro io, ti spiace? Tommaso allargò le braccia, vittima consenziente che si consegnava alle voluttà di un uomo per niente disposto a fermarsi. Michele tornò al tavolo, riempì i bicchierini e gliene porse uno. Sollevò il suo, preoccupato di non cadere all’indietro. - Propongo un brindisi: a culo il lavoro e chi l’ha inventato!

- Al sesso e alle puttane più brave! - replicò Tommaso alzandosi a sua volta, ormai senza inibizioni. - Ehi, mi vuoi sfidare? Allora io dico: ai soldi e a tutto quello che ci si può comprare! - Alla libertà che riconquisteremo e alle nostre case di città! - L’hai detto, fratello! A Milano e ai suoi ristoranti multirazziali! - E ovviamente a papà Rivelli, che vuole tanto bene a tutti noi! Ricascarono a corpo morto sulle rispettive sedie, in pose scomposte. Rimasero a fissarsi, gli zigomi distesi dal protrarsi della loro risata. Improvvisamente, Michele assottigliò gli occhi e si fece serio. - Dimmi una cosa, amico mio: quali problemi ti angustiano tanto? L’altro dilatò le narici in una bizzarra espressione di stupore. - Non capisco di che parli… - Mi riferisco ai debiti cui hai accennato ieri. Ricordi? Eravamo a pranzo e parlavamo dei motivi che ci spingevano a rimanere in questa casa. Andreini non gradì la domanda. Aveva i riflessi allentati dall’alcol, ma le difese reggevano ancora. Gli era rimasto un barlume di lucidità per comprendere che fosse meglio tacere; era già stato gravoso dover affrontare l’argomento con Beccardo e sostenere un confronto diretto davanti alle telecamere... Decise che le cose dovevano restare così, almeno per il momento. - Nulla di speciale, si tratta di una piccola cazzata che ho combinato. Solamente una ferita che vorrei guarisse, tutto qui… Michele arretrò, cercando con cautela le parole opportune per non forzare la mano. - Non fraintendermi, l’ultima cosa che vorrei fare è metterti a disagio. Capisco benissimo che sono situazioni personali e non ho intenzione di invadere la tua privacy. Ti auguro ogni bene, amico, con tutto il cuore!

Perché curiosa tanto nelle mie faccende? Cosa vuole? - Sappi una cosa, però: anche se si trattasse di un’inezia e ti venisse il desiderio di parlare con qualcuno, non esitare; io sarei lì, pronto ad ascoltarti. Magari ci scapperebbe anche un consiglio utile - aggiunse, impostando un tono fraterno. Tommaso gli diede una pacca sulla spalla in segno di ringraziamento, sperando che si affrettasse a cambiare argomento. Cortina comprese l’imbarazzo e versò dell’altro gin. - Adesso basta, dai… Non ce la faccio più, davvero… - Su, su, Tommy! Non puoi rinunciare al brindisi della staffa! Rassegnato, raccolse il bicchierino e scosse la testa. - A noi, per sempre liberi! - proclamò Michele con un moto d’orgoglio. Trangugiarono all’unisono, il ventre contratto per reggere il contraccolpo. Sprofondarono rapidamente nella spirale dell’incoscienza, aggrappati alle sedie nel tentativo di non farsi risucchiare dalla stanza che aveva cominciato a mulinare. Le palpebre erano diventate saracinesche che non riuscivano a rimanere aperte. Lo stomaco protestava con rigurgiti e nausee vertiginose. Trascorse del tempo indefinito, nel quale Tommaso si adoperò per riemergere dal proprio limbo, fino a recuperare la percezione di sé e del mondo circostante. - Va bene… adesso io… vado a svegliare Beccardo… Poi tutti a letto… Fece leva sul ripiano del tavolo con entrambe le mani e riuscì a sollevarsi. Mostrò una coordinazione inaspettata nel disporre un piede davanti all’altro, alla ricerca di movimenti che assomigliassero a una camminata. - Non fare scherzi, eh? Tirati su da solo… Io non so neanche se ce la faccio… con quell’altro… Il pollice alto di Michele lo incoraggiò a procedere. Si trascinò fino alla saletta, dopo aver sfidato l’ostacolo della doppia porta e rischiato d’inciampare un paio di volte. Prese però la curva con una traiettoria troppo stretta, urtando la spalla contro lo stipite. Soffocò una risata sorda, la testa reclinata all’indietro.

Non sento più neanche il mal di schiena, con tutto l’alcol che ho in corpo… Raggiunse infine il divano, illuminato dalla luce soffusa del televisore. Si aggrappò a Lorenzo, più per non cadere che per svegliarlo. - Alzati, dai, che ce ne andiamo tutti a nanna… - Cos…? C-chi…? - protestò l’altro, scosso dal brusco risveglio. - Sbrigati per favore… Non sto più in piedi dal sonno… Attese che Beccardo si sollevasse. Trovò a tentoni il telecomando e spense la tivù. - Andiamo, forza… - rantolò prendendo l’uomo a braccetto, nel tentativo di rivitalizzarlo quanto bastava per condurlo fuori. Raggiunse la porta, mentre l’altro continuava a biascicare parole incomprensibili. All’uscita, si accorse con sorpresa che Cortina li stava già aspettando all’imbocco della rampa. Era sdraiato sul corrimano e vacillava come un veliero in burrasca, ma meritava un plauso per essersi spinto fin lì da solo. - Per favore, dammi una mano con questo… Pesa più di un sacco di cemento… Michele sollevò la testa e scoppiò in una risata impastata. - Ehi, Tommy… Tra ubriachi e assonnati l’assortimento è completo, eh? - Già… Proprio completo… Si sostennero a vicenda lungo le scale, disorientati come tre clienti cacciati dal bar all’ora di chiusura. Raggiunsero a fatica la cima e imboccarono il corridoio. Dalla camera da letto provenivano gemiti strozzati. Tommaso aprì la porta, attento a non far rumore. Accese il diffusore di luce al minimo ed entrò nella stanza, seguito dagli altri. Impiegarono diversi secondi per mettere a fuoco. Si guardarono a vicenda, con espressioni interrogative. Monica si dimenava tra le coperte, in preda a sonni agitati. Si rigirava continuamente inarcando la schiena. Ansimava fino a togliersi

il respiro, la fronte imperlata e i capelli appiccicati dal sudore. Anche lei può soffrire, pensò Andreini, soddisfatto.

SENZA RAGIONE

1.

Il sole del mattino filtrava dalle tendine, illuminando la colazione dei quattro concorrenti. Nella cucina regnava un’atmosfera apatica, che nessuno sembrava intenzionato a disturbare. Monica era reduce da una notte insonne e non proferiva parola, tormentata dal mal di testa e dagli ultimi strascichi del suo stomaco. Michele e Tommaso si erano rifugiati nei postumi della sbornia, ottimi espedienti per non farsi coinvolgere in conversazioni sgradite. Lorenzo, dal canto suo, non osava turbare quel sottile equilibrio, preferendo nascondere il proprio imbarazzo dietro una maschera comata. <Buona giornata e ben ritrovati!> si presentò la Voce, euforica. I partecipanti alzarono gli occhi agli altoparlanti, senza batter ciglio. Andreini si guardava intorno, accentuando la masticazione. Michele alzò un sopracciglio e storse la bocca. <Ma ora basta con i preamboli> proseguì, non riscontrando alcuna reazione
voti! Per la seconda volta, i consensi dei televotanti si sono equamente distribuiti e la graduatoria finale vi vede in perfetta parità!> - Bene - commentò Cortina con sufficienza. Tommaso, indaffarato con i suoi biscotti al cioccolato, non alzò neanche la testa. Monica continuò a osservare la ciocca ramata che teneva tra le dita, senza cambiare espressione. Sembrava distante, come se un vampiro avesse risucchiato la sua linfa. Lorenzo, invece, si godette la sensazione di aver accorciato il distacco che lo separava dal traguardo, anche se non comprendeva le ragioni dell’atteggiamento mostrato dai suoi compagni. <È un peccato che non ci sia dialogo, stamattina. Mi sarebbe piaciuto scambiare con voi le impressioni a caldo, parlare delle vostre aspettative riguardo l’ultimo giorno… O magari chiedervi se la pistola sia ancora là dove l’avete lasciata…> - Cosa intende dire con questo? - reagì Cortina con uno scatto. insinuò la regia, enigmatica. - Brutto figlio di… Andreini si alzò di scatto, facendo strisciare la sedia. Anche gli altri, allertati, si mossero dietro di lui e raggiunsero la libreria. Lì si fermarono tutti insieme, paralizzati dalla paura. - Chi apre? - osò Monica. Michele non perse altro tempo. Strinse i pomelli e scostò il cassetto con dei colpetti, fino ad aprirlo completamente. Quando sollevò le coperte, il sangue gli si ghiacciò nelle vene: la pistola non c’era più. Afferrò il secondo cassetto e per poco non lo divelse per la foga, ma sotto la catasta di lenzuola non trovò neanche il caricatore. - Allora aveva ragione il tizio della Blueroom! Stai in guardia, mi aveva detto, non voltare le spalle a nessuno! - insorse Tommaso, tentato di rifilare un calcione al mobile.

Monica era esterrefatta, le dita affondate tra i capelli. - Si può sapere con che razza di gentaglia divido questa casa? - continuò a lamentarsi l’altro, senza però sostenere lo sguardo di nessuno. - Adesso basta! Esigo che il colpevole confessi e tiri fuori la pistola! E anche alla svelta, prima che m’incazzi sul serio! - esplose Michele, paonazzo. - Non stare troppo fuori dalla melma, perché potresti averla presa proprio tu! replicò la donna, irrigidendosi. - Non per accusarti ingiustamente, ma in fondo sei l’unico in grado di usarla… si aggiunse Lorenzo. - Ah si? Per quello che ne so io, chiunque di voi potrebbe essere un cecchino! - Non dire idiozie! Sai benissimo che ho il terrore delle armi! - Hai ancora voglia d’importi, eh? Ti ricordo che stamattina sei stata la prima ad alzarti! Ti ho sentita, sai? Erano le sei quando hai lasciato la camera da letto! Avresti avuto tutto il tempo per agire indisturbata! Pensi ancora d’incantarmi con questa farsa della fobia? La Pacci digrignò i denti. Si morse la lingua ripensando al precedente battibecco avuto con quello stronzo, che per poco non le era costata l’eliminazione. - Caro Michele, t’informo che ho ato una vera e propria notte d’inferno! Non ho quasi chiuso occhio, per colpa di dolori allo stomaco che non auguro nemmeno al mio peggior nemico! Prese una pausa e respirò a fondo. La sua testa aveva ripreso a pulsare, costringendola a socchiudere gli occhi. - Certo che mi sono alzata per prima! Almeno ho evitato di disturbare il vostro sonno e di sorbirmi il solito, fastidioso jingle! Ero stufa marcia di rigirarmi nel letto, così ho deciso di concedermi una doccia tonificante! - Monica, non serve che ti giustifichi… - E invece si, Lorenzo, perché a me piace parlare chiaro! Non ho niente da

nascondere: prima lo capite, meglio è per tutti! Nessuno aveva notato che Tommaso si era allontanato. - Finito di lavarmi e vestirmi, sono scesa in cucina, intenzionata a preparare una colazione abbondante. Vi faccio notare che mi sono impegnata per voi, dato che il mio stomaco non era disposto ad accettare nulla di solido. Infatti, come avrete visto, ho bevuto solo un sorso di succo al pompelmo. Soddisfatti ora? O vi serve qualche altro dettaglio? - Monica, nessuno ti sta accusando! Michele ha perso la brocca, ma non tarderà a scusarsi. Vero, Michele? O preferisci ricominciare con le tue solite scene patetiche? - Beccardo, la vuoi piantare di fare sempre da paciere? Il tuo buonismo comincia a diventare sospetto, oltre che a dare sui nervi! - Ah si? Forza, allora: perquisiscimi, rovista tra le mie cose! Trolley, armadio, comodino; tutto! Ma se la pistola non salta fuori, t’ingoi la lingua! L’urlo di Andreini squarciò il frastuono delle voci. L’uomo mandò la porta della cucina a schiantarsi contro la parete, mentre la sua mano destra brandiva un coltello. - Mi avete proprio rotto le palle con le vostre manfrine! Datevi una calmata o qualcuno si farà male! E tirate fuori quella pistola del cazzo! Monica arretrò istintivamente di un o e si guardò intorno, alla ricerca del riparo più vicino. Lorenzo contrasse i muscoli, temendo per la propria incolumità ma soprattutto che quell’invasato mandasse in fumo la trasmissione con una sciocchezza delle sue. - Va bene, Tommaso, va bene… Posa quella lama, però. Discutiamone da persone civili, dai… Non serve agitarsi - lo invitò Michele con tono rassicurante, aprendo le braccia in un gesto di resa. Andreini lo fissò con occhi fiammeggianti. L’altro gli sorrise, come si faceva con un cane che schiumava rabbia. - Per favore, ragazzo, consegnami quell’arnese…

- Non dirmi cosa devo fare, hai capito? Sono stufo marcio dei tuoi ordini! Chi cazzo ti credi di essere, eh? Qua dentro ti detestano tutti, pomposo arrogante di merda! Cortina incassò senza fiatare. Nella sua mente s’insinuò il sospetto che gli altri avessero realmente una bassa opinione di lui. Andreini si zittì. Per un attimo sembrò meditare su qualcosa, mentre si avvicinava al tavolo del salone. La Pacci pensò che volesse prendere i soldi e, in preda a un raptus, pretendere che la regia gli aprisse la porta. In quel caso, sarebbero stati tutti ostaggi senza via d’uscita, nell’artiglio di quello psicopatico. L’uomo invece unì le mani intorno al manico, sollevò le braccia e scaricò la sua ira mandando la lama a conficcarsi nel centro del tavolo, a pochi centimetri dalla valigetta. Il suo sguardo incendiò l’aria mentre osservava il coltello vibrare. Respirava affannosamente, spostando lo sguardo da un volto all’altro. - Tirate fuori quella maledetta canna… Non ve lo ripeto più - disse ancora, con un filo di voce, prima di rifugiarsi in cucina e sbattere la porta. Michele non ebbe più il coraggio di fiatare; abbassò la testa e corrugò le guance. Aveva utilizzato tutte le risorse concilianti di cui disponeva, senza riuscire a evitare quella sensazione di smarrimento, perfino d’impreparazione. Per la prima volta, si accorse che non era più così semplice controllare le azioni di Andreini. E, a sorpresa, ne fu spaventato.

2.

Tommaso percorreva la cucina avanti e indietro, insofferente come una tigre in gabbia. Serrava le mandibole digrignando i denti, mentre il suo sguardo iniettato di veleno raschiava contro ogni elemento che incrociava. Le mani avrebbero messo a soqquadro l’intera casa se fosse stato necessario, pur di far riapparire quella stramaledetta pistola. <Signor Andreini, si accomodi nella Blueroom> gli ordinò la Voce, lapidaria. Lo scatto della serratura giunse subito dopo, come una frustata dalla fermezza eloquente. Tommaso sentì il furore abbandonare le sue membra. Atterrito, si persuase che per lui fosse finita. Sicuramente i produttori volevano estrometterlo dal gioco; possedevano tutti i requisiti disciplinari per farlo. La disperazione lo colse con un’ondata violenta: ebbe la sensazione che il mondo fosse diventato di colpo una sfera incandescente, e nel nucleo di quel magma ribollente c’era il suo futuro, che poteva esplodere da un istante all’altro. Come aveva potuto essere così stupido? Riconsiderò tutti i buoni propositi del giorno prima, la caparbietà con cui si era imposto di usare la testa, di non cadere nelle trappole seminate dai suoi rivali. Dopo quanto gli avevano confidato nella Blueroom, aveva perfino evitato accuratamente la Pacci, per non rischiare di incappare in qualche errore. Eppure, in pochi minuti, aveva compromesso ogni cosa… <Signor Andreini, per cortesia, si muova! Non se lo faccia ripetere di nuovo!> Tommaso impallidì; il terrore raggiunse il suo cuore come una bolla d’aria. Fissò la porta, comprendendo di doversi sbrigare per non peggiorare la sua posizione, ma nello stesso tempo non volendo entrare mai. Finché sto fuori da quella stanza sono ancora in gioco.

Non c’era più tempo per tergiversare. Si fece coraggio, riempì lentamente i suoi polmoni di ossigeno e infine si decise. Doveva entrare e andare incontro al suo destino, qualunque esso fosse. Gli venne in mente l’inferno che lo aspettava fuori dalla casa e tutti quei diavoli che ridevano di lui danzando tra le fiamme. Finché un’idea si strofinò contro la sua nuca, come una gattina ammaliante. Se questi stronzi mi fanno fuori, scappo in Brasile col primo volo disponibile. Non o neanche da casa; tanto non ho nulla di cui non mi possa privare. Troverò un modo per rimediare i soldi del biglietto, no? La soluzione gli piacque; non sembrava nemmeno improponibile. Si, farò così. Perché darsi tutta questa pena? Me ne vado e basta, chiuso l’argomento! Non mi vedrà più nessuno, da queste parti. Affanculo tutti i creditori del mondo! Avrebbe fatto così, continuò a ripetersi, e si convinse a entrare nella Blueroom.

***

Gli altri concorrenti erano rimasti in salone. Avevano accolto con liberazione l’arrivo della Voce e la successiva convocazione di Andreini: l’idea di avere intorno uno squilibrato in preda a una crisi isterica non piaceva a nessuno. Speravano che almeno la regia fosse stata in grado di rabbonirlo e di ricondurlo alla ragione. Lo sfogo si era dissolto da diversi minuti, ma davanti a loro si agitavano ancora il coltello e la mano vibrante che lo brandiva. Non riuscivano a scrollarsi di dosso le urla e gli occhi invasati di Andreini, che avevano lasciato il segno più della lama conficcata nel tavolo. - Se penso in cosa poteva degenerare la sfuriata di Tommaso mi si congela il sangue… Dobbiamo darci una calmata, ragazzi. Così non andiamo da nessuna parte - esordì Lorenzo, dopo aver atteso che la porta della Blueroom si fosse richiusa.

- Già, anch’io sono morta di paura. Continuiamo a ripeterci di usare la testa, ma non riusciamo mai a farlo. - Per quanto mi riguarda, sono molto più scosso per la sparizione della pistola che per lo sbotto del nostro amico. Dov’è quell’arma adesso? Chi l’ha trafugata? C’è qualcuno che mi possa assicurare che non sia nelle mani di uno di voi tre? E chi vi garantisce che non l’abbia presa io? - L’hanno fatta sparire loro, Michele. Quelli del network. - Chi può dirlo, Monica? Dannazione, come facciamo a saperlo? - Te lo dico io. Gli organizzatori hanno capito che siamo in confusione totale. Ormai è evidente, i nostri nervi sono scoperti. Affondare il colpo è fin troppo facile, non credi? - Facile quanto meschino, visto che nulla mi toglie dalla testa il sospetto che abbiano agito di notte come i ladri, approfittando del nostro sonno. Non dimenticatevi che loro possono entrare in casa quando vogliono - concluse Lorenzo. - Volete conoscere la mia versione, invece? Volete davvero che vi dica come stanno le cose, qua dentro? - Avanti - lo incoraggiò la donna. - La verità è che voi due non avete ancora capito in che situazione ci troviamo! Questo non è un reality, ma il gioco al massacro di un malato di mente, destinato a sadici guardoni senza scrupoli come lui! Ci hanno solo preso per il culo con tutte queste favole sui televotanti, non ci arrivate? Le famiglie perbene tanto decantate non esistono! NRG non c’entra un cazzo con questa storia! - È quello che vogliono farci credere, Michele! Cercano di toglierci tutte le certezze, i riferimenti che sostengono la nostra logica! Questi trucchi da strapazzo sono solo bluff psicologici; lo hai detto tu stesso in diverse occasioni, non ricordi? - replicò d’impeto Beccardo. Cortina espirò col naso, nel tentativo di scaricare la sua frustrazione. - Ah si? Hai mai sentito parlare di un gioco dove si armeggiano pistole e coltelli?

Dove non ci sono protezioni e ogni cosa è affidata al caso o agli umori di menti instabili come quella di Andreini? - Guarda che di reality poco teneri ne esistono parecchi! Ti basti pensare ai disordini che capitano nelle varie edizioni dell’isola! Oppure alle scene di quell’altro show che hanno trasmesso fino a qualche anno fa, dove i partecipanti dovevano affrontare prove con ragni giganti, serpenti e altre bestie raccapriccianti! Nessuno regala i soldi che mette in palio! - Non hai ancora capito che quei giochi si basano su copioni scritti fin nel minimo dettaglio? Che i protagonisti sono tutti attori? Credi davvero che quella gente corra dei rischi? Non posso pensare che tu sia così ingenuo… - ribatté Michele allargando le braccia. - Sentite ragazzi, tutti questi discorsi ci portano soltanto a divagare! Dobbiamo tenere in mano le redini del gioco, possibilmente senza lasciarci intimorire dalle ombre! Io sono convinta che nessuno ci farà del male, se non noi stessi! - Pienamente d’accordo. L’unica soluzione è mettere da parte le domande che c’ingarbugliano le idee! - esclamò Lorenzo. - Signori, le vostre conclusioni mi sembrano un po’ banali… - Scusa se te lo dico, ma assecondare le tue supposizioni significa invece non giungere a nessun esito. Insomma, impazzire. E, detto per inciso, questo è esattamente lo scopo dei produttori! - considerò Monica, stizzita perché l’altro si ostinava a non capire. - Oggi è l’ultimo giorno; possiamo farcela, per la seconda volta non ci sono state eliminazioni. Qualcosa vorrà pur dire, no? - ricordò Beccardo. Cortina smise di controbattere, comprendendo che gli altri due sentissero il bisogno disperato di credere nelle proprie ipotesi e di condividerle contro ogni logica. Il silenzio si schiantò improvviso su di loro e inghiottì i pensieri. L’unico suono che ora ciascuno avvertiva era quello del proprio cuore, che pompava con una tale impetuosità da sobbalzare nel petto. Monica si voltò verso Michele, elargendogli un sorriso dolce e comprensivo.

- Fumati una sigaretta, dai… L’uomo la fissò, sorpreso. - Grazie, signora. Molto generoso, da parte tua. - Credimi, se fumassi me ne accenderei una anch’io…

3.

L’uomo mosse i piedi, senza riuscire a sollevarli, e raggiunse la poltroncina. La seduta gli sembrò rigida come un’asse di legno. <Mi dica: secondo lei, qual è il motivo di questa convocazione?> - Immagino che gli organizzatori siano in collera con me… - rispose l’altro, con un filo di voce. Fa’ in fretta, se vuoi cacciarmi! Tommaso sgranò gli occhi. - Si spieghi meglio, per favore. Tommaso si sgonfiò come un palloncino bucato. Come d’incanto, l’apprensione si sciolse e scivolò via dai suoi muscoli cervicali. <Sorpreso, signor Andreini?> - Direi proprio di si. Pensavo di essere già fuori.

Sul suo viso sbocciò un sorriso sottile. Si riassestò sulla poltroncina, che ora gli sembrava di una comodità assoluta. - C’è una cosa che vorrei chiederle, ora che mi sento più tranquillo. Se posso… - La Produzione sa chi ha rubato la pistola dal cassetto? ribatté prontamente la Voce. - Immagino che abbia agito di notte, mentre noi dormivamo… <Si, era l’unico modo. Il concorrente è sceso per le scale senza accendere la luce, procedendo a tentoni nel buio più completo, e si è impossessato della pistola. Dopodichè l’ha nascosta, non prima di averla armata inserendo il caricatore. Si è mosso con accortezza, però ha commesso un grave errore di valutazione: si è dimenticato che la regia è dotata di telecamere a infrarossi.> Andreini impose un silenzio calcolato, prima di scoccare la freccia. - È stata la Pacci, vero? asserì la Voce, senza esitare. - Mi fornisca almeno qualche indizio. Mi creda, non è piacevole scoprire che chi ti dorme accanto possiede un cannone… - incalzò Tommaso. - Tutto qui? - replicò Andreini, storcendo il naso.

Grazie mille, suggerimento preziosissimo! - Due… eliminazioni? In un colpo solo? assicurò la Voce. Tommaso si trovò improvvisamente a navigare in quella conversazione come una canoa tra le rapide. - Ma… mi ha appena detto che la gente a casa mi vuol bene… <Signor Andreini, non dorma sugli allori: sa meglio di me quanto sia facile rovesciare una situazione in poco tempo. Lavori sempre per conservare le preferenze e si prepari una strategia di scorta. Solo così potrà cadere in piedi!> - Va bene, io… <Mi raccomando, rifletta sulle informazioni che ha avuto il privilegio di conoscere. Ovviamente, confido nella sua riservatezza.> - Certo, io… State tranquilli su questo. L’uomo annuì e si alzò dalla poltroncina, rinvigorito. La nebbia delle sue incertezze si stava dissolvendo, sostituita da un impeto vitale. Riaffiorarono vecchie reminiscenze, rari momenti della sua esistenza in cui era stato in pace con il proprio spirito. Nulla più lo spaventava; si sentì pronto a tutto, come mai in vita sua.

Si ritrovò in cucina senza neanche accorgersi di aver varcato la porta.

***

- Chissà cosa stanno dicendo a Tommaso. È nella Blueroom da un pezzo - disse Lorenzo, dando l’idea di pensare a voce alta. - Lo staranno rimproverando per bene. Credo sia a serio rischio d’eliminazione suppose Monica, sforzandosi di assumere l’espressione più amareggiata che possedeva. - Andreini è fuori. Si è compromesso con le sue stesse mani. Quel ragazzo ha grossi problemi di convivenza col proprio cervello. È troppo pericoloso e non possono certo lasciarlo libero di circolare per la casa - sentenziò Michele, con affilata lucidità. Beccardo s’irrigidì; non lo sopportava quando assumeva quel tono saccente. - Guarda che è la stessa persona pacata con cui hai convissuto finora. Non è né un mostro né uno psicopatico. Il suo unico torto, se proprio ne vuoi trovare uno, è che ha un sacco di problemi. - Ognuno di noi ha le proprie vicissitudini, caro Lorenzo, ma non per questo armeggia un coltello contro gli altri! Comunque, non voglio offendere Andreini; le mie considerazioni sono solo dettate dall’episodio in sé, che è gravissimo. Ti ricordo che nessuno si è fatto male solo per una fortunata casualità! - Ah, su questo non ci sono dubbi… Ma non è detto che non gli concedano una seconda chance - considerò la Pacci, cambiando posizione sul divano. - Tutto dipende dalle scelte degli autori. Se dovessero perdonarlo, potete stare certi che Tommaso non ripeterebbe più un gesto simile - commentò Beccardo. - Potrebbero chiedere la nostra opinione, che ne dite? Magari tramite una votazione. Giusto per mischiare un po’ le carte e creare dell’ulteriore, cinico cannibalismo - ironizzò Cortina, storcendo le labbra.

In quell’istante riconobbero un suono familiare: l’apertura metallica della Blueroom. Sentirono dei i, prima di vedere la porta della cucina aprirsi lentamente. Andreini fece capolino, munito di un sorriso imbarazzato. - Oh, Tommaso… - disse Lorenzo, in evidente disagio. L’uomo avanzò di un altro paio di metri, come se camminasse su un campo minato. - Ragazzi, io… Vorrei tanto scusarmi con voi. So che in questo momento mi detestate, ma vi assicuro che ho tenuto duro fino all’ultimo. Ho stretto denti e pugni, finché non ho più retto... Tutto questo stress mi ha chiuso la vena. Chinò la testa e si torturò le mani, impacciato. - Con questo, non voglio cercare giustificazioni; so di aver perso la testa come un idiota. L’ho fatta grossa, però vi assicuro che non avrei mai usato quel coltello contro di voi, in nessuna condizione. Devo assolutamente rimediare, mi preme che non pensiate male di me solo per la follia di un momento. Si alzarono e lo fissarono, ognuno perso nei meandri delle proprie considerazioni. Andreini riconobbe nei loro sguardi una venatura di rimprovero. - Vi prego, ditemi che posso fare. Qualsiasi cosa… - Dai, non preoccuparti, per me il discorso è chiuso. Piuttosto, cosa ti hanno detto nella stanza infernale? - chiese Monica, a braccia conserte. L’uomo riacquistò il sorriso. - Sono stato fortunato, perché il network ha capito che non era mia intenzione fare del male a nessuno. Il bello di tutto questo casino è che ha deciso di graziarmi! A patto, ovviamente, di non combinare più guai. E, vi garantisco, non ne ho alcuna intenzione… La donna si sentì cadere le braccia. Con il trascorrere dei minuti, speranze e illusioni avevano cementato il loro idillio nel suo intimo. Dopo quel comportamento assurdo, era arrivata a convincersi che Andreini sarebbe stato estromesso dal gioco. Inoltre, si aspettava che fosse giunto il tempo della prima esclusione. Quale pretesto migliore, allora? Si sorprese di tanta clemenza: cosa

avrebbe dovuto fare per essere eliminato, uccidere qualcuno? - Bene, è un’ottima notizia! - disse invece, cercando di essere convincente. Michele, che lo aveva biasimato e già condannato, strinse la mano di Tommaso con vigore. Si sentì costretto ad adeguarsi ai nuovi risvolti; contrastare un uomo assolto non era di nessuna utilità. Conveniva molto di più allinearsi all’ipocrisia della Pacci e ostentare un perdono bonario, metabolizzando alla svelta la delusione per quel finale inaspettato. - Stai tranquillo, anche per me è tutto a posto. Spero però che tu abbia imparato la lezione: dare di matto non serve a niente! - Si, l’ho capito, credimi… - Ricordati che l’unica arma da impugnare è la lucidità. Ascoltami, almeno per una volta! So che sei un bravo ragazzo e che meriti considerazione, però devi anche guadagnartela! - Hai ragione, è così… - sussurrò Tommaso, annuendo con espressione umile. Beccardo gli appoggiò la mano sulla spalla. Toccava a lui recitare la battuta successiva di quel patetico copione. - Stai sereno e non pensarci più, Tommy; questa brutta vicenda ormai appartiene al ato. Hai esagerato, però capisco che certi momenti di sconforto possano giocare brutti scherzi. - Vi ringrazio, ragazzi, siete davvero straordinari! Vedrete, troverò il modo per farmi perdonare! Ve lo prometto! - Oh, ne sono sicuro: è il minimo che tu possa fare! - esclamò Cortina, per stemperare la tensione. - Beh, visto che ci siamo chiariti, tornerei in cucina per sparecchiare. Oppure qualcuno ha ancora voglia di mangiare? - chiese la Pacci, impaziente di voltare pagina. - No, guarda, non mi sembra il caso - rispose Lorenzo.

- o anch’io - si aggiunse Michele. - Ti aiuto, se vuoi - si offrì invece Andreini. - No, figurati, ci metto un attimo! - Insisto, dai. Già non stai bene… A proposito, come va il tuo stomaco? - Diciamo che ha ato momenti migliori… - Un motivo in più per lasciarti aiutare, no? La donna si sentì obbligata ad accettare, comprendendo che fosse il suo modo per cercare di reintegrarsi. Inoltre, ritenne prudente assecondarlo, per non trovarsi in mezzo a nuovi screzi. - Dai, va bene - si arrese infine, muovendosi per prima. - A proposito, vuoi un analgesico? Scusa, ma mi sono ricordato solo ora di averne una confezione nel mio bagaglio… - Guarda, mi faresti proprio un favore… È da stamattina che rovisto ovunque, ma l’unica cosa che ho trovato è una cassetta del pronto soccorso. Ovviamente, piena di tutto quello che non mi serve… - Non ti preoccupare. Vado subito a prendertelo! Tommaso si mosse come un fulmine, smanioso di rendersi utile. Divorò i gradini due per volta, fino a sparire oltre la rampa. - Colpa della maledetta fretta di raggiungere la macchina di NRG… Quando l’ho vista parcheggiare sotto casa, mi sono precipitata alla porta, dimenticando d’infilare i soliti medicinali da viaggio nella valigia… - Ti capisco, anch’io ho fatto lo stesso. Pensa che ogni tanto mi chiedo ancora se ho chiuso il gas… - la consolò Michele. Monica gli mostrò un’occhiata di gratitudine, prima di raggiungere la cucina. Cortina attese qualche secondo, poi si rivolse a Beccardo. - Anche stavolta è andata, eh?

- Sembrerebbe… - Che ci vuoi fare, ragazzo, dobbiamo portare pazienza. Salgo anch’io, ne approfitto per fare una capatina in bagno. - Divertiti. - Farò del mio meglio! - disse Michele, inforcando la scala. Lorenzo chiuse gli occhi e sospirò. Dal petto sentì affiorare un impeto d’odio, che lo fece imprecare in cuor suo contro quel luogo incancrenito e le persone che lo affollavano. Contro l’ipocrisia degli altri concorrenti, che avevano indossato le vesti dei predicatori indulgenti subito dopo aver condannato Andreini. Contro la regia e la sua maledetta Voce, che escogitavano mosse infime e avevano l’incolmabile vantaggio di essere le uniche a conoscerle. E, soprattutto, contro il tormento di dover sempre rovesciare un destino avverso.

4.

Monica richiuse la porta e si diresse verso il suo letto. Sciacquarsi la faccia non l’aveva aiutata a svegliarsi quanto avrebbe voluto. Un’occhiata all’orologio le fece scoprire che erano quasi le cinque e venti; si sorprese di aver dormito per gran parte del pomeriggio. Tornò a coricarsi ripensando alle buone intenzioni del dopopranzo, quando si era rifugiata in camera per leggere qualche pagina. Quasi subito, però, si era dovuta arrendere a una stanchezza fisiologica, complici la notte insonne e il sollievo che l’analgesico di Andreini iniziava a concederle. Si allungò per recuperare il suo libro di racconti, abbandonato tra le pieghe del letto, e sentì lo stomaco brontolare. Le scappò un sorriso; come poteva dargli torto? Aveva impegnato metà mattinata cucinando per gli altri, ma a tavola si era limitata a spizzicare solo qualche cracker e un po’ d’insalata. Si mise a sedere e aprì il volume, le spalle appoggiate al cuscino. Una sensazione d’inquietudine si stava incuneando nel suo animo, fino ad assumere le sembianze di uno spettro dispettoso. Per scacciarla, si sforzò di lasciar spazio alla vicenda del racconto. Insistette per diversi minuti, stringendo le pagine con crescente ostinazione; eppure la pace sembrava non volerla raggiungere. Nella sua mente brulicava una selva di pensieri che la inchiodava sempre sulle stesse righe, lei che era abituata a divorare interi documenti alla velocità della luce. Capì che in quel modo non poteva funzionare. Indispettita, chiuse il libro con vigore e lo appoggiò sul comodino. Occorreva sgomberare la testa, per riportarla alla sua efficienza assoluta. Strinse gli occhi e respirò a fondo, sforzandosi di raccogliere le sue considerazioni e dar loro un percorso logico. C’era un assillo che la tormentava, inutile ingannarsi: l’accordo pattuito con la Voce. Più o meno consciamente, era dalle prime ore della giornata che rimuginava su quanto le aveva detto nella Blueroom due giorni prima, sulla chiamata che l’avrebbe condotta nello squallore di un fienile. Se non si fosse trattato dell’ennesimo

bluff, alla fine del gioco sarebbero mancate solo l’ultima parte del pomeriggio e la sera. In aggiunta, ipotesi che la faceva rabbrividire solo a pensarci, c’era anche la notte. Ormai si trattava di ore, forse di minuti; tanto valeva auspicarsi che la convocazione arrivasse a breve. Cosa temeva realmente da quell’incontro? Monica cercò di individuare il punto focale e di allineare le ipotesi. Tanto per cominciare, era terrorizzata dall’idea di restare sola e indifesa in un posto isolato dalle telecamere. Quel sentimento pulsava più forte della curiosità, seppur minima, di sapere cosa le avrebbero detto, chiesto o proposto. Quali individui avrebbe trovato ad attenderla? Chi poteva essere la persona DAVVERO influente, in grado di cambiare le sue sorti all’interno del gioco? Il Direttore in persona, o uno dei suoi tirapiedi di fiducia? Magari quel Briola, scortato dai gorilla e dal suo viscido sorriso? Oppure sarebbe stata accolta da sconosciuti, pronti a imbottirgli il cervello di consigli? Ogni supposizione sembrava plausibile. C’era però anche l’eventualità di consegnarsi a persone poco amichevoli o, peggio, malintenzionate. La regia le aveva garantito la massima sicurezza, ma crederle era come fidarsi di Giuda Iscariota. Sospettava quindi di non rincasare? Va bene, osservò, quella era sempre stata la sua preoccupazione principale, anche se l’imminenza dell’evento amplificava la paura. Cos’altro era emerso allora in quelle ore? Forse il suo subconscio stava vigilando sulla possibile reazione dei tre compagni, al suo rientro? Temeva che si potesse innescare qualche equivoco, magari causato da invidie, e che potesse esplodere una nuova lite? Si fermò a riflettere. Cortina non gli avrebbe sicuramente risparmiato qualche allusione velenosa. Tuttavia, pur con qualche difficoltà, le sarebbe bastato lasciar scorrere le sue provocazioni. Andreini, al di là dell’episodio accaduto, costituiva una meteora impazzita. Facilmente soggiogabile, non aveva mai mostrato una ferma identità; ipotizzò che Michele potesse tentare di trasformarlo in un fido scudiero. Anche il mansueto Beccardo aveva ben poco di raccomandabile, in quel momento. Bravo a celarsi dietro un’apparenza mite e accomodante, sarebbe stato sicuramente pronto a diventare una tigre, appena se ne fosse presentata l’occasione. Si massaggiò le tempie per qualche istante, prima di affondare le dita tra i capelli. Le sue considerazioni non si erano ancora esaurite. Un’altra grande incognita riguardava la sparizione della pistola: non era affatto convinta che l’avessero sottratta gli organizzatori, anche se aveva sostenuto quell’ipotesi quando Andreini era nella Blueroom. Si era trattata semplicemente

dell’ennesima bugia, per non far esplodere il pentolone rovente nel quale erano contenuti. In realtà riteneva possibile, e in certi momenti perfino probabile, che l’avesse presa uno dei tre uomini. Premeditando qualcosa di orribile? Oppure agendo solo per potersi difendere di fronte a eventuali difficoltà? Forse, ma un individuo che girava con una canna poteva essere in grado di estrarla in un momento di raptus. Magari proprio contro di lei, al suo rientro, pensando a qualche cospirazione con il network. Ecco svelato un altro buon pretesto per allarmarsi. Chi poteva avere l’arma? A quel punto, chiunque. Cortina, per sua stessa ammissione, la sapeva usare, ma anche gli altri avrebbero potuto essere tiratori scelti. Peggio ancora se fosse finita nelle mani di un incapace, a cui sarebbe facilmente scappato il colpo al primo tremore della mano… <Signora Pacci, un attimo d’attenzione. Si rechi alla porta d’ingresso, per cortesia. Ha dieci minuti di tempo> si presentò la Voce, gelida. Un sussulto la fece sobbalzare. Istintivamente, la donna volse lo sguardo in direzione dell’altoparlante. Quella mancanza di privacy la infastidì, ma si sbrigò ad accettarla come un evento inevitabile. Non si aspettava certo di essere convocata nella Blueroom, per le disposizioni. Le lancette indicavano le sei. Si mise a sedere sul letto, infilò le scarpe e si alzò, raddrizzandosi la gonna. Sarebbe ora di preparare la cena. Beh, si arrangeranno… Risoluta, raggiunse il primo bagno. Lo specchio rivelò che il suo aspetto impeccabile stava vacillando. Intorno agli occhi si diramavano i segni della stanchezza, e anche il tailleur era un po’ sgualcito. Tuttavia ritenne di mostrarsi fin troppo attraente, per un’occasione in cui occorreva esserlo il meno possibile. Scacciò i brutti pensieri accomodandosi i capelli. Entro pochi minuti ogni domanda avrebbe trovato risposta. S’impose di non pensare più a niente e uscì. Scendendo le scale, trovò i tre compagni. La stavano fissando, disorientati. Cortina sembrò sul punto di dire qualcosa, ma le parole gli si strozzarono in gola. Beccardo dava l’idea di essere realmente in apprensione, con le sue labbra strette e gli zigomi corrugati. Andreini invece stava in disparte, dietro gli altri due, protetto da una scorza d’apatia. - Non ho proprio idea di cosa vogliano da me… - si sentì costretta ad affermare la donna, ostentando un’espressione stupefatta.

ò oltre i tre uomini, fiancheggiò il tavolo e raggiunse la porta. Rimase in attesa per qualche interminabile secondo, consapevole di avere addosso i loro occhi. - Sta’ attenta - sentì dire dalla voce di Lorenzo. La serratura si sbloccò, liberando un sottile spicchio di luce. Monica spalancò la porta, uscì e richiuse alle sue spalle senza voltarsi.

5.

La testa ciondolò un paio di volte, prima che il gomito perdesse l’appoggio e si scostasse dal bracciolo. Andreini si svegliò bruscamente, avvolto da una sensazione di vertigini, come se stesse cadendo da una scalinata. Superato il primo istante di smarrimento, si stropicciò gli occhi e recuperò una posizione composta sul divano. La televisione stava proponendo un talk show. Il display del lettore DVD indicava le sette meno dieci. Con uno sforzo, Tommaso si sollevò e raggiunse la finestra. Il cielo nuvoloso aveva avvolto i prati con un manto cinereo. Si soffermò alcuni secondi a contemplare quell’immagine: al contrario della maggior parte della gente, lui sapeva apprezzare i colori spenti. Li trovava rilassanti, perché privi di quei forti contrasti che infastidivano gli occhi. Stufo di quell’ambiente, si affrettò a spegnere il televisore e uscì. Gli altri due uomini erano seduti sui divani, immersi nella tranquillità del salone. Cortina stava sfogliando una rivista, mentre Beccardo leggeva un albo di fumetti. - Oh, guarda chi c’è! - esclamò Michele, alzando lo sguardo. Tommaso ricambiò con un cenno della mano. Raggiunse una sedia e si lasciò cadere, come se lo avessero tramortito. - Novità riguardo Monica? - chiese distrattamente, allungando le gambe sotto il tavolo. - No, nessuna. Manca dalla casa da quasi un’ora - fece notare Lorenzo, con un velo di preoccupazione. - Mah… Situazione complicata, non so cosa pensare. Chiamata all’improvviso e catapultata chissà dove… Proprio una brutta storia - commentò Andreini.

- Chissà per quale scopo… - Personalmente, non escludo che le abbiano chiesto di sostenere una prova. La sua permanenza nel gioco potrebbe dipendere da quest’esito. In caso d’eliminazione, la riaccompagnerebbero a casa e non la vedremmo più. E, detto per come va detto, non mi dispiacerebbe per niente... Cortina chiuse la rivista, allungò la mano al pacchetto e si accese una sigaretta. - Potresti aver ragione, sai? Non ci avevo pensato: un confronto singolo, in un luogo inaspettato e senza testimoni. Un altro coniglio che sbuca dal loro perfido cilindro. - Già. Vedrai che dopo toccherà anche a noi. Uno per volta. - Non affrettiamo le conclusioni. Sentiamo cos’ha da dirci Monica - suggerì Beccardo. - Sempre che non sia già in viaggio verso casa sua… - insistette Tommaso. - No, è costretta a rincasare, quantomeno per recuperare i suoi effetti personali. Vedrete che a breve torn… Il meccanismo della serratura si sbloccò e schiuse la porta blindata con un leggero cigolio. La voce di Monica giunse ovattata, ma gli altri concorrenti compresero che stesse ringraziando qualcuno all’esterno. La porta si aprì e la donna comparve subito dopo: varcò l’uscio, radiosa, reggendo una borsa di tela. Una mano si affrettò a richiudere alle sue spalle; la serratura scattò immediatamente. - Ciao, ragazzi! Come va? - Noi bene. Tu piuttosto? - chiese Cortina. - Oh, io sto benissimo! - Senti, ci puoi dire dove ti hanno portata? - domandò Beccardo, smanioso di sapere.

- Guarda, appena sono uscita da quella porta, un uomo mi è subito venuto incontro: è lo stesso gran figo che mi ha fatta entrare adesso. - Gran figo? Come me? - esclamò Tommaso, impettito come un pavone. La Pacci sorrise e alzò un sopracciglio. - Diciamo che appartenete a due ranghi di fascino differenti. Lui ha lineamenti ispanici, la barba incolta e lunghi capelli che sembrano quasi blu, da quanto sono scuri. Le iridi grigie, poi, rendono il suo sguardo così penetrante... - Io, invece? - Beh, tu sei un tipo, come dire? Più classico… - Tutto qua? A lui hai riservato un poema e… - Sentite, bando alle ciance, chi ci rappresenterebbe quest’individuo? - irruppe Beccardo, spazientito. Monica ò oltre quel tono severo, a metà tra un rimprovero e un sussulto di gelosia. - Di lui so solo che si fa chiamare Dark. Mi ha spiegato che il suo compito era condurmi nel fienile. - Nel fienile? - si sorprese Cortina. - Si, ce né uno qua fuori, a pochi metri; lo potete vedere dalla finestra della cucina. Non è così male come sembra… Perché non mi è venuto in mente di seguirla con lo sguardo? Michele, dannazione a te, stai perdendo i colpi… - Cos’hai nella borsetta? - Degli abiti di gala, Tommaso. Me li ha consegnati Dark un attimo prima che rientrassi in casa: rappresentano l’omaggio della persona che ho incontrato, per la nostra ultima serata da concorrenti. Pensate, li ha fatti confezionare apposta per noi. Non chiedetemi come lui abbia fatto a ricavare le misure…

- Lui chi? La donna assunse un’espressione volutamente misteriosa. S’intuiva che fremesse per raccontare ogni cosa, le labbra socchiuse pronte a rompere gli argini e rilasciare un fiume in piena. In lei, però, prevaleva la voglia di giocare ancora con la loro curiosità. - Appena sono entrata nel fienile, ero tesa e spaventata. Capirete, convocata all’improvviso, senza sapere chi avrei incontrato e per quale ragione… Poi l’ho visto… Ragazzi, non indovinerete mai chi è! - Diccelo tu, allora! - esclamò Beccardo, bonario. - Ancora un po’ di pazienza, signori. Prima voglio mostrarvi questi vestiti. Devono essere stupendi, lui mi ha assicurato che resteremo di stucco! Aprì la borsetta e mostrò le stoffe scintillanti. Il fondo cedette improvvisamente. Una pistola cadde e rotolò sul pavimento. L’atmosfera si paralizzò: tutti riconobbero la Bernatti scomparsa dal cassetto… Andreini la raccolse con tre dita, imibile. La osservò come se non l’avesse mai vista. Il caricatore era inserito, ma l’uomo non sembrò turbato da quella scoperta. Continuò a fissarla senza che il suo volto tradisse reazioni, accarezzando il grilletto con l’indice. Come pilotato da un improvviso richiamo, alzò lo sguardo, impugnò l’arma e si voltò verso la Pacci. - Ero sicuro che l’avessi presa tu - rivelò con flemma disarmante. La sua mano strofinava il mirino contro la coscia. Cortina e Beccardo, paralizzati dalla paura, non osarono parlare. - Tommaso, io… Ti giuro, n-non… - farfugliò lei, terrorizzata da quello sviluppo assurdo quanto fulmineo. Ciò nonostante, era conscia di avere di fronte uno squilibrato che non avrebbe mai creduto alla sua innocenza. - Tu cosa? - chiese, digrignando i denti - Hai messo la sicura, almeno? - Per favore, calmati… M-metti giù quella… Posso spiegarti tutto…

Un fremito lo catturò. Il suo sangue era diventato un’autostrada liquida, dove l’adrenalina saettava come un bolide dalla scia fluorescente. Alzò la canna e gliela puntò con rabbiosa decisione. Monica ebbe un sussulto violento, lasciò scivolare dalle dita le maniglie della borsetta e iniziò a piangere. Allungò le braccia verso di lui, in segno di resa. - Adesso lo scopriamo! - Ti scongiuro… Lasciami parlare… - Chiudi quella fogna e smettila di frignare! Sei solo una stronza, pronta a fottere chiunque ti capiti a tiro! - la apostrofò Andreini, urlando come un ossesso - Sono stufo marcio dei tuoi guaiti da cagna! - Non so niente di quella maledetta pistola! Mi devi credere! Non l’ho presa io! - Sei una troietta stupida e patetica! Un lampo di luce rischiarò lo sguardo della Pacci. - Ascoltami… Ascoltatemi tutti! Ora ho capito, è tutto così chiaro! Si, è… è stato lui a metterla nella borsetta, è stat… L’urlo disumano di Tommaso fu sovrastato solo dai tre colpi che fece esplodere. Il corpo crivellato di Monica liberò fiotti di sangue e materia organica, si librò a mezz’aria e ricadde pesantemente al suolo. - Sempre pronta a incolpare gli altri, eh? Hai visto che fine fanno le puttane bugiarde? Il respiro era affannoso. L’uomo fissava il cadavere e schiumava rabbia, in un crescendo convulsivo. Cortina e Beccardo, scioccati, fecero dei i indietro. Cercarono di non fare rumore, anche se nelle teste scoperchiate albergava la convinzione che di lì a poco avrebbe freddato anche loro. - Li conosco bene, i tipi come te! Hai avuto quello che ti meritavi, cazzo! Non sarei mai voluto arrivare a tanto, ma no, tu devi sempre esagerare…

Si voltò verso gli altoparlanti, allargando le braccia. - Non ho niente da rimproverarmi, regia! Stavolta nessuno mi può accusare! È stata lei a costringermi, l’avete visto tutti! Lorenzo e Michele si scambiarono un rapido sguardo. - Fuggiamo in cucina - sussurrò il primo. - Pessima idea. Ci troveremmo in trappola, con le spalle al muro… - Tentiamo di raggiungere la Blueroom. Ci apriranno, cazzo! - No, non riusciremmo mai ad arrivare fin lì. Questo figlio di puttana ci ridurrebbe come due colabrodo… - E allora che facciamo? - Non so, io… - Che facciamo, cazzo? - insistette Beccardo, incapace di rassegnarsi. - Cosa vuoi che ne sappia? - ringhiò l’altro, a voce troppo alta. Andreini si girò e li fissò. I suoi zigomi spigolosi graffiavano come artigli. - Michele… È finita...

TIRARSI FUORI

1.

Andreini serrò le labbra e puntò la pistola contro i due uomini. Spostò il mirino da un bersaglio all’altro un paio di volte, per assicurarsi che a nessuno venisse in mente di fare un solo movimento che lui non avesse autorizzato. - Avanti, mettetevi su quel divano! Michele e Lorenzo si sedettero, seguiti dallo sguardo vigile del loro aguzzino. - Tommaso, non fare altre cazzate... Guarda cos’hai… cos’hai fatto… - Quella vipera ha avuto ciò che si meritava! Vuoi forse raggiungerla all’inferno, Beccardo? - tuonò l’altro, irrigidendo il braccio armato. - Quale sarà la tua prossima mossa? - chiese Cortina, senza mostrare timori. - Non l’hai ancora capito, eh, sapientone? Proprio non ci arrivi? - Dimmelo tu. - Me ne andrò con i quattrini, ecco cosa farò! Uscirò da quella porta con la valigetta ben stretta tra le dita, a dispetto di tutti quegli stronzi cui il sottoscritto piace più da morto che da vivo! E se qualcuno tenterà di sbarrarmi la strada, beh, saranno cazzi suoi! - Non puoi farlo - sentenziò Michele, lapidario. - Ah no? E chi me lo impedirà? Voi due, forse? Cortina inspirò a fondo, rilasciando l’aria gradualmente. Temeva che a quell’idiota potesse scappare un colpo accidentale, data l’inettitudine con cui maneggiava la pistola.

- Ci sono diversi aspetti che non hai considerato. - Per esempio? - Credi che ti lasceranno andar via così facilmente? Magari da vincitore, in erella sul tappeto rosso e attorniato da telecamere e flash? No, mi spiace, ma là fuori troverai ad attenderti solo i gorilla di Briola, e non certo a mani nude. Te li ricordi, vero? Oppure non ti spaventano nemmeno loro? Tommaso inasprì lo sguardo e corrugò la fronte. - Forse non hai ancora capito che ho i mezzi giusti per rimuovere qualsiasi ostacolo, si trattasse pure del peggior demonio fuggito dal braccio della morte! - E della Polizia, che dici? Pensaci un attimo: omicidio, non si scherza - incalzò Michele. - Degli sbirri me ne fotto! Fuggirò con il primo volo disponibile, non m’importa dove sarà diretto! Poi, con calma, penserò al resto; intanto, le mie chiappe saranno al sicuro! Non ci tornerò mai più in questo Paese di merda, che mi ha sempre preso a calci e trattato come un cane randagio! - Non ti faranno mai raggiungere l’aeroporto. - Invece si, perché voi due verrete con me! Potete ancora servirmi a qualcosa! - Hai intenzione d’innescare una guerriglia urbana? - s’indignò Beccardo. - Aspetta che qualche imbecille intralci il mio aggio e vedrai… - sibilò Andreini, alle strette. Il tono però, per quanto lui si sforzasse, non era più persuasivo come prima. - Ti sei dimenticato di un altro piccolo dettaglio, Tommaso… Cortina si sentì trafiggere dal suo sguardo furente, ma non esitò. - Ammesso che tu riesca a entrare indenne in aeroporto, sei davvero convinto di poter superare i controlli e di salire a bordo con una pistola? Solo perché hai degli ostaggi?

- Vuoi sequestrare un aereo e pensare di mettere piede a terra come se niente fosse? - si aggiunse Lorenzo. - Basta, non vi sopporto più! Regia, apri la porta della Blueroom: questi due rompicoglioni eranno la notte lì dentro! Così avranno il tempo di smaltire le loro stronzate! Cortina e Beccardo si guardarono, atterriti. - Io resterò qui, a riflettere con calma su ciò che mi conviene fare. Tanto per cominciare, esigo che la porta d’ingresso rimanga chiusa finché io e solo io lo riterrò opportuno. E guai a te se stanotte sbloccherai la serratura della Blueroom! Chiaro? Non trovando riscontri dagli altoparlanti, si sentì legittimato a proseguire. - Nel frattempo, non voglio né sbirri né irruzioni, o farò una strage! Se dovrò andare all’inferno, ti garantisco che porterò con me un bel po’ di gente! Un sorriso terrificante attraversò il suo volto. Fece schioccare la lingua sul palato, inebriato da una sensazione d’onnipotenza. - Ora, ascoltami bene e memorizza: domani mattina recupererò questi due e li condurrò al cancello, perché saranno il mio lasciaare. Fuori dovrà esserci un taxi ad aspettarmi, pronto a sgommar via da questo posto schifoso. Mi raccomando, che sia un tassista vero e non uno sbirro camuffato o diavolerie simili, altrimenti sarò costretto a usare il mio gingillo al piombo! Attese qualche secondo, certo di essersi spiegato. - Bene, vedo che non hai nulla da eccepire. Se ubbidirai come una brava cagnolina, non ci saranno inconvenienti per nessuno. Potrei perfino pagarlo di tasca mia, il taxi… Serrò la mascella in un sorriso maligno. - È tutto, regia. Non ho altro da aggiungere. Si voltò verso i due uomini, provando un impeto di ribrezzo. Il fuoco che lo aveva animato contro Monica non si era ancora spento.

- Forza, voialtri! Vi aspetta una notte a luci soffuse! Michele e Lorenzo si mossero, scortati a breve distanza. Raggiunsero la cucina e si arrestarono davanti alla porta della Blueroom. Subito dopo, giunse lo scatto d’apertura. - Beccardo, apri e fai accomodare il tuo socio! - Devo entrare per primo? Hai paura di me? - lo derise Cortina, rischiando oltre il lecito. - Entra e chiudi quella fogna del cazzo! Ti puzza la vita, forse? L’altro si mosse, senza fretta. Affrontò lo sguardo di Tommaso per quei pochi ma infiniti secondi che gli servirono per varcare la soglia. - Adesso tocca a te, Beccardo! Avanti, entra! Lorenzo infilò rapidamente l’uscio, senza voltarsi. Andreini spinse la porta, attese lo scatto e controllò che la serratura si fosse bloccata. Le gambe rigide lo condussero fino al tavolo. Dopo aver appoggiato la pistola sul ripiano, aprì il frigo. Trangugiò mezzo litro d’acqua, con avidità, senza staccare le labbra dalla bottiglia. Si asciugò la bocca con la manica della maglietta, ansimando per qualche secondo. - Fottuta sete… L’agitazione lo travolse e fece guizzare le sue membra. Si accigliò, cercando inutilmente di decifrare il suo nuovo stato d’animo. Dalla credenza recuperò un bicchiere e la bottiglia di whisky. Si lasciò cadere su una sedia, sudato e tremante. Spostò la pistola, che beffardamente aveva la canna rivolta verso di lui, quindi riempì il bicchiere fino all’orlo. - Un sorso alla tua, vecchio leone! - strillò con fierezza, prima di deglutire rumorosamente. L’alcol scendeva lungo l’esofago, un serpente di lava pronto a contorcersi nelle viscere. Alzò la testa fino a incrociare l’orologio a parete. Era ora di cena, ma non aveva fame.

2.

Michele strinse i pugni fino a sbiancare le nocche. Più che di una stanza, si sentiva prigioniero dell’impotenza. Per quanto si sforzasse, non riusciva ad accettare la prospettiva di farsi sottrarre il denaro da un vigliacco come Andreini, pronto a sacrificare chiunque gli permettesse di allontanarsi da quella dimora, dove non abitava alcun sogno ma solo una catena d’incubi agghiaccianti. I primi, sommessi gemiti lo distrassero dalla sua collera. Voltandosi, vide Beccardo seduto a terra, la schiena contro la parete e la fronte tra le mani. Evidentemente, la sua capacità di sopportazione si era esaurita. - Lorenzo, dai… Fatti forza, dobbiamo reagire. - Hai… hai visto con quanta ferocia ha sparato? L’ha uccisa a sangue freddo, senza neanche… lasciarla parlare… Mio Dio, che orrore… - Lo so, è stato terribile… Ma noi dobbiamo andare avanti. Dobbiamo salvarci. - Povera Monica, povera donna… - Occorre pensare a un piano per affrontare Andreini - insistette Cortina, per cercare di riportarlo a un livello d’attenzione accettabile - Domani mattina, quando quel verme verrà a prenderci, non ci faremo cogliere di sorpresa. Beccardo alzò il mento, emergendo dal suo sconforto. - Non l’hai ancora capito? Ci lasceranno crepare in questa fottutissima casa! - No, non lo faranno. - Ah si? Come puoi esserne così sicuro? - A prescindere da quanti sadici si nascondano dietro questa storia, è arrivato per

loro il momento di ottenere lo scopo prefissato. Gli occorre nuova linfa, per puntare su un finale a effetto. - E quale sarebbe questo scopo? Vederci morire uno per uno? - All’inizio lo pensavo anch’io. Poi ho capito che il discorso è più complesso. - Che cosa vogliono, allora? - A modo loro, questi individui sono dotati di menti raffinate. Hanno organizzato una farsa di tale spessore per osservare le nostre reazioni e scoprire fin dove ci saremmo spinti. Il prossimo obbiettivo è capire chi di noi dimostrerà più scaltrezza o, se preferisci, meno scrupoli. Soprattutto, quali mezzi utilizzerà per sopraffare gli altri e raggiungere l’uscita. - Quindi, secondo te, stanno soltanto giocando… - Qualcosa del genere. Si sono divertiti a lanciarci una sfida, decidendo però di non interferire. La discrezione incrementa l’appagamento, in quanto crea incertezza. Sono convinto che per loro non si tratti d’altro che di curiosità. Come hai detto tu, di un gioco. L’altro si soffermò a meditare su quelle parole. - Si, forse hai ragione. Come quando sostenevi che non eravamo protagonisti di un reality e nessuno ti ha creduto… - Lascia stare, qui la ragione serve a poco. E poi, sai quante volte preferirei sbagliarmi? Cortina fu contento di avergli strappato un sorriso. Gli appoggiò una mano sulla spalla e si sedette accanto a lui. - Visto che sei così perspicace, Michele, sai dirmi anche cosa succederà domani mattina? Rivedremo i tre energumeni di Briola, come hai ricordato a Tommaso? - Gliene ho parlato solo per spaventarlo e confondergli le idee, considerato che non mi sembra uno stratega navigato, né tantomeno un uomo dal sangue freddo. Speravo commettesse un errore, è andata male.

- Li incontreremo? - incalzò Beccardo. - Si, la probabilità è alta. Però insisto, in questo momento dobbiamo occuparci di Andreini. - Già, problema non da poco… - Ehi, aspetta! Forse ho un’idea! Lorenzo si ravvivò, come se avesse sentito che ai suoi problemi c’era pronta la soluzione. - Quando quella porta si aprirà, Andreini vorrà condurci al cancello e scappare con il denaro, giusto? Ci ordinerà di uscire, perché avrà una fretta del diavolo! - Presumo di si. - Sai che ti dico, invece? Saremo noi a dettare i tempi. - E come, scusa? - Lo costringeremo a improvvisare. Ci fingeremo talmente impauriti da non riuscire ad abbandonare questa stanza. - Oh, se è per questo, non credo che dovrò sforzarmi… - Sono sicuro che il suo cervellino andrà in difficoltà. Se saremo bravi, lui diventerà aggressivo e ci minaccerà. - Ottimo, così ci assicuriamo una pallottola in fronte! - No, è qui che ti sbagli! Gli serviamo vivi, non dimenticarti che siamo la sua unica via di fuga! È questo il nostro punto di forza: starà molto attento alle sue mosse, perché non potrà permettersi altri errori! Beccardo raggrinzì le guance. - Stai giocando con la morte, te ne rendi conto? - Andreini si spazientirà e abbasserà la guardia - proseguì Cortina, imibile Soprattutto, sarà costretto a entrare nella Blueroom: se non usciremo, dovrà

venirci a prendere! - Vuoi capovolgere la situazione e trasformare il carnefice in vittima? Pensi davvero di potercela fare? - Non io, ma noi. - Ti ricordo che lui avrà sempre a disposizione la pistola… - Si, però potrà puntarla contro una sola persona per volta. Chi si troverà fuori traiettoria, avrà la possibilità di fargli perdere l’equilibrio falciandogli le gambe con un calcio basso. - Scherzi, vero? E se gli partisse un colpo? - reagì Lorenzo, allibito. - Ovviamente, anche chi è sotto tiro dovrà buttarsi subito a terra. Ma possiederà un vantaggio enorme: saprà esattamente cosa sta per accadere. - Tu sei pazzo… - Non ti preoccupare, farò in modo che sia io quello sotto osservazione. Non sarà difficile, lui ha più paura di me. Ti chiedo solo di essere fulmineo e di colpire più forte che puoi. Beccardo impallidì, borbottando tra sé il proprio smarrimento. - Vedrai, in pochi secondi si troverà addosso due belve inferocite che lo copriranno di calci e pugni; volto, torace, fianchi, tutto quello che capita. Rimarrà sopraffatto prima di contarsi i denti rotti! - Insisto, sei pazzo! - Una volta fuori di qui, - ò oltre Michele - non ci resterà che recuperare la valigetta e attendere lo sblocco della porta principale. Il loro voyeurismo sarà tutt’altro che sazio, perciò dovremo essere prudenti. Appena raggiunto l’androne, procederemo con la massima cautela, per far comprendere a tutti che abbiamo intenzioni pacifiche. Dopodichè, valuteremo il da farsi. Ma stai certo che la pistola ci seguirà. Sarà il nostro avvertimento per tenere a distanza i malintenzionati.

- La sola idea d’impugnarla mi mette i brividi… - Non preoccuparti, la terrò io. Visto che non hai dimestichezza con le armi, non mi sembra l’occasione per farti cominciare. Tanto più che ci restano dieci colpi… Andreini ne ha utilizzati tre, vero? - Che cazzo ne so, Michele? Non sono stato così cinico da contare gli spari! - Lucido, Lorenzo, solo lucido. È questione di sopravvivenza, non di cinismo. Beccardo si trattenne a stento dall’esprimere la sua disapprovazione. Poi, folgorato da un’improvvisa intuizione, si avvicinò all’orecchio del compagno. - Aspetta un attimo… E se Tommaso ci stesse ascoltando? Non dimenticarti che ci sono microfoni ovunque… - No, questa stanza è insonorizzata. In ogni caso, i nostri persecutori non lo favorirebbero. Vogliono una disputa ad armi pari, per divertirsi ancora. - Certo, spiando le nostre conversazioni e i movimenti di Andreini… Maledizione, non riusciremo mai a colmare lo svantaggio che ci divide da loro! s’inasprì l’altro, frustrato. - Non possiamo farci niente, ormai siamo costretti a giocare a carte scoperte. Piuttosto, che te ne pare? A me sembra un piano ragionevole o, quantomeno, realizzabile. - Se lo dici tu… Immagino che non ci siano alternative… - Purtroppo no. Hai paura? - Diciamo pure che sono terrorizzato. - Ricordati che non sei solo, come non lo sono io. Dobbiamo credere l’uno nell’altro e sostenerci a vicenda. - E se qualcosa andasse storto? - Andrà tutto bene. Ce la faremo, me lo sento. Tra poche ore avremo centomila euro in più a testa, da spendere secondo le nostre esigenze.

Lorenzo serrò le mandibole, risoluto. - Giuro che da domani voglio pensare soltanto a Elisa e Donatella! - Ben detto! E io mi metterò immediatamente in azione per cambiare casa! Il luccichio dei faretti sancì la loro alleanza. L’ombra spettrale della Blueroom si allungò sui loro propositi, a volte alimentati a volte delusi, ma mai rassegnati a svanire.

***

Tommaso dilatò le narici, prima di picchiare il bicchiere sul tavolo. In un solo sorso, aveva trangugiato metà del suo secondo whisky. - Un brindisi alla tua rinascita da uomo con le tasche piene! Si riassestò sulla sedia e ondeggiò sui gomiti, soddisfatto. - Te li sei proprio meritati, questi soldi del cazzo! Era giunto per lui il momento di organizzare la giornata successiva. Se avesse voluto procedere con i i giusti, si sarebbe dovuto prodigare per uscire illeso da quella casa, prestando attenzione a tutto ciò che avrebbe incrociato, vivo o inanimato che fosse. Dopo aver raggiunto l’aeroporto in taxi, ipotizzò, avrebbe trascinato con sé Cortina e Beccardo attraverso i controlli, pretendendo dalle autorità che lo scortassero fino all’imbarco. Presentandosi con una pistola, la Compagnia aerea sarebbe stata costretta ad accoglierlo a bordo. A quel punto, avrebbe abbandonato i due ostaggi al loro destino. Una volta giunto a destinazione, l’arma gli avrebbe spianato anche la via d’uscita. Era convinto che la Polizia locale non avrebbe cercato lo scontro, per non rischiare l’incolumità delle persone intorno a lui. Uscito dall’aeroporto, si sarebbe poi dileguato, seminando gli eventuali inseguitori con la sagacia di cui si credeva in possesso. Come già stabilito, aveva deciso di fuggire con il primo volo disponibile; la priorità era seminare i suoi creditori, a cominciare da quello sciacallo di

Vincenzo Franco. Raggiunta la località, avrebbe studiato una soluzione per superare le difficoltà d’ambientamento, come procurarsi una nuova identità con documenti falsi e cercare una stanza dove alloggiare. Per non attirare l’attenzione, gli sarebbe bastato confondersi tra la folla, sforzandosi di contenere le spese allo stretto necessario. Avrebbe poi dovuto prodigarsi per trovare alla valigetta un nascondiglio sicuro: non poteva certo andarsene in giro con tutto quel denaro contante. Risolte le fastidiose formalità, ci sarebbe stato tutto il tempo per pianificare la destinazione definitiva. Oppure per decidere di fermarsi, se gli eventi avessero preso la piega giusta. L’importante era non restare a corto di possibilità. Del resto, il mondo era pieno di luoghi in cui, con duecentomila euro, si poteva vivere da nababbi… Iniziò a fantasticare sulla possibile meta. Con un po’ di fortuna, sarebbe stato disponibile un volo per Cuba o per qualche altro paradiso caraibico, dove consolarsi con acque cristalline, spiagge di sabbia fine e un paio di mulatte dalle natiche sode. In alternativa, avrebbe potuto esplorare paesi orientali, catapultandosi sul letto di massaggiatrici in grado di risvegliare la pulsione delle sue fantasie erotiche. - Affanculo i parassiti! Non mi vedrete mai più, figli di puttana! Tracannò un altro sorso. Nel suo stomaco stava crescendo un sentimento avvolgente, cui assegnò il nome di rivalsa. Finalmente era giunta l’ora di riscuotere il credito che aveva accumulato con la cattiva sorte. Non avrebbe più dovuto fingere con nessuno, né sentirsi in difetto per qualcosa che avesse combinato o solo pensato di fare. Sarebbe stato in pace con il proprio spirito, libero da tutte quelle velenose situazioni che avevano frantumato la sua autostima. - Alla tua, fratello, e alla zavorra di cui ti libererai! - brindò, svuotando il bicchiere. La soddisfazione infiammò il suo petto, mentre lui si versava dell’altro whisky. Molti aspetti di quella faccenda erano ancora nebulosi, però una certezza lui l’aveva già acquisita: quella serata sanciva la fine di un’epoca, quella dei rospi da ingoiare e dei consensi da elemosinare, specie nei confronti di Gelsica, una donna lagnosa e insipida che non aveva mai perso occasione per criticare il suo stile di vita. Aveva chiuso con le ore massacranti in fabbrica, con i salari da fame, gli scippi in busta paga e i soprusi di capireparto beceri e leccaculo. Da

quel momento non era più costretto a mendicare nei bar un goccio di liquore da gentaglia che sapeva solo deriderlo, oppure affannarsi davanti alle macchinette dei videopoker alla ricerca di combinazioni inesistenti. Né ancora pregare tutti i giorni come una suora di clausura, affinché l’estrazione gli consegnasse i numeri giusti per sbancare il montepremi. - Ora tocca agli altri muovere il culo per guadagnarsi i miei favori! Di colpo, s’intristì. Nemmeno l’enfasi di quel momento riusciva a rimarginare la piaga più profonda. C’era una sconfitta in ogni vittoria, e la sua si chiamava Niccolò. Fuggire significava abbandonarlo nelle grinfie di sua madre, ma la sentenza del giudice gli aveva già impietosamente dichiarato la decadenza dalla potestà genitoriale. Andreini era consapevole che il bambino, spinto dall’educazione deviante di Gelsica, avrebbe maturato un odio viscerale verso il padre, uscito dalla sua vita senza troppe esitazioni. Per riconquistare suo figlio, esisteva un’unica soluzione plausibile: rapirlo. Ora Tommaso possedeva denaro sufficiente per rivolgersi alle persone giuste, professionisti in grado di eseguire un lavoro pulito. Niccolò doveva convincersi che papà gli voleva bene e smaniava per riaverlo con sé. Si ò una mano sulla fronte sudata. Per ottenere il suo scopo, occorreva che ordisse una trama inattaccabile. Era obbligato a munirsi di pazienza ed equilibrio mentale, evitando di lasciarsi consumare dalla brama di vendetta. - Da domani inizierà un nuovo ciclo. Voglio essere pronto. Unì le mani contro la nuca e distese la schiena, leggero come una rondine che era finalmente libera di fluttuare nell’aria.

3.

La Blueroom era sprofondata nella quiete. Michele e Lorenzo, seduti a terra uno di fianco all’altro, sembravano sfingi impenetrabili. - C’è una cosa che proprio non mi convince - esordì a un tratto Cortina, spezzando il silenzio che diventava sempre più imbarazzante con il trascorrere del tempo. - Una sola? - ironizzò Beccardo. - Una in particolare. Ti assicuro che mi sta consumando le meningi. Si voltò verso il suo interlocutore. - Stavo pensando a Monica. - Si, anch’io… - In fondo lei andava solo per la sua strada, inseguendo con ostinazione le nostre stesse mete. Come potremmo condannarla senza biasimare noi stessi? - Sai, all’inizio ero convinto che fosse una donna altezzosa, di quelle che sanno di esser belle e pensano di poter fare i loro comodi. Con il tempo, però, ho capito che quell’atteggiamento rappresentava il suo modo di affrontare le situazioni nuove. Ho avuto la fortuna di parlare con lei qualche volta, e posso dire di aver scoperto una persona intelligente e sensibile - disse mestamente Lorenzo, assottigliando gli occhi. - Sono d’accordo con te. Per questo non penso che sia stata lei a sottrarre l’arma dal cassetto. - Di cosa stai parlando, scusa? - chiese l’altro, con una punta d’ansia.

- Ci sono troppi elementi che non combinano. - Per esempio? - Quando la pistola è caduta a terra, la Pacci mi è sembrata sinceramente sbalordita. È vero, stamattina mi sono scontrato con lei e ho sollevato dei sospetti su questo suo presunto panico che la paralizzava di fronte a un’arma, anche se scarica. Ero incazzato, perché voi due mi avete ingiustamente accusato del furto. Smaltita la rabbia, però, ho capito subito che Monica detestava realmente tutto ciò che poteva ferire un essere umano. Figurati se sarebbe stata capace di sparare… Non sapeva neanche impugnare il calcio! Beccardo si alzò in piedi. Cominciò a camminare, come se lo aiutasse a riflettere. - Probabilmente, lei sapeva di dover uscire. Devono averla avvisata durante uno dei colloqui che ha sostenuto qui dentro - concluse dopo un po’. - E quindi? - Quindi deve essersi spaventata. Magari non le hanno nemmeno detto dove l’avrebbero condotta. Per una donna sola e indifesa non c’è niente di peggio di una convocazione al buio. Penso anche che le abbiano imposto di non parlarne con nessuno. Michele gli fece cenno di proseguire, incuriosito da quell’ipotesi. - Trovandosi con le spalle al muro, si è vista costretta a superare la sua fobia. Ha trafugato l’arma e l’ha portata con sé, sperando con tutto il cuore di non doverla usare. Purtroppo, al suo ritorno, Tommaso non le ha dato il tempo di spiegarsi… - E dove l’avrebbe nascosta, visto che è uscita senza la sua pochette? - Non lo so. Magari in qualche piega del vestito, o sotto la cintura. - Ovviamente senza che notassimo nulla… - osservò ironicamente l’altro. Beccardo fece spallucce, a corto di alternative. - Questo significherebbe che la regia ha avvisato la Pacci non più tardi di ieri,

Lorenzo, visto che solo stamattina ci hanno comunicato la sparizione della pistola. - Non ho idea se sia stata avvisata, né quando. La mia è solo una supposizione. Cortina unì i polpastrelli delle mani. - Avvaloriamo per un istante la tua ipotesi. Spiegami come avrebbe fatto a spostare la pistola senza farsi vedere da quel tizio, Dark, che le ha consegnato la borsetta un istante prima che lei rientrasse. - Avrà atteso il momento favorevole per farla scivolare dentro. Per una mano veloce, bastano pochi istanti. - Non ti accorgi che non sta in piedi? La Bernatti è caduta da sotto, quindi significa che giaceva sul fondo della borsetta. Per poterla mettere lì, la Pacci avrebbe dovuto sollevare i vestiti e, inevitabilmente, sgualcirli. Eppure gli abiti erano impeccabili: sembravano appena usciti da una stireria. Come lo spieghi? Cortina si assestò sul pavimento, sentendo che le natiche cominciavano a dolergli. - Inoltre, non dimenticarti che i nostri carcerieri hanno telecamere professionali, sicuramente dotate di infrarossi. La Pacci non avrebbe mai potuto sottrarre la pistola dal cassetto senza essere vista, né tantomeno uscire di casa armata. - No, certo… - Aggiungo un’altra questione: ti sembra possibile che una tela così robusta abbia potuto cedere di schianto? Beccardo accennò un’espressione d’impazienza. - Non so che dirti, Michele. Tra le altre cose, mi piacerebbe sapere chi è la persona che Monica ha incontrato nel fienile. L’ha chiamata solo per consegnarle il regalo oppure c’è stato dell’altro? - Non lo sapremo mai, purtroppo. - Doveva conoscerlo bene quel tipo, vista la sua euforia al rientro. E non aveva

l’aria di essere uno qualunque, a giudicare dal tono con cui voleva presentarlo. Michele si morse il labbro, avvertendo nuove vampate d’ira. - Ti dico io come sono andate le cose: è stato lui a rubare la pistola dal cassetto! - Cosa? - Quel verme ha deciso di farla sparire la notte scorsa, dopo essersi assicurato che tutti noi dormissimo. Al momento opportuno, ha convocato la Pacci nel fienile e si è inventato un pretesto ragionevole per intrattenerla. Nel frattempo, uno degli scagnozzi, magari proprio quel Dark, ha appoggiato l’arma sul fondo manomesso e l’ha coperta con i vestiti, lasciando la borsetta appoggiata a terra. Alla fine del colloquio, quando ha sollevato le maniglie e gliel’ha consegnata, il peso del metallo ha iniziato a spingere. A quel punto, il gioco era fatto. Monica non ha potuto fare altro che cadere nella trappola. Lorenzo sgranò gli occhi. - È vero, hai ragione! Infatti lei ha cercato di spiegarsi, di fare il suo nome! - Purtroppo l’ha capito troppo tardi: Andreini era già impazzito… Quello che mi rode è che ora quel bastardo sta dietro la telecamera, a bere birra e a deridere le nostre chiacchiere! - Ma chi è, maledizione? Perché ci tortura così? - Chi sia forse non lo sapremo mai, ma lo scopo delle sue mosse è fin troppo evidente: creare situazioni a rischio, che possano trascendere in poco tempo. Ricordati, senza sangue non c’è spettacolo. Beccardo si ò una mano tra i capelli. - Quindi è lui che ci ha bloccati in questa gabbia con il pretesto del reality… - Si, ormai non ho dubbi. Deve essere anche un tipo facoltoso, visto che ha allestito uno scenario d’alto livello. Pensa solo a quanta gente ha coinvolto: Dark, Devazzani, Briola e i suoi bodyguard… Senza contare gli autisti che ci hanno accompagnato qui e lo staff impegnato nelle riprese…

- Perché ha scelto proprio noi quattro, cazzo? Che legami ha con le nostre vite? - Non lo so, amico. Davvero non lo so… Lorenzo si risedette, esausto. - Senti, che ne dici di riposare un po’? In questo buco comincia a mancare l’ossigeno. Ci fosse almeno una bottiglia d’acqua… - Hai ragione, basta chiacchiere. E’ meglio dormire, abbiamo bisogno di energie fresche. - Vuoi il cuscino? - chiese Beccardo, allungando la mano fino alla poltroncina. - No, prendilo tu. Buonanotte, ragazzo. - Speriamo lo sia… Non sarà facile, in queste condizioni. - Cerca di non pensarci. In fondo, poteva andare peggio. Ai tempi della naia, mi è capitato di dormire in una buca. Ovviamente d’inverno, mentre pioveva. Dove l’hai fatto il militare, in Afghanistan? Non mi sorprenderebbe, visto che hai sempre in tasca soluzioni da supereroe… Si sdraiarono entrambi sul fianco, dandosi le spalle. Il pavimento duro li costrinse a cercare la posizione meno scomoda. Dopo un tempo indefinito in cui si era inutilmente sforzato di addormentarsi, Lorenzo aprì gli occhi. Davanti a lui continuavano a scorrere i fotogrammi delle azioni di un uomo che aveva distrutto la propria vita, trascinando con sé nel baratro una donna innocente. Eppure, rifletté, solo due giorni prima Tommaso aveva manifestato la sua sensibilità, confessandogli il più intimo dei segreti. Rivisse quegli attimi struggenti che aveva condiviso con lui e meditò su quanto doveva essergli costato aprire il suo cuore, mostrare la ferita più profonda. Perché allora tanta inspiegabile efferatezza, tanto accanimento? Guardò l’orologio, prima di arrendersi alla stanchezza. La mezzanotte era ata da poco.

***

Dopo aver svuotato il suo terzo bicchiere di whisky, Andreini provò l’esigenza di affondare le dita nel denaro. Cosa c’era di meglio del fruscio delle banconote fresche e profumate, subito dopo aver ripreso il comando della sua esistenza? Si alzò dalla sedia, ubriaco fradicio, ma scoprì che qualcosa era cambiato: il corpo si stava opponendo alla sua mancanza di ritegno. - Diavolo, per un po’ di spirito ti si rivoltano contro anche le budella… Ondeggiò per qualche istante, la testa come un mulino. Lo stomaco soffocò a stento un conato di vomito. - Non sei più abituato, vecchio mio… Sono lontani i tempi in cui potevi farti un goccio alla tua salute, in qualche bar per squattrinati. Però da domani cambia tutto, tutto… Recuperò la pistola, che era diventata più pesante di un macigno. Inciampò più volte sugli stessi i, ma riuscì infine a raggiungere il salone. Quando si avvicinò al tavolo, si accorse che un macabro scherzo della prospettiva aveva sovrapposto la valigetta allo scempio che aveva commesso. - Monica… Un’entità invisibile lo colpì alle spalle con il vigore di un samurai. Tommaso s’inginocchiò davanti al corpo straziato, mentre le labbra si piegavano in un sorriso comionevole. Il suo sguardo eluse volontariamente il grembo martoriato dai proiettili, soffermandosi invece sui fianchi e sulle gambe. Rivoli di sangue, in parte rappresi, scendevano lungo le cosce fino alla pozza rossa sul pavimento. Allungò la mano e le sfiorò i capelli. Rimase chino su di lei, come in una veglia. Sul suo volto si era accesa una luce dolce, quasi protettiva. Un uomo affranto aveva preso il posto del carnefice. Cazzo, ho ucciso una donna! Il rimorso si presentò fulmineo e lancinante, con le sembianze di un usuraio che

esibiva il conto tra le grinfie. Una creatura orribile dai denti guasti, che assomigliava maledettamente a Vincenzo Franco. - Che cosa ho fatto… Lo stomaco resse un altro urto. Brividi gelidi si diramarono lungo le sue membra e guizzarono come ragni brulicanti. Andreini precipitò in una forma di trance, diventando un’ombra che fluttuava tra le onde impetuose, alla vana ricerca di un riparo. - Che cosa ho fatto… - ripeté più volte, prigioniero di una cantilena ipnotica. Un leggero capogiro non gli impedì di rialzarsi. - E ora dimmi, stronzo: dove pensi di fuggire? Raggrinzì gli zigomi. Le prime lacrime scorrevano lungo le guance. - Un giorno, forse riuscirai anche a far perdere le tue tracce. T’illuderai di esserti liberato dei tuoi nemici e ti sentirai perfino felice, per qualche istante. Ma non pensare di poter fottere la tua coscienza. No, non lei. Ovunque andrai, ti seguirà. Sarà sempre lì, a pesarti sulla spalla. Finché, stufa della puzza di marcio che ti porti dietro, deciderà d’inghiottirti. Avvinghiato da spasmi violenti, si sciolse in un pianto isterico. - Per te non c’è scampo, imbecille! La tua anima è dannata! Rovesciò la valigetta, sparpagliando sul pavimento decine di mazzette. Urlò come un ossesso, il volto gonfio e rosso. - Maledetti soldi bastardi! Per colpa vostra sono diventato un assassino! Dovreste bruciare voi tra le fiamme dell’inferno, al posto mio! È sempre stata vostra la colpa, solo vostra! Quante porcate ho dovuto fare per voi… Mi avete rovinato!!! Inaspettatamente, si calmò. La testa si era svuotata, lasciando svanire ogni pensiero. Lo avevano abbandonato perfino i maestosi progetti di fuga e vita nuova, che solo pochi minuti prima gli erano sembrati così allettanti. Andreini assaporò l’ebbrezza di una piacevole insensibilità, scoprendosi a desiderare solo

che durasse per sempre. - Niccolò, perdonami… Almeno tu… Sollevò la pistola e si puntò la canna alla tempia. Lacrime e sudore freddo si addensarono sulle sue guance. - Ti ho sempre voluto bene, figlio mio. Sempre te ne vorrò. Il dito indugiò sul grilletto con pressione crescente. L’uomo intravide l’ultimo bagliore, prima che il mondo scomparisse dietro un drappo nero. La testa esplose, schizzando poltiglie di sangue, ossa e materia cerebrale. Il corpo di Tommaso cadde con un tonfo sordo, unendosi a Monica con un gelido abbraccio di morte.

4.

Una lingua di luce stava insistendo tra le sue palpebre. Lorenzo si girò sul fianco, mugugnando qualcosa d’incomprensibile. Il contatto con le piastrelle gli ricordò che era prigioniero della Blueroom. Ancora intorpidito, aprì gli occhi e si mise a sedere, comprendendo che quel bagliore non potesse certo provenire dai faretti. Impiegò un tempo indefinito per mettere a fuoco i contorni della stanza e scoprire che la porta era spalancata. Lo sconcerto lo fece balzare in avanti, e in cambio ricevette una stilettata lungo la muscolatura cervicale, che reclamava per la notte trascorsa sul pavimento. Beccardo inarcò la schiena, allungando contemporaneamente le braccia. Si massaggiò le spalle per alcuni secondi, prima di riuscire a mettersi in piedi e ad abbandonare la stanza. Dov’è finito Michele? La bocca impastata e la gola secca imploravano un po’ d’acqua fresca. Lorenzo deambulò fino al frigo, aprì l’anta e trangugiò un lungo sorso. Nel suo animo cominciava a lievitare un’inquietudine tagliente, perché la cucina era deserta e dal resto della casa non sembrava provenire alcun suono. Appoggiò la bottiglia sul tavolo, si precipitò alla porta e la spalancò. Quello che vide poté finalmente rasserenarlo: Cortina era nel salone, seduto sul divano blu. Blu come la gabbia da cui era appena fuggito. La valigetta ammiccava dal tavolo, forte del fascino che il suo ricco contenuto esercitava. - Buongiorno e ben svegliato. Sono le otto e venti e qui si registra calma piatta. - Buongiorno a te. Dov’è finito Tommaso? - chiese Beccardo, infastidito dai riverberi che avevano invaso il salone.

- Non ne ho idea. Quando mi sono svegliato, la porta della Blueroom era aperta. Ho perlustrato la casa intera, ma di lui nessuna traccia. - Chissà cosa gli è capitato… - Probabilmente lo hanno catturato gli uomini della sicurezza, in seguito a un’irruzione. Può anche darsi che quell’imbecille si sia cagato addosso e abbia deciso di consegnarsi. Diversamente, si è sparato. Lorenzo alzò la testa, turbato da quell’ultima ipotesi. - Credi davvero che possa… - Oh, i coglioni non li ha mai avuti. Comunque, qualsiasi cosa sia successa, qualcuno è intervenuto e ha pulito dappertutto. Sono svanite perfino le macchie sulle pareti e sul pavimento. Hanno portato via anche, ehm… Monica. Beccardo si avvicinò al divano. Michele esitò un istante, prima di fargli spazio e di addossarsi al bracciolo. - Accomodati, - disse poi, lievemente a disagio - c’è posto per stare comodi entrambi. - Grazie, ne ho proprio bisogno. Il collo mi pesa come un macigno. - Nottataccia, eh? Mi sono dovuto sgranchire le ossa a lungo, prima di stare meglio. - Un pessimo risveglio, niente da dire. A proposito, sei in piedi da tanto? - No, da un’oretta. Anche se, a tratti, ho creduto di vivere imprigionato dentro un unico minuto. Una sensazione orrenda… - La conosco bene, non dimenticarti che stai parlando con un custode notturno. Avresti potuto chiamarmi, sai? Ti avrei tenuto compagnia. - Perché privarti di un altro po’ di sonno? Come vedi, qui non accade nulla. - Già, proprio nulla… - mormorò l’altro tra i denti. Cortina si ricompose sulla seduta.

- Per far are il tempo, ho perfino pensato di preparare il mio bagaglio. Ovviamente, ho rinunciato subito: nulla sarebbe stato più inutile e d’intralcio. - Si, in queste condizioni non avrebbe senso portarsi dietro un fardello simile. Possiamo anche rinunciare a quattro mutande. Piuttosto, quando ci lasceranno uscire da qui? Il flebile scatto elettrico rispose con eloquenza alla sua domanda. Si guardarono, stupefatti. Un sorriso liberatorio raggiunse i loro volti. - Hai sentito anche tu? - esclamò Lorenzo con voce strozzata, quasi commossa. - Si... - Voglio dire... Non sono le mie orecchie a giocarmi un brutto scherzo? È... è tutto vero? Michele annuì. - Non ci posso credere... Avevi ragione tu, siamo liberi! Beccardo raggiunse la porta, felice come un bambino. Abbassò la maniglia e scostò lentamente la porta dallo stipite. S'impose di mantenere la calma; voleva esser sicuro di quello che il suo campo visivo registrava. Esaminò ogni spazio con circospezione, scrutando più volte fino al cancello, e il verdetto fu sempre il medesimo: il viale selciato e il giardino erano deserti. Solo il silenzio accompagnava i colori dipinti dal sole. - Qui non c'è anima viva… Significa forse che…? - Non t’illudere, vedrai che qualcuno arriverà. Lorenzo richiuse l’uscio, raggiunse il compagno e si lasciò cadere sul divano. - Si, lo so… Mi si arrotolano le budella dalla paura, però nello stesso tempo non vedo l’ora di abbandonare questo luogo di morte. - Sono d’accordo, è arrivato il momento di agire. Anche se, contrariamente a quanto previsto, siamo disarmati.

- Non m’importa, sai come la penso al riguardo della pistola. Credo invece che sia giusto affrontare una questione, prima di uscire. - Cioè? - Non sappiamo cosa ci attenderà fuori da quella porta. Uno di noi potrebbe non farcela. Potremmo perfino morire entrambi - considerò Beccardo, l’espressione piegata dall’angoscia - Perciò spartiamoci il denaro a metà, subito. Cortina lo fissò, senza batter ciglio. - Per me va bene. Prendi la valigetta e cerchiamo un sacchetto, o qualcosa di simile - propose poco dopo, pragmatico. - Un sacchetto? - Per dividere le mazzette ci serve un altro contenitore. In cucina o in camera troveremo il necessario. Dando per assodato che nessuno di noi due sia disposto a lasciare l’altro da solo con il denaro e la porta aperta, non ci resta che muoverci insieme. - Si, ma… vuoi che tenga io la valigetta? - Certo, perché no? - esclamò Michele, sornione. - Va bene, come vuoi tu - considerò l’altro, alzandosi e dirigendosi verso il tavolo. - Anche se, a pensarci bene, ti stai ponendo un problema che non esiste. I bigliettoni sono tutti miei. Lorenzo si voltò, gli occhi sgranati. Lo stupore gli paralizzò i muscoli: Cortina era in piedi davanti a lui e brandiva una pistola, che aveva tutta l'aria di essere la famigerata Bernatti. - Cosa diavolo... Che vuoi fare con quella? - Usarla, se necessario. Avanti, custode, levati dalle palle! I quattrini vengono via con me!

- D-dove... dove l'hai presa? - Gentile omaggio del nostro uomo misterioso: l’ha lasciata sul ripiano del tavolo, con il caricatore già inserito. Mi è bastato nasconderla sotto i cuscini del divano, qui di fianco a me, aspettando che si sbloccasse quella dannata porta. Ho avuto tutto il tempo per agire, visto che dormivi. A proposito, dovresti fare qualcosa per la tua respirazione notturna: russi come un mantice! - Ti stai comportando come Tommaso… - Non dire cazzate! Io non prendo ostaggi da usare come scudi! - protestò Michele, accigliandosi - Soprattutto, non ho paura di nessuno. Non m’importa se quel bastardo là fuori schiererà il suo plotone di energumeni, né se tenterà di spaventarmi con le ombre cinesi. Al contrario di Andreini, possiedo colpi e mira per impormi su chiunque! Beccardo si rabbuiò, impotente. - Non posso crederci… Sei disposto a fottere la vita di mia figlia solo per comprarti una casa? Cortina scoppiò a ridere. Piegò la testa all'indietro, con un gesto teatrale. Poi si rifece serio, strinse il pugno sul calcio della pistola e perforò il rivale con un'occhiata fulminante. - Mi fai talmente ribrezzo che provo quasi pena per te... Sei solo uno stupido, che crede a tutte le cazzate che gli si racconta! La casa non c'entra niente, sto benissimo dove abito. I soldi mi servono per ben altro, e guarda caso mi servono tutti! Non è giusto, stronzo... Lì dentro c’è la mia parte… Non è giusto... - Grazie a loro, potrò finalmente spezzare le catene che mi legano a questa vita castrante, fatta solo di rinunce e bocconi amari da inghiottire! Da oggi, le mie priorità si chiamano ricchezza, rispetto e autorità! Michele iniziò a muoversi avanti e indietro, a piccoli i. - Mi sono ripromesso di dare una svolta al mio futuro e lo farò, costi quel che costi. Non accetterò mai più di subire come un burattino, né di farmi comandare

a bacchetta da vermi incompetenti come Giorenti! Tirò su col naso, storcendo la bocca in una smorfia schifata. - Per colpa dell’organigramma d’inetti che governa la RIV.BER., le mie potenzialità non sono mai state comprese, né tantomeno valorizzate. Ho dedicato ben sette anni della mia vita a questo lavoro, dando tanto e più di tanti altri, e cos’ho ricevuto in cambio? Solo calci in culo e ramanzine! Perché allora dovrei continuare a sprecare energie per chi non mi apprezza, quando potrei impiegarle per coltivare le mie reali ambizioni? Si aspettò una reazione, una minima scossa emotiva. Ma davanti a sé aveva solo il volto di un uomo rassegnato alla sconfitta. Provò il forte impulso di schiacciarlo come una cimice; si contenne però, sovrastato dal desiderio di costruire un’uscita di scena epica. - So benissimo che continui a non comprendere le mie ragioni. In quella mente atrofizzata alberga solo la tua bambina sfigata. Farla guarire è diventata un'ossessione, vero? Lascia stare Elisa, maledetto bastardo! - La tua identità è ormai un foglio bruciato e disperso nel vento. Ti rendi conto che per la famiglia hai rinunciato ai tuoi sogni, arrivando perfino ad accettare un’esistenza spenta? Beh, t’informo che là fuori esiste qualcosa che hai dimenticato, Beccardo, una realtà fatta di luci, lusso e piaceri. Un mondo di cui voglio far parte, per iniziare a vivere da uomo! Diventa uomo, prima! - Per questo ho deciso di dedicare tutta la ione al mio grande sogno: aprire uno studio di mediazione commerciale, un sito che possa diventare il fulcro delle attività lavorative. Dove? Beh, ovviamente a Milano, l'Eden delle grandi opportunità! Cortina si compiacque. Nei suoi occhi cresceva lo slancio della narrazione. - Lo scopo è semplice quanto geniale, custode: creare un riferimento in cui far convergere le esigenze del mondo professionale, sia per i clienti in cerca di fornitori sia per le aziende che vogliono proporre le loro lavorazioni. Loro

s'incontreranno e stringeranno collaborazioni fruttifere, e io mi arricchirò in breve tempo! Fece ruotare la pistola tra le dita, come un cowboy di terz’ordine. - Certo, non è stato facile partire da zero, oltretutto potendo contare solo sulle mie forze. Tanto per cominciare, ho dovuto darmi un gran daffare per recuperare un gruppo consistente di clienti e costruttori. Come? Beh, nell’unico modo possibile: facendo il doppio gioco all'interno della RIV.BER. Lorenzo ebbe un sussulto. - Trovare i nominativi è stato semplice. Le mansioni per le quali sono pagato dal commendator Rivelli mi hanno permesso di conoscere le persone giuste. La vera difficoltà è stata persuadere quei gentiluomini che nel mondo degli affari il confronto è indispensabile, soprattutto perché la maggior parte di loro si è fossilizzata da anni su un rapporto di collaborazione univoco. Ho dovuto sputare sangue e lavorare sottotraccia per mesi, ma alla fine sono arrivati i primi risultati. Del resto, noi commerciali siamo puttane formidabili! Michele sorrise, compiaciuto. - Come immaginerai, ho fatto l'impossibile per non insospettire nessuno. Non potevo certo permettermi di compromettere il lavoro attuale, ti pare? Mi sono mosso come un acrobata, reattivo come la vita mi ha insegnato a essere. Confesso che a tratti è stato perfino intrigante sfidare il rischio fino al limite estremo. Sei un lurido porco! - Soprattutto, ho dovuto trovare una soluzione per reperire il capitale iniziale. La mia disponibilità, infatti, era irrisoria rispetto al necessario per l'investimento. Non per questo, però, mi sono associato a individui avidi e spietati, pronti a pugnalarmi alle spalle per poi sottrarmi gli introiti. Né tantomeno ho voluto invischiarmi con istituti di credito parassiti. Tutta gentaglia come te, figlio di puttana... - Per una volta, sono stato assistito dalla fortuna. La chiamata che mi ha portato qui è giunta al momento opportuno, quando avevo acquisito un numero tale di

clienti da permettermi il salto finale. Ogni tassello si stava inserendo nel posto giusto, sentivo che il cerchio era destinato a chiudersi. E ora che ho recuperato anche il denaro, può finalmente calare il sipario del lieto fine! Il racconto era giunto al termine. Cortina tornò alla realtà, scoprendo di essere ancora nella casa e non sul palco di un convegno organizzato in suo onore. Il volto gli s’infiammò, non potendo fare a meno di tradire, tra le pieghe di un ghigno, la brama di sopraffazione.

5.

- Bene, custode, direi che è giunto il momento di lasciarti. Cortina raggiunse il tavolo, senza mai distogliere il mirino dal suo bersaglio. - Che spettacolo… Care banconote, ora siete tutte mie! Con la mano libera, abbassò il coperchio della valigetta. Chiuse la sicura a scatto, impugnò la maniglia e la sollevò con fermezza. - Non sopporto gli adii mielosi, perciò sarò breve. Stammi bene, Beccardo. E tanti auguri per tua figlia. - Un momento! Non penserai di cavartela così a buon mercato, vero? - lo aggredì l’altro, sbarrandogli la strada verso la porta. - Cosa? Forse le orecchie m’ingannano… - Hai capito benissimo, invece! Quelli come te non dovrebbero mai nascere sani! Non lo meritano, non meritano un cazzo, se non di crepare! - Vai forte con i complimenti, ma cerca di non esagerare. Forse non hai ancora capito chi ha i mezzi per comandare, qui - fece notare Michele, agitando la canna lucente. - Beh, c’è una novità che non hai considerato. Tu di qui non esci. Non con il denaro. - Avevo ragione io. Non devo aver sentito bene… - Ho lottato quanto te per arrivare in fondo a questa storia! Non permetterò alla tua avidità di ostacolarmi!

Cortina lasciò spegnere l’eco delle sue intimidazioni, quasi divertito. - E dimmi, cosa intendi fare? Affrontarmi fino a farti riempire di piombo? - Ti avverto, io non mollo. Non hai voluto spartire la vincita? Molto bene, la prenderò tutta io. Tu andrai a farti fottere. Non ho paura né di te né delle tue pallottole. Erano di fronte come duellanti, illuminati dal sole e dai propositi ostinati. - Sei davvero disposto a farti impallinare, sapendo di non ottenere nulla in cambio? È così che pensi di aiutare la tua bamboccia? Michele non rinunciò al consueto sberleffo di sfida, nonostante si sentisse intrappolato in un disagio crescente. Il suo rivale, al contrario di quanto avesse previsto, non sembrava per nulla intimorito. Una macabra trasposizione fece riemergere l’incubo e la creatura putrescente che cullava il cadaverino di sua figlia, la bestia ingorda pronta a inghiottire tutto ciò che ostacolava il suo aggio. - Per l’ultima volta, custode! Levati dai coglioni, se tieni alla tua squallida esistenza! Si accorse che la voce tradiva la sua difficoltà. Pur essendo armato, arretrò di un o. Lorenzo iniziò ad avanzare, coriaceo come un cingolato. Nel suo campo visivo c’era spazio solo per il suo acerrimo nemico, un fantoccio d’argilla con la mano tremante e l’indice che indugiava sul grilletto. Un ometto frastornato che finalmente vacillò. - Stai lontano da me, non ti avvicinare! L’urlo accompagnò il calcio poderoso. Il polso di Cortina cedette, un guizzo elettrico fece aprire la mano armata. La pistola cadde con un tonfo sordo, rotolando fino a schiantarsi contro la base della libreria. Beccardo recuperò l’appoggio su entrambi i piedi e affondò fulmineamente un diretto. Colpito allo zigomo, l’altro perse la presa della maniglia e stramazzò sul pavimento, senza riuscire ad attutire l’impatto con le braccia. La valigetta

precipitò a sua volta e si aprì, sparpagliando le banconote per la sala. - Cosa cazzo me ne importa dei tuoi luridi sogni di profitto e speculazione, eh? Dimmi, bastardo, secondo te quanto me ne può fregare? Ansimava, rosso come un tizzone. Le nocche gli dolevano, ma non se ne accorse. - Hai smesso di vantarti, eh, spocchioso pezzo di merda! Lo osservò rialzarsi, sanguinario come una belva al cospetto della preda ferita. Attese che si reggesse sulle ginocchia, senza scomporsi. - Coraggio, bellimbusto! Parlami ancora del tuo trionfo! Gli afferrò i capelli, incollati dal sudore. Animato dall’avversione, reclinò la testa ed entrò nel suo volto, caricando più forte che poté. Michele ricadde pesantemente, senza un lamento, e si accasciò sulle piastrelle. Il suo naso era esploso come una bolla calda. Rivoli intrecciati scorrevano lungo le guance e le labbra, fino a formare chiazze astratte sulla camicia. Si rialzò, intenzionato a riprendere la sua collera per le redini. Sputò e si pulì più volte con la manica, per rimuovere il sangue che gli ostacolava la respirazione. Infine si raddrizzò sulle gambe, incapace di provare pietà umana. Ti ammazzo, cane rognoso! Di’ le tue ultime preghiere! Senza più ragionare, si avventò su di lui. Lo aggredì a testa bassa, iniziando a sferrare calci e pugni all’impazzata. Lorenzo ondeggiò più volte sotto le percosse, ma dimostrò una resistenza insospettabile. Le braccia, ormai guidate esclusivamente dallo spirito di autoconservazione, impararono a parare diversi colpi. Cortina, frustrato, fu travolto dalla smania di finirlo. Caricò ancora, insistendo con la furia di un toro, finché Beccardo crollò sulle ginocchia. Il suo volto era ridotto a una raccapricciante poltiglia di sangue, ossa e carne. L’occhio destro zampillava ogni volta che tentava di aprirsi. Il sinistro s’intravedeva appena. - Quanto ti ci vuole a morire, eh? - ansimò Michele, sfinito.

Barcollò fino alla libreria, attento a quanto accadeva alle proprie spalle. Una volta impugnata la pistola, osservò con disgusto quell’uomo deturpato. Gli si avvicinò, tese il braccio e appoggiò la canna alla sua fronte, finalmente deciso a chiudere la questione. - Addio, custode. Se ti può consolare, hai lottato bene. Sotto certi aspetti, ti ammiro. Ma ora sei davvero al capolinea. - Ti prego, non farlo… Tu non sei un assassino! Cortina sgranò gli occhi, inorridito. Malgrado l’impulso di crivellarlo si proponesse a ondate, ogni volta quel dannato grilletto diventava più duro. Di colpo, Lorenzo si ricordò della strategia che avevano elaborato nella Blueroom, quando erano prigionieri e attendevano il ritorno di Andreini. Rapido come una saetta, spinse sulle cosce e sollevò le ginocchia dal pavimento. Distese la gamba destra, ruotò sull’altro piede e fece partire un calcio basso. Michele, falciato, cadde goffamente, senza però perdere la presa sulla pistola. Si rialzò con prontezza, inasprito per aver ceduto il vantaggio. Beccardo gli si fiondò addosso all’istante e afferrò il polso armato con entrambe le mani. L’altro, costretto a piegare le gambe per evitare la leva, riuscì infine a guadagnare con la mano libera una presa salda sulla sua nuca. Premette più forte che poté, attento nel frattempo a non farsi sottrarre la Bernatti. La colluttazione era serrata, i volti quasi a contatto. La canna continuava a oscillare tra i due corpi, senza trovar quiete. Improvvisamente, partì uno sparo, poi un secondo. L’ultimo strascico di concitazione anticipò l’esplosione del terzo colpo. Michele allentò la presa sull’arma, che cadde a pochi centimetri dai suoi piedi. Gorgogliò tendendo le dita, gli occhi strabuzzati e increduli. Un conato gli fece rigurgitare sangue e liquidi organici. - Fai proprio schifo! Mi hai imbrattato i vestiti! - si lamentò Lorenzo, scrollandoselo di dosso con un brusco spintone. Cortina rovinò a terra e si contorse per qualche istante. Il sangue sgorgava copiosamente, fino a impregnare i vestiti e formare una pozza sotto il suo corpo. Probabilmente uno dei proiettili gli aveva bucato lo stomaco.

Beccardo riprese fiato. L'occhio sinistro, l'unico che poteva utilizzare, vedeva solo ombre appannate. Con la lingua contò quattro denti rotti. - Sei un babbeo del cazzo, te la sei proprio cercata! - lo schernì, isterico. Un fremito violento gli fece tremare la mandibola. - Cosa ti costava fare a metà? Ma no, tu sei avido, vuoi sempre tutto! E allora beccati anche una pallottola in pancia! Stronzo! Gli sferrò un calcio sul fianco, facendolo smuovere. La punta del piede affondò sordamente, come se avesse colpito un sacco di cemento. - Sei contento, adesso che hai ricevuto la lezione? Te la sei proprio cercata, porca puttana! Guarda cosa mi hai costretto a fare! Cercò di allontanarsi e rischiò subito di scivolare su quel lago di sangue. Rimasto in equilibrio solo grazie al pronto movimento delle braccia, decise di muoversi con più circospezione, un o alla volta, finché sentì che stava camminando su una superficie meno umida. Infine, si chinò e perlustrò il pavimento a tentoni. - Lurido maiale, hai sporcato anche i soldi! Raccolse le banconote e le risistemò nella valigetta come riuscì, ammassandole alla rinfusa. Quando abbassò il coperchio, si accorse che il guscio era gonfio in maniera anomala; alcuni bigliettoni fuoriuscivano dai bordi. Dovette insistere un po’, prima di riuscire a bloccare la chiusura a scatto. - Addio, grandissimo pezzo di merda! Stavolta sono io a salutarti! Si avviò zoppicando verso l’uscita. Solo in quel momento si accorse di essere a sua volta ferito. La spinta adrenalinica stava calando e le fitte lancinanti affiorarono in pieno petto. La camicia, appiccicata al ventre, si era tinta di rosso. Oh cazzo... Sto sanguinando! Il respiro era corto, un senso di oppressione aveva catturato la sua gola. Lorenzo sentì il calore investirgli la schiena. Tastò la carne viva con il dorso delle dita, ma non ebbe il coraggio di guardarsi la mano. Spinto dall’angoscia, strinse l’impugnatura della valigetta con maggior vigore.

F-forse... un polmone... è andato... Si aggrappò alla maniglia, consapevole di aver bisogno di un sostegno. Quando finalmente si sentì padrone delle proprie azioni, spostò il peso sulle gambe e aprì la porta. Un’ondata di luce lo investì, senza lasciargli respiro. Beccardo cercò di fare un o in avanti, nonostante la testa girasse fino a causargli nausea. Inciampò su qualcosa che non vide, perse l’equilibrio e si schiantò a terra. Attese per un tempo indefinito, respirando appena. La calura era mitigata dalla brezza, che insisteva tra i suoi capelli. Le carni bruciavano, scosse da violente contrazioni, mentre lo spirito si stava estraniando dai supplizi corporei. Il delirio condusse Lorenzo davanti alla porta di casa sua e lo sorprese mentre si apprestava a suonare il camlo. Donatella giunse ad aprire quasi subito, come se lo aspettasse dietro l’uscio, chiaramente con il sorriso più raggiante che lui avesse mai visto. Si abbracciarono a lungo, senza parlarsi, le sagome intrecciate nel tenue tramonto. Per la prima volta in vita sua, l’uomo si sentì pienamente fiero di se stesso, leggero come il sussurro di un’arpa celtica. A sua figlia aveva ridato la vita, il godimento di un futuro tutto da plasmare. Ora anche lei poteva nutrire fantasie e speranze, come tutti gli altri bimbi. Per non smettere mai più di sognare. Una fitta acuta lo riportò alla realtà. Le ferite erano profonde e gli organi vicini al collasso. Beccardo comprese che per lui la situazione era compromessa. Avvertì un gran freddo; il sole non bastava più a scaldarlo. Portare... i soldi... Il mio sacrificio... deve s-servire... a qualcosa... Si fece coraggio e assecondò le proprie intenzioni. Riprese a muoversi, constatando che i muscoli rispondevano con una dolenza accettabile. Allungò la mano, alla ricerca della valigetta. La trovò quasi subito e si affrettò ad afferrarla. Rassicurato, riprese fiato. Spingendo sui gomiti, cominciò a trascinarsi verso l'androne, incattivito dalla propria caparbietà. Strisciava nella polvere, quasi in apnea, lasciando dietro di sé la scia di una lumaca ferita. D-devo... raggiungere... c-ancello... Non si preoccupò minimamente di chi avrebbe potuto trovare all'uscita. Cercò di sollevarsi, ma ogni movimento lo straziava con stilettate fendenti. Fece forza sui pugni, avvampato da un furore selvaggio. Si aiutò con le ginocchia, poi con l’impulso delle gambe. Si sostenne infine in posizione eretta, pur colpito da

vertigini febbrili. Barcollò a lungo, finché riuscì a trovare l’equilibrio. Inarcò la schiena, il mento alto contro il cielo e la fronte imperlata di sudore, fiero come un gladiatore. Alle sue spalle, la mano tremante e insanguinata trovò a tastoni la pistola. Cortina riuscì a sollevare il tronco, sopportando sofferenze atroci. Ormai cieco, si alzò a sedere ed esplose quattro colpi consecutivi, prima di schiantarsi al suolo e di non muoversi più. Lorenzo si contrasse e arrotò i denti, trafitto alla schiena. Non vide più niente, prigioniero di un’orbita di pece. Non patì neanche più dolore. Precipitò sulle ginocchia, piangendo il suo fallimento. - Perdonatemi, donne mie... Perdonat... emi… Si adagiò a terra, risucchiato in un limbo d’incoscienza. Pervaso dagli ultimi spasmi, Lorenzo Beccardo lasciò scivolare la maniglia e la sua stessa anima. Un alito di vento gli accarezzò i capelli, con la delicatezza di una mano eterea. Raccolse le lacrime dalle sue guance e le fece volteggiare in alto, lontano da quel mondo di polvere, sangue e sudore. Nel cielo si addensarono fiocchi di nuvole, fino a comporre un volto infantile.

EPILOGO

Il filmato si dissolse in una scia puntiforme. La mano puntò il telecomando in direzione del lettore, nell’istante in cui il pollice premette il tasto d’espulsione. Lo sportello, accompagnato da un sibilo meccanico, mostrò il suo contenuto. L’uomo si alzò dal sofà, recuperò il disco e lo ripose nella custodia. Si diresse all’angolo bar, deciso a versarsi da bere. Il silenzio amplificò il gorgoglio che scortava il bourbon dalla bottiglia al bicchiere, mentre alcune immagini si agitavano ancora nella sua mente. Aggiunse tre cubetti di ghiaccio e si avvicinò alla finestra. Soffermò la sua attenzione sul traffico di Corso Buenos Aires, divertito da quelle minuscole entità brulicanti in mutazione continua. Rimase per alcuni minuti a contemplare lo skyline milanese e i propri pensieri, sorseggiando senza fretta. Si scosse da quel torpore ipnotico con un colpo d’anca. Appoggiò il bicchiere e raggiunse la scrivania di mogano antico. Sfiorò il ripiano in cristallo, come se si trattasse di una donna pronta a concedersi. Spalancò il terzo cassetto e compose la combinazione della cassaforte, dalla quale estrasse un quaderno con la copertina di pelle. Dopo averlo aperto con cura, lo appoggiò sul ripiano, cominciando a far scorrere sul foglio la punta della sua penna stilografica preferita.

Confesso di non aver saputo resistere. Appena Dark ha lasciato il mio attico, mi sono fiondato in salotto: troppa era l’impazienza di esaminare il video. Ora posso affermare che il risultato di tanta attività ha generato uno spettacolo esclusivo, una forma d’arte che ha appagato ogni mia aspettativa. Dark è stato impeccabile nell’organizzazione delle sceneggiature e si è prodigato con la massima attenzione per soddisfare ogni mia richiesta. Ha svolto un lavoro sensazionale, grazie anche ai suoi collaboratori. Complimenti ai tecnici e ai registi, ai quattro “autisti” che hanno accompagnato ciascun partecipante, all’interprete di Briola e ai bodyguard, tre bestie ripugnanti rimaste però a bocca asciutta, nella vana attesa che il mattino dell’ultimo giorno almeno un concorrente si presentasse al cancello. Dark, inoltre, si è dimostrato un professionista eclettico. All’inizio, mediante un

filtro vocale, ha impersonato Devazzani, l’adescatore telefonico. In seguito, è scivolato dietro la misteriosa identità della Voce, godendo delle angosce che progressivamente hanno tormentato i protagonisti. Come certi direttori americani, ha preteso di comparire in una scena. Mi ha spiegato che per lui è un atto imprescindibile, in pratica la sua firma. Così, gli ho concesso la parte che ha sancito la svolta: consegnare alla Pacci la borsa manomessa. Devo riconoscere che, nonostante l’attenzione minuziosa che abbiamo riservato ai particolari, nessuno ha pensato per tempo al titolo del reality. Per buona sorte, l’attore che interpretava Briola ha saputo improvvisare con prontezza di fronte alla richiesta di Beccardo, riuscendo a scovare in pochi istanti una soluzione credibile.

In fondo, l’idea di cui mi sono invaghito si è ricondotta a un semplice esperimento. Lo scopo era costruire una vicenda in cui si sarebbero miscelate esigenze e ambizioni, gli elementi che diffondono il male principale della nostra epoca: la cupidigia. Corrotti da questa piaga, i quattro partecipanti si sono trasformati in predatori rabbiosi, mossi dalla ricerca forsennata del lucro e perciò disposti con ogni mezzo ad accaparrarsi l’intera posta in palio. Così, tutti volevano tutto e nessuno ha ottenuto niente. Pur differenziando le reazioni in funzione delle peculiarità caratteriali, i concorrenti hanno manifestato comportamenti analoghi. Ad esempio, nessuno di loro ha mai pensato di abbandonare la casa, nemmeno di fronte alle incongruenze gradualmente emerse. Anche Cortina, nonostante avesse sollevato diversi dubbi nel corso dei giorni, ha onorato la medesima regola valsa per gli altri: il denaro giustifica ogni azione e ha la priorità su qualsiasi scelta, perché è la calamita più potente che la bestia umana abbia mai congegnato. È stato davvero intrigante stuzzicare questi rappresentanti della decadenza sociale, metterli alla prova e scoprire fino a che punto sarebbero stati disposti a spingersi, sfidando la loro stessa dignità. Rinchiuderli in una residenza sperduta nella pace dei boschi, lontana dai tentacoli della metropoli ma, allo stesso tempo, colma di quegli agi a cui difficilmente rinuncerebbe un ominide moderno. Con l’aggiunta di un dettaglio ornamentale: una valigetta colma di banconote fruscianti. Ammetto di essermi divertito a condire la vicenda con qualche ingrediente speziato, a insinuare dubbi e sospetti fin dalle prime ore del gioco.

L’introduzione della pistola, in questo senso, è stata un catalizzatore decisivo. Nei competitori è affiorata ben presto la naturale predisposizione a mostrare il peggio di sé, attraverso pettegolezzi, sotterfugi e perfidie gratuite. Una serie di scelte sbagliate ha fatto poi il resto, innescando la valanga che li ha travolti.

Non è stato difficile trovare gli esemplari adeguati, disposti a sopportare qualsiasi angheria. Avevo raccolto da tempo le informazioni che mi servivano, prima che la mia intuizione si plasmasse in azioni concrete. Ho individuato quattro figure disperate oppure pronte a tutto, che per certi versi è la stessa cosa. Un modesto custode notturno, in difficoltà per le gravi affezioni della sua figlioletta e per questo feroce come una belva. Un venditore in continua caccia di guadagni, logorato da ambizioni ossessive e pronto a pugnalare chiunque, anche la stessa mano che lo nutre. Una dirigente con una personalità controversa, affetta da vittimismo cronico e disposta a qualsiasi cosa pur di riscattare la propria esistenza. Infine, un operaio vizioso e privo di capacità, travolto da una situazione familiare disastrata. Per adescarli, è stato sufficiente presentarsi per conto di un’emittente altisonante, accompagnando la recita con l’impiego di berline griffate. Come previsto, poi, la rivelazione che il denaro sarebbe rimasto nella casa per tutta la durata del reality, li ha definitivamente convinti. NRG, il miraggio del grande network… Al Bharak, Ribbi, se sapeste con quale maestria mi sono nascosto dietro i vostri illustri nomi! Ho ritenuto fin dal principio che Andreini potesse rivelarsi l’anello debole della catena, l’elemento manipolabile per far breccia nel gruppo e sbloccare la situazione di stallo creata dall’inerzia. Per convincerlo che la Pacci provasse avversione nei suoi confronti, è bastato ordire una trama che insinuasse dei semplici dubbi. Il resto l’ha fatto la sua mente stolta, facilmente soggiogabile dall’ira. È stata, invece, un’autentica conquista riuscire a spingere Monica oltre le sue paure, rappresentate da un fienile. Una trovata di forte impatto, che la mia fantasia ha concepito fin dal principio come potenziale punto di rovesciamento della vicenda. Ho ancora davanti agli occhi l’espressione attonita che la donna ha mostrato, appena mi ha visto entrare. Per averla in pugno, mi è bastato mentire sul fatto che l’emittente mi avesse invitato solo perché avevo espresso in lei una preferenza che sfiorava l’entusiasmo di un tifoso. In quel momento, credo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me…

Il mio esperimento ha dimostrato ciò che avevo ampiamente previsto: il senno non appartiene all’animo umano. L’avidità governa i pensieri e genera condotte malvagie. E le condotte malvagie generano trame cruente, immortalate in film che sopravvivono agli stessi attori. Proprio come a Hollywood…

Un ghigno compiaciuto tagliò il suo volto. Interruppe la scrittura, perché il piacere era come sempre effimero. La noia tornò a colpire, lasciando che il ato si consumasse come la fiamma di una candela. Era tempo di rimuovere quattro nomi dal tabellone della sua grande azienda. Ma, soprattutto, di pensare a un nuovo gioco.